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Note relative al primo livello di esegesi Note etimologiche

Il commento ai Fasti di Ovidio di Antonio Costanzi da Fano: i testimoni manoscritti e a stampa

3.4 Gli altri testimoni a stampa e la fortuna del commento fra XV e XIX secolo Il primo ad occuparsi della fortuna a stampa del commentario di Costanzi, fra XV e

4.2.4 Le diverse tipologie di notazion

4.2.4.1 Note relative al primo livello di esegesi Note etimologiche

Come alcuni studi recenti hanno efficacemente dimostrato, la lessicografia fu oggetto di studio e ricerca privilegiato di alcune delle più note accademie del Quattrocento e ne vivificò il già acceso dibattito culturale516.

L’Urbe della seconda metà del Quattrocento vedeva inoltre l’incontro fra filologia, lessicografia e stampa: a Roma furono pubblicate in questo periodo le editiones principes del compendio di Paolo Diacono al De verborum significatione di Festo, del De lingua

latina di Varrone (entrambe curate da Leto), il De compendiosa doctrina di Nonio

Marcello, le Noctes Atticae di Gellio, la Naturalis Historia di Plinio e, fra le opere dei contemporanei, le Elegantiae di Valla e il De orthographia di Tortelli517.

Questo bagaglio di autori, il testo dei quali la filologia e l’invenzione e la diffusione della stampa resero disponibile ai più e, parallelamente gli studi sulla lingua e quelli       

516A tratteggiare le linee teoriche della lessicografia umanistica fu Lorenzo Valla, il quale con i concetti di usus ed elegantia, su cui si informa la sua opera più nota, le Elegantiae, fornì agli umanisti i capisaldi della rinnovata disciplina. La lezione di Valla – la presa di distanze dall’approccio normativo alla lingua latina e dalla supina accettazione della parola dei grammatici tardo-antichi (in particolare, Prisciano, Servio e Donato) e lo sprezzante rifiuto di quelli medievali (fra i quali, Isidoro) – fu recepita in prima battuta, in ambiente romano, dall’amico Giovanni Tortelli con il De orthographia (1438), per trovare poi, nella seconda metà del Quattrocento, un fertile terreno nell’accademia di Pomponio Leto, nelle opere e nell’insegnamento di Leto stesso e in quello dei suoi sodali e, in modo ancora più evidente, nel Cornu copiae di Niccolò Perotti. Cf. Abbamonte 2012, pp. 29-94.

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etimologici in particolare, favorirono e vivificarono la nascente ars antiquaria, che a partire dall’opera di Biondo Flavio e poi di Pomponio e dei pomponiani, si configurava come il tentativo di ricostruzione del passato attraverso lo studio del dato archeologico da un lato, dei testi e della lingua dell’antichità dall’altro518.

Gli esegeti pomponiani dei Fasti, Pomponio, Volsco e Marsi, operano dunque in questo contesto culturale: avendo a disposizione e sfruttando lo stesso bagaglio di fonti e forti della lezione valliana sulla lingua. Marsi immagina addirittura se stesso quale ideale successore di Valla e Pomponio519 e ne condivide pienamente l’idea secondo cui Roma

ha detenuto e tutt’ora detiene l’imperium culturale – e dunque anche linguistico – su buona parte del mondo abitato520.

Lo stacco dall’esegesi medievale è evidente: gli esegeti medievali, in linea con gli studi etimologici dell’epoca (Origines di Isidoro di Siviglia, Elementarium di Papias,

Deriuationes di Uguccione, Catholicon di Balbi)521, almeno sulla base della seppur

riduttiva testimonianza di Arnolfo e di Guglielmo d’Orléans522, fanno largo uso dei lessici

coevi e gli scoli che compongono i loro commentari testimoniano una certa confusione fra lessicografia, etimologia, differentiae verborum, disciplina derivationis ed enciclopedia, che persisterà anche in alcune opere quattrocentesche (come il De

orthographia e il Cornu copiae)523.

Costanzi non sembra discostarsi dalla norma umanistica, nella selezione delle fonti (o, meglio di buona parte di esse) e nell’approccio anti-normativo alla lingua, benché, rispetto all’ambiente romano, si attesti, per alcuni aspetti, su posizioni più moderate. Le note etimologiche costituiscono nel commentario di Costanzi una categoria trasversale, dal momento che la trattazione di ciascun argomento presente nello scolio consta e si sostanzia, nella quasi totalità dei casi, di note etimologiche, in cui l’umanista fornisce notizie relative all’etimo dei termini relativi ai temi trattati o, in altri casi, riflette, fornendo precise puntualizzazioni, sulla proprietà d’impiego di questo o quel nome in quel determinato contesto antiquario, astronomico, militare, botanico e così via: il risultato, come già per le citate opere di Tortelli e di Perotti, è la compenetrazione fra etimologia, lessicografia ed enciclopedismo; tuttavia, diversamente da questi autori, che procedono nell’allestimento delle proprie opere per associazione tematica, etimologica o       

518 Cf. Abbamonte 2012, p. 66; Fritsen 2015, p. 135. Sull’interesse antiquario degli umanisti della seconda metà del secolo XV vd. anche § 1.2.2.1 e infra in questo capitolo.

519 Cf. Fritsen 2015, p. 171. 520 Cf. Fritsen 2015, p. 171. 521 Cf. Abbamonte 2012, pp. 62-63. 522 Vd. § 1.1.2.

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semantica, nel caso di Costanzi lo scolio, allestito con una certa coerenza tematica, sembra sottostare ad uno schema ricorrente per ciascuna tipologia di nota, di cui le notazioni etimologiche costituiscono un significativo quanto imprescindibile punto.

L’umanista generalmente inserisce nel corpo di ciascuna nota una più o meno breve parentesi lessicografica o etimologica. Non mancano tuttavia scolii di argomento esclusivamente lessicografico e/o etimologico.

Così nel corpo dello scolio a Fast. 1,163 («Bruma noui prima est ueterisque nouissima solis»), in cui l’umanista tratta del solstizio d’inverno e, precisamente, e delle dinamiche e dei fenomeni che sono alla base di questa circostanza astronomica, si sofferma seppure brevemente sull’etimologia del termine «bruma», con cui si designava il giorno più corto dell’anno e dunque il solstizio d’inverno524:

Placuit autem annum a bruma incipere, quae a dierum breuitate nomen accaepit, autore Festo [cf. P. Fest. 31,14 M.] […]

Si veda ancora, a proposito di Ov. Fast. 1,52 («Verbaque honoratus libera praetor habet»), la nota etimologica, inserita nel contesto della notazione antiquaria relativa alla figura del pretore nel contesto istituzionale romano:

Quare praetor, ut quibusdam uidetur, a praeessendo, ut Nonio placet [cf. Non. 24,1-4 M.], a praeeundo nomen accaepit, quod populo praeiret cui regia insignia consularesque ferme apparatus traditi sunt.

Una nota lessicografica ed etimologica è pure quella che si rinviene a proposito di

Fast. 1,51 («Nam simul exta deo data sunt licet omnia fari»), in cui l’umanista si

sofferma sull’origine e sul significato di exta, per poi aprirsi ad una digressione antiquaria sull’impiego delle viscere in contesto sacrificale:

Exta, ut Festo placet [cf. P. Fest. 78,18 M.], ab extando dicta sunt, non quia maxime extantibus prosecentur, sed quod ea diis praesecari soleant quae maxime extant eminentque. Extorum quae elixa et in ollis cocta fuissent aulicocia dicebantur, quoniam aulas antiqui dicebant quas nunc ollas dicimus, cum nullam litteram geminarent, in iis ubi cor non fuisset, pestifera auspicia dicebantur [cf. P. Fest. 23,13-14 M.].

L’epitome del De signifcatu verborum festiano compilata da Paolo Diacono, si configura quale principale fonte etimologica e lessicografica del commentario; a questa       

524 Il termine bruma è in realtà forma sincopata del superlativo femminile di brevis. Sull’impiego del termine da parte di Ovidio cf. Green 2004, p. 90.

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vanno accostate, fra le altre opere di lessicografi e grammatici, il De compendiosa

doctrina di Nonio, il De lingua latina di Varrone, le Institutiones di Prisciano, il

commento a Terenzio di Donato, più raramente le Etymologiae di Isidoro. Notizie etimologiche sono desunte con una certa frequenza anche da Servio, Plinio, Macrobio.

È inoltre interessante notare come nello scolio a Fast. 1,22 («Ciuica pro trepidis cum tulit arma reis»), a proposito dei significati di reus, accanto alle parole di Festo e Nonio, Costanzi ponga anche quelle del giurista Modestino, in quanto specialista della materia giuridica:

Rei dicuntur nonmodo qui arguuntur, sed omnes quorum de re disceptatur. Huic enim uocabulo, teste Festo [cf. P. Fest. 272,1 M.], a re nomen inditum est. Et sunt alii rei stipulandi, alii promittendi, autore Modestino iurisconsulto, a quo Festus aliqua in parte dissensit [cf. D. 45,2,1; P. Fest. 272,2 M.]. Nonius reos inquit esse non solum crimini et culpae obnoxios, quales hoc loco accipimus, unde autor addidit trepidis, sed etiam honesti uel uoti debitores, ut: «Constituam ante aras uoti reus» [cf. Non. 461,3-5 M. (Verg. Aen. 5,237)].

Costanzi non sembra, inoltre, aver fatto ricorso alle summenzionate opere lessicografiche medievali, così come al De orthographia di Tortelli, preferendo, nell’allestimento dei suoi scolii, il ricorso diretto agli autori; invece, presente e menzionato nel commentario è Lorenzo Valla con le sue Elegantiae. Nello scolio a Fast. 3,127 («Inde patres centum denos secreuit in orbes») l’umanista rimanda all’opera di Valla a proposito dei significati di decurio:

Significat tamen et aliud decurionis nomen, quod intactum relinquimus, cum Laurentius Valla temporibus nostris ea de re non pauca tradiderit in Elegantiis suis [Valla eleg. 6,32].

Ancora, nello scolio a Fast. 1,667 («Vilice, da requiem terrae semente peracta») Valla, definito ad loc. nella seconda redazione del commento uomo dottissimo525, è

tuttavia contraddetto da Costanzi a proposito del duplice significato di sementis:

Sementis est satio, ut hoc loco, sed nonnumquam semen significat, licet contra senserit uir quidam nostra aetate doctissimus, qui miratur diuum Hieronymum sementem pro semine posuisse atque, sicut messis modo significat messionem modo segetem iam maturam, ita sementis modo pro satione modo pro semine accipitur […]

      

525 In U, in luogo dell’elogiativa perifrasi «uir quidam nostra aetate doctissimus», si trova semplicemente «Laurentius Valla».

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Nel commento a Fast. 2,263 («At tibi, dum lactens haerebit in arbore ficus») è, invece, l’autorità di Prisciano ad essere messa in dubbio, a vantaggio di quella di Valla (Valla eleg. 1,4), da cui Costanzi sembra riprendere, pur senza esplicitarne la paternità, la polemica a proposito dell’afferenza di ficus alla seconda o alla quarta declinazione:

Non placet ficum pro morbo, ut Priscianus docet [Prisc. gramm. GLK 2,261,9-10]526, flecti secundum quartam declinationem et quod id non memini me legisse et quod a fico ficosus deducitur, ut: «Ficosa est uxor, ficosus et ipse maritus», non ficosus a ficu, ut ab actu actuosus, a fructu fructuosus, a questu questuosus [Mart. 7,71,1].

Va inoltre ricordato che anche l’opinione di Isidoro era stata messa in discussione dall’umanista: nell’argumentum Costanzi scrive infatti che l’autore delle Origines «nullam fidem meretur» a proposito della sua interpretazione del termine fastus527.

In conclusione, qui come altrove, è evidente l’attenzione di Costanzi per la proprietà linguistica e in questo sembra aver recepito la lezione di Valla, dal quale mutua l’atteggiamento anti-normativo verso la lingua, secondo cui la regola è ricavata partendo dall’usus degli auctores: questa spinta innovatrice è però mitigata dalla consueta medietas di Costanzi, che non sembra manifestare, differentemente da Valla e dagli umanisti che ne seguirono più da vicino e con convinzione le orme, quella profonda ostilità verso i grammatici tardo-antichi e, soprattutto medievali, verso i quali il Fanese si limita a manifestare, talvolta, solo un pacato dissenso, come d’altra parte egli fa nei confronti dello stesso Valla.

Note grammaticali

Come si è già anticipato precedentemente528, le note esegetiche stricto sensu, ovvero

miranti all’interpretazione critica del testo, finalizzata alla comprensione del significato delle parole del poeta e alla connessa individuazione e spiegazione degli espedienti stilistico-retorico da questi utilizzati, costituiscono, per numero e per brevità, una componente meno appariscente dell’esegesi umanistica; più presenti, ma sempre in posizione subalterna, rispetto alle note mitologiche e calendariali, sembrano essere invece questa tipologia di notazioni nell’ermeneutica medievale, almeno sulla base della

      

526 Prisc. gramm. GLK 2,261,9-10: «etiam hic ficus, uitium corporis, quartae est. Martialis in I epigrammaton: «cum dixi ficus, rides quasi barbara uerba et dici ficos, Caeciliane, iubes. dicemus ficus, quas scimus in arbore nasci: dicemus ficus, Caeciliane, tuos». ex quo ostendit, et uitium et fructum posse quartae esse declinationis, genere autem differre».

527 Vd. § 4.1.3. 528 Vd. § 1.2.2.

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testimonianza di Arnolfo e ciò si spiega con la destinazione eminentemente scolastica del commento di quest’ultimo529.

I pomponiani rivolgono la propria attenzione quasi esclusivamente al contenuto dei

Fasti, più che alla forma dell’opera530, in Costanzi, seppur sporadiche, si rinvengono note

relative alla morfologia e alla sintassi, alle figure e alla prosodia e alla metrica: la presenza di questa tipologia di notazioni va collocata, per essere efficacemente analizzata e compresa, nel contesto degli studi grammaticali umanistici, oltre che dell’esperienza didattica di Costanzi531.

Nel Quattrocento gli studi sulla grammatica latina, così come il curriculum dell’istruzione grammaticale sia di primo che di secondo livello continuano a dipendere, direttamente o meno, dai modelli antichi di Donato e Prisciano preservando, nell’impostazione e negli intenti, molti elementi medievali e mostrando ancora evidente il legame con le summe di XIII e XIV secolo e con il Doctrinale di Alexandre de Villedieu, che mostra evidente il suo debito nei confronti delle Institutiones grammaticae di Prisciano532. Questa dipendenza risulta evidente soprattutto nella ripartizione tassonomica

della materia e nella modalità di trattazione della stessa: allo studio della morfologia, nel Medioevo come nel Rinascimento, seguiva quello della sintassi e, infine, delle figure, della prosodia e della versificazione533. Parallelamente, l’esegesi dei testi – soprattutto

quella di destinazione eminentemente didattica – fornisce un’ulteriore, ma di certo più frammentaria, testimonianza di questo stato di cose534.

Le note relative alla morfologia e alla sintassi presenti nel commentario di Costanzi sono assai rade: nelle maggioranza dei casi l’umanista, secondo una prassi esegetica consolidata, intende rendere perspicua questa o quella forma o costrutto più desueto impiegato nel poema ovidiano, talora adducendo anche qualche ulteriore esempio di utilizzo, desunto generalmente dagli autori antichi.

Va almeno ricordato che, anche a proposito delle citazioni e dei riferimenti ad autori classici da addurre quale prova d’applicazione della norma grammaticale, le consuetudini       

529 Vd. § 1.1.2. 530 Vd. § 1.2.2.2. 531 Vd. § 2.2. 

532 Sull’impiego del Doctrinale di Alexandre de Villedieu, sul curriculum e sugli altri manuali grammaticali nell’istruzione di secondo livello cf. Black 2001, pp. 64-171, con relativa bibliografia. Quanto al manuale grammaticale impiegato da Costanzi per le sue lezioni, Castaldi (Castaldi 1916, p. 42) scrive che, con buona probabilità, l’umanista potrebbe aver usato quello impiegato dal suo maestro, Guarino Veronese, ovvero il Doctrinale di Alexandre de Villedieu. Prete (Prete 1972, pp. 8-9), condivisibilmente, ritiene gratuite queste asserzioni, non supportate da alcuna prova. Non è da escludere, conclude lo studioso che Costanzi possa aver usato il testo stesso di Guarino, le Regulae Grammaticales, ma, come si vedrà poco oltre, il Fanese sembra, almeno in parte, distanziarsi dalle abitudini didattiche del suo maestro. Vd. infra. 533 Cf. Black 2001, pp. 34-171.

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medievali del genere risultano persistenti nel XV secolo: agli exempla classici sono infatti generalmente preferiti versi memoriali e referenze medievali535.

Ritornando a Costanzi e alle note relative alla morfologia e alla sintassi presenti nel suo commentario, si legga lo scolio a Fast. 1,79 («Vestibus intactis Tarpeias itur in arces»):

Impersonali uerbo utitur ut generalem actum ostendat, ut: «Itur in antiquam siluam» [cf. Prisc. gramm. GLK 3, 231, 15 (Verg. Aen. 6,179)], «Curritur ad uocem iocundam» [cf. Prisc. gramm. GLK 3, 158, 12 (Iuv. 7,82)].

Il più delle volte, le citazioni degli autori addotti ad esempio sono tratti dalle

Institutiones di Prisciano, spesso esplicitamente menzionato, e dal commentario di

Servio536: in questo caso la citazione virgiliana e quella giovenaliana sono mutuate dalle Institutiones.

Ancora, a proposito di Fast. 2,443 («Augur erat, nomen longis intercidit annis»), l’umanista ricorre a Servio per dare ragione dell’ellissi del pronome relativo da parte di Ovidio:

Deest cuius relatiuum, quo interdum supprimitur, ut: «Est locus, Hesperiam Graii cognomine dicunt» [Serv. Aen. 3,163 (Verg. Aen. 3,163)].

Altrove, tuttavia, l’atteggiamento nei confronti dei due grammatici è critico. Un esempio si rinviene nel già menzionato passo dell’argumentum, in cui, a proposito della duplice afferenza del termine fastus, nell’accezione di volume dei fasti-annales, alla seconda e alla quarta declinazione, Costanzi disapprova l’opinione di Servio (Serv. Aen. 3,326), per il quale il termine è declinabile soltanto secondo la seconda declinazione537.

Ancora, si scaglia invece contro Prisciano, convenendo con un non citato Valla, a proposito del pure già menzionato scolio relativo a Fast. 2,263 e dell’afferenza di ficus esclusivamente alla seconda declinazione538.

      

535 Tuttavia, nel Quattrocento se nelle Regulae grammaticales, Guarino da Verona sembra non discostarsi dalla norma medievale, a partire dal trattato grammaticale di Sozomeno da Pistoia e poi soprattutto con le Regulae di Gaspare da Verona e i Rudimenta grammaticae di Perotti alcun elementi umanistici penetrano nella trama ancora medievale delle opere grammaticali: così, i versi memoriali vengono progressivamente sostituiti da citazioni di autori classici che diano prova dell’applicazione della regola grammaticale: si citano così Plauto e Terenzio, Virgilio, Lucano, Ovidio, Stazio, Giovenale, Orazio, Quintiliano, così come i grammatici Servio e Prisciano. Cf. Black 2001, pp. 124-172;Alessio 2006, pp. 164-165. Per la presenza di referenze medievali in pieno Umanesimo cf. anche: Bianchi-Rizzo 2000, pp. 587-653.

536 Commento a Fast. 2,443; 2,621 537 Vd. § 4.1.3.

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Relative alla sintassi e rientranti nella comune pratica esegetica medievale e umanistica539 sono le notazioni, introdotte dalla tradizionale formula «Ordo est», in cui

l’umanista indica al lettore l’esatto ordine logico delle parole: Costanzi spesso contrae la pratica del ripristino dell’ordo verborum naturale con quella, pure molto commune nei commenti, della parafrasi, riordinando e, al contempo, semplificando il complesso dettato poetico ovidiano. Si veda, ad esempio, lo scolio a Fast. 1,707-708540:

Ordo est: illa quidem dies dicata est fratribus Castori et Polluci; secundum: fratres de gente deorum, Tyberius uidelicet et Drusus, templa composuerunt circa lacus Iuturnae.

Non mancano esempi, numerosi, di semplici parafrasi del testo, introdotte dalla tradizionale formula «Sensus est»541. Si veda lo scolio a Fast. 1,65 («Iane biceps, anni

tacite labentis origo»):

Sensus est: dii immortales tantam tibi uitae longitudinem praestent quantam ipse sacris aedibus tribuis, qui et aedificas nouas et restituis uetustate collapsas.

Infine, le più numerose, fra le note grammaticali, sono quelle nelle quali Costanzi segnala le figure retoriche: lo studio delle figure di parola e quelle di pensiero,

exornationes o colores rhetorici, costituivano uno dei più importanti punti dell’istruzione

grammaticale secondaria e, come tali, la loro segnalazione e spiegazione trovavano spesso posto nei commenti, in particolare in quelli ad uso scolastico542.

Nel suo commento Costanzi, tralasciando le figure di parola, segnala, e talvolta spiega, i colores rhetorici che individua nei versi ovidiani: sono così indicate la

metaphora, la transitio, la periphrasis, la sententia, l’amplificatio, la climax,

l’apostrophe, l’interpositio, la liptote, l’hypallage.

Nella maggioranza dei casi le figure sono semplicemente segnalate. Si veda, ad esempio, il comment a Fast 1-333-334543.

VTQVE EA NON CERTA EST, ITA REX PLACARE SACRORVM CONIVGE LANIGERAE NVMINA DEBET OVIS Periphrasis est arietis, quem Agonalibus Rex Sacrorum mactabat, ut diximus.

      

539 Cf. Rizzo 1995, p. 37 no. 33; Black-Pomaro 2000; Black 2001, pp. 281-283.

540 Fast. 1,707-708: «Fratribus illa deis fratres de gente deorum / Circa Iuturnae composuere lacus».  541 Cf. Black 2001, pp. 298-301.

542 Cf. Black 2001, pp. 286-288.

543 Fast. 1,333-334: «Vtque ea non certa est, ita rex placare sacrorum / Numina lanigerae coniuge debet ouis».

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Talaltra, invece, alla segnalazione segue una breve spiegazione della figura: si veda, ad esempio, il comment a Fast. 1,3-4544:

TIMIDAE DIRIGE NAVIS ITER Translatio est siue metaphora. Nam ut uenti naues, sic fauor mouet ingenia, et est metaphora, autore Quintiliano, breuior similitudo. Cum enim dicimus fecisse quid hominem ut leonem similitudo est, cum de homine dicimus leonem metaphora.

In altri, secondo una prassi e un lessico già degli scoliasti tardo-antichi, poi mutuato da Medioevo e dall’Umanesimo, l’umanista con gli avverbi figurate o poetice indica, in modo generico e lapidario, rispettivamente l’impiego di espedienti retorici e/o peculiartà stilistiche e le licenze poetiche che rinviene nei versi ovidiani545. Si prenda, ad esempio,

lo scolio a Fast. 2,769 («Carpitur attonitos absentis imagine sensus»), in cui figurate funge da indicatore di un accusativo alla greca, come dimostra la citazione virgiliana addotta dall’umanista a specificazione della generica informazione fornita dall’avverbio:

Figurate dictum, ut: «Pictus acu chlamydem» [Verg. Aen. 9,582].

Così, a proposito di Fast. 2,202 («Ire per hanc noli, quisquis es; omen habet»), la perifrasi «ire per hanc noli» è ugualmente indicata con figurate:

IRE PER HANC NOLI Figurate pro exire, cum Fabii per eam portam exierint nec postea sint reuersi.

Con poetice Costanzi segnala invece, nello scolio a Fast. 2,457 («Iam leuis obliqua subsedit Aquarius urna»), l’impiego del poetico «subsedit» per il tramonto dell’Acquario: Sole a Piscibus excepto, Aquarius, ab eo destitutus, poetice dicitur subsidere et quasi a uehendi labore cessare.

Notazione propriamente retorica, ovvero relativa alla corretta composizione del discorso, è quella dello scolio a Fast. 3,11 («Silvia Vestalis (quid enim vetat inde moveri?)»):

Breuis est narratio quantum ad eius spectat initium, si incipimus inde rem exponere unde oportet; nam uiciosum est a nimis remoto principio narrationem ordiri. Horatius: «Nec gemino bellum Troianum orditur ab ouo» [Hor. ars 147]. Meminisse tamen debemus quod Quintilianus docet satius esse narrationi superesse aliquid quam deesse [cf. Quint. inst. 4,2,44].

      

544 Fast. 1,3-4: «Excipe pacato, Caesar Germanice, uultu / Hoc opus et timidae derige nauis iter».

545 L’impiego dell’avverbio in questa accezione trova il suo diretto antecedente nel commentario serviano, laddove il termine figura e l’avverbio figurate segnalano semplicemente ed esclusivamente la presenza di espedienti retorici.

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Le fonti, spesso esplicitamente citate, impiegate per questa tipologia di notazioni rientrano nel canone di autori umanistico comunemente impiegato in contesto grammaticale e retorico: il celeberrimo capitolo sui tropi del libro VIII delle Institutiones di Quintiliano, cui seguono Servio e la Rhetorica ad Herennium pseudo-ciceroniana, che per quanto concerne lo studio della retorica, godette di un’ininterrotta fortuna nel