L’ANTROPOLOGO, IL CAMPO E LE SUE STORIE
2.3. Gradišće, zona d’ombra
Dalla stazione degli autobus di Zenica, ogni giorno undici corse collegano la ćaršija (centro storico) alla Mjesna Zajednica215 (Comunità Locale) di Gradišće, a circa sette km dalla città.
Costeggiando sulla sinistra la gigantesca ferriera (nove km di lunghezza), il paesaggio che si dà allo sguardo dal finestrino lascia attoniti. Sulla destra la strada passa a qualche centinaio di metri dall’altoforno, dalla koksara (cokeria), dal laminatoio e dai reparti dedicati alla fusione vera e propria dell’acciaio. Le due grandi ciminiere ininterrottamente effondono nuvole color ruggine, mentre dai camini minori, afferenti alle officine di lavorazione, una densa coltre di fumo grigio e polveri sottili nocive si propagano in tutti e quattro i punti cardinali, avvolgendo letteralmente le abitazioni e i campi che giacciono accanto all’impianto.
Le ciminiere grandi e piccole che puntellano la ŽZ, si trovano nella depressione della valle del fiume Bosna, in modo che le bocche dei camini finiscono per emettere inebrianti effluvi proprio a livello della strada che dalla città porta alla collina di Gradišće, intossicando uomini, terreno, animali e tutto ciò che si trova nel raggio della sterminata industria. In una casa adiacente al reparto di trasformazione del carbon coke -il cui fumo nel processo di lavorazione è così nero da oscurare parzialmente il cielo- nelle calde mattinate d’estate i due figli di Jasmin sono soliti fare il bagno nella piscina che il padre ha piantato nell’area verde a pochi passi dalla recinzione anti-intrusione, che divide il mondo del dovere dal mondo del piacere. Sopra le loro teste, la grottesca separazione di filo spinato terrestre che circonda il perimetro esterno del colosso metallurgico viene meno; uno dei due mondi fagocita l’altro, avvelenandolo lentamente, giorno per giorno, da centoventotto anni. Alla sinistra del finestrino, viceversa pare di essere catapultati in un universo parallelo, fatto di villette a due piani con giardino, adagiate su dolci pendii che in primavera e in estate riflettono il color verde brillante dei prati e dei pascoli. I campi coltivati a frutta e cereali si alternano a plastenik (serre) colme di verdura, che costituiscono parte integrante della dieta degli abitanti dei villaggi, anche se in misura inferiore rispetto al passato. La «Collina del Dragone», (Zmajevac), con i suoi 647 metri di altitudine, si estende per chilometri lungo tutto il perimetro dell’acciaieria,
215 D’ora in poi MZ. Comunità locale con poteri amministrativi nella gestione ordinaria del budget annuale assegnato dal Municipio di Zenica, da cui comunque dipendono.
intrecciandosi con la collina metallifera detta Brdo, e terminando ai piedi del villaggio di Gradišće, sonnacchiosamente abbarbicato tra quest’ultima e il massiccio montuoso di Lisac (1207 m.). Per raggiungere la «Cittadina» (etimologia del nome di Gradišće, risalente all’età neolitica: Bjleovitić, 1968), la strada impone una deviazione proprio all’altezza di uno dei varchi secondari della Mittal: un cartello piegato su sé stesso e completamente sbiadito, segnala lo svincolo per Gradište, con la «t» anziché la «ć», alimentando un infecondo dibattito sul corretto nome del paese. Girando a sinistra, lo sgangherato bus di servizio sulla tratta (un Neoplan riverniciato d’azzurro della flotta dismessa dall’Ufficio dei Trasporti del comune di Vienna, su cui campeggiano luminose e senza sforzo d’esser rimosse, le destinazioni della capitale austriaca) ingrana la ridotta e inizia la sua corsa, tutta in salita, verso la «sumraka zona», la «zona d’ombra» di Zenica (Avdo, Fabbro, abitante di Gradišće, C.P., 16/03/2019).
Dopo poche centinaia di metri il paesaggio si fa desertico: dune di sabbia, alte decine di metri si perdono a vista d’occhio ai margini della carreggiata, solcata da voragini che si aprono a destra e a sinistra, costringendo l’autobus a proseguire nel mezzo della corsia. Un via vai di camion dal carico fumante impongono in certi tratti un passaggio a senso unico, pena la demolizione anzitempo dei malconci cerchioni di ferro. I veicoli pesanti che si incontrano sono diretti alla discarica «Rača» (deponija Rača, abbreviato depo’) che, dagli inizi degli anni ’60, ha iniziato ad accogliere il materiale di scarto della Željezara, estendendosi in maniera incontrollata nel territorio di Gradišće. Girando leggermente a destra il Neoplan viennese svela all’osservatore uno scorcio babilonico: accanto a un vecchio kiosk rosso slavato (vecchie edicole di epoca jugoslava) giacciono, ammucchiate alla rinfusa, carcasse di auto, grandi rocce color ferro, rottami metallici arrugginiti dalla forma non identificata e, poco più avanti, file ordinate di bianchi sacchi di nylon da cui spuntano, irte come spade, punte di carbone color nero brillante. Pochi metri a sinistra del cumulo di ferraglia, due pali di sostegno conficcati nel terreno senza più la sbarra a tenerli uniti rappresentano l’ingresso della discarica, dove decine e decine di camion, ogni ora, entrano sversando indiscriminatamente, sul liminare della duna prescelta, il materiale di scarto dell’ArcelorMittal.
Un arcobaleno di colori si dà allo sguardo del ricercatore: il verde della collina metallifera, mutilata dalle miniere abusive a cielo aperto è lo sfondo agreste per un paesaggio marziano, fatto di una chilometrica distesa di dune dal tenue color giallo ocra, che si ergono per oltre quaranta metri dalla base su cui poggiano, interrotte unicamente dal solitario kiosk su cui incide debolmente ma
ostinatamente il rosso comunista dei tempi andati e da quell’informe ammasso di ferraglia dardeggiante sotto i raggi del sole.
L’immensa discarica, cerbero vigile dei passanti che ne attraversano il confine, rappresenta -come avrò modo di approfondire nei prossimi paragrafi- un elemento di rilevanza fondamentale per gli abitanti di Gradišće (e dei villaggi limitrofi), per l’ArcelorMittal e per coloro che oggi si trovano sulla collina, immersi nelle attività di estrazione di carbone (fig. 14).
Dalle parole degli abitanti del villaggio, in particolare da quelle di uno dei suoi rappresentanti più illustri, Salih Kovać a più riprese Presidente della MZ, le cause di un cambiamento radicale nel paesaggio e nell’economia del villaggio sono da ricercarsi nella dislocazione della discarica nel territorio di Gradišće , avvenuta agli inizi degli anni Sessanta:
Dal 1962 hanno iniziato a portare la roba qui... strahota (da far paura)... e adesso vedi quanto è immensa... prima qui era un paradiso, c’erano mulini ad acqua e campi di grano... giù fino alla sorgente Džomba ogni famiglia aveva il suo mulino... era tutto campi, frutta e c’erano le nostre enormi topole (pioppi)... le avevamo piantate noi come Omladina Tita (Giovani di Tito, uno dei gruppi d’azione giovanili, N.d.A.)... lì ci facevamo il Teferić (festa di paese) perché era un posto bello nel bosco... poi tutto è stato sommerso dalle berne (scarti ferrosi) dell’acciaieria e la collina è stata scavata dai minatori
[R., 20/06/2019]
Lasciandosi alle spalle la depo’ la strada si inerpica tra curve e tornanti, concedendo una vista mozzafiato sulla pianura della Bosna, su cui giace sonnacchiosa Zenica e la sua creatura d’acciaio fumante. La chiesa ortodossa del villaggio, bruciata e vandalizzata (fig. 15), rimane a bordo strada a testimonianza di un tempo in cui a Gradišće i giorni dedicati al proprio Dio erano due e non uno solo (la domenica per i cristiani e il venerdì per i musulmani). Se è vero che nel villaggio sono vissuti insieme serbi, croati e musulmani, è vero anche che le disparità nelle percentuali, oggi come allora, rimangono sensibili.
Nel 1991216 (un anno prima dello scoppio della Guerra) su un totale di 2.760 abitanti, la percentuale di bošnjak era del 91,3% (2.520), croati 4,0% (111), serbi 2,9% (79), mentre chi si definiva jugoslavo rappresentava appena l’1,8%. I dati dell’ultimo censimento ufficiale compiuto dalle
autorità federali nel 2013 ha visto la percentuale di musulmani aumentare fino al 98,0%, i croati ridursi all’1,2% mentre il registro serbo segnalava una sola unità su un totale di 2.414 residenti217. I fattori che hanno contribuito in maniera decisiva alla ripresa post-bellica del villaggio sono fondamentalmente tre, e hanno a che fare con lo sfruttamento non regolamentato di risorse già disponibili sul suo territorio: il commercio del legno grazie ai proventi del taglio indiscriminato e senza autorizzazione dei boschi circostanti; l’estrazione intensiva di ferro vecchio dalla discarica Rača, e infine lo sfruttamento abusivo di giacimenti di carbone dalla collina metallifera adiacente al villaggio e alla depo’. Questo tipo di economia informale che è andata sviluppandosi, ha reso Gradišće:
La Mjesna Zajednica più ricca di tutte le settanta Comunità Locali in cui è suddivisa la municipalità di Zenica... le case hanno tutte almeno 2 auto, la terra, televisione a 40 pollici, molti hanno un secondo lavoro, eppure la gente si lamenta... poi ha tre tonnellate di ferro in giardino! Il Mutevelija (braccio destro dell’Imam), mi diceva che c’è stato un tempo che avevano così tanti soldi raccolti il venerdì alla Džuma218 che erano 6 o 7 volte superiori a quelli degli altri džemat219!
[A.I., impiegato in azienda pubblica, originario di Gradišće, R., 11/04/2019]
La collina metallifera, i boschi di Lisac, la discarica dell’acciaieria hanno rappresentato i fattori determinanti di un’economia informale (fig. 16) che nell’ultimo Dopoguerra:
Ha salvato Gradišće... ha aiutato a costruire nuove case e rinnovare le vecchie... erano tutti soldi aggiuntivi... anche se lavoravi, nel tempo libero andavi lì [a Rača o nelle miniere,
N.d.A.] a scavare per un guadagno extra... per far su la casa, costruire qualcosa di nuovo...
se non ci fossero state queste cose illegali sarebbero rimaste solo case vecchie... l’80% sarebbe rimasto un pezzente... ilegalni radovi (i lavori illegali) hanno salvato Gradišće [Nermo, Operaio alla Mittal, C.P., 23/05/2019]
217 Popis stanovništva, domaćinstava i stanova u Bosni i Hercegovini, 2013. Allegato: «Stanovništvo prema
etničkoj/nacionalnoj pripadnosti, po mjesnim zajednicama» (Sarajevo, 2016).
218 Preghiera sacra del venerdì.
219 L’equivalente cattolico delle parrocchie. Le figure più importanti nel džemat sono l’Efendija o Hodža (Imam) e il suo braccio destro, chiamato Mutevelija. Quest’ultimo ha sottoposte sette persone che formano il džamijski odbor (comitato di moschea). Questa, in cooperazione con l’Hodža cura la vita del džemat. Per quanto riguarda le questioni di fede è l’Hodža il responsabile di ogni unità e il suo ruolo è preminente, mentre il Mutevelija si occupa delle questioni economiche, finanziarie, pratiche, logistiche.
Il giro di vite attuato dal Governo Cantonale negli anni Duemila per arginare il taglio abusivo dei boschi, risorsa di cui la BiH è molto ricca220 e che ha rischiato di ridursi fino a scomparire, ha portato, negli ultimi quindici anni, gli abitanti a concentrarsi sulle attività informali legate all’estrazione del ferro e del carbone.
Un detto emblematico si può ascoltare dagli anziani seduti nei giardini all’ombra di alberi colmi di prugne e mele cotogne, per capire la differenza tra Gradišće e i villaggi confinanti come Tetovo o Stranjani:
Sai come si dice dalle nostre parti? «L’operaio di Stranjani dopo il lavoro prende la zappa e va nell’orto a raccogliere la verdura, quello di Tetovo prende le capre e va a pascolare, quello di Gradišće prende la carriola e va a tirare su il ferro». Qui per anni tutte le case avevano 10, 20, 30 tonnellate di berne221 in casa nel giardino... roba da non credere! [Emin Skomorac, Pittore, abitante di Gradišće, R., 11/04/2019]
Risalendo le frazioni basse del villaggio222, si possono notare qua e là i segni tangibili di questi
business: tonnellate di ferro vecchio (berne) giacciono accatastate in bella vista nei giardini delle
case, a mo’ di «assicurazione, in attesa della risalita del prezzo del metallo, per poi essere rivendute» (B., C.P., 03/07/2019) (fig. 17). Alla domanda sul fatto se si fidassero a tenere grandi quantità di un bene così prezioso, uno dei proprietari di queste enormi berne da giardino mi rispose: «Adesso lo pagano così poco che venirlo a rubare non ne vale la pena! La gente lo tiene in giardino, dove ha spazio... quando il prezzo sale, se ha bisogno, lo vende» (Haro, [1994] C.P., 25/10/2018). Il territorio della Brdo (nome proprio della collina metallifera) dove oggi sorgono le miniere abusive e parte della discarica, una volta era occupato da miniere governative sul quale ancora oggi la sola RMU223 ha giurisdizione (e concessioni), in quanto terreno di sua proprietà.
220 Così ricca che in epoca socialista, la ditta ŠIPAD (Šumsko industrijsko Privredno Akcionarsko Društvo) di Sarajevo è stata per un periodo la più grande azienda europea esportatrice di arredamenti in legno in USA e Australia. 221 Materiale ferroso di scarto dell’altoforno.
222 Il villaggio di Gradišće è suddiviso in sei frazioni: Graja, Hinović (un tempo a maggioranza croata), Joković, Skorović, Zapoda, e una frazione più distaccata, Bukovica (fu a maggioranza serba), ultimo centro abitato prima della salita al Monte Lisac.
Le miniere sotterranee (jame) statali di Kozarci (dall’altro versante della collina rispetto a Gradišće e collegata con l’impianto di Stranjani)224, quelle di Podbreže, Siđe, Hasan Kovać225 furono chiuse e allagate tra il 1960 e i primi anni ’70 (Bjelovitić, 1968: 146), in quanto non più redditizie a causa della scarsa qualità del carbone estratto.
Nel 1988 la RMU si sobbarcò l’onere di riattivare -questa volta a cielo aperto- l’estrazione di carbone sull’altura di Gradišće, limitandosi però alla zona nord-orientale della collina, accanto al villaggio cattolico di Podbreže. L’operazione, dopo gli scavi iniziali, nel 1990 fu definitivamente abbandonata dalla Direzione poiché considerata poco profittevole per via della «eccessiva quantità di terra che avrebbero dovuto rimuovere prima di iniziare a guadagnare» (Said, Autista movimento terra alla RMU dal 1988 al 1990, C.P., 05/02/2019). Questa serie di circostanze determinò per gli abitanti del villaggio, una situazione favorevole:
Il carbone, grazie agli scavi della RMU, affiorava in superficie ed era quindi facile estrarlo abusivamente all’occorrenza... se fosse stato più profondo non avrebbero avuto la forza per andare così sotto, ma lo hanno trovato già lì pronto da tirare su... una volta trovato basta seguire la linea del carbone e scavare il corridoio in discesa
[dott. Ing. Arnaut, ex-Direttore tecnico della RMU, C.P., 18/06/2019]
Vista la legislazione bosniaco-erzegovese, che rilascia diritti minerari solo ad aziende governative, «coloro che privatamente estraggono carbone, lavorando senza concessioni o altre forme di contratto con il proprietario delle concessioni, mancano dei diritti per l’attività, il che li rende vulnerabili allo sfratto, ricadendo nell’illegalità» (The Mining, Minerals And Sustainable Development Project -MMSD-, 2002: 322).
Come sottolineato dalla letteratura antropologica sulle Artisanal and Small-Scale Mining (sempre più ampia, ma che finora non ha preso in considerazione il continente europeo), la grande maggioranza delle estrazioni minerarie artigianali a livello globale sono illegali, mancando dei necessari diritti concessionari (Del Gatto, 2003; Kambewa et al. 2007; Wood & Garside 2014; Zulu 2010). Nel caso delle miniere di Zenica, al di là delle categorizzazioni formali, per riferirmi a questo
224 Fu una delle tre miniere statali di Zenica, insieme a Stara Jama e Raspotoće. Chiusa definitivamente nel novembre 2019 dopo anni di bilanci in rosso, i suoi duecentoventicinque minatori sono stati ripartiti tra pre-pensionamenti e gli altri due stabilimenti (Nijaz, Presidente del Sindacato della RMU Zenica, R., 15/05/2019).
225 Così chiamata in onore del suo primo proprietario, cittadino illustre di Gradišće, in quanto fu miniera privata fino alla nazionalizzazione delle imprese, al termine della Seconda Guerra Mondiale.
universo propongo di utilizzare i termini in sintonia con le rappresentazioni dei diretti interessati, definendole ora come miniere private (privatne), ora abusive (divlije) o illegali (ilegalne).
Dal punto di vista giuridico, come sottolinea il dott. Arnaut, ex-Direttore tecnico della RMU: «Quella terra è nostra, nessuno può toccarla se non noi. Solo la RMU ha la concessione... quelli lassù, senza diritti rubano letteralmente il nostro carbone. Per la legge è un furto» (C.P., 29/06/2019). Anche coloro che sono legittimi proprietari di un appezzamento di terra sulla collina in cui si trovano i giacimenti (fuori dai confini non segnalati della proprietà della RMU), praticando l’estrazione su terreno privato ricadrebbero fuori dall’impianto legale, seppur in misura differente rispetto a coloro che operano abusivamente su terreni non di loro proprietà.
La confusione derivante dai processi di privatizzazione ha riaffermato processi di riappropriazione della proprietà pubblica (che fu «di tutti e di nessuno»), autorizzando implicitamente -in assenza di uno stringente controllo da parte delle istituzioni preposte- lo sfruttamento ad uso privato, di risorse statali altrimenti in abbandono:
Qui nessuno dice niente se vieni su e inizi a scavare... perché la terra non è di nessuno, cioè... è statale, quindi basta che trovi un punto dove iniziare e nessuno può dirti niente... la Polizia non fa niente e nessuno si preoccupa... usi la terra come se fosse tua diciamo... [A., Abitante di Gradišće, ex-minatore abusivo, operaio alla Mittal, R., 27/02/2019]
Gradišće appare inizialmente agli occhi dell’osservatore come un «mikro-svijet» (micro-mondo) in cui «Policija nema» (la Polizia non c’è), come viene ribadito dagli abitanti radunati nella piazzetta sotto la pensilina della fermata del bus, autentico foro sociale del paese (Elvedin C.P., 17/10/2018). I simboli tangibili più immediati e appariscenti dell’allentamento del controllo statale sul villaggio sono le automobili senza targa o non registrate, utilizzate sia per gli spostamenti tra i villaggi limitrofi, sia come spola tra il villaggio e le attività na Brdo (sulla collina). Qui, salvo i veicoli degli intermediari (tema che affronteremo nel prossimo capitolo), tutti i mezzi circolanti tra i sentieri che collegano le miniere (auto di minatori, jeep, trattori, camion utilizzati a vario titolo come trasporto terra) non sono registrati e viaggiano sprovvisti di targa, documenti e assicurazione. Per fare rifornimento a questa «flotta» di veicoli, che raramente transita sulle strade principali della città, Gradišće è attrezzata a dovere.
In un posto in cui «tutto è in nero» (HD., minatore abusivo, C.P., 25/09/12018), anche la pompa di benzina non potrebbe essere da meno.
Tra le diverse figure dell’indotto dell’attività mineraria informale (gommista, meccanico, alimentari, taglialegna, fabbro), quella più originale è senz’altro la benzinska pumpa (distributore di carburante) del villaggio. Con mio stupore, a poche centinaia di metri dalla piazzetta, un’anziana signora sulla settantina e dall’andatura insicura, risponde alle esigenze dei mezzi assetati di nafta (carburante) grazie al suo laboratorio/deposito appartato in garage, in cui assieme a prugne, mele cotogne e fagioli raccolti dall’orto, stiva litri di benzina in pratiche bottiglie di plastica.
Caro Latif... Gradišće ha le sue regole! Una di queste è sve na crno, sve! (tutto in nero!). Così è stato dopo la Guerra, quando tutti i campi del villaggio sono passati da essere
društvena svoijna (proprietà sociale) alle mani di chi era più sveglio o aveva conoscenze in
Comune a Zenica... c’era confusione a quel tempo e chi aveva le risorse ha tratto un grande profitto, molto più di quanto gli spettasse, imbrogliando tutto e tutti... così Gradišće è diventata nešto poseban (qualcosa di speciale), dove non regna alcuna regola dello Stato, dove non viene la Polizia, dove è tutto privato
[HD., C.P., 17/09/2019]
Auto senza targa, ammassi di ferraglia nei giardini, gente intenta a setacciare carbone proveniente dalla collina direttamente a bordo strada, sono alcuni dei segni evidenti di come questo villaggio -potenzialmente una piccola Municipalità (Opština) autonoma- si situi ai margini, se non al di fuori, della vita normata della città.
Nelle abitudini e nelle piccole convenzioni quotidiane, la discrasia tra città e villaggio è evidente e la centralità dell’elemento religioso si manifesta tanto nel linguaggio e nelle gestualità, quanto nel sistema di gestione delle relazioni sociali nel suo complesso. A mie spese, ho imparato velocemente che i saluti classici non sarebbero stati ben accetti in questo particolare contesto, feudo indiscusso del SDA226 partito nazionalista musulmano.
«Ma quale Zdravo, quale Dobar dan227! Qui usiamo solo Salamalejkum» mi venne rimproverato
dal vecchio Čoza (C.P., 20/09/2018), personaggio onnipresente nella piazza del villaggio, durante i miei primi passi in questo mondo. Per strada, in segno di rispetto, bambini e giovani salutano sempre per primi i più anziani, rivolgendosi loro in modo deferente, mentre fra adulti è sufficiente alzare il dito indice all’insù per salutare, a riassumere la formula: «Non c’è dio all’infuori di Allah 226 Nonostante la comparsa di maggiori resistenze nell’ultimo lustro.
227 Zdravo (ciao, salve), utilizzato come saluto in particolar modo in epoca socialista; dobar dan, saluto più neutro corrispondente all’italiano «buongiorno»; salamalejkum (pace su di te) saluto diffuso in tutto il mondo musulmano.
e Maometto è il suo profeta» (Knipp, 2017). Questa usanza, lontana dalle abitudini della città, suggerisce un rapporto più stretto degli abitanti del villaggio con la religione, intesa come importante principio organizzatore della vita collettiva della comunità (Karčić, 2013; Zrinščak, 2013). La saldatura tra politica, religione e norme sociali è evidente, soprattutto a partire dal Dopoguerra:
Poslije Rata (dopo la Guerra)228 le moschee si sono riempite... qui durante il Ramazan addirittura si prega nel cortile... rispetto a prima adesso l’Hodža è di gran lunga la persona che esercita la maggior influenza nel džemat, tutti lo rispettano. Insegna la fede ai bambini... lui guida la vita religiosa ma influenza la vita sociale, è normale... è tutto simile a come funzionano le vostre chiese
[Salih Kovać, R., 20/06/2019]
La figura dell’Hodža o Efendija (Signore, l’Imam, la guida religiosa), diventa quindi rilevante non solo per lo spirito, ma anche per l’influenza che ha nel mondo politico-sociale attuale, in grado di spostare o cementificare gli equilibri partitici locali. I rapporti che sono andati