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Interazioni fra Turchi, Greci e Latini in età bizantina e postbizantina

La città di Ravenna prima del Comune (X-XI secolo)

2. Interazioni fra Turchi, Greci e Latini in età bizantina e postbizantina

coordinatrice e discussant Sandra Origone

Il panel ha riguardato il Medioevo delle periferie, là dove nuovi processi storici scaturirono dall’incontro tra i diversi popoli interessati alle aree della tradizione bizantina. L’area tra Ponto e mare Egeo, trascorrendo dalla supremazia bizantina a quelle islamica e latina, sviluppò modelli di interazione culturale e politica che caratterizzarono il medioevo orientale e che si possono cogliere attraverso specifiche situazioni. La conflittualità rappresenta la dimensione più evidente di queste relazioni, che tuttavia aprirono anche ampie possibilità di contatto in diverse direzioni qui indagate attraverso diverse tematiche relative al periodo tardo medievale.

ll primo contributo indaga le strategie di convivenza greco-islamiche realizzate precocemente a livello di aristocrazie nella regione pontica e adottate in età tarda tanto dai Paleol

ogi di

Costantinopoli, quanto dai Comneni di Trebisonda. Il secondo contributo analizza gli aspetti politico-istituzionali, militari e religiosi della convivenza tra greci, latini e turchi in riferimento all’isola di Chio governata dalla Maona genovese e in riferimento ai potentati islamici della prospiciente costa anatolica. Nel terzo contributo il segno dell’interazione tra greci e latini si coglie nella collaborazione artistica ricostruita attraverso la presenza di Juan Peralta “architetto” a Costantinopoli, impegnato nel restauro della cupola di Santa Sofia alla metà del secolo XIV. Il quarto contributo si concentra sul momento dell’irruzione degli ottomani nel tessuto delle relazioni orientali e sui conseguenti rapporti diplomatici. Gli argomenti affrontati, diversi per la tipologia delle fonti, documentarie e storiografiche, e per gli ambiti di interesse storico e storico-artistico, confluiscono con nuove ricerche in una tematica che tocca il medioevo italiano ed europeo per le ripercussioni della situazione orientale sull’Occidente. La finalità del Panel è di esaminare aspetti specifici delle interrelazioni che si realizzarono grazie alla formazione di un comune tessuto di esperienze e interessi in uno spazio geografico e temporale aperto al confronto tra civiltà e mondi diversi.

MARCO FASOLIO

Lo sposo turco. Convivenza e conflitti tra Romei e Turchi nel Ponto medievale (secc. XII-XV)

La collocazione di Trebisonda e del suo distretto, la Chaldia, sulla sponda sud-orientale del Ponto, dunque in una posizione eccentrica rispetto a Costantinopoli e all'estremo margine nord-est dell'Impero d'Oriente, ha da sempre favorito i contatti tra le classi dirigenti locali e i potentati posti aldilà del confine bizantino. In particolare, in seguito all'avvento dell'Islam in Persia e in parte del Caucaso, la Chaldia divenne un'area di frontiera tra Bisanzio e la Cristianità da un lato e il composito cosmo mussulmano dall'altro, costringendo i governanti pontici a intrattenere frequenti relazioni – sia di natura conflittuale, sia amichevoli – con i loro omologhi d'oltreconfine. Tale condizione fu permanente nella storia di Trebisonda, dal momento che, nonostante le significative variazioni subite dai confini imperiali a partire dalla seconda metà del VII secolo, i Bizantini avrebbero conservato il controllo della città senza soluzione di continuità fino al 1461, quando cadde in mano agli Ottomani, mentre i signori islamici avrebbero mantenuto il dominio sui territori circostanti, a Oriente in un primo momento, poi, dall'ultimo quarto dell'XI secolo in avanti, anche a Sud della Chaldia, per tutto il medioevo.

Recenti studi, come per esempio quelli di Rustam Shukurov e Dimitri Korobeinikov sul rapporto tra Bisanzio e i Turchi nel basso medioevo, hanno definitivamente scardinato lo stereotipo che vedeva le relazioni tra l'Impero e l'Islam e tra le rispettive popolazioni caratterizzate dalla pura e semplice contrapposizione frontale. In effetti, subito dopo le prime convulse fasi dell'avanzata araba, ci fu spazio per il dialogo tra i due mondi, i quali non solo interagivano attraverso scambi di tipo culturale e commerciale, ma sovente istituivano collaborazioni a livello politico e talvolta stipulavano vere e proprie alleanze. Questo atteggiamento, dalla fine dell'XI secolo, ossia in

concomitanza con l'avvio delle crociate e l'intensificazione dei contatti tra l'Europa occidentale e l'Oriente, indusse i Latini, che concepivano la flessibilità dell'approccio imperiale ai problemi posti dall'Islam come una forma di connivenza con il nemico, ad accusare Bisanzio di doppiezza e di sabotare volontariamente gli sforzi dei Cristiani.

Per ovvie ragioni 'geografiche' Trebisonda non poteva rappresentare un'eccezione al complesso delle relazioni islamico-bizantine, tuttavia, benché nel corso dei secoli vi fossero state fasi conflittuali anche assai aspre tra i principati mussulmani e le élite cristiane della Chaldia, i dinasti pontici preferirono di gran lunga cercare l'intesa con i vicini, piuttosto che entrare in guerra con loro. Se, però, quella della cooperazione con i signori islamici era un'opzione che i basileis romei contemplavano solo occasionalmente, soprattutto dal XII secolo in poi, questo non valeva più per i governanti del Ponto. Costoro adottarono in maniera quasi sistematica una politica di accordo con gli emirati turchi e turcomanni confinanti, non di rado a detrimento delle prerogative imperiali sulla regione o, dopo il 1204 – allorché intorno a Trebisonda si costituì un principato indipendente – dei naturali vincoli di amicizia con i sovrani di Nicea e di Costantinopoli. In questo senso le relazioni tra i ceti dominanti del Ponto e i Turchi, sostituitisi al Califfato di Bagdad e ai suoi emirati satelliti nel corso dell'XI, secolo furono senz'altro un'anomalia nel panorama diplomatico dell'Anatolia bassomedievale.

Gli eventi della seconda metà del X secolo lasciavano già intravedere sia alcuni degli aspetti che avrebbero in seguito contraddistinto i rapporti tra i ceti dominanti della Chaldia e i loro vicini, sia le significative potenzialità che un intraprendente uomo di potere locale avrebbe potuto sfruttare, qualora avesse deciso di rivolgersi ai signori mussulmani oltre il confine. Fu Barda Sclero a inaugurare la stagione delle intese tra i governanti del Ponto e i potentati islamici, dal momento che, quando nel 977 scelse di lanciare la sua ribellione contro Basilio II (976-1025), era stato da poco nominato stratego della Chaldia. Dal 976, anno in cui presumibilmente aveva ottenuto l'incarico, Barda aveva trascorso il suo tempo a Trebisonda reclutando truppe e alleati da schierare contro l'imperatore e tra questi non mancavano né unità composte da soldati mussulmani sotto il suo diretto comando, né singoli emiri e dinasti islamici con i loro seguiti armati. Il caso di Barda Sclero fu nondimeno un unicum per il suo tempo, o meglio, il solo per il quale le fonti ci consentano di stabilire un legame pressoché certo tra una posizione al vertice dell'apparato amministrativo della Chaldia e la scelta di stringere un'intesa con i Mussulmani. Benché si trattasse di un precedente degno di nota, fino agli albori del XII secolo – quando la regione si era parzialmente sganciata dalla sovranità imperiale e i ceti dominanti locali furono in grado di condurre in maniera autonoma alcune delle attività che tradizionalmente erano state appannaggio del governo centrale – nessuno sarebbe stato tanto audace da seguirne l'esempio.

Grazie alle testimonianze di Costantino VII Porfirogenito (912-959), Niceta Coniate ed Eustazio di Tessalonica siamo a conoscenza delle opinioni che l'aristocrazia di corte e i vertici della gerarchia ecclesiastica nutrivano nei confronti della popolazione della Chaldia e, in particolare, dei suoi ceti dominanti. I membri di questi ultimi formavano un'élite alquanto composita sul piano etnico – con una cospicua componente di ascendenza armena – prevalentemente dedita all'attività militare e dalla marcata propensione alla rivolta, come attestano le fonti bizantine e arabe del X secolo. Quantunque col trascorrere del tempo anche i lignaggi pontici di origine non romea avessero subito un graduale processo di 'ellenizzazione', gli altri bizantini, forse anche a causa del perdurare di alcuni stereotipi culturali, lo sentivano come incompleto e perciò, ancora nel XII secolo avanzato, continuavano ad avvertirne l'alterità. L'isolamento geografico di cui la Chaldia godeva – stretta tra il Mar Nero a Nord e la catena montuosa delle Alpi Pontiche a Sud – contribuì ad alimentarne il particolarismo sociale e culturale, ma non fu che nell'ultimo quarto dell'XI secolo che le potenzialità separatiste della regione poterono esprimersi appieno.

La disfatta che nel 1071 il sultano selgiuchide Alp Arslan (1063-1072) inflisse nei pressi di Manzicerta all'esercito guidato dall'imperatore Romano IV Diogene (1068-1071) fu uno spartiacque nella storia della dominazione bizantina in Anatolia, in quanto l'impreparazione del governo e dell'apparato militare ad affrontare la penetrazione delle tribù turche generò il rapido collasso del

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sistema difensivo locale e nel giro di un decennio permise agli invasori di occupare quasi interamente quello che sino ad allora era stato il cuore dei domìni imperiali. Il caos che regnava sia a Costantinopoli sia nei temi asiatici consentì ad alcuni intraprendenti uomini d'arme e magnati anatolici di ritagliarsi entro i territori bizantini superstiti vere e proprie signorie personali, la cui creazione sarebbe stata impensabile soltanto pochi anni prima, ma che nei primi anni seguiti al disastro di Manzicerta avrebbero costituito l'unica vera forza di opposizione all'avanzata dei Turchi. Considerate le attitudini dell'aristocrazia pontica, non sorprende affatto che uno dei protagonisti di questa fase fosse stato un topoterete, ossia un arconte o un notabile locale con alcune prerogative pubbliche più o meno formalizzate, originario della Chaldia interna: Teodoro Gabras.

In una data grosso modo compresa tra la metà degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta dell'XI secolo, questi si impadronì di Trebisonda, allora sotto il controllo dei Turchi – i quali l'avevano presumibilmente occupata non molto dopo il 1071 – e, come scrive Anna Comnena, la tenne per sé «come se fosse una sua proprietà privata». Qualche anno più tardi, mentre Teodoro si trovava nella capitale, Alessio I Comneno (1081-1118) decise, al fine di allontanarlo dalla corte, di nominarlo duca di Trebisonda, conferendo così una sanzione ufficiale al potere che di fatto l'ex- topoterete già esercitava in loco. Al contempo, probabilmente nell'intento di tenere a freno la tendenza di Gabras ad agire senza l'avallo del governo centrale, Alessio I si fece consegnare suo figlio Gregorio in ostaggio con la promessa che lo avrebbe in seguito sposato con una principessa della dinastia imperiale. Questo genere di precauzione assunta dall'imperatore nei confronti del neo- duca ci restituisce la misura delle difficoltà che allora il sovrano incontrava nell'imporre la sua autorità sul distretto trebisontino, giacché, quasi si trattasse di un rapporto tra due sovrani, Alessio I era costretto a tenere prigioniero a corte il figlio di Teodoro affinché quest'ultimo adempisse ai suoi doveri o quantomeno non gli si rivoltasse contro. Cionondimeno, così come Teodoro aveva agito autonomamente in occasione della riconquista di Trebisonda e quando poi si era recato a Costantinopoli, la sua condotta non mutò una volta rientrato in Chaldia dopo la nomina a duca. A eccezione del fatto che il duca non aveva scatenato una ribellione, gli accorgimenti del basileus si erano rivelati vani. Invero, seppur in posizione subordinata rispetto al basileus – di cui in qualche modo riconosceva l'autorità, visto che aveva accettato l'incarico e il titolo che Alessio I gli aveva conferito – Teodoro Gabras si comportava come un signore territoriale in piena regola, dal momento che coniava monete senza l'autorizzazione imperiale, finanziava i monasteri e le manifetazioni religiose locali con il suo patrimonio personale e compiva spedizioni contro i Turchi. Il suo potere sarebbe rimasto incontrastato sino al 1098, quando, proprio nel corso di una spedizione anti-turca, Teodoro fu sorpreso fuori dalle mura di Paipert da un esercito guidato da Ismail, figlio del sultano del Khorasan, e da questi catturato, torturato e infine ucciso.

Sebbene dopo la morte del duca la Chaldia non si fosse resa indipendente dall'Impero e Alessio I fosse stato in grado di nominare un nuovo governatore a lui fedele, l'esperienza di Teodoro non fu priva di conseguenze. Gabras aveva coagulato attorno a un progetto politico dalla chiara impostazione autonomista il ceto militare pontico e ciò aveva alterato in maniera irreversibile gli equilibri di potere locali. Non soltanto le sue azioni lo avevano reso un martire e un santo per la comunità locale, ma persino nella più tarda letteratura epica turcomanna del Melikdanishmendname erano Teodoro e i suoi parenti e non l'imperatore bizantino ad apparire come i difensori delle popolazioni cristiane del Ponto. Alessio I e i suoi successori sarebbero ancora riusciti a inviare a Trebisonda ufficiali di governo sganciati dalle logiche di potere pontiche e non alleati con il clan dei Gabras, tuttavia costoro non disponevano né dei mezzi, né delle conoscenze necessarie a gestire efficacemente l'inquieta aristocrazia della Chaldia, poiché dopo i quasi vent'anni di dominio di Teodoro questa non rispondeva più agli strumenti canonici dell'amministrazione imperiale. Così, periodicamente, la corte si vedeva costretta a conferire il titolo di duca a esponenti dei lignaggi locali, i quali, benché fossero capaci di tenere a bada i loro pari, si servivano puntualmente della loro posizione e del loro ascendente sulla classe arcontale per riproporre le istanze teodoriane, alimentando i sentimenti separatisti della regione e scavando un solco sempre più profondo tra questa e il resto di Bisanzio.

Abbiamo visto come Teodoro Gabras si fosse impossessato di Trebisonda strappandola manu

militari ai Turchi e come, dopo averla governata e difesa come se fosse stata «una sua proprietà

privata», sempre combattendo contro i Turchi fosse stato catturato sotto le mura di Paipert e poi ucciso. Da un accenno contenuto nella Epitome Historiarum, compilata da Giovanni Zonara poco dopo la morte di Alessio I (1118), sappiamo che il riconoscimento di Teodoro quale martire della fede era già avvenuto agli inizi del XII secolo, mentre fonti più tarde ci consentono di datare la sua definitiva canonizzazione al XIV secolo. Contemporaneamente, nelle tradizioni e nella letteratura folclorica del Ponto Teodoro aveva assunto il ruolo di 'padre della patria', conservando la sua fama di campione dei Romei contro l'Islam sino agli albori del Novecento. Ironia della sorte, proprio coloro i quali gli sarebbero succeduti nel governo di Trebisonda e ne avrebbero rivendicato l'eredità, talora contribuendo in maniera decisiva al processo di 'mitizzazione' della sua figura, sarebbero stati gli antesignani delle politiche di collaborazione e di intesa con i vicini emirati turchi e turcomanni – contro i quali Teodoro aveva così duramente lottato – che nel basso medioevo sarebbero diventate la norma per i governanti pontici.

Il primo tra gli epigoni di Teodoro a tentare di riproporne la politica di autonomia nei confronti di Costantinopoli fu Gregorio Taronita. Questi apparteneva a un lignaggio principesco di origine armena trasferitosi a Bisanzio nella seconda metà del X secolo, che poteva vantare solidi e antichi legami di amicizia con la famiglia Gabras, oltre a una significativa presenza patrimoniale all'interno del distretto di Trebisonda. Gregorio, il quale in virtù delle sue ascendenze familiari conosceva a fondo le dinamiche di potere della Chaldia e in precedenza aveva già ricoperto un incarico militare nel Ponto per conto di Alessio I, fu da questi nominato duca di Trebisonda nel 1103. Non appena ebbe raggiunto la sua sede, Taronita si ribellò e, per fronteggiare la sicura reazione del basileus, cercò di attrarre alla sua causa l'emiro danishmendide Gümüshtegin Ghazi, il cui potentato si estendeva lungo il confine meridionale della Chaldia. Quasi certamente Gregorio non fece in tempo a concludere l'alleanza con il principe turcomanno, dal momento che l'armata imperiale guidata da suo cugino Giovanni Taronita, era riuscita ad anticiparlo e a catturarlo nel 1106, ponendo così fine alla sua breve avventura pontica. Non fosse altro che per il contesto nel quale si era svolta la vicenda e per la storica vicinanza dei Taroniti al clan Gabras, l'azione di Gregorio potrebbe essere archiviata come una tra le tante sollevazioni anti-imperiali fallite nella storia della basileia. Anche il tentativo di intesa con Gümüshtegin, vale a dire con un dinasta straniero e non cristiano, non era un'eventualità rara a Bisanzio, giacché molti altri ribelli sia prima, sia dopo Gregorio avevano e avrebbero cercato di allargare il perimetro dei propri sostenitori oltre i confini dell'Impero. Nondimeno, proprio perché l'insurrezione di Gregorio si era verificata a Trebisonda solo pochi anni dopo l'esperienza di Teodoro Gabras, il suo abboccamento con i Danishmendidi non può essere sottovalutato.

In effetti, non si era trattato di un episodio circoscritto agli anni di Gregorio Taronita, in quanto nel 1119 Costantino Gabras, figlio o nipote di Teodoro e divenuto duca di Chaldia all'incirca tra il 1116 e il 1119, si era alleato con l'emiro ibn-Mangudjak di Celzene, allora in conflitto con Gümüshtegin Ghazi e Balak di Melitene, e lo aveva accolto a Trebisonda. La scelta si rivelò nefasta, siccome il successivo scontro tra l'esercito trebisontino-mangudjakide e le forze congiunte di Gümüshtegin e Balak vide le seconde prevalere nettamente, con lo stesso Costantino che fu catturato e costretto a recuperare un ingente somma per poter pagare il proprio riscatto. Riacquistata la libertà, qualche anno più tardi il duca decise di imitare la condotta del suo predecessore e di ribellarsi all'imperatore, per poi avviare una serie di politiche dalla esplicita impronta separatista. Forte della tradizione familiare e del consenso che riscuoteva presso le élite guerriere della Chaldia, Costantino condusse alle estreme conseguenze le linee di condotta che avevano ispirato la gestione di Teodoro Gabras in ogni aspetto dell'attività di governo. Nello specifico della 'politica estera', l'operato di Costantino si tradusse nella costruzione di una complessa rete di alleanze che comprendeva da un lato i fuoriusciti e i membri insoddisfatti della dinastia regnante e della corte costantinopolitana, dall'altro quei signori territoriali turchi e turcomanni, Danishmendidi in primis,

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che come lui erano costantemente esposti a una potenziale conquista da parte bizantina o selgiuchide.

I dati a nostra disposizione non ci consentono di determinare con sicurezza fino a quando Costantino Gabras riuscì a conservare la sua posizione, nondimeno è certo che almeno sino all'inizio degli anni Quaranta del XII secolo – ossia a più di vent'anni di distanza dal suo insediamento – la basileia non poté recuperare il pieno possesso della Chaldia. Oltre al fondamentale sostegno del ceto dirigente locale, fu verosimilmente quell'articolato sistema di intese – al quale aveva lavorato sin dal suo avvento a Trebisonda, ben prima di scegliere la via della ribellione – che permise a Costantino di restare al potere tanto a lungo e di attuare le sue politiche separatiste in un ambiente ostile come l'Anatolia di inizio XII secolo. Costantino e, forse, anche Gregorio Taronita prima di lui avevano capito che per salvaguardare l'autonomia della regione e mantenerne il controllo, senza soccombere dinnanzi a Bisanzio o ai Selgiuchidi, era necessario creare un fronte comune con quelle forze locali che condividevano le loro stesse preoccupazioni e i loro stessi interessi. In questo senso gli emiri turcomanni come i Danishmendidi o i Mangudjakidi erano alleati ideali e, di conseguenza, era logico che i dinasti pontici si rivolgessero a loro.

Il caso di Andronico Comneno – governatore semi-indipendente del Ponto tra il 1180 e il 1182 prima di diventare imperatore (1182-1185) in seguito a una violenta usurpazione – può per certi versi ricordare i profili di Gregorio Taronita e di Costantino Gabras, in virtù sia della sua vicinanza familiare ad alcuni settori dell'aristocrazia pontica, sia dei suoi trascorsi con il mondo mussulmano. Tuttavia, sebbene sia plausibile che durante la permanenza sulle sponde del Mar Nero Andronico non abbia troncato completamente i contatti con i dinasti turchi presso i quali era stato ospitato in precedenza, disponiamo di pochissime notizie su questa fase della sua vita, pertanto non possiamo stabilire se abbia o meno stipulato un'intesa con i potentati islamici confinanti dopo aver ricevuto l'incarico di governatore. Le condizioni nelle quali Andronico aveva svolto il suo mandato, peraltro, erano affatto diverse da quelle della prima metà del XII secolo, in quanto la natura semi- indipendente del suo governatorato era il frutto di una scelta deliberata di Manuele I (1143-1180) che lo aveva nominato e non di una sua presa di posizione o di una ribellione. Inoltre, dagli anni