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L’editio princeps (r) e la querelle Costanzi-Marsi sulla priorità compositiva dei commentari [tavv VII-IX]

Il commento ai Fasti di Ovidio di Antonio Costanzi da Fano: i testimoni manoscritti e a stampa

3.3 L’editio princeps (r) e la querelle Costanzi-Marsi sulla priorità compositiva dei commentari [tavv VII-IX]

Il commento ai Fasti di Costanzi fu stampato per la prima volta da Eucario Silber, a Roma, nel mese di ottobre del 1489, come si deduce dalla lettura delle note tipografiche impresse, in carattere gotico, nel colophon (f. 158r) dell’editio princeps:

Impressum Romae per Eucharium Silber alias Franck natione Alemanum ab anno nostrae salutis MCCCCLXXXIX die uero Veneris XXIII mensis Octobris.

Si tratta di un incunabolo cartaceo, in-folio, impresso in carattere romano323, ad

eccezione di alcuni tituli in capitale e delle summenzionate note tipografiche. È assente il frontespizio: il primo foglio impresso, bianco sul recto, reca sul verso l’epigramma ad

posteros indirizzato da Costanzi al lettore.

      

322 Campana 1950, pp. 254-255. Per Campana, una notazione del Chigiano in particolare sembra dar prova della paternità costanziana della scrittura o, meglio, della progressiva evoluzione della scrittura stessa: si tratta dello scolio a f. 72r, che per l’andamento inclinato dei segni si avvicina molto alla scrittura del Costanzi maturo (cf. Campana 1950, p. 255, no. 1).

76  L’incunabolo contiene:

f. 1v: epigramma Ad posteros;

ff. 2rv: lettera di dedica di Antonio Costanzi a Federico di Montefeltro; ff. 2v-3v: In Fastos argumentum;

ff. 4r-189v: commento ai Fasti di Ovidio;

ff. 20v-21r; 65v: Interpretationes al libro II dei Fasti e al libro III; ff. 189v-190r: epilogo rivolto al lettore;

ff. 189v-190r: lettera di Antonio Costanzi a Zagarello Gambitelli. f. 159r: registrum.

Quanto alla mise en page dei fogli contenenti il testo dei Fasti e il relativo commento, il tipografo impiega la consueta forma – e per forma si intende la maniera secondo la quale il commento si articola rispetto al testo principale – “a cornice aperta”: si è ovvero in presenza di un’edizione commentata in cui il commento si dispone intorno al testo (nelle zone marginali superiore, inferiore e laterali), in forma di cornice. Il bilanciamento, cioè la relazione dimensionale fra le zone riservate al commento e lo specchio di scrittura propriamente detto è fisso, in quanto il numero di linee di testo è costante da una pagina all’altra (47 linee di commento per pagina). I caratteri impiegati per l’impressione del testo dei Fasti sono di modulo leggermente superiore rispetto a quelli usati per il commento, così come l’interlinea dei versi ovidiani (mm. 0,4) è maggiore rispetto a quello delle linee degli scolii (mm. 0,25).

Si rileva, inoltre, la presenza di spazi bianchi lasciati in corrispondenza dei graeca e di spazi riservati alla successiva realizzazione di lettere miniate (in tal caso, nello spazio destinato a tale scopo, è presente una letterina guida)324 e, fra gli accorgimenti tipografici,

la segnalazione, nelle citazioni dirette di testi poetici, dell’inizio di verso con la maiuscola della prima lettera della prima parola del verso325.

Gli esemplari dell’edizione del 1489 furono realizzati presso la stamperia di uno dei protagonisti, insieme a Stephan Plannck, del panorama tipografico romano dell’ultimo ventennio del XV secolo326.

      

324 L’assenza dei graeca può essere ragionevolmente spiegata con la mancanza di caratteri tipografici greci nella stamperia, meno plausibilmente con un esemplare di stampa lacunoso. In alcuni esemplari dell’edizione, inoltre, la miniatura è stata eseguita a mano: si veda, ad esempio, l’incunabolo conservato presso la Bayerische StaatsBibliothek di Monaco (BSB Ink.O129), dove figura una bella deocorazione a bianchi girari.

325 Per la diversa veste ortografica del commento nell’editio princeps, rispetto a quella che si rinviene nel manoscritto Urbinate, vd. § 5.4.

326 Sull’attività tipografica nella Roma del Quattrocento si rimanda a Casciano-Castoldi-Critelli-Curcio, Farenga, Modigliani 1980, pp. 363-373, con relativa bibliografia; sulla figura e l’attività tipografica di Eucario Silber: Farenga 2001, pp. 409-440.

77 

Eucario Silber, chierico della diocesi di Würzburg, inizia la sua attività di stampatore nel 1480, forse rilevando la bottega in Campo dei Fiori che aveva ospitato la tipografia di Sweynheim e Pannartz, e la porta avanti fino al 1509, quando a lui subentrerà il figlio Marcello327. La sua produzione, sulla base di quanto ci è pervenuto, ammonta a circa 450

edizioni: si tratta principalmente di edizioni “di consumo” (manuali professionali, formulari e bolle, guide per pellegrini, libri devozionali, pronostici ed orazioni), accanto alle quali si collocano prodotti tipografici che denunciano un collegamento privilegiato del tipografo con gli ambienti curia e, in una fase più avanzata della sua attività, fra 1487 e 1492, con gli intellettuali romani, in particolare, quelli legati all’Accademia pomponiana (edizioni e commenti ai testi classici, ma anche un numero considerevole di manuali grammaticali per l’insegnamento di base, con buona probabilità indirizzate ai docenti e agli studenti dello Studium e ai membri dell’Accademia)328.

In questo contesto tipografico e culturale, ma anche economico, si inserisce la vicenda compositiva ed editoriale del commento di Costanzi. Come si è precedentemente appurato329, l’umanista era in contatto con alcuni degli intellettuali romani e non era

estraneo agli ambienti dell’Accademia, ma, nel concreto, a far da tramite fra lui e Silber potrà essere stato il già menzionato Ottavio Cleofilo, che non soltanto, fra 1483 e 1485, aveva stampato proprio presso la stamperia di Silber il De coetu poetarum, le Epistulae, le Stinchae, l’Epistula ad amicos Ferrarienses, ma aveva qui svolto l'attività di curatore, revisore e correttore di testi330. Non è azzardato dunque pensare che Costanzi abbia

affidato il manoscritto del commentario (ormai nella sua seconda redazione) – esemplare di stampa che non ci è giunto – alle cure del suo allievo e che questi si sia fatto carico della revisione e correzione del testo, in vista della stampa331.

Forniscono importanti tasselli per la ricostruzione della travagliata vicenda di pubblicazione del commento di Costanzi e della querelle fra lui e Marsi, relativamente alla priorità compositiva delle loro opere: la lettera del 14 giugno del 1482, indirizzata da Costanzi al concittadino e allievo Zagarello Gambitelli, poi apposta in appendice

       327 Cf. Farenga 2001, p. 411. 328 Cf. Farenga 2001, pp. 411-439. 329 Vd. § 2.5.

330 De coetu poetarum, 1483-1485, ISTC ic00742500; Epistolae, 1483-1485, ISTC ic00745000; Stinchae, 1483-1485, ISTC ic00746000; Epistola ad amicos, ca. 1485, ISTC ic00744800; Cf. Farenga 2001, p. 243 no. 35. Sulla figura di Cleofilo vd. § 2.5.

331 Potrebbe aver spinto per la stampa dell’opera anche Ludovico Astemio, dal 1476 bibliotecario e stimato collaboratore dei Montefeltro, promotore dell'impresa paleotipografica marchigiana di Cagli e sostenitore e collaboratore dello stampatore fanese Soncino, nonché amico di Costanzi (e da questi menzionato nell’epistola prefatoria del commento e in un uno dei suoi epigrammi: vd. § 2.5 e infra). Cf. Fritsen 2015, p. 94.

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all’editio princeps del commento332; la Praefatio in Fastos preposta al commento ai Fasti

di Paolo Marsi e l’Emendatio quorundam locorum ad esso posposta nell’editio princeps dell’opera (24 dicembre 1482)333; l’epigramma, anteriore al 1489, dedicato da Costanzi a

Francesco Uberti334.

Nella praefatio al suo commento ai Fasti Marsi si esprime in questi termini a proposito del lavoro dell’umanista fanese:

Antonius praeterea Fanensis, uir et ingenio et doctrina singularis et in utraque eloquentia summus, in indaganda ratione Fastorum pluribus iam annis occupat (nescio si illi ad finem peruentum est). Non enim omnes, quae nobis est Romae, eam domi librorum suppellectilem habent: itaque quae nobis facillima sunt, redduntur aliis difficiliora. Accedit locorum ratio, Romanorum praesertim, quae cum caeteris incognita sit et aperta nobis, qui in ipsis sumus educati, facit ut omnia sint nobis quam aliis promptiora335.

L’umanista, nel ricordare coloro che lo avevano preceduto nell’esegesi dell’opera calendariale del Sulmonense336, menziona, ad un certo punto, anche Costanzi e la sua

opera in termini non proprio lusinghieri o, almeno, soltanto apparentemente tali. Marsi afferma, quindi, di ignorare, tirando con nonchalance una stoccata all’umanista fanese, se questi, che pure ormai già da molti anni attendeva alla stesura del suo lavoro, l’abbia poi portato a compimento. E, volendo trovare una pietosa giustificazione al ritardo compositivo di Costanzi, la rinviene nella librorum paupertas di qualsiasi altro luogo che non sia l’Urbe: pertanto, «quae nobis facillima sunt, redduntur aliis difficiliora», ovvero, ciò che per chi lì vi risiede risulta semplice, diventa, invece, complesso per gli altri. A ciò si aggiunga, scrive il Pescinate nelle ultime due linee, che l’essenza dei luoghi di Roma, mentre si dischiude per chi in essa è stato educato (come lui, a Roma, seppur non in maniera continuata, sin dal 1457 e non molti anni dopo già membro dell’Accademia pomponiana), rimane inintellegibile, invece, per chi non lo è stato337.

       332 Sull’epistola a Zagarello vd. § 4.1.5.

333 Sul commento di Marsi, con i relativi documenti paratestuali vd. § 1.2.2.1. 334 L’epigramma ad Uberti si trova ai ff. a

7v-b1r dell’edizione sonciniana. Sulla querelle Costanzi-Marsi cf. Della Torre 1903, p. 269; Castaldi 1914, pp. 259-260; Campana 1950 pp. 247-249; Formichetti 1984, p. 373; Bottari 1999, p. 191 no. 1; Farenga 2001, pp. 423-424; Casciano 2007-2008, p. 98; Bianchi 2012, pp. 250-257 e in ultimo Fritsen 2015, pp. 89-94.

335 Il testo dell’epistola prefatoria (f. a

iv) così come quello del passo del commento di Marsi sono stati tratti dall’edizione dell’opera del 1482: Venezia, Battista de Tortis, 24 dic. 1482, ISTC io00170000.

336 L’intero elenco dei commentatori dei Fasti è riportato nel § 4.1.5.

337 Marsi, stabilitosi a Roma dal 1457 (da cui si allontanò per alcuni periodi, per poi ritornarvi sempre), perfezionò i suoi studi grazie alle opportunità offertegli dalla Curia Pontificia, presso la quale assunse l’incarico di abbreviatore. Cf. Della Torre 1903, pp. 35-36; Pontanari 2007, p. 741.

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Nell’Emendatio quorundam locorum inoltre è chiaramente affermato da Marsi che la stesura definitiva del suo commento risaliva a otto anni prima della pubblicazione a stampa, ovvero al 1474338: l’indagine di Rossella Bianchi permette di collocare la prima

stesura del commento di Marsi non nel 1474, ma intorno agli anni 1475-1476; la datazione alta fornita dal Pescinate nell’Emendatio è così letta dalla studiosa come un’implicita risposta alla lettera scritta da Costanzi a Zagarello pochi mesi prima della pubblicazione del commentario di Marsi339 .

Il testo dell’epistola di Costanzi a Gambitelli è ripartibile in due corposi nuclei tematici: nel primo l’umanista difende la priorità compositiva del suo lavoro; nel secondo risponde a quella che sembra una richiesta di chiarimento da parte di Gambitelli relativamente ad alcuni loci controversi dei Fasti. A quanto si deduce, Zagarello, dimorando allora a Venezia, aveva informato il suo antico maestro che Marsi lo stava precedendo nella pubblicazione del commento340.

Nella prima parte dell’epistola si legge341:

Non est nobis molestum ut te uideo suspicari quod scribis Marsum Piscinatem, poetam clarissimum ac nobis familiaritate coniunctum, praeuertere nos impressione operis sui. Nosti enim et contempsisse nos semper eos questus quos multi ab impressoribus aucupantur, cum immortalis dei munere satis superque diuitiis abundemus et quod melius est animi magnitudine qui eas spernere consueuit et edidisse commentarios nostros antequam is aggrederetur suos, uti omne Vrbinum testari potest, cuius regia bibliotheca nostrum opus, pene attritum et inueteratum, ostendit, ubi, ut alios omittam, Lodouicus Odaxios Patauinus, iuuenis utriusque linguae doctissimus, et Laurentius Abstemius Maceratensis, uir litteratissimus ac Praefectus Bibliothecae iampridem apud inclytum imperatorem Federicum et Octauianum principem eminentissimum, omniumque liberalium artium cognitione praestantem, lucubrationes nostras tantum in modum suis laudibus illustrantur ut merito eam gloriam neglexerimus quam disseminare nobis poterant impressores.

L’umanista dichiara qui di aver trascurato di andare a caccia di guadagni presso gli stampatori, avendo ricevuto in dono da Dio ricchezza e nobiltà d’animo, affermazione che, tra l’altro, costituisce una conferma indiretta della redditività di stampe di questo       

338 «Haec illa sunt, G. Corneli, quae nos octo antea annis in Ovidianos Fastos magna cura ac diligentia scripseramus et a principio tibi dicata […]» (Marsi 1482, f. R4v).

339 Cf. Bianchi 2012, pp. 247-248.

340 Bianchi inoltre (Bianchi 2012, pp. 254) pensa, essendo la lettera di risposta di Costanzi del giugno del 1482, che Gambitelli possa aver avuto modo di leggere il commento di Marsi mentre era ancora sotto i torchi (l’edizione avrebbe visto la luce dopo sei mesi).

80 

genere342. A ciò aggiunge di aver composto il suo commento assai prima che Marsi si

accingesse al suo e cita, come testimoni della priorità compositiva del suo lavoro tutta Urbino e, in particolare, Ludovico Odasi, giovane magister e poi segretario di Guidubaldo da Montefeltro343, e Lorenzo Abstemio, prefetto della biblioteca del Duca di

Urbino (dal 1476 al 1483) 344, dove il testo era conservato da tempo.

Quanto alle affermazioni fatte dall’umanista a proposito del codice di dedica al Duca d’Urbino contenente il suo commentario, esse sembrano in parte contrastare con la verità dei fatti. Se, infatti, sulla base della sottoscrizione (che, come si ricorderà, reca la data 1480), risulta confermato che la prima redazione del commento fosse sicuramente anteriore alla pubblicazione del lavoro esegetico di Marsi, lontano dal vero è invece l’affermazione del Fanese circa le cattive condizioni in cui versava il codice, testimonianza del frequente impiego e dell’intensa lettura che veniva fatta della sua opera da quei dotti cortigiani: il manoscritto, descritto nell’epistola come «pene attritum et inueteratum», si presenta ancora oggi in perfetto stato di conservazione e, inoltre, non presenta tracce di studio, tanto che sui margini candidi si rileva una sola nota di mano diversa da quella del copista, cioè, dello stesso Costanzi (f. 2r)345. Almeno menzionata,

infine, deve essere l’ipotesi, già postulata da Campana, di una precedente redazione o, più plausibilmente, di un altro esemplare, inviato ad Urbino e, poi, scomparso, ma di esso non c’è traccia346.

Più tardi, in un epigramma databile anteriormente al licenziamento dell’editio

princeps del commento (1489), Costanzi, ribadendo la priorità compositiva della sua

opera (e chiamando nuovamente a testimone la «uetus Vrbini bibliotheca»), esprime il suo rammarico per la difficoltà di pubblicazione della stessa, oltre a lamentarsi dell’avidità degli stampatori347:

[…]

Primus ego Ausonidum Fastorum arcana retexi, Vt uetus Vrbini bibliotheca probat.

Distulit impressor nostros uulgare labores,       

342 Cf. Farenga 2001, pp. 423-424.

343 Sulla figura di Ludovico Odasi vd. § 2.5. 344 Sull’umanista Lorenzo Abstemio vd. § 2.5. 345 Cf. Campana 1950, pp. 246-249.

346 Cf. Campana 1950, p. 249 no. 1. 347 Edizione sonciniana, f. b

1r, vv. 7-12. Una ripresa quasi letterale del primo di quest distici è nell’epigramma che il genero di Costanzi, Giovanni Antonio Torelli, scrisse nel 1490, in occasione della morte del suocero: «Ausonidum primus Fastorum arcana retexit / Ut vetus Urbini bibliotheca probat». Cf. Campana 1950 p. 248.

81  Impressor Codro paupere pauperior.

Hi tamen in lucem uenient, censorque uidebit Quidnam operae pretii nostra lucerna ferat348.

L’epigramma, nella sua cripticità, restituisce un quadro tutt’altro che chiaro sull’iter di pubblicazione del commento: un tipografo più venale del giovenaliano Codro (Iuv. 3,208), che avrebbe ostacolato la pubblicazione dell’opera, probabilmente preventivando una spesa che Costanzi non era in grado di sostenere. L’umanista, infatti, in mancanza nell’editio princeps di notazioni indicanti il finanziatore della pubblicazione, sembra averla autonomamente finanziata.

Chi fosse l’impressor in questione ovviamente non ci è dato saperlo: potrebbe trattarsi dello stesso Silber, con cui poi Costanzi sarebbe venuto in accordo, o, diversamente, di un altro tipografo dell’epoca, ma le ipotesi possibili sono molte ed equipollenti. L’identità del censor è invece facilmente rinvenibile: si tratta di Paolo Marsi, censore della sodalitas pomponiana nel 1482349.

L’invio dell’Urbinate al Duca da parte di Costanzi e il conseguente deposito del manoscritto presso la biblioteca dei Montefeltro costituisce in realtà la prova non della priorità compositiva, ma di pubblicazione del suo lavoro esegetico rispetto a quello di Marsi: l’offerta del codice al Duca costituisce la vecchia maniera – quella degli umanisti della prima metà del secolo XV – di pubblicazione di un’opera, modalità che, con l’avvento della stampa e come la vicenda in questione efficacemente prova, non è più valida o, quanto meno, non garantisce la notificazione veloce e ad un pubblico ampio dell’avvenuta composizione di un testo350. Costanzi è pertanto costretto ad adeguarsi ai

tempi mutati e a dare alle stampe il suo commento.

Al di là delle non sempre fededegne affermazioni di Costanzi, volendo tuttavia almeno fornire degli appigli cronologici al complesso iter di composizione dell’opera       

348 La lezione «operae pretii», rigettata da Campana che espunge «operae» (Campana 1950, pp. 247-248 no. 2), è invece accolta da Sebastiano Timpanaro, il cui parere in merito si ricava da una marginale scritto di suo pugno presente sull’estratto dell’articolo di Campana. Cf. Feo 2010, pp. 18-19; Bianchi 2012, pp. 250- 251 no. 44.

349 Ciò risulta dalla sottoscrizione, stampata in forma di epigrafe, con cui si conclude l’editio princeps del commento ai Fasti di Marsi. Datata all’anno quarto della «religiosa litteraria sodalitas Viminalis», vi si legge che la sodalitas pomponiana, e per essa le sue cariche ufficiali, fra cui i censori Pomponio Leto, Publio Astreo e Marsi, pone l’edizione sotto i propri auspici: cf. Della Torre 1903, pp. 243-248; Petrucci 2005, p. 25; Bianchi 2012, p. 233. Poco convincente invece risulta la traduzione e l’interpretazione della Fritsen dell’epigramma di Costanzi ad Uberti (Fritsen 2015, pp. 93-94). La studiosa così infatti traduce i versi 9-12: «The printer [per la Fritsen è lo stampatore di Marsi] has spread the news that my work is published, / the poor printer, more impoverished than Codrus. / Still they will come to light, and the censor will see, / how worthwile my toils by candelight are».

82 

esegetica dell’umanista fanese, si potrà senza dubbio collocare la prima stesura del commento fra gli anni ’70 del Quattrocento (glosse al manoscritto Chigiano) e il 1480 (data della sottoscrizione del manoscritto Urbinate) 351; la seconda e definitiva stesura del

commento vide invece la luce della stampa nel 1489, ma non è escluso che possa essere stata portata a compimento qualche tempo prima. E nel tempo intercorrente fra la prima e la seconda stesura dell’opera, l’umanista avrà con buona probabilità avuto modo di leggere il commento di Marsi, della cui esistenza Costanzi era frattanto venuto a conoscenza, come si evince dalla lettura dell’epistola a Zagarello; a conferma di ciò si aggiunga che l’epigramma ad posteros, con cui si apre l’edizione del 1489, sembrerebbe contenere alcune velate allusioni alla praefatio o, più genericamente, al metodo esegetico dell’umanista di Pescina352.

3.4 Gli altri testimoni a stampa e la fortuna del commento fra XV e XIX secolo