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Il commento ai Fasti di Ovidio di Antonio Costanzi da Fano: i testimoni manoscritti e a stampa

3.1 Il ms BAV Chig H.VI.204 (C) [tavv I-III]

Il Chig. H.VI.204 è un manoscritto membranaceo, di buona fattura, contenente i

Fasti di Ovidio, vergati in una scrittura umanistica della metà del s. XV253.

La pergamena è accuratamente rigata a secco, sono lasciati gli spazi per i titoli dei libri e per le iniziali, anch’esse non eseguite, ad eccezione della B del libro III (f. 24v), disegnata a punta di metallo con accanto una figurina di Marte a cavallo. Sempre a punta di metallo, nel margine di f. 23r, fu abbozzata la figura di una       

251 Stornajolo 1902, pp. 331-332; Campana 1950, pp. 227-256.

252 Sulla bibliografia di ciascuno dei testimoni vd. infra; la vicenda redazionale sarà invece dettagliatamente trattata nel cap. 4.

253 Mm. 270 x 170, di ff. IV + 80, formato da 6 quinterni e 2 quaderni regolari, con i richiami di mano del copista; sono presenti due numerazioni: la numerazione antica segna I l’attuale f. IV, 4-80 gli attuali ff. 1- 77. Per la descrizione e la storia del codice si rimanda soprattutto a Campana 1950, pp. 238-245; Buonocore1994, pp. 84-85, con relativa bibliografia; Buonocore 1995a, pp. 102-103, con relativa bibliografia; Ruysschaert, Marucchi, De la Mare 1997, p. 158.

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lucretia. La legatura, pure attribuibile alla metà del s. XV, è in assi ricoperte di pelle,

decorata sui piatti da una doppia cornice dorata ad intrecci, con filettature a secco; il taglio è dorato.

Quanto ai possessori del codice, sono in gioco i migliori cognomi fanesi: Gabrielli, Martinozzi, Pili, Costanzi.

Al f. 79v del ms. BAV Chig. R.II.67, l’inventario settecentesco della biblioteca Chigiana, così come nel margine superiore del f. IIIv dello stesso Chig. H.VI.204, poco al di sotto della segnatura attuale del codice (apposta all’atto dell’entrata del manoscritto nella Biblioteca Vaticana), si trova solo il secondo dei due numeri d’entrata con cui di norma risultano registrati nell’inventario summenzionato i codici della collezione Chigi.

Per il periodo antecedente l’entrata del codice nella collezione (e di qui il passaggio alla Biblioteca Vaticana), le notizie desumibili dalla lettura di alcune note presenti sul manoscritto ne testimoniano la permanenza in ambito fanese almeno sino al secolo XVII. A f. IVr, nel margine inferiore destro, si legge la nota di possesso, vergata in scrittura del secolo XVII: «Lodouicus Gabriel. Fanestris». Campana identifica, seppur con qualche riserva, questo personaggio con il padre gesuita Ludovico Gabrielli, la cui vita e attività Amiani colloca, nelle Memorie istoriche

della città di Fano, tra la prima e la seconda metà del secolo XVII254.

A f. 78r si rileva poi la nota, di mano cinquecentesca, «P. O. Nasonis fastorum libri sex mihi petro mar. Fa. dono dati a Paulo Pilio»: di nuovo lo studioso romagnolo, sciogliendo l’abbreviatura per troncamento «mar.» in «Martinotio» e la più perspicua «Fa.» in «Fanestri», identifica il latore del dono nel fanese Pietro Martinozzi, ricordato da Amiani per il 1579, e nel ricevente Paolo Pili, consigliere di Fano per il 1550255. La lettura di Campana risulta d’altra parte confermata dalle

successive ricerche di Ginette Vagenheim: la studiosa, nell’occuparsi delle iscrizioni dell’arco di Augusto a Fano e, in particolare, dell’interesse da queste suscitato fra gli intellettuali fanesi fra Quattrocento e Cinquecento, menziona un Pietro Martinozzi, il quale su richiesta di Lelio e Jacopo Torelli (figli di Giovanni Antonio Torelli e di Camilla, figlia di Costanzi), aiuta il loro nipote, tale Bartolomeo, nella trascrizione dell’epigrafe dell’arco256. La vicenda della richiesta di copia dell’epigrafe è

testimoniata da un’epistola, inviata da Bartolomeo a Jacopo Torelli e datata al 18       

254 Cf. Amiani 1751, II, p. CVI e Campana 1950, p. 240, no. 1.

255 Campana non esclude la, pur meno probabile, possibilità che «mar.» possa sciogliersi come «Marcolini». Cf. Campana 1950 p. 240, no 2 e Amiani 1751, II, p. 218 (per Martinozzi) e p. 165 (per Pili). 256 Cf. Vagenheim 2004, pp. 61-91 e, sul codice Chigiano, no. 37.

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febbraio 1576: nel testo è menzionato anche Pietro Martinozzi, che insieme ad altri eruditi fanesi avrebbe aiutato Bartolomeo a soddisfare al meglio le richieste formulate nella lettera (non pervenuta) di Jacopo257. Il rapporto di amicizia o, quanto

meno, la provata conoscenza fra alcuni membri della famiglia Costanzi-Torelli e Pietro Martinozzi porta ad identificare quel «mar.» con il summenzionato collaboratore di Bartolomeo, nonché membro di un circolo erudito dagli interessi antiquarii258.

Procedendo a ritroso fino a giungere al s. XV, la connessione di alcuni dati desumibili dall’analisi del codice permette di fare ulteriore luce sulla sua storia e di risalire ad un altro possessore.

A f. 74v si segnala la presenza di una nota di possesso parzialmente abrasa, in inchiostro rosso, in scrittura databile alla seconda metà del Quattrocento: «Mei …….. … Nicolai de Fano». La parola che segue «Mei», ad oggii illegibile, sembrerebbe tuttavia incominciare con due aste lunghe, che Campana ipotizzava potessero essere ciò che rimaneva della “i” maiuscola e della “h” del nome «Iohannis»; al nome proprio sarebbe seguita un’ulteriore breve parola prima del genitivo «Nicolai»259. Nell’impossibilità di identificare questo possessore

quattrocentesco del codice, lo studioso ne tratteggiava tuttavia un ritrattatto puntuale, descrivendolo come uomo di cultura e di educazione elevata, sulla base dell’ottima fattura del codice e, si potrebbe aggiungere, dell’opera in esso contenuto260.

L’origine fanese del manufatto è poi testimoniata da quattro carte di dimensioni inferiori rispetto ai fogli del manoscritto, che prima di un intervento di distaccamento avvenuto nella metà degli anni Novanta del secolo scorso, si trovavano sotto i fogli membranacei aderenti alla legatura, posti probabilmente dal legatore per livellare il piano dei contropiatti, reso ineguale dai risvolti della pelle261. I due fogli

originariamente posti sotto la pergamena del contropiatto anteriore, e successivamente numerati I e II, recano: il primo, nella metà inferiore del foglio, in scrittura minuta e rapida, annotazioni via via cassate (forse a seguito dell’espletamento delle relative pratiche), che sembrano di un funzionario addetto ad       

257 Il testo della lettera di Bartolomeo a suo zio Jacopo Torelli, contenuta nel codice nel cod. Magliab. XXVIII.29, ff. 24-25), è in Vagenheim 2004, p. 76.

258 La familiarità fra le famiglie Costanzi e Martinozzi sembra attestata, già all’epoca di Antonio, dagli epigrammi da questi dedicati ad un Martinozzi: cf. gli epigrammi Ad Jo. Baptistam Martinotium Fanensem dell’edizione sonciniana delle opere di Costanzi (ff. a1r, a3v, a8r, a9r).

259 Cf. Campana 1950, p. 240 no. 3. 260 Cf. Campana 1950, p. 241.

261 È lo stesso Campana a richiedere nel maggio del 1940 il distaccamento dei fogli. Sul processo di distaccamento e sul contenuto dei fogli cf. Campana 1950, pp. 241-242.

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un ufficio giudiziario e restituiscono nomi e luoghi fanesi262; il secondo, una lunga

lettera di «Petrus Marcus de Castaldis de Fano», scritta il 12 maggio 1460 a Perugia e indirizzata al fratello «Nobili et generoso viro ser Iohanni de Castaldis de Fano, fratri suo cordialissimo»263.

Quanto ai fogli posti sotto la pergamena del contropiatto posteriore, il f. 79 è bianco, il f. 80 risulta essere la metà inferiore di un foglio scritto a due colonne, in scrittura umanistica dritta e recante nel recto e sul verso passi illustrati dell’Epitome historiarum Trogi Pompeii di Giustino264.

L’elaborazione dei dati fin qui elencati, minuziosamente esaminati da Campana e più cursoriamente da Adriana Marucchi, nei Codici latini datati della Biblioteca

Apostolica Vaticana265, permette di risalire a uno dei possessorei quattrocenteschi,

forse il primo, del codice: Giovanni de Castaldis da Fano. Gli attuali ff. II e 80, congiuntamente alla nota di possesso abrasa, riconducono infatti a Giovanni de Castaldis, copista e illustratore del ms. BAV Vat. Ottob. Lat. 1417, contenente l’opera di Giustino266. Si spiegherebbe in questo modo la presenza all’interno del

codice della lettera del fratello di Giovanni, Pietro, così come degli excerpta illustrati del testo di Giustino: la mano che trascrive e illustra il testo dell’Epitome a f. 80 è, come si evince sin da un primo sguardo, quella del copista e illustratore dell’Ottoboniano267.

Alla luce di ciò e del confronto con la subscriptio del ms. BAV Vat. Ottob. Lat. («Explicit compilatio IUSTINI qui fuit abreviator XLIIII Librorum Trogi Pompei scripta per me Iohannem Ser Nicolai de Castaldis de Fano sub annis Domini M.CCCC.LX XVIII. junii»), la lacuna presente nella nota di possesso del Chigiano potrà essere plausibilmente integrata come segue: «Mei Iohannis Ser Nicolai de

      

262 Sul recto del foglio: «domini Nicolai Andree a Lanceis», «Caregnano»; sul verso: «Cart(oce)to». 263 L’indirizzo dell’epistola è sul verso.

264 F. 80r: Iust. epit. 9,6,2-4 («-gnitudine … luctu»), il passo in cui Giustino narra dell’uccisione di Filippo di Macedonia da parte di Pausania; la scena è abbozzata sul foglio, a metà della colonna di scrittura (la seconda è stata lasciata bianca), prima con il piombo o con la punta di metallo, poi tracciata a penna. Sul verso dello stesso foglio, della stessa mano, è stato trascritto Iust. epit. 9,4,1-7 («aut unguenta …occu-») e 4,5,1-7. Nell’intercolumnio è stato appena abbozzato un viso, probabilmente maschile.

265 Ruysschaert-Marucchi-De la Mare 1997, p. 158.

266 Sul calligrafo e miniatore Nicola de Castaldis, attivo nel terzo quarto del XV secolo, e sul manoscritto Ottoboniano cf. Ross 1954, pp. 174-181; Pellegrin et al., I, 1975, pp. 556-557; Scarcia 1996, pp. 415-417; Fachechi 2004, pp. 294-295.

267 Il bozzetto della morte di Filippo è molto simile all’illustrazione della stessa scena presente nell’Ottoboniano e sembra costituirne quasi una disegno preparatorio. L’attuale f. 80 sembra inoltre essere il risultato del dimezzamento, nella larghezza, di un carta, originariamente di dimensioni maggiori e molto probabilmente dovette esser parte di un codice di lavoro, in cui il copista fanese tentava forse un accordo fra il testo dell’epitome e le illustrazioni.

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Fano»268. Della mano dell’illlustratore fanese potrebbero essere i titoli correnti del

codice269.

Ad una seconda fase, circoscrivibile agli anni Settanta-Ottanta del 1400 e dunque successiva alla lectura di Giovanni de Castaldis, sono da ascrivere le altre note in umanistica corsiva che circondano i versi ovidiani e l’explicit in inchiostro rosso, che precede la nota di possesso, a f. 74v: più precisamente, si rinvengono due differenti mani, di cui una è senza dubbio quella dell’umanista Antonio Costanzi.

Attribuibili all’umanista di Fano sono infatti alcune annotazioni che si leggono nei fogli di guardia del codice, oltre ad alcune correzioni e piccole note marginali al testo ovidiano e precisamente quelle ai ff. 13v, 47v, 56r, 57v, 61r, 62v, 73r-74v270.

È possibile affermare con certezza che il codice sia appartenuto a Costanzi, sulla base dell’evidenza paleografica, ovvero del confronto delle succitate annotazioni con il manoscritto autografo BAV Vat. Urb. Lat. 360271, sia dal contenuto delle note

apposte sui fogli di guardia, databili per la presenza di riferimenti cronologici intorno al 1480 e opera di un fanese di buona cultura che aveva un figlio di nome Jacopo, come risulta dalla lettura della nota a f. 77v272:

[A dì] 8 de septembre [14..] a hore 19 o circa nacque Iacopo, mio figliolo, e a quella hora e dì nacque Mario, figliolo de mo Anto da Monte Novo. Dicto Iacopo nacque in Fano in el studiolo che usai io alcuni anni.

A ciò si aggiunga che il già menzionato foglio contenente annotazioni d’ufficio, posto originariamente sotto uno dei fogli membranacei aderenti alla legatura e       

268 Il nome «Iohannes», «Iohannis» al genitivo richiesto da «Mei», era già stato postulato, seppur dubbiosamente, da Campana e accettatto dalla Marucchi. Cf. Campana 1950, pp. 240 no. 3.

269 Marucchi (Ruysschaert-Marucchi-De la Mare 1997, p. 158) ritiene che tutti i marginalia al testo siano da attribuire a Giovanni de Castaldis. Per Campana (Campana 1950, pp. 240-241) l’autore della nota di possesso, poi identificato con il miniatore fanese, potrebbe addirittura essere il copista del testo dei Fasti.

270 Cf. Campana 1950, p. 243. Per il contenuto di queste notazioni vd. § 4.2.3. 271 Vd. § 3.2.

272 Questa annotazione era preceduta da altre due poi abrase e ad oggi illegibili: che fossero in tutto tre annotazioni è d’altra parte dimostrato dai doppi trattini, rimasti nel margine di ciascuna delle note: cf. Campana 1950, p. 243. La nota su Giacomo è particolarmente significativa ai fini della ricostruzione della biografia, precisamente del giorno e del luogo di nascita, l’indicazione dell'anno è purtoppo abrasa. Fondandosi principalmente sul fatto che il matrimonio d'Antonio avvenne nel 1471 e che Giacomo era terzogenito dopo le sorelle Lucrezia e Camilla, Campana (Campana 1950, p. 244), in disaccordo con il primo biografo di Giacomo (Amiani 1850, p. 24), ritiene che «la data di nascita va forse portata qualche anno più giù del 1473», mentre Castaldi (Castaldi 1916, p. 276) la colloca nel 1477. A f. 78r si trova una nota di registrazione delle entrate e/o delle uscite (la trascrizione che si fornisce di seguito diverge da quella di Campana nell’indicazione dell’importo: cf. Campana 1950, p. 243): «Angelus habuit ex elemosina facienda in dispensationem duorum votorum que constant duc. 8 monete pro parte dicte elemosine usque ad diem 23 iunii 1480 – di(nari)1 - 200 s(oldi). Item mense novembris 1480 salmam unam grani – di(nari) 0 - s(oldi) 360.

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attualmente numerato I, potrebbe, con buona probabilità, essere appartenuto a Costanzi: in una scrittura cancelleresca molto rapida sono state annotate varie pratiche riconducibili ad un ufficio giudiziario e che recano nomi di luoghi e personaggi fanesi, la cui attività è da collocare nella seconda metà del XV secolo273.

Non è escluso che possa trattarsi degli appunti, o più propriamente, della minuta del verbale di un consiglio cittadino e, se così fosse, non sarebbe azzardato credere che la carta possa essere appartenuta a Costanzi, più volte priore e gonfaloniere della sua città e come tale partecipante alle assemblee tenute dai vari consigli274.

Alla fine del codice, inoltre, è stata trascritta l’epistola del 12 novembre del 1471 che Costanzi invia a Giovanni Battista Almadiano (ff. 76v-77v)275.

Alla mano che trascrive la lettera sono attribuibili tutti gli altri marginalia del manoscritto276.

Nelle conclusioni del suo lavoro Campana riconosce, senza tuttavia esserne certo, nella scrittura di queste notazioni e in quella dell’epistola all’Almadiano quella di un giovane Costanzi (anni ’70 del Quattrocento), una grafia dunque diversa da quella della maturità dell’umanista (anni 1480-1490), ovvero quella delle note del Chigiano certamente attribuibili al Fanese e quella del manoscritto Urbinate. L’articolo dello studioso si conclude, tuttavia, con una sconfortante epochè, ad oggi non sciolta da alcun ritrovamento o studio successivo277.

Nel caso in cui non si volesse attribuire la paternità di queste notazioni a Costanzi si farebbe fatica a spiegare la trascrizione della lettera indirizzata dall’umanista all’Almadiano, lettera che, escludendo una circolazione manoscritta (pure non impossibile), fu accessibile ai più solo con la sua pubblicazione in appendice alla raccolta di opere di Costanzi pubblicata nel 1502 presso il Soncino, ad opera del figlio Giacomo. Alla luce di ciò, o si dovrebbe collocare l’intervento del glossatore posteriormente alla pubblicazione della silloge sonciniana (egli avrebbe dunque ricopiato dall’edizione a stampa il testo dell’epistola) o, più plausibilmente e       

273 È ad esempio menzionato in un documento, datato 1471, relativo ad uno dei primi capitoli del Monte di Pietà di Fano, il «Dominus Nicolaus Andreaea Lanceis» che compare anche nella nostra carta di guardia. Cf. Rosa 1879, I, pp. 696-6797.

274 Per l’attività politica di Costanzi vd. § 2.3.

275 L’epistola si trova anche nell’edizione sonciniana delle opere di Costanzi ai ff. c 1v-c4r.

276 Non attrbuibili a questa mano, oltre ai già menzionati scoli di Castaldis e di Costanzi, sono due scolii in rosso che contengono anche parole greche ai ff. 38v e 44r; a un’altra mano ancora appartengono alcune note a f. 10r. Per Campana è del secolo XVIin. la scritta, a f. IVr, «Amor

patricius (?) hic iacet» preceduta da manicula. Infine, evidentemente di mano tardo cinquecentesca è la nota a f. 1r. Cf. Campana 1950, p. 254 no. 1. L’analisi dei marginalia attribuiti a chi trascrisse l’epistola all’Almadiano è al 4.2.3 §, l’edizione nel cap. 7.

277 Cf. Campana 1950, pp. 253-256. Per un’analisi dettagliata della scrittura delle note del Chigiano vd. § 3.2.

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convenendo con la perizia paleografica di Campana (che datava al Quattrocento la scrittura delle glosse), si potrà ipotizzare che il chiosatore possa aver fatto parte della cerchia familiare o intellettuale di Costanzi e questo giustificherebbe l’accesso a materiali privati o che circolavano in un ambiente ristretto, come l’epistola all’Almadiano. A voler restringere il campo, si potrà collocare l’attività esegetica del glossatore posteriormente al 1471, anno di invio dell’epistola278; un più attento

esame della stratificazione degli interventi sul f. 77v, in cui sono presenti l’ultima parte della summenzionata lettera e le notazioni certamente di mano di Costanzi, permette inoltre di rilevare che queste ultime iniziano là dove termina l’epistola, senza che fra i due testi vi sia quasi spazio. Ciò indurrebbe a credere che le notazioni di Costanzi siano state scritte posteriormente alla stesura della lettera. Come si ricorderà, l’ultima nota, nonché l’unica leggibile, riporta con estrema precisione i dati della nascita di Giacomo: nel caso in cui questa fosse stata scritta proprio in occasione di tale avvenimento (1473/1477)279, l’attività esegetica del glossatore

potrebbe esssere circoscritta agli anni 1471-1477, ma si tratta di un ragionamento ipotetico e che non trova conferma altrove.

L’analisi contenutistica degli scolii ha inoltre messo in luce delle notazioni distanti da quelle che si ritroveranno nel commentario di Costanzi, ma in cui non mancano significativi punti di contatto, e non si può escludere che si tratti di un primo e meno consapevole approccio al testo da parte dell’umanista.

Non è dirimente nella risoluzione di questa problematica questione neppure la definizione del rapporto intercorrente fra testo dei Fasti del Chigiano o, meglio, delle integrazioni e correzioni al testo del glossatore principale e il testo dei Fasti restituito dai lemmi del commento. Come si avrà modo di leggere più dettagliatamente oltre, Costanzi sembrerebbe aver tenuto conto in alcuni casi, all’atto della constitutio textus dei lemmi (e degli scolii) del commento, di tali lectiones, ma l’impiego, testimoniato dalle stesse parole dell’umanista, di più esemplari di collazione (che è possibile

      

278 Va segnalato che il testo dell’epistola contentuto nel codice Chigiano diverge da quello della stampa per una variante che potrebbe tuttavia considerarsi non necessariamente riconducibile alla volontà dell’autore, in quanto relativa ad una parte del testo, la datatio, facilmente soggetta nella tradizione a modifiche formali (perché non considerata parte effettiva dell’epistola, ma mera indicazione cronologica ad esso esterna): nel Chigiano essa è così espressa: «Phani die .XII. novembris 1471»; diversamente nell’edizione del 1502 (f. c4r) si legge: «Fani pridie idus novembris .MCCCCLXXI.».

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recassero anche alcune delle varianti attestate anche dal chiosatore del Chigiano) rende impossibile avere un quadro chiaro ed univoco della vicenda280.

In ogni caso, se Costanzi intervenne sul manoscritto posteriormente alla copia della lettera, se la mano non è sua, dovrà necessariamente essere di qualcuno a lui molto vicino, a cui fu accessibile il testo dell’epistola e a cui fu concesso di annotare il manoscritto: senza dubbio si tratta di un umanista con interessi storico-antiquari (e come tale interessato ai Fasti ovidiani) e con un orizzonte di conoscenze, seppure più acerbe – e una prova tangibile è costituita dalla sciatteria ortografica con cui sono vergati i graeca – molto vicino a quelle di Costanzi281.

In conclusione, la storia del codice prende le mosse nella prima metà del XV sec., in cui una mano non identificata esempla il testo dei Fasti. Intorno agli anni ’60 del Quattrocento il libro è nelle mani del copista e illustratore fanese Giovanni de Castaldis per poi passare, negli anni ’70, in quelle di Antonio Costanzi. Come si è visto in precedenza, il patrimonio librario di Antonio passò in eredità al figlio Giacomo, che vide poi distrutta la sua casa con la ricca biblioteca (in cui era confluita la silloge libraria paterna) sotto l’assedio delle truppe di Lorenzo de’ Medici a Mondolfo, dove Giacomo si era ritirato, portando con sé i suoi libri, nel 1517, a pochi mesi dalla sua morte282.

Il Chigiano giunge così, nella metà del XVI secolo, nelle mani di Pietro Martinozzi, con la cui famiglia i Costanzi e i discendenti di questi, i Torelli, erano da sempre in ottimi rapporti, o direttamente tramite Antonio o Giacomo (prima della distruzione della casa di Mondolfo) o, al più tardi, tramite i Torelli.

3.2 Il ms. BAV Vat. Urb. lat. 360 (U) e la scrittura latina e greca di A. Costanzi