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127bene in questi casi al di là dell’esplicita intenzionalità progettuale

dell’autore sul carattere effimero del manufatto o di una parte di esso - se l’opera ha ormai acquisito un suo autonomo valore storico o cul- turale tale da essere riconosciuta come luogo della memoria collet- tiva, ciò è sufficiente a motivarne il restauro4, inteso innanzitutto come operazione tecnica volta a rallentarne il degrado e a preser- varne il più a lungo possibile quei valori che la connotano. Tali “ar- ricchimenti” costituiscono elementi non rinunciabili dei manufatti cui appartengono: superano il valore di ornamento, per essere consu- stanziali all’opera architettonica. Si tratta com’è noto di architetture che presentano nella loro realizzazione un elevata cifra artigianale, colta e raffinata, che contribuisce ad assegnare ad ogni manufatto un inconfondibile valore di unicità. Ebbene proprio questi elementi di finitura, meno resistenti per loro stessa natura e spesso intera- genti direttamente con i fattori di degrado, costituiscono casi nei quali un’operazione di restauro conservativo volto a massimizzare la per- manenza nei suoi aspetti anche materici espone i suoi limiti, richie- dendo da un lato il pieno controllo delle attuali tecniche di diagnosi e di intervento, e dall’altro l’accettazione del “vettore tempo” nel- l’opera, e quindi anche di un naturale suo degrado, seppur rallen- tato il più possibile dall’intervento di restauro. Un intervento cioè non sostitutivo - ma inteso quale cura preventiva e manutentiva costante nel tempo, fatta di operazioni minime ripetute ciclicamente e caso- mai da manodopera non necessariamente specializzata - che ac- cetti anche i segni del cammino dell’opera nel tempo.

Sottili membrature, esili ringhiere in ferro forgiato, arditi trattamenti cromatici, luminosi rivestimenti maiolicati, pannelli a mosaico, co- perture in ferro e vetro, rivestimenti in piombo, pareti in ‘bottiglie’ di laterizio, sono solo alcune delle particolarità lessicali messe in gioco nel patrimonio architettonico che va dalla stagione del Liberty eu- ropeo, alle opere di Gaudì a quelle di Soleri. La Fabbrica di cera- miche Solimene a Vietri sul mare (SA), capolavoro, appunto, di Paolo Soleri5, rappresenta un esempio paradigmatico di tali proble- matiche conservative. Rivoluzionario nella forma e nei materiali, l’opificio vietrese presenta le pareti di tamponatura della struttura co- stituite da bottigliette di laterizio disposte a filari orizzontali, fissate

1M. Fumaroli, L’Etat culturel, Paris 1991, trad. it. Lo Stato culturale. Una religione moderna, Milano 1993; F. Dal Co, Il tempo e l’archi- tetto. Frank Lloyd Wright e il Gug- genheim museum, Electa, Milano 2004, p. 82; V. quilici, La vita delle opere. Una riflessione sulla durata in architettura, Palombini, Roma 2011.

2R. Picone, Il moderno alla ‘prova del tempo’. Restauro e deperibilità delle architetture del XX secolo, in “Confronti” Quaderni di restauro ar- chitettonico, n° 1, pp. 52-62. 3O. Chiantore, A. Rava, Conserva- re l’arte contemporanea. Problemi, metodi, materiali, ricerche, Monda- dori Electa, Milano 2005, vedi in particolare F. Poli, Premessa, pp. 11 e sgg.

4B. Gravagnuolo, Restauro del mo- derno. Aporie culturali e questioni di metodo, in “Confronti” Quaderni di restauro architettonico, n° 1, pp. 25-29.

5I. Lima, Soleri. Architettura come archeologia umana, Jaca Book, Mi- lano 2000; G. Frediani, Paolo Sole- ri e Vietri, Officina ed. Roma 2000; Paolo Soleri: etica e invenzione ur- bana, Catalogo della mostra (Ro- ma, ottobre 2005 - gennaio 2006) a cura di Sandra Suatoni, Jaca book, Milano 2005.

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al collo da elementi in ferro, la cui base circolare forma la sinuosa superficie esterna dei coni che la caratterizzano. Nonostante un di- screto stato di conservazione complessivo, garantito da un utilizzo continuo e consapevole da parte dei proprietari e anche dal per- manere della funzione per cui è stata progettata, questo vero ca- polavoro del moderno inizia ad avvertire i primi segni del tempo. Ciò è avvenuto soprattutto in quelle parti dove il cemento armato e il vetro-cemento usato per i lucernai di copertura sono stati aggre- diti da fenomeni ossidativi causati da una mancata irreggimenta- zione delle acque, e nel tamponamento laterizio sperimentato da So- leri per le pareti, in cui si registrano alcune rotture e mancanze. Una proposta di restauro condotta nell’ambito di una sperimentazione universitaria ha affrontato nello specifico la questione6, proponendo risposte misurate e calate ad hoc nella assoluta unicità del caso. Si tratta, com’è noto, di una facciata-manifesto i cui valori plastici e materici hanno la capacità di “dichiarare all’esterno, senza ricorrere a cartelli o manifesti, il tema funzionale alla base dell’edificio, ma- nifestandolo attraverso l’unità organica della sua stessa architet- tura vertebrata sulla reiterazione del vaso d’argilla”7. qualsiasi in- tervento restaurativo deve fare i conti con il valore totemico dell’in- sieme, in cui la possanza volumetrica della composizione si stem- pera nella sequenza policroma di sedicimila vasi colorati incapsu- lati in enormi forme coniche, ma i criteri che hanno guidato la pro- posta di restauro sono in ogni caso quelli del ‘minimo intervento’, della riconoscibilità dell’aggiunta contemporanea, della massimiz- zazione della permanenza, della compatibilità dei nuovi materiali con quelli che costituiscono l’opera originaria, e (ove possibile) della re- versibilità. Dopo un attento studio dello speciale sistema di fissag- gio delle ‘bottigliette’ che costituiscono i coni di facciata, si è affron- tato, nella sperimentazione universitaria, il problema del consolida- mento statico della struttura, e del trattamento delle lacune, laddove la mancanza di alcuni elementi di rivestimento sta provocando nu- merose infiltrazioni e conseguentemente il degrado del cemento ar- mato. L’idea alla base dell’intervento di restauro del paramento ha preso in considerazione la possibilità di sostituire puntualmente gli elementi laterizi fratturati, con altri di identico materiale, disposti in sottosquadro, inseriti nel complesso sistema a rete che assicura la staticità e il fissaggio generale degli inserti. I nuovi elementi late- rizi, prodotti dai forni della fabbrica come quelli originali, sono stati immaginati più corti rispetto ai primi e contrassegnati con la data di esecuzione, in modo da renderli riconoscibili anche quando il de- grado dei nuovi elementi aggiunti nel restauro li avrà resi del tutto si- mili agli originali. In tal modo le mancanze, per ora limitate, dei coni ceramici, verranno integrate, anche per far sì che il degrado da in- filtrazioni non progredisca oltre la soglia dei primi stadi, rendendo più complessi e sostitutivi interventi di conservazione futuri. Oltre all’in- tervento sul paramento la tesi ha affrontato il consolidamento della 6Tesi di Laurea in Restauro archi-

tettonico presso la Facoltà di Archi- tettura dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, candidato: Marzio Di Pace, relatore: prof. arch. Renata Picone, a.a. 2011-2012. 7I. Lima, Soleri, cit., pp. 123 – 124.

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