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Il ms BAV Vat Urb lat 360 (U) e la scrittura latina e greca di A Costanzi [tavv IV-VI]

Il commento ai Fasti di Ovidio di Antonio Costanzi da Fano: i testimoni manoscritti e a stampa

3.2 Il ms BAV Vat Urb lat 360 (U) e la scrittura latina e greca di A Costanzi [tavv IV-VI]

Il ms. BAV Vat. Urb. lat. 360, contenente il commentario di A. Costanzi ai Fasti di Ovidio nella sua prima redazione, entrò a far parte della Biblioteca Apostolica

      

280 Sulle scelte ecdotiche, relativamente al testo dei Fasti, desumibili dai lemmi, e sull’impiego da parte dell’umanista di testimoni diversi (di rami differenti della tradizione e/o di editiones variorum) del testo ovidiano e sulle conseguenti ricadute sul dettato scoliastico vd. § 4.2.1

281 Sulla scrittura greca del glossatore vd. § 3.2. Non si possiede purtroppo alcuna testimonianza di scrittura degli allievi e dei collaboratori di Costanzi (almeno di quelli a noi noti: Ottavio Cleofilo [1447-1490], Giovanni Antonio Torello [XV1/2-1520], Zagarello Gambitelli [XV1/2-XV2/2], il figlio Giacomo [1473/1477-1517]), così come di nessun altro erudito della sua cerchia. Sugli allievi e sugli intellettuali, fanesi e non, vicini all’umanista vd. § 2.5.

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Vaticana, presso cui è ancora oggi conservato, nel 1658, insieme agli altri codici e volumi a stampa che costituirono la biblioteca dei duchi di Montefeltro283.

Il commentario di Costanzi risulta registrato già nell’Index vetus (ms. Vat. Urb. lat. 1761), l’inventario del primo nucleo della raccolta libraria dei duchi, stilato fra 1482 e 1487 dal bibliotecario d’allora, Agapito, e dunque posteriormente alla morte di Federico (10 settembre 1482). Nell’Index vetus, pubblicato poi nel 1899 da Cosimo Stornajolo nei prolegomena al catalogo dei manoscritti del fondo Urbinate, si legge: «Antonii Fanensis Commentarii In Fastos Ovidii Invictissimo Principi Federico Urbinatium Duci Illustrissimo. In Azurro cum Seraturis Argenteis»284. Si

tratta senza alcun dubbio del commento ai Fasti di Costanzi, che all’epoca recava dunque una legatura in azzurro con serratura d’argento.

Come si apprende dalla sottoscrizione («Finis anno MCCCCLXXX»), presente a f. 198v del manoscritto Urbinate, la trascrizione del testo fu portata a termine dallo stesso Costanzi nel 1480: se questo sia l’anno d’invio del codice al Duca non è possibile stabilirlo. Si potrà tuttavia circoscrivere l’allestimento e il conseguente dono dell’Urbinate al dedicatario ad un periodo compreso fra 1480 e la data d’invio da parte di Costanzi della lettera a Zagarello Gambitelli (14 giugno 1482), in cui l’umanista afferma che il codice giaceva ormai da tempo nella biblioteca dei duchi d’Urbino285.

Campana fornisce una dettagliata descrizione del manoscritto286:

È un manoscritto di lusso scritto su pergamena di prima scelta e sobriamente decorato; la prima pagina della dedica ha il titolo in rosso, un fregio miniato nel margine sinistro e lo stemma ducale nel margine inferiore (almeno lo stemma deve essere stato aggiunto ad Urbino); ogni libro ha inizio con una nuova pagina destra287 e con una semplice iniziale aurea, nel margine. All’inizio dei libri II-VI (ff. 53r, 84r, 111r, 146r, 168r )       

283 Sul trasferimento dei codices Urbinates alla Biblioteca Vaticana cf. Moranti-Moranti 1981. Sulla storia, la formazione e l’organizzazione della biblioteca dei Duchi d’Urbino cf. Michelini Tocci 1986, pp. 9-18; Moranti 1986, pp. 19-49; Peruzzi 2004. Una dettagliata descrizione della maggior parte dei codici che costituivano la biblioteca è in Stornajolo 1902-1912. Il manoscritto Urbinate è descritto in Stornajolo, I, 1902, pp. 331-332 e Campana 1950, pp. 245-250; una più sintetica descrizione, ma un’esaustiva rassegna bibliografica, è anche in Buonocore 1994, p. 165 e Buonocore 1995b, p. 37. Aveva notizia del codice già Castaldi (Castaldi 1916, p. 335), il quale tuttavia non lo visionò.

284 Stornajolo 1895, p. CXXXI n. 588.

285 Sull’epistola a Zagarello vd. § 3.3 e § 4.1.5.

286 Mm. 320 x 210, ff. I, 198 (+ 1bis), in 20 quinterni regolari, l’ultimo dei quali ha perduto l’ultimo foglio; è scritto a 32 linee per pagina; non presenta richiami, segnature dei fascicoli, né numerazione antica. La legatura attuale risale alla fine del Seicento, la doratura del taglio al XV secolo. Cf. Campana 1950, p. 249 no. 2.

287 Tuttavia, né la prefazione (f. 1bisv), né il libro I (f. 3v) cominciano a nuova pagina e soltanto la prefazione ha l’iniziale aurea. Cf. Campana 1950, p. 249 no. 3.

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Costanzi stesso aggiunse, in un secondo tempo, il rispettivo numero in lettere greche «.Li. .β.». Manca il testo ovidiano: gli scolii sono scritti tutti di seguito; il lemma di ogni scolio è preceduto da un doppio trattino inclinato e seguito da un punto288.

Più precisamente, a f. 1r, ad essere in rosso e in capitale è l’intero protocollo (inscriptio, intitulatio e titulus «praefatio in commentarios Fastorum Nasonis») dell’epistola prefatoria al Duca di Urbino e l’iniziale e il fregio sono decorati a bianchi girari (a tralci bianchi su fondo colorato) con putti e piccoli animali.

In inchiostro più chiaro, infine, sono alcune correzioni e aggiunte ai ff. 7r, 9r, 40v, 69v, 75r 108r 113v 156r 186r 187v, così come l’ultima pagina del libro VI (f. 198rv)289.

La scrittura è un’umanistica corsiva molto regolare con poche peculiarità e vergata con cura: ogni particolare concorre a restituire l’immagine di un manufatto allestito con il fine di incontrare i gusti del Duca, bibliofilo di fama290.

Ad occuparsi per la prima volta, in maniera organica, della grafia dell’umanista di Fano fu ancora una volta Augusto Campana, nel già menzionato lavoro del 1950291: lo

studioso per primo riconobbe il ms. Vat. Urb. 360 come autografo di Costanzi e a questo accostò, quali ulteriori testimonianze certe della mano del Fanese, oltre alle già menzionate chiose al ms. Vat. Chig. H.VI.204292, l’ultima parte del testo del Bellum Hispaniense conenuta nel ms. Vat. lat. 3324293.

La scrittura di Costanzi, come è possibile rilevare dall’esame dei tre testimoni sopraelencati, risulta un bell’esempio di umanistica corsiva, di cui il codice Urbinate       

288 Campana 1950, p. 249.

289 Da «tu autem, Federice» sino alla sottoscrizione. Cf. Campana 1950, p. 249 no. 3.

290 Sulla bibliofilia di Federico e sui suoi presunti canoni estetici codicologici cf. Michelini Tocci 1962, pp. 267 ss.; Michelini Tocci 1986, p. 15; Peruzzi 2005 pp. 62-74.

291 Cf. Campana 1950, pp. 227-368.

292 Si fa qui riferimento alle note certamente attribuibili alla mano di Costanzi (ff. 13v, 47v, 56r, 57v, 61r, 62v, 73r-74v).

293 Il ms. BAV Vat. Lat.. 3324 è un Cesare completo (Bellum Gallicum con il libro VIII di Irzio, Bellum civile e Bellum Alexandrinum, Africum, Hispaniense) del sec. XI-XII, presenta l’ultima parte (ff. 10v-11v) del Bellum Hispaniense integrata, in una scrittura più piccola e più rapida di quella nota, dalla mano di Costanzi, oltre a supplementi e correzioni nel testo e nei margini sempre di mano del Fanese (sul codice cf. Campana 1950, pp. 250-253, con relativa bibliografia). Prima di Campana, G. I. Montanari, donatore alla Biblioteca Oliveriana di Pesaro del cod. 1012, lo ritenne di mano di Costanzi e con lui Saviotti e Castaldi (Saviotti 1888, p. 25; Castaldi 1916, p. 255): Campana, dopo aver visionato il manoscritto, ne negò l’attribuzione all’umanista di Fano (cf. Campana 1950 p. 238, no. 2). Quanto al ms. Ravenna, Biblioteca Classense, 74, contenente orazioni ed epigrammi dell’umanista (vd. § 2.4), non visionato da Campana né da alcuno dopo di lui (se si eccettua il lavoro di M. Uguccioni [Uguccioni 1998, pp. 7-64], il quale non si è tuttavia occupato dell’aspetto paleografico) non è possibile al momento formulare ipotesi sulla paternità della scrittura. Almeno un cenno sulla scrittura dei ff. 1r-12r del ms. BAV Vat. Lat. 3630, contenente la già menzionata operetta anconitana di Costanzi: Campana, pur riconoscendone l’alterità tanto dalla scrittura del codice Chigiano che da quella dell’Urbinate, sosteneva che la sola differenza d’aspetto non bastasse ad escluderne l’attribuzione ad un Costanzi forse giovanissimo (anni ’60 del Quattrocento) e si soffermava soprattutto sulla presenza di particolarissime legature. Di questa grafia e sulle sue peculairità, temi che esulano dal presente lavoro, sarebbe necessario condurre una dettagliata analisi, al fine di ricostituire nella sua interezza il processo di evoluzione della scrittura dell’umanista. Cf. Campana 1950, pp. 255-256.

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preserva la versione più posata. Essa è sensibilmente inclinata verso destra, i tratti sono uniformi e di medio spessore (se si eccettua la curva della sezione superiore della seconda asta di n e la curva di u, leggermente più filiformi); i corpi delle lettere, dal disegno arrotondato, sono di modulo medio e uniforme; le aste, sia ascendenti che discendenti, sono moderatamente lunghe. Quali tratti supplementari si rilevano: il tratto orizzontale di

e, che si prolunga per creare legamento con la lettera successiva o quando si trova in fine

di parola (fig. 1a); il tratto d’attacco che parte dall’occhiello di g per consentirne il legamento con la lettera successiva (fig. 1b); la voluta in forma di uncino di f ed s (fig. 1c); il bottone, che talora diviene una piccola grazia, a metà dell’asta della I e della s minuscola e che, quando occorre, permette il legamento di queste lettere con quella precedente, diversamente, permane come elemento costitutivo del disegno della lettera (fig. 1c); l’elemento d’attacco del primo tratto di m, n, r, anche in questo caso talvolta funzionale alla legatura con le lettere precedenti; il leggero e progressivo ingrossamento dal basso verso l’alto delle aste (clavatura) di b, d, h, i, l/L, p (la cui asta si prolunga oltre l’occhiello), del tratto verticale di t, dei due tratti di U/V acuta e del primo di u/v, talvolta dei tratti di x: più raramente e in alternativa alla clavatura, questi tratti sono desinenti a chiodo o con un piccolo trattino d’attacco; il, seppur lieve, ripiegamento e prolungamento verso destra della parte inferiore del tratto con cui è resa la schiena di a, talvolta dell’asta di d (nella variante dritta), di l e, meno frequentemente, di quella di r, dell’ultimo tratto di

n, m e u.

,

, , ,

a b c

Fig. 1

La scrittura si presenta inoltre legata in misura media: oltre alle già menzionate legature derivanti dal prolungamento dei tratti di e, f, g, i, m, n, r, s, si rileva la tendenza a legare con la lettera successiva di f, tramite il prolungamento del tratto mediano e di t, tramite il prolungamento di quello orizzontale; la legatura et, impiegata solo quando questa stia ad indicare la congiunzione e mai nel corpo di parola (fig. 2a); i legamenti ct e

st; la sistematica elisione della testa delle lettere tracciate dall’alto con appoggio di penna

(i, m, n, p, r, t, u) nel caso in cui esse siano precedute da lettere che abbiano l’ultimo tratto che termina sulla linea mediana superiore dell’ideale sistema quadrilineare (c, e, f,

g, r, t) (fig. 2b). A ciò si aggiunga che, nel caso di due f o due s consecutive la prima, nel

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raramente, due i consecutive (la seconda delle quali si allunga al di sotto del rigo) risultano tra loro connesse da sottili filetti (fig. 2d)294. Nel complesso la scrittura si

presenta slanciata ed ariosa, compatta ma non serrata.

, , ,  , ,  ,  ,

a b c d

Fig. 2

Per quanto riguarda il disegno delle lettere si distinguono, come peculiari: a minuscola corsiva chiusa (fig. 3a); c eseguita dal basso verso l’alto e in unico tempo, che lega sistematicamente con la lettera successiva tramite la parte superiore della linea semicircolare con cui è resa (fig. 2b), d nella maggioranza dei casi nella variante dritta, più raramente in quella con asta inclinata; E in tre varianti: in forma onciale, di epsilon e più raramente capitale (fig. 3b); G con il tratto diacritico introcluso o, più raramente, dal disegno squadrato (fig. 3c); g con piccolo occhiello inferiore, generalmente chiuso, connesso al primo tramite una linea ondulata (con convessità a sinistra) (fig. 2b); h con la curva del secondo tratto orientata verso destra e tendente a prolungarsi brevemente sotto il rigo verso sinistra (fig. 3d); L, K ed R (con l’ultimo tratto particolarmente sinuoso) impiegate come minuscole all’interno di parola; l talvolta dal disegno sinuoso; M con la prima e l’ultima gamba sensibilmente divaricate (fig. 3e), Q con lunga coda orizzontale (o leggermente obliqua) (fig. 3f); s di forma generalmente minuscola (raramente maiuscola in fine di parola); t, quando non è in legamento con la lettera precedente, con il tratto orizzontale sviluppato solo a destra; U/V iniziale di parola di tipo angolare, aperta o chiusa, con tratto di sinistra alto sul rigo (fig. 3g); x con il tratto discendente da destra a sinistra che si prolunga di poco al di sotto del rigo.

, , , ,

a b c d e f g

Fig. 3

      

294 Interessante, infine, la particolare legatura di utilizzata da Costanzi unicamente per la preposizione vernacolare di, che si ritrova nella notazione, relativa alla nascita del figlio Giacomo, a f. 77v del manoscritto Chigiano.

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Quanto alle abbreviazioni, si rileva l’omissione quasi sistematica delle nasali nel corpo di parola, la cui assenza è segnalata dalla comune lineetta soprascritta posta sulla vocale che precede la nasale; in fine di parola, talvolta, alla lineetta soprascritta è sostituita, sempre per indicare l’assenza di nasale (generalmente m), il comune segno in forma di piccolo ȝ295; fra i compendi sillabici, sono inoltre impiegati quelli relativi a p e q

secondo i modi delle notae iuris e quelli per le desinenze -ur e -er (lineetta ondulata su

t296), -us (comma in legatura con la b della desinenza del dativo e ablativo plurale della

terza declinazione o un piccolo ricciolo in esponente negli altri casi), -rum (r nella comune forma di due, intersecata nel tratto orizzontale da una lineetta verticale); h con l’asta tagliata da un tratto orizzontale segnala l’assenza di -ab- nel corpo di parola, la i soprascritta del gruppo -ri-. Pure presenti sono i troncamenti dell’ultima o delle ultime due lettere di parola, la cui assenza è sempre indicata con il generico trattino soprascritto. Infine, si segnala l’abbreviazione per contrazione del sostantivo omnis, in tutta la sua declinazione, con omissione nel compendio non soltanto di n ma anche di m (os per

omnes, oi per omni, ecc…)297, e ed ee con lineetta soprascritta rispettivamente per est e

per esse, .i. per id est, .n. per enim.

Il sistema interpuntivo consta del punctus, ad indicare pausa generica o utilizzato come ‘segno di rispetto’ per segnalare nomi e titoli di vario genere (anche i lemmi sono seguiti infatti dal punto); del punctus elevatus (in forma di due punti, più raramente da un punto sormontato da un tratto obliquo), indicante una pausa media di durata comunque inferiore a quella del punctus (o, meglio, a separare una frase principale da quella secondaria); del punctus interrogativus (un punto sormontato da una lineetta ondulata orientata verso destra); infine, del segno costituito dai due punti seguiti da un tratto ondulato in forma di tilde, comunemente impiegato per indicare la fine di una sezione di un testo. A ciò si aggiungano i due sottili tratti obliqui e paralleli orientati verso destra che precedono, segnalandolo, ciascun lemma del commento. In ultimo, quali segni di richiamo al testo Costanzi utilizza per le sostituzioni/correzioni di parole i due punti disposti in orizzontale soprascritti alla parola da sostituire, le integrazioni sono segnalate nel testo con un segno in forma di v acuta capovolta.

      

295Lo stesso segno è impiegato anche per -ed in sed e per -ue nell’enclitica -que.

296 Nel ms. Chig. H.VI.204, in una delle note di collazione sicuramente attribuibile alla mano di Costanzi (f. 20r), -er è reso invece con un piccolo ricciolo in esponente alla t.

297 Si tratta di un fenomeno che va sotto il nome di ‘denasalizzazione’ e che concerne la declinazione di omnis, homo e vocaboli composti e analoghi, la cui origine è da collocare in ambito beneventano-cassinese, intorno al sec. XI. Cf. Cherubini-Pratesi p. 320 e Newton 1999, p. 171.

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Il sistema grafico di Costanzi, tuttavia, risulta più articolato se alla scrittura di testo latina, si associano la capitale impiegata dall’umanista per le sezioni notevoli di testo (scrittura distintiva) e per la trascrizione delle iscrizioni della porta monumentale di

Fanum Fortunae (CIL XI 6218. 6219), a proposito di Fast. 4,952-953298, e la grafia greca

con cui sono vergati, nel corpo del commento, i termini e le espressioni greche.

Per quanto concerne la capitale, e quale scrittura distintiva e nel caso della trascrizione delle iscrizioni della porta monumentale di Fanum Fortunae, l’impressione generale è quella di un’incerta imitazione delle forme classiche ed evidente è l’influenza delle coeve capitali librarie che imitavano le capitali epigrafiche d’età imperiale299.

Peculiari di questo stile e, dunque, delle capitali dell’umanista fanese sono, a fronte di un tratteggio prevalentemente non ombreggiato, il chiaroscuro prodotto dall’alternanza dei tratti grossi e di quelli sottili nelle lettere M e N, caratteristica che in Costanzi si riscontra non sistematicamente (e, in particolare, nel tratteggio di M piuttosto che di N); l’occhiello aperto in basso di P; l’ultimo tratto di R lungo e sinuoso; la presenza, anche in questo caso non sistematica nella scrittura di Costanzi, di coronamenti dei tratti verticali e di alcuni orizzontali delle lettere (C, E, F, G, S, T).

Va inoltre ricordato che contribuì, fra gli altri, alla formazione di questa capitale libraria d’imitazione epigrafica Ciriaco d’Ancona, appassionato epigrafista, nonché conterraneo di Costanzi300, il quale, fra l’altro, per primo nel Rinascimento trascrisse

l’epigrafe dell’arco durante i suoi due soggiorni a Fano, nel corso dei suoi viaggi in Italia settentrionale e centrale. È lo stesso Costanzi a far menzione di uno dei soggiorni fanesi di Ciriaco nel già menzionato commento a Fast. 4,952-953301. Nell’impossibilità di

      

298 In una capitale di modulo minore sono state vergate anche le lettere della prima parola della praefatio («VERAM») e alcune delle prime lettere della prima parola dell’argumentum e dei lemmi con cui si apre il commento a ciascuno dei sei libri.

299 Sull’imitazione delle lettere epigrafiche d’età imperiale nell’Umanesimo, cf. Meiss 1960, pp. 97-112; Casamassima 1964, pp. 13-26; Cherubini-Pratesi 2010, pp. 593-598.

300 Sulla capitale di Ciriaco cf. Meiss 1960, pp. 97-112; Wardrop 1963, pp. 23-28; Cherubini-Pratesi 2010, p. 596.

301 Lo stesso Ciriaco fa menzione della sua sosta a Fano e della visita della città, nel 1423, nella lettera inviata da Rimini a papa Eugenio IV (cf. Mehus 1742;Weiss 1965, p. 352; Mitchell-Bodnar 1996, pp. 89- 90; Bodnar-Foss 2015, pp. 58-60), ma se si presta fede a quanto scrive nel suo commento Costanzi, l’Anconitano si recò anche una seconda volta a Fanum Fortunae (vd. § 2.1). Costanzi, quand’era ancora ragazzo, ebbe forse modo di assistere, o quanto meno ebbe notizia, della lectio magistralis tenuta da Ciriaco a Fano sulle iscrizioni della porta della città: l’umanista anconitano lesse, interpretò e poi trascrisse le epigrafi, divenendone il più importante testimone. Le trascrizioni ciriacane infatti, testimoniate da tre copie non autografe di tre sillogi epigrafiche (ms. Venezia, Biblioteca Marciana, Lat. XIV.124 [4044], ff. 142r e 159v; ms. BAV, Vat. lat. 6875, ff. 68v e 91r), sono le uniche a contenere la prima linea dell’iscrizione costantiniana («[Divo] Augusto [Pio Constantino patri dominorum]»), che andò poi distrutta nel 1463 sotto i tiri dell’artiglieria delle truppe pontificie di Federico di Montefeltro, venuto a liberare Fano dal dominio malatestiano. La notizia di una seconda sosta a Fano di Ciriaco, desumibile dal commentario ai Fasti, permette di arricchire la biografia ciriacana, ma non di datare con certezza questo viaggio, che potrà al più essere collocato posteriormente al 1436, anno di nascita di Costanzi (vd. § 2.1). Per la storia

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stabilire con certezza se Costanzi abbia avuto modo di visionare le trascrizioni dell’Anconitano dell’arco di Augusto302 e se sia stato influenzato, nella formazione del

suo alfabeto capitale, dal suo stile grafico, si potrà almeno rilevare il vezzo, di ascendenza ciriacana, di trascrivere le capitali epigrafiche con inchiostri colorati (in oro l’iscrizione augustea, in giallo-bruno quella costantiniana)303.

Il manoscritto Urbinate non offre tuttavia solo un’importante testimonianza della scrittura latina dell’umanista marchigiano, ma costituisce anche l’unico testimone di quella greca dello stesso: il tessuto linguistico e grafico latino del commentario è infatti talora interrotto da alcuni termini o brevi espressioni in lingua e lettere dell’alfabeto greco. E ciò si verifica generalmente in corrispondenza di notazioni di tipo etimologico, in cui si rende necessaria l’inserzione di graeca, la cui attribuzione alla mano dello stesso Costanzi appare soluzione economica e ragionevole.

L’analisi di questi sintagmi grafici e sintattici ripropone la questione dell’apprendimento della lingua e della scrittura greca da parte dell’umanista, che, nel capitolo secondo, era stato collegato alla figura di Guarino Veronese, di cui Costanzi fu

        rinascimentale dell’Arco di Augusto a Fano si rimanda a Weiss 1965 e Vagenheim 2004, pp. 61-91 con relativa bibliografia.

302 Il testo delle epigrafi riportato da Costanzi nel commento risulta mutilo della prima parte dell’iscrizione costantiniana e questo indurrebbe a credere che, benché fosse a conoscenza dell’interesse di Ciriaco per tali iscrizioni e probabilmente delle copie da questi realizzate, l’umanista fanese non ebbe modo di visionarle o, diversamente, preferì riportare nella sua opera unicamente ciò che all’epoca era possibile leggere sulla porta. Questa spiegazione, tuttavia, non darebbe ragione di un errore di lettura e scioglimento di un sintagma presente nell’iscrizione del fregio della prima trabeazione («[…] tribuniciae potest(atis)» in luogo del corretto «[…] tribunicia potest(ate)»), comune a Ciriaco e a Costanzi (sulla tradizione delle due epigrafi cf. Vagenheim 2004, pp. 62-65, 68-70): potrebbe trattarsi di un errore comune e casuale o dar prova di un’effettiva dipendenza del testo di Costanzi da quello di Ciriaco, se l’omissione da parte del Fanese della prima linea dell’iscrizione costantiniana viene letta come la conseguenza di una ponderata decisione. Pur escludendo, infatti, sulla base delle ragionevoli conclusioni di Castellani (cf. Castellani 1917, pp. 9-10), il rapporto di discepolato Ciriaco-Costanzi (vd. § 2.1), non è escluso che l’umanista fanese abbia potuto visionare le trascrizioni dell’Anconitano, che, come si è visto (no. 50), circolavano in più di una copia nel corpo di sillogi epigrafiche. Il fregio dell’attico su cui essa era stata incisa, infatti, fu distrutto proprio dall’artiglieria delle truppe pontificie di Federico di Monfeltro, cui il commento ai Fasti era dedicato e che Costanzi aveva premura di far apparire come mecenate delle arti ed energico condottiero, e non distruttore delle vestigia dell’antichità. Sul valore politico della trascrizione di Costanzi cf. Fritsen 2015, pp. 178-182. 303 Ciò testimonia, inoltre, quello che Campana definisce lo «scrupolo di esattezza» (cf. Campana 1950 p.