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Benedetta discarica

L’ANTROPOLOGO, IL CAMPO E LE SUE STORIE

2.5. Benedetta discarica

Nel 1991 un film Jugoslavo dal nome Halda (Discarica) firmato dal regista Vuk Janić sbarcò sulle coste del Belpaese, incantando pubblico e critica al concorso Internazionale «Gran Prix d’Italia»248 e ottenendo il primo premio nella sezione dedicata a lavori documentaristici. Il film raccontava la storia degli abitanti di un villaggio collinare nei pressi di Zenica, da anni alle prese con un inquinamento letale e con la questione ambientale legata alla discarica della Željezara Zenica, l’acciaieria più grande dei Balcani Occidentali (fig. 19). Da più di un secolo il colosso industriale vi conferiva materiale ferroso di scarto provocando, contemporaneamente alla distruzione dell’ecosistema locale, la proliferazione di un’economia sommersa di estrattori di ferro vecchio, pronti a saltare su camion in corsa diretti alla cosiddetta deponija Rača (discarica Rača) per accaparrarsi le berne migliori (scarti di altoforno ricchi di ferro).

Il documentario denunciava le condizioni di vita degli abitanti dei villaggi rurali orbitanti intorno alla ferriera di Zenica, avvelenati dai fumi delle trentaquattro ciminiere che costellavano i nove chilometri della Željezara, portando alla luce le attività connesse alla compravendita clandestina del prezioso minerale.

«Halda» con il successo raggiunto a livello europeo, riuscì a sospingere il movimento ecologista

della città -attivo già dagli anni ‘60- (Arnautović, 2010:

https://www.ekoforumzenica.ba/2020/01/18/kako-se-zenica-borila-protiv-zagadjenja-1963-1965) compattandolo attorno al Partito Zelenih Zenice (dei Verdi di Zenica), che ottenne il 3,22% dei voti alle prime elezioni pluripartitiche del 1990 (Naša Rjeć, 03/12/1990). Nonostante ciò, le questioni relative al lavoro nero e alla sua capillare organizzazione parallela fatta di estrattori, pesatori, intermediari, trasportatori, compratori, sviluppatasi nel bacino della discarica, sono rimaste in secondo piano.

Va sottolineato come la questione che ha visto direttamente coinvolte migliaia di persone impiegate illegalmente nell’estrazione del ferro, oltre ad essere ancora oggi d’attualità, è risultata solo superficialmente analizzata per via delle difficoltà da parte di giornalisti e cineoperatori ad entrare in contatto con i lavoratori abusivi all’interno della zona destinata alla raccolta, come si evince dalla testimonianza diretta di un giornalista di Klix, autorevole quotidiano on-line:

Quando arrivano i media, gli estrattori di ferro vecchio di Rača pensano che poi verrà subito la Polizia, il Tribunale... questa è la loro paura, di perdere soldi, lavoro, l’esistenza... l’ultima volta hanno cominciato a insultarci e lanciarci pezzi di ferro, intimandoci di andarcene... volevamo solo fare un paio di foto per far vedere quanto è dura vita qui, di mostrare la fatica... niente... ci hanno costretti con la forza ad andarcene... è davvero complicato avere a che fare con i Bugari che lavorano lì

[Elmedin Mehić, Giornalista, R., 20/11/2018]

Secondo i dati del «Piano d’azione ecologica del Cantone Zenica- Doboj 2017-2025»249, stilato dal Ministero per la gestione dell’Urbanistica, Trasporti, Comunicazioni e Protezione dell’Ambiente del Cantone250 insieme al team d’esperti dell’Università di Zenica, a partire dagli anni ’60 nella discarica Rača sono stati conferiti indiscriminatamente e intensivamente la maggior parte dei rifiuti del processo di produzione della ferriera tra cui «scarti di altoforno contenenti materiale metallico (ferro, berne), scarti contenenti materiale metallico, materiali refrattari, cenere e scorie di vario tipo, sabbia di fonderia e altri materiali di scarto risultanti da processi metallurgici complessi» (Seferović & Goletić, 2016).

Sorta sul terreno che un tempo accoglieva i giacimenti di carbone sotterranei che rifornivano la miniera di Siđe -anch’essa sita nel territorio della MZ di Gradišće-, la deponija Rača occupa una superficie di 67 ettari e al suo interno, oltre ai materiali di scarto sopracitati, vi affiorano spontaneamente vene di carbone (fig. 20). Dalla Željezara negli ultimi sessant’anni sono giunte circa 18.000.000 di tonnellate di rifiuti; tra questi vi sono tra le 700.000 e le 800.000 tonnellate di materiale ad alto contenuto ferroso (berne) che legalmente equiparano la discarica a «una vera e propria miniera di ferro» (Legge mineraria federale, Gazzetta ufficiale FBiH n. 26/2010, art. 7, comma 5, in Seferović & Goletić, 2016). Per questo motivo fin dai primi anni ‘60, generazioni di

Bugari hanno preso parte alla raccolta di ferro vecchio, definitivamente esplosa negli ultimi

quindici anni. Dalla testimonianza di coloro che ne hanno vissuto gli albori, si può comprendere quanto la depo’ -come viene comunemente chiamata Rača- abbia avuto un ruolo fondamentale nella vita privata e lavorativa degli abitanti di Gradišće:

249 Kantonalni ekološki akcioni plan zeničko-dobojskog kantona za period 2017.- 2025.

Ero un bambino quando ho iniziato ad andare a Rača con mio fratello più grande... lavoravamo come muli, caricandoci le berne sulla schiena, ma era una cosa piccola... giorno dopo giorno, con il materiale della Rača ho costruito la casa... andavo al lavoro alla ŽZ, poi a cercare qualcosa alla depo’, poi tornavo al villaggio a mettere insieme il materiale e costruire... così ho fatto su questa casa, con il ferro che veniva buttato dalla ferriera [Salih [1946], abitante di Gradišće, R., 23/05/2019]

Il fatto che molti gradišćani fossero occupati alla ŽZ (i villaggi erano il grande bacino da cui attingere manodopera non qualificata e semi-qualificata per tutto il comparto industrial-minerario della città; Bjelovitić, 1968: 72-92), rappresentò, insieme alla prossimità fisica della deponija, un grande vantaggio:

A quel tempo, molto ferro che importavamo dal Sud America per mantenere le quote degli accordi tra Nezvrstani (Non allineati) veniva buttato perché non serviva... come arrivava finiva a Rača e io sapevo quando si buttava perché ero dentro nel sindacato e mi interessava... tu non puoi immaginare... immense quantità di ferro si buttavano! Questo ti fa capire come si gestivano male i conti... ma comunque si lavorava bene... e finito il turno si andava subito a raccogliere il ferro in discarica

[Salih, R., 23/05/2019]

Io lavoravo alla čeličana (reparto acciaieria) e quando c’erano le grandi pulizie, si buttava quello che non serviva, si cambiavano macchinari e si rinnovavano gli ambienti, finiva tutto a Rača... lavorandoci dentro io sapevo quando facevamo queste operazioni... arrivavo a casa, mangiavo e giù a Rača! Tutta notte alla depo’! Non era possibile dormire per nessun motivo, solo estrarre ferro... se avessimo abbandonato la zona dove avevano scaricato, sarebbe arrivato qualcun altro... allora lavorare, lavorare, lavorare... e al mattino di nuovo in acciaieria! C’erano famiglie intere che lavoravano lì... o bože, bože (o dio, dio) non puoi immaginare cosa portava via la gente... (simulando il portamento di un asino)... ci si caricava tonnellate di ferro sulla schiena come le bestie!

[«Hadžija» Afik., C.P., 20/06/2019]

La lunga esperienza di sfruttamento della discarica ha subìto, a partire dall’ultimo Dopoguerra, un’impennata per numero di lavoratori, quantità di ferro estratto e per i metodi di organizzazione del lavoro, che fanno della zona di Gradišće, un unicum nel panorama post-bellico bosniaco.

Inizialmente utilizzata prima della Guerra come mezzo per arrotondare, l’estrazione alla deponija è passata -a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila- ad essere un polo lavorativo attrattivo per migliaia di persone, legati inesorabilmente alle sorti dell’economia informale dei rottami ferrosi. Dalle testimonianze etnografiche emerge chiaramente come da Rača sia dipesa la tranzicija (transizione) di Gradišće e dintorni, fino almeno alla metà degli anni ’10 del XXI secolo:

Non centinaia ma migliaia di persone hanno lavorato lì... negli ultimi 15 anni Rača è stata completamente rivoltata (prevrnuta) almeno due volte! Era un esercito... da non credere ai propri occhi... migliaia e migliaia di persone ogni giorno... alcune sono diventate milionarie, altre hanno fatto su la casa con le berne, altre hanno perso tutto

[Čoza, C.P., 23/05/2019]

Lo sfruttamento della discarica, si pone in continuità con i fattori che hanno sconvolto la BiH a partire dagli anni ’90, e alla stregua del taglio illegale dei boschi e dell’estrazione abusiva di carbone, è da ricollegarsi alla rovinosa congiuntura di situazioni sociali, politiche ed economiche che hanno sconvolto quel periodo.

Secondo l’opinione del Prof. Bujak, abitante di Gradišće ed esperto delle vicende storiche dell’area zeničana:

Il boom dello sfruttamento illegale delle risorse è nato nel momento chiave in cui si è stravolto il sistema socialista e si è passati al capitalismo. A Zenica in particolare si è presentata una situazione congiunturale che ha visto contemporaneamente rivoluzionata la struttura dello Stato indipendente, uscito disintegrato da una Guerra che nelle zone industriali ha portato a livelli inimmaginabili di disoccupazione... tutto questo ha spinto migliaia di persone a riversarsi prima sul legname, poi sul ferro e sul carbone, che qui è sempre stata un’attività che ha segnato la vita della città

[Prof. Bujak, R., 24/11/2018]

Come riportato nei paragrafi precedenti, dopo il giro di vite messo in atto dalle istituzioni bosniache nei confronti del taglio incontrollato del patrimonio boschivo, gli abitanti di Gradišće si sono catapultati nella corsa al ferro e al carbone, trasformando l’estrazione di queste materie da mere strategie di sopravvivenza per una popolazione stremata da quattro anni di Guerra, in vere e proprie occupazioni a tempo pieno in grado di soddisfare il fabbisogno familiare.

Il fenomeno dei minatori abusivi di carbone risulta quindi intimamente correlato allo sfruttamento della depo’, che nel corso degli ultimi vent’anni ha creato nuove relazioni di potere e sviluppato inediti modelli di organizzazione e divisione del lavoro, in grado di stravolgere gli equilibri politici e sovvertire le gerarchie sociali che si erano andate affermando durante il periodo socialista. Il portato di questi cambiamenti ha di fatto prepotentemente acuito le disuguaglianze economiche, esacerbando in questo modo le profonde fratture sociali che, fin dal primo Dopoguerra, hanno condotto all’annientamento della classe media e all’aumento esponenziale della forbice tra una nuova élite facoltosa (legata in particolar modo ai partiti e a taluni imprenditori che attorno ad essa gravitarono) e una sempre più nutrita maggioranza di individui condannati a drammatiche condizioni di precarietà.

Per questi motivi, prima di addentrarci nei mondi sotterranei delle miniere carbonifere, ritengo indispensabile approfondire un tema che negli ultimi quattro lustri ha accompagnato l’estrazione illegale di carbone, oscurandone la portata per via dell’enorme giro di affari che si andava muovendo intorno all’elemento «ferro» a partire dagli inizi degli anni Duemila.

In questo paragrafo cercherò di delineare ascesa, declino, implicazioni economiche e antropologiche che hanno accompagnato il mondo del lavoro e il tessuto sociale non solo di Gradišće ma di buona parte della città di Zenica, a partire dalle vicende dei «privatni kopaći» (scavatori privati) nella discarica dell’acciaieria.

Il fenomeno dei minatori abusivi di «oro nero» infatti non risulta peculiare al solo territorio di Zenica ma si riscontra in tutte le zone in cui sono presenti bacini carboniferi (Breza, Kakanj, Tuzla ecc.). Ciò che rende irriducibilmente differente e assolutamente originale la questione zeničana risiede proprio nella sua intima connessione251 con le vicende della deponija Rača e nella convergenza di fattori macroeconomici di carattere globale legati a grandi investimenti di capitale, che ne hanno delineato traiettorie e alterne fortune.

Dal punto di vista legale la depo’ appartiene, in percentuali diverse, al comune di Zenica, alla ŽZ e ad alcuni privati. Questa confusione legata alla frammentazione della lottizzazione ha permesso a Mittal -la maggiore potenza economica della regione-, attraverso un accordo con le istituzioni comunali, di «fare come se la discarica fosse loro, “concedendo” al Comune di Zenica di

251 Spaziale, in quanto discarica e collina metallifera sono confinanti e lavorativa poiché si tratta in entrambi i casi, di estrazione di risorse.

regolarizzare la situazione interna alla depo’ in cambio di un utilizzo gratuito e deregolamentato da parte della multinazionale» (EkoForum, 04/04/2018; cfr. Contratto originale, Allegato n.3). Questo significa un ammanco di 14 milioni di marchi all’anno nelle casse del Comune in quanto, secondo le stime di EkoForum, ONG zeničana da anni impegnata nella lotta per il rispetto del diritto alla salute dei cittadini e di monitoraggio delle attività produttivo-ambientali di ArcelorMittal, l’impresa franco-indiana sversa annualmente nel territorio di Gradišće circa 668.000 tonnellate di rifiuti (2018)252 senza elargire alcun contributo economico, né facendosi carico di ulteriori forme compensative.

In conseguenza della mancanza di controllo da parte delle istituzioni federali preposte, agli inizi del Duemila due fattori cruciali fecero da traino all’espansione incontrollata della pratica estrattiva all’interno della discarica, accrescendo più in generale l’attitudine al lavoro nero nella zona di Gradišće: da una parte la riattivazione della produzione da parte della BH Steel (ora ArcelorMittal) attraverso l’installazione nel 2002 dell’elektropeć (forno elettrico) alimentato a rottami ferrosi (anziché minerale di ferro, utilizzato nei classici altoforni); dall’altra il X piano quinquennale cinese (2001-2005) che diede rapido impulso alla modernizzazione del paese asiatico, con l’investimento massiccio in grandi infrastrutture e trasporti, facendo impennare la domanda del settore siderurgico mondiale (Patria, 20/07/2015)253. La concomitanza di queste due circostanze, di carattere locale e globale, contribuì ad aumentare il prezzo del ferro, avviando una corsa senza precedenti alle cosiddette berne nella discarica di Gradišće.

Oggi, chi ha lavorato durante gli anni del boom del ferro ricorda come la discarica fosse oramai diventata per molti una vera e propria miniera d’oro:

Quando era aperta la deponija si lavorava un po’ na Brdo (sulla collina, col carbone) e un po’ lì... dipendeva dal prezzo giornaliero del ferro... quando il prezzo aumentava, andavamo a Rača a cercare berne poi le vendevamo alle ditte di recupero materiali o agli zingari che venivano da tutta la BiH per comprare... c’erano giorni che hanno provato a pagare 3.000 KM (1.500 €) una tonnellata! (In silenzio per qualche secondo) Era una cosa mai vista prima... oggi per una tonnellata sono 9 KM ossia 90 fenninga (centesimi) al kg! Quando il prezzo era basso, non conveniva lavorare laggiù e si andava tutti nelle miniere artigianali

252 https://www.ekoforumzenica.ba/2018/04/04/cija-je-raca-i-kome-grad-zenica-pokloni-14-miliona-km-godisnje/ 253 https://nap.ba/news/14294

[B., C.P., 25/10/2018]

Non v’è dubbio che la discarica, oltre «ad aver salvato Gradišće» (Nerko, abitante del villaggio, C.P. 23/05/2019), ha riversato nella zona valanghe di quattrini in maniera estremamente diseguale, tra coloro che al suo interno si sono organizzati come vere e proprie ditte con mezzi propri -camion, trattori, escavatori- facendo lavorare «operai» a giornata, e coloro che autonomamente si recavano a Rača in cerca di qualche buon pezzo di scarto dell’altoforno, guadagnando in base alle quantità di ferro che giorno per giorno erano in grado di estrarre e rivendere a intermediari.

Un punto fondamentale riguarda la retorica che permea l’economia informale della zona, che per entrambe le categorie fu la medesima: «Borimo se samo za preživljavanje», ossia «Lottiamo solo per la sopravvivenza» (cfr. Jašarević, 2016: 279).

Lontano dal discorso comune miserabilista (sia emico che etico) tuttavia, il lavoro di raccoglitore all’interno della discarica per quanti furono disposti a impegnare corpo e anima in un ambiente massacrante e pericoloso, ha rappresentato una fonte di reddito straordinaria, cambiando radicalmente la concezione stessa di lavoro e guadagno:

Alla depo’ ci siamo passati tutti... se ti facevi il culo a quei tempi oggi sicuro eri ricco... io andavo coi miei amici dopo la scuola... ma a volte non ci andavamo proprio a scuola... quando ho iniziato, le paghe non erano mai sotto i 50 KM al giorno e i più esperti, senza macchinari arrivavano a farsi anche 1.000 KM al giorno (500 €) quando il prezzo era buono... B. la casa se l’è costruita con i soldi del ferro non con il carbone, questo è sicuro! [Irfo [1995], C.P., 19/11/2018]

Il 90% di quelli che vedi sulla collina ha lavorato alla depo’... abbiamo iniziato praticamente tutti a Rača... il percorso è più o meno per tutti uguale, prima a kopare berne (scavare ferro) adesso carbone... io ho iniziato lì appena finita la scuola, (ride mentre si accende una King

rossa)254... ci facevamo anche 200 KM nel giro di qualche ora facili facili e poi a casa... non avevamo un capo... lavoravamo ognuno per conto suo... era meno faticoso e facevi più soldi, non avevi orari... un po’ scavavi un po’ ti riposavi... se oggi ti sei fatto 300 KM domani potevi stare a casa... noi scavavamo, poi gli intermediari all’ingresso pesavano, pagavano e te ne andavi... ti serviva un piccone e un secchio, niente di più... joooj

(scuotendo la testa con un grande sorriso)... quelli sì che erano soldi... poi il ferro è finito 254 Marche di sigarette inglesi di contrabbando.

e siamo venuti qui [sulla collina metallifera, N.d.A.], anche se già prima si estraeva carbone quassù

[EO., [1995], Minatore, C.P., 27/02/2019]

Oltre a esempi di raccoglitori «privati», la Rača è diventata famosa nell’immaginario collettivo per essere stata «un enorme cantiere, dove giorno e notte non-stop erano in funzione decine di escavatori e centinaia di camion, comprati da Bugari che chiedevano prestiti di 100.000 KM a banche, amici, parenti per acquistare di macchinari e che nel giro di poco tempo hanno estratto circa l’80% del ferro!» (Nermin Skomorac, R., 14/12/2018).

Seduti al tavolino di uno dei tanti bar che vende rakija di produzione propria, insieme a BU., eclettico capo di una miniera in cui ho lavorato per alcuni mesi, ripercorriamo la genesi dei pionieri dell’estrazione meccanizzata, di cui egli fece parte:

Prima a Rača c’era una ditta legale che raccoglieva rottami che aveva i suoi 10 lavoratori... avevano i bager (escavatori) e tutto... ma poi abbiamo fatto un casino... noi di Gradišće abbiamo cacciato gli operai, abbiamo cacciato tutti e ci siamo presi abusivamente quello che avevano... un bel casino abbiamo combinato! Dopo la Guerra abbiamo iniziato a scavare, poi a comprarci altri macchinari... (alzando la voce, in tono imperativo) tu Stato non venire a cercare niente da me, mrš jebo te! (sparisci, crepa!). Io scavo per me, privatamente... ma a un certo punto giravano troppi soldi... sai Latif, non è facile nemmeno avere troppi soldi! (brindando a Rača con un altro cognac)

[BU., C.P., 08/04/2019]

La complicata situazione del Dopoguerra bosniaco ha creato le condizioni per l’instaurarsi di situazioni di illegalità e abbandono da parte delle autorità nell’area periferica della collina e della discarica, tanto da far parlare di: «Uno Stato nello Stato, dove i Bugari controllavano direttamente quel territorio, pagavano gli autisti dell’acciaieria per far scaricare i camion nel proprio feudo all’interno della discarica... i proprietari delle macchine lavoravano non-stop anche di notte con i generatori... come se fosse un territorio al di fuori della legge» (Prof. Lemeš, R., 22/11/2018). Fu in questa situazione di illegalità diffusa e di interessi ingenti, che andò rafforzandosi la nomea di Bugari come gente pericolosa, al punto che «spuntarono le pistole... fu sparato anche qualche colpo ricordo... non potevi avvicinarti alla zona di un altro che venivi minacciato» (N., Pensionato, ex-estrattore a Rača, R., 14/12/2018).

Dalla fine degli anni ’90, il giro d’affari che riguardò il commercio parallelo del ferro fu enorme e investì non solo la zona in cui la discarica è ubicata:

Ma a cascata mantenne per anni la città di Zenica... tutta la città fu sostenuta dai soldi che giravano a Rača... si consumava tanto di quel carburante per i macchinari... i benzinai godevano, la città godeva del ferro della depo’... i soldi si riversavano ovunque... nei bar, nei ristoranti, nei negozi. Qualcuno ha aperto ditte legali creando occupazione... a Gradišće si è costruito come mai prima, i capi si sono comprati appartamenti in città... (ridendo

sguaiatamente) tutto legale... in nero! La discarica era così preziosa che addirittura per un

certo periodo era blindata, circondata da sentinelle armate che custodivano i macchinari dei

gazda (capi)!

[SK., ex raccoglitore di ferro a Rača, C.P., 14/212/2018]

L’obiettivo principale era evidentemente salvaguardare le entrate di coloro che avevano investito in questo business, assicurandosi in questo modo guadagni milionari, destinati a cambiare per sempre i rapporti di potere all’interno di una comunità in transizione e, in una certa misura, la stessa visione del mondo da parte delle giovani generazioni, ora abituati a vedere nel guadagno nero e immediato la strada verso l’affermazione nella società.

Quella in atto fu pertanto la costruzione di un paradigma di riferimento non più basato sull’idea di sicurezza e regolamentazione vicina all’esperienza lavorativa nelle grandi aziende collettive socialiste, bensì un processo di adattamento al più estremo dei principi neoliberisti, costituito da totale deregolamentazione in termini di diritti dei lavoratori, strutture di lavoro precarie e iper-competitive (Arsenijević, 2014; Čaušević, 2013; Slavnić et al., 2013).

Il ritratto della discarica fatto da B., per quasi dieci anni raccoglitore di ferro a Rača, si avvicina «a un inferno in terra» in cui schiere di individui, sprofondando con i piedi nelle dune sabbiose «erano subito pronti in gruppi da 30, 40, 50, a caricarsi pezzi da 150, 160 anche 170 kg sulla schiena, come animali, per poter mettere al sicuro il pezzo prima che arrivasse un altro camion a scaricare, coprendo tutto di nuovo» (B., C.P., 03/07/2019). I gravi problemi di schiena di cui egli stesso soffre