• Non ci sono risultati.

I lemmi: dal manoscritto Urbinate all’editio princeps

Il commento ai Fasti di Ovidio di Antonio Costanzi da Fano: i testimoni manoscritti e a stampa

3.4 Gli altri testimoni a stampa e la fortuna del commento fra XV e XIX secolo Il primo ad occuparsi della fortuna a stampa del commentario di Costanzi, fra XV e

4.2.1 I lemmi: dal manoscritto Urbinate all’editio princeps

Nel 1471 è data per la prima volta alla stampe l’intera opera ovidiana, e dunque anche i Fasti, a Bologna, sotto la cura editoriale di Francesco dal Pozzo e per i tipi di Balthasar Azoguidus. Fra questa edizione e l’ultima del XV secolo ne intercorrono tredici, per un totale di quindici edizioni485. Un quadro complesso, dunque, quello delle

edizioni umanistiche del testo dei Fasti, che riceverebbe un’ulteriore quanto giovevole complicazione dalla disamina delle lezioni messe a testo nei lemmi dei commentari. Questo tipo di analisi, congiunta a quella delle conseguenti ricadute delle scelte ecdotiche sul dettato scoliastico, permetterebbe di carpire preziose informazioni sui testimoni del testo commentato impiegati dall’esegeta e, al contempo, sullo stato della tradizione manoscritta in quel determinato contesto geografico, cronologico, culturale.

Va tuttavia precisato che ciascun commento, e con esso le scelte ecdotiche desumibili dai lemmi, costituisce un caso a se stante, in cui la personalità del commentatore, talora, quella non meno forte del tipografo (laddove il commentario abbia visto la luce della stampa) e lo status della tradizione del testo classico commentato all’epoca del lavoro esegetico cooperano per dar vita, di volta in volta, ad un unicum.

Al momento, sulla questione mancano ancora studi organici, salvo rade notazioni, relative a quello o quell’altro commentatore, circa la sua attitude relativamente ai lemmi del commento. Così se in alcuni casi la lezione messa a testo nel lemma non è quella accettata, ma quella di cui si propone un’emendazione nello scolio, in altri accade esattamente il contrario: nel lemma compare la lectio che si ritiene valida e, talvolta, nello scolio, si commentano le lectiones equipollenti o deteriori (e ciò è traccia evidente dei diversi testimoni e/o delle editiones variorum che il commentatore aveva dinanzi all’atto della stesura del commento).

A ben riflettere, dunque, questi esegeti (ovviamente, laddove il commentario presenti anche note di collazione) si trovarono, in senso moderno, ad essere i primi veri editori critici delle opere oggetto del loro commento, se si tien conto che le edizioni dei classici date alle stampe nel Rinascimento recavano soltanto il testo, certo stabilito con criterio, ma privo dell’apparato dell’editore, che soltanto molto più tardi sarà posto a piè di pagina, contestualmente alla sezione di testo presa in esame. Purtroppo però il testo critico desumibile dai lemmi dei commenti è frammentario, soprattutto nel caso di       

484 L’analisi condotta in questo paragrafo è il risultato, salvo sporadici casi debitamente segnalati, dell’analisi del commento a Fast. I-III tramandato da C,U,r.

145 

commentari particolarmente selettivi, e restituisce, pertanto, nella maggioranza dei casi, soltanti frustuli di edizioni ad oggi ancora silenti.

Sarà tuttavia bene precisare che, nel caso degli esegeti umanistici, non si trattò di una prestabilita e sistematica operazione: il commentatore non aveva intenzione di realizzare un’edizione critica del testo, ma piuttosto tentava di far fronte alle difficoltà testuali, che andava di volta in volta incontrando lungo il suo cammino ermeneutico e che rendevano difficoltosa l’interpretazione di questo o quel passo.

Nel presente paragrafo ci si propone dunque di analizzare i lemmi del commentario Costanzi, al fine di ricavare informazioni sul complesso rapporto dell’umanista con la tradizione del testo dei Fasti sia nell’ambito della circolazione manoscritta che in quella a stampa dell’opera.

Entrando immediatamente in medias res, si partirà dall’analisi di un passo dello scolio di r ai vv. 453-454 del primo libro dei Fasti486.

Il contesto ovidiano è quello del breve excursus del primo libro in cui il poeta passa in rassegna alcuni volatili offerti in sacrificio alle divinità (Fast. 1,441-456): precisamente, nei vv. 453-454 si allude all’attacco dei Galli al Campidoglio (390 a. C.), sventato grazie all’allarme lanciato dalle oche e alle offerte sacrificali, consistenti appunto nel fegato di questi uccelli, in onore della figlia di Inaco, Io, una volta in Egitto, assimilita ad Iside487.

NEC DEFENSA IVVANT CAPITOLIA, QVO MINVS ANSER DET IECVR IN LANCES, INACHE LAVTE, TVAS […] Sunt qui legant: «Det iecur in lances, Inachi uacca, tuas», quod magis placet, cum apud Herodotum [Hdt. 2,37,4] inuenerim Aegyptios sacerdotes olim solitos anserinis ac bubulis carnibus uesci, a quibus Isis colitur quam quidam uolunt lunam esse, ut: «Inerant lunaria fronti cornua» [Ov. met. 9,688].

Nel lemma, come è evidente, compare la lezione «Inache laute». Si tratta di una delle versioni deteriori della lezione «Inachi lauta» “nobile, sontuosa Inachide”, accettata dalla maggioranza degli studiosi moderni seppur con qualche perplessità488.

La lettura dello scolio permette di capire chiaramente che la preferenza di Costanzi va a «Inachi vacca» “vacca, figlia di Inaco” («quod magis placet», scrive, infatti,       

486 Fast. 1,453-454: «Nec defensa iuuant Capitolia quo minus anser / Det iecur in lances, Inachi lauta, tuas».

487 Cf. Stok 1999, p. 129; Green 2004, pp. 208-211.

488 Schilling, nell’edizione dei Fasti delle Belles Lettres, Stok (Stok 1999, p. 129) e Green (Green 2004, p. 209) accolgono «Inachi lauta», tramandata dalla maggioranza dei codici recenziori: Alton, Wormell e Courtney, nell’edizione teubneriana dei Fasti, mettono invece a testo «Inachioti», congettura di Alton.

146 

l’umanista), sulla base della testimonianza di Erodoto, il quale riferisce della consuetudine dei sacerdoti egiziani preposti al culto di Iside di cibarsi delle carni di oche e bovini.

La lettura dello scolio di U, relativo agli stessi versi, testimonia una differente situazione:

INACHI VACCA […] Est autem «Inachi» uocatiuus casus a patronymico foeminino Inachis. Sunt tamen qui hoc loco legunt «Inache laute», quod si est, non absurdum uidetur auem aquis gaudentem mactari deo fluminis Argiuorum, quem idem lautum dicit, quod anseris iecore delectetur, quod inter lautissima cibaria olim habebatur.

La lezione che compare nel lemma questa volta è «Inachi vacca». A questa il Fanese accosta una lectio da lui ritenuta ugualmente plausibile, «Inache laute», che – ora è chiaro – è da Costanzi interpretata come “sontuoso”, quasi “ghiotto Inaco”, il padre di Io-Iside, dunque non Iside stessa. In sostanza, l’idea di Costanzi rimane immutata, ma l’attitude nei confronti del lemma varia: nel lemma di U compare la lectio che si ritiene valida e nello scolio si dà notizia della lectio rifiutata; in r la lezione del lemma non è quella accettata, ma quella di cui si propone un’emendazione nel commento.

Non si può balzare alle conclusioni dopo un unico esempio: si procederà dunque alla cursoria analisi di altri lemmi e scolii, esaminandoli nella loro duplice veste redazionale. La collazione, condotta sistematicamente sul testo dei primi tre libri del commentario, è stata, tuttavia, talvolta resa impossibile dal diverso “taglio” dei lemmi in U e in r: in forma molto più contratta i primi, più espansa i secondi. Da qui l’impossibilità, in alcuni casi, di comprendere la mutatio consilii di Costanzi nel passaggio dall’una all’altra forma del commentario.

A situazioni del genere di quella appena esaminata (U che accoglie nel lemma la lezione ritenuta valida e nello scolio dà notizia delle lezioni equipollenti e/o deteriori; r che accoglie nel lemma la lezione deteriore e nello scolio riporta quella ritenuta valida) si affiancano altri tre casi:

- U e r accolgono nel lemma la stessa lezione, ritenuta valida, nello scolio, invece,

147 

In Fast. 1,711

U r

FRONDIBVS ACTIACIS Frondibus oleae ob pacem partam ex Actiaca uictoria, quod dictum est in Augusti laudem Caesareaeque familiae, cui autor placere studet […] Sunt qui ab Attica regione hoc loco Actiacas frondes dictas existiment, quod non placet.

FRONDIBVS ACTIACIS Frondibus oleae ob pacem partam ex Actiaca uictoria, quod dictum est in Augusti laudem Caesareaeque familiae, cui autor placere studet […] Sunt qui legant «Frondibus Attiacis» ab Attica, quod non placet.

Alla lezione deteriore «Attiacis» “Attiche”, Costanzi, in entrambe le redazioni, preferisce la più valida «Actiacis», con rifermento all’alloro della battaglia di Azio (31 a. C.), che orna la fronte della Pace, in Fast. 1,711-712 («Frondibus Actiacis comptos redimita capillos, / Pax, ades et toto mitis in orbe mane»)

- U e r accolgono nel lemma lezioni differenti; nello scolio, non si dà ragione della

scelta testuale né si fa menzione di altre varianti. Si tratta, in questo caso, principalmente di variazioni testuali la cui ricaduta interpretativa sul testo ovidiano è minima o nulla e non va pertanto ad inficiare la coerenza dello scolio.

In Fast. 1,79

U r

TARPEIAS ITVR AD ARCES VESTIBVS INTACTIS TARPEIAS ITVR IN ARCES

In Fast. 3,489

U r

NESCIAT HAEC QVISQVAM NESCIAT HOC QVISQVAM

- U e r accolgono nel lemma la lezione ritenuta valida, tuttavia differente nell’uno e

nell’altro; nello scolio (più spesso in r, più di rado in U) danno notizia e commentano le lectiones equipollenti e/o deteriori: casi come questi testimoniano il cambiamento di opinione dell’umanista, che se in un primo momento, ovvero al momento della prima stesura, ritiene valida una lezione, all’atto dell’allestimento della seconda, ne preferisce invece un’altra. Si veda l’esempio sotto riportato:

148 

In Fast. 2,23-24

U r

TVRBIDA CVM MICA FARRA […] Turbida autem farra dicit uel sali admixta, ut quidam uolunt, uel nondum tosta ac pura.

QVAEQVE CAPIT LICTOR DOMIBVS PVRGAMINA CERTIS, TORRIDA CVM […] Alii legunt turbida, quod non placet, interpretanturque turbida nondum tosta.

Nel lemma di r si trova «torrida», ritenuta da Costanzi, come si evince dalla lettura dello scolio, la lezione corretta. In Fast. 2,23-24 («Quaeque capit lictor domibus purgamina certis, / Torrida cum mica farra, vocantur idem») Ovidio fa riferimento ad una cerimonia di purificazione che si svolgeva a febbraio, variamente identificata dagli studiosi, che prevedeva l’impiego di purgamina, elementi rituali di purificazione, fra i quali, appunto, il farro tostato, «torrida farra», come leggiamo nella princeps, in cui l’umanista rigetta la variante «turbida», accolta e messa a testo nel lemma dell’Urbinate in cui è interpretata come «sali admixta» o «nondum tosta». Lo scolio di U, inoltre, non reca traccia dell’alternativa «torrida».

Sulla base dei passi appena esaminati e dell’analisi più ampia condotta sul testo dei due testimoni relativamente ai primi tre libri è possibile concludere che in U Costanzi sistematicamente riproduce nel lemma la lectio che ritiene valida e, talora, riporta nello scolio le lectiones, equipollenti e/o deteriori. In r, invece, talora sono messe a testo nel lemma le lezioni ritenute valide (coincidenti o meno con quelle di U) e nello scolio, solo in alcuni casi, si riportano quelle equipollenti e/o deteriori; talaltra si rinvengono nel lemma lezioni rigettate poi nello scolio, a favore di altre, della cui scelta si dà ragione nella stessa sede.

L’origine di questa μεταβολή è, in parte, da ricercare in r stesso, più precisamente nel testo dei Fasti che incornicia il commento di Costanzi.

Anche in questo caso il confronto fra il testo dei Fasti desumibile dai lemmi di U (Ul) e dai lemmi (rl) e dagli scholia (rs) di r e quello ingabbiato nel commentario (rt), permette di rilevare che, in buona parte, laddove le lezioni accolte nei lemmi di r non coincidano con quelle accettate nei lemmi di U, la causa sia ascrivibile all’interposizione di rt.

Così, quanto al lemma relativo a Fast. 1,453-454, si potrà ora ipotizzare, con una buona dose di probabilità, che dietro la lezione «Inache laute», accolta nel lemma di r, benché poi rifiutata nello scolio, vi sia rt, in cui si ritrova infatti «Inache laute». Ugualmente anche nei summenzionati lemmi relativi a Fast. 1,79 e 3,489 è

149 

avvertibile l’influenza di rt, come pure, e con maggior forza, nel lemma a Fast. 2,23- 24, laddove Costanzi rifiuta, motivando la scelta nello scolio, la lezione precedentemente accolta nel lemma del commento manoscritto.

Quando dunque le lezioni dei lemmi di U divergono da quelle dei lemmi di r, il più delle volte queste ultime convengono con rt. A questo punto, tuttavia, rimane da spiegare perché, laddove rifiuti la lezione di rt, talvolta Costanzi decida di metterla ugualmente a testo nel lemma, salvo poi precisare la sua dissonante posizione nello scolio.

Una spiegazione a questo fenomeno, che, non si presenta come un caso isolato, dovrà necessariamente tener conto da un lato del possibile intervento, purtroppo non meglio definibile, dello stampatore o da chi curò presso di lui la stampa per Costanzi489, dall’altro della diffusione e riconoscibilità di alcune lezioni di un testo

ad una certa altezza della tradizione testuale, riconoscibilità che ne impediva probabilmente la silenziosa e immotivata abolizione. Valga, fra tutti, quale esempio, il già menzionato caso «Inache laute»/«Inachi vacca»: la lezione «Inache laute», testimoniata da A e dalla maggioranza dei codici recenziori, doveva dunque costituire una delle lezioni vulgate all’epoca di Costanzi e come tale risultare più riconoscibile della meno comune «Inachi vacca», testimoniata invece da M, da alcuni codici recenziori e da h490.

Urge, a questo punto, qualche riflessione sulla provenienza di rt. Non è da escludere che possa trattarsi di un testo fornito a Costanzi dal tipografo o da chi curò per l’umanista la pubblicazione del commento, nel corso del processo di stampa. Meno probabile invece è l’ipotesi per la quale possa trattarsi di un testo appartenuto a Costanzi e poi passato al tipografo, congiuntamente all’esemplare di stampa del commento: se così fosse, il testo dei Fasti fornito dal commentatore dovrebbe essere concorde, almeno nella maggioranza dei casi, con le scelte ecdotiche dell’umanista desumibili dai lemmi e dagli scholia. L’impressione è piuttosto quello di un adeguamento, nei lemmi e nel commento, da parte di Costanzi ad un testo dei Fasti imposto.

Non è stato tuttavia possibile identificare l’edizione testimoniata da rt: non si

tratta di nessuna delle edizioni a stampa di XV secolo e resta aperta la possibilità di un’edizione manoscritta per la cui identificazione l’iter diviene più complesso, se non quasi impossibile.

       489 Vd. § 3.3.

150 

Tuttavia, accanto ad rt la presenza di varianti testuali nei lemmi e negli scolii in U e poi in r – nel caso di r si tratterà ovviamente di lezioni non presenti in rt – è segno evidente dell’impiego, all’atto della stesura del commentario di testimoni diversi dei Fasti, dipendenti da rami differenti della tradizione o di editiones

variorum del testo.

Sesto Prete nel suo lavoro del 1991, cursoria quanto fondamentale analisi dell’edizione a stampa del commento, affermava: “nell’intero commento non si trova un cenno alle varianti di codici”491. Lo studioso era dell’idea che Costanzi, nel corso

dell’allestimento del commento, avesse dinanzi un unico codice e che tutte le deviazioni dal testo di questo fossero il frutto di più o meno felici congetture dell’umanista fanese.

La lettura del testo del lavoro esegetico di Costanzi smentisce, tuttavia, e più volte, l’affermazione di Prete: valga fra i tanti, quale esempio, il commento a Fast. 2,644 («Binaque serta tibi binaque liba ferunt»).

In Fast. 2,644

U r

BINAQVE LIBA Legunt quidam hoc loco «binaque dona», sed non mendosi textus habent «liba», unde illud est «Aut sacrum effodit medio de limite saxum, Quod mea cum uetulo coluit puls annua libo».

BINAQVE SERTA Non mendosi codices habent: «binaque liba ferunt». Vnde illud est: «Aut sacrum effodit medio de limite saxum, Quod mea cum uetulo coluit puls annua libo».

Nel manoscritto la lezione deteriore «binaque dona» è introdotta da un «Legunt quidam hoc loco», spia di un metodo emendativo che tiene conto delle varianti testuali e/o delle congetture coeve e non. I «non mendosi textus» di U e i «non mendosi codices» di r ci restituiscono l’immagine di un Costanzi, che per la costituzione del testo collaziona codices, textus: egli, in altre parole, opera un’emendatio ope codicum, a quanto sembra, sin dall’epoca di U.

       491 Cf. Prete 1991, p. 218.

151 

Fra i codici collazionati dall’umanista vi fu, senza dubbio, C: nei margini del testo dei Fasti, ai ff. 13v, 56r, 61r, 73r492, si rinvegono infatti, di mano dell’umanista,

note di collazione in cui sono riportare lezioni, tramandate da alcuni codici recenziori, che migliorano il testo di C (Ct) e la cui validità, in mancanza della testimonianza di U, in cui non sono presenti i corrispondenti lemmi, con i relatvi scolii, è asserita nel commento di r. Si veda, ad esempio, il caso diFast. 5,293.

In Fast. 5,293 Ct [f.56r] Costant. in Ct [f.56r] U r [f. r4r] Parte locant cliui […] Parte locant cliuum […]

om. PARTE LOCANT CLIVVM

Cauendum ne legamus «Parte locant cliui» […] Est enim hic locare, conducenti praescribere

aliquid faciendum, non

constituere […]

Interviene sul testo dei Fasti anche l’esegeta principale di C, che trascrisse la lettera all’Almadiano e i cui marginalia, come si vedrà, potrebbero in qualche modo essere connessi al commento di Costanzi: un elemento utile, ma non dirimente, nella risoluzione della problematica questione del rapporto fra lo scoliaste di C e Costanzi si rinviene nell’identificazione del rapporto intercorrente fra il testo dei Fasti di C e delle integrazioni e correzioni del summenzionato scoliaste e il testo dei Fasti di U e di r.

Nello schema sottostante sono poste a confronto alcune lezioni desunte dal testo dei Fasti di C (Ct), dalle integrazioni e dalle note di collazione dello scoliaste principale di C (Schol. in C), dai lemmi e dagli scolii di U e di r.

      

492 Campana (Campana 1950, p. 243) attribuisce alla mano di Costanzi anche le note di collazione ai ff. 47v e 57v, che tuttavia, ad un esame più attento, sembrerebbero di mano dell’altro scoliaste, copista dell’epistola all’Almadiano. 

152  Ct Schol. in C Ul e Us rl e rs rt a) Fast. 1,245 Ara mea est colli

om. ARA MEA

EST COLLI

Arx mea collis erat

b)

1,453 Det iecur in latices

mache laute tuas INACHI VACCA DET IECUR IN LANCES, INACHI VACCA, TVAS Det iecur in lances, Inache laute, tuas c) 1,531 Cum penes Augustos patriae tutela manebit om. CVM PENES AVGVSTOS PATRIAE TVTELA MANEBIT Et penes Augustos patriae tutela manebit d) 1,548 Tauros sensit abesse duos TAVROS SENSIT ABESSE DVOS TAVROS SENTIT ABESSE DVOS Tauros sensit abesse duos e)

2,24 Turbida TVRBIDA TORRIDA Torrida

f) 2,153 Tercia nox ueniet om. TERCIA NOX ADERIT Tertia nox ueniat g)

2,432 hoc loco hoc illo om. HOC LOCO hoc illo

h) 2,557 acu traiecit aena acu traiecit acuta ACV TRAIECIT ACVTA ACV TRAIECIT AENA acu traiecit aena i) 3,460 Gnosia Gnosida GNOSSIDA (GNOSIDA a.c.) GNOSSIDA Gnossida l)

3,824 Ficio TYCHIO TYCHIO Ficio

I diversi esempi forniti permettono di ipotizzare da un lato che Costanzi in alcuni casi ha tenuto conto del testo di Ct (a, c, d, e, g), in altri degli interventi dello scoliaste di C (h, i) (che l’umanista fanese sembrerebbe dunque conoscere), dall’altro di postulare, in caso di dissenso dalle lezioni dell’uno e dell’altro (b, f, g, h, i, l), l’esistenza di ulteriori esemplari di collazione o, non si può del tutto escludere, di emendationes ope ingenii. Soltanto qualche nota sulla collocazione stemmatica di C e dei testimoni manoscritti che dovevano essere a disposizione di Costanzi all’atto della stesura del commentario.

In entrambi i casi siamo di fronte ad esemplari che discendono da codici recenziori, come testimonia la presenza in essi di alcune lezioni attestate unicamente nei codices

153 

recentiores, e che sono frutto della contaminazione di A, Z e U. Tuttavia, come si è

potuto rilevare, Costanzi conosce anche testimoni entrati in contatto con d la cui presenza non è invece rilevabile in Ct (e in Schol. in C): si veda, ad esempio, il caso di «Tychio» (l), messo a testo già nel lemma di U e mantenuta in quello di r.

Riassumendo, l’analisi dei lemmi del commento di Costanzi ai Fasti, nella sua duplice stesura (U e r), e delle ricadute delle scelte ecdotiche sul dettato scoliastico ha permesso di delineare il quadro che segue. All’atto della prima stesura del commento, l’umanista fanese dovette certamente tener presenti per la constitutio textus dei lemmi diverse edizioni dei Fasti, con buona probabilità editiones variorum; fra queste vi fu certamente quella tràdita da C, il cui testo dei Fasti era conosciuto e impiegato da Costanzi nella sua duplice veste editoriale, una riconducibile al copista del testo e l’altra allo scoliaste principale (veste editoriale, in entrambi i casi, dipendente da un codice recenziore, frutto della contaminazione di A, Z e U). In r, invece, i lemmi risentono dell’influenza del testo dei Fasti ingabbiato nell’edizione a stampa, di cui, ne consegue, Costanzi dovette essere a conoscenza. L’orizzonte stemmatico infine di quella che, a questo punto, può essere definita l’edizione critica di Costanzi è costellato da testimoni che derivano da codici recenziori vicini ad A, Z e U, ma che risentono anche del contatto con d.