IL SISTEMA MINIERE
3.2. In principio era una carriola
Nelle varie esperienze lavorative compiute sulla collina durante l’anno di campo, ho avuto modo di conoscere e ascoltare le storie di diversi minatori, molti dei quali hanno speso gran parte della loro carriera impiegati nelle diverse mansioni che l’estrazione artigianale di carbone richiede. Dalle loro voci è emerso come lo sfruttamento delle risorse presenti sulla Brdo non sia un fenomeno così recente: come riportato nel capitolo precedente, la RMU Zenica ha esercitato per un breve periodo265 l’attività di estrazione a cielo aperto, abbandonata precocemente in virtù dello scarso rendimento e dell’appropinquarsi del cataclisma politico e umanitario che da lì a poco avrebbe investito l’intera Regione. La crisi economica che colpì la Jugoslavia a partire dagli anni ’80, mitigata in parte dall’organizzazione dei Giochi Olimpici invernali di Sarajevo ’84 (Sekulić, 2002: 101), toccò tangenzialmente anche la città industriale di Zenica ma esplose fragorosa solo al momento della scissione delle Repubbliche Socialiste di Slovenia e Croazia, verso la fine del 1991, quando venne meno il mercato integrato jugoslavo che permetteva ai prodotti della bazna industrija (l’industria di base di cui la Željezara Zenica era capofila), di essere lavorati nelle aziende a più alto valore tecnologico del Nord.
Nel solco degli accadimenti storici di portata globale si situano le vicende di quanti, colpiti dalla crisi e disorientati dal crollo delle certezze su cui avevano basato la propria esistenza nel periodo socialista, hanno messo in campo strategie alternative all’ingresso nel mercato del lavoro normato, che fossero in grado di garantire -a prezzo di enormi sacrifici- la sopravvivenza e il mantenimento delle proprie famiglie.
Una storia che parte da lontano quindi, quella delle miniere artigianali di carbone di Zenica, figlia del vuoto istituzionale e legislativo causato dal cambio di regime politico ed economico.
Una delle cause che hanno caratterizzato queste pratiche «illegali» di accaparramento di risorse è stata precipuamente l’esodo di decine di migliaia di operai conseguente al ridimensionamento dell’acciaieria e di tutto il comparto dell’indotto legato all’industria pesante, a partire dal 1992. L’allentamento del rigido controllo statale, dovuto ai prodromi della crisi economica e politica che ha preceduto la distruzione violenta della Jugoslavia, sono stati fattori che hanno facilitato
l’approdo di manodopera informale sulla collina, laddove la risorsa carbone era allora disponibile in abbondanza.
Iniziato come mera strategia di sopravvivenza, è solo nell’ultima decade che il fenomeno delle miniere private ha assunto delle dimensioni considerevoli, che lo possono far assurgere al rango di vero e proprio «sistema economico parallelo», coinvolgendo oggi -secondo quanto registrato nel corso dell’etnografia- dalle 150 alle 200 persone (a seconda della domanda di carbone per riscaldamento legata alla stagionalità) per un numero totale di miniere attive stimate tra le 19 e 20 unità. Di queste, sette sono attive solo nei mesi autunnali e invernali, poco più della metà sono produttive per dieci/undici mesi l’anno ma solo un paio lavorano senza interruzione e a pieno regime per tutto il corso dell’anno.
I dati raccolti nel corso dell’etnografia collimano con quelli della «Komisija za kontrolu nelegalne
eksplotacije uglja»266 (Commissione per il controllo dell’estrazione illegale del carbone) che nell’ultima ispezione (tra il 14/03/2018 e il 16/03/2018), ha registrato nel territorio della collina 28 miniere illegali di cui 7 completamente abbandonate, 16 jame (miniere sotterranee, di cui 4 apparentemente inattive) e 5 grandi cop (miniere a cielo aperto)267. Gli esiti di queste ispezioni, il rapporto tra istituzioni preposte al controllo e le organizzazioni partitiche, così come l’affermazione di nuove vie di gestione della cosa pubblica (riflesso di una nuova economia morale post-socialista), saranno ampiamente dibattute e approfondite nel capitolo successivo, ricadendo a pieno titolo sotto il grande cappello tematico della corruzione.
Le storie di vita di quanti si sono ritrovati a lavorare in questo mondo occupazionale parallelo, si intersecano inevitabilmente con i macro-fenomeni che hanno caratterizzato l’intera Regione nei turbolenti anni ’90.
Uno degli esempi etnografici più significativi in questo senso riguarda la traiettoria di Z. [1966]: messo na čekanje (in aspettativa)268 dalla ŽZ nel 1991, decise di intraprendere la strada della collina imbastendo una jama insieme a un suo vicino (komšija):
All’epoca era davvero solo per sopravvivere (samo za preživljavanje), eravamo solo in due e avevo un figlio di un anno e mia moglie non lavorava... nella jama ci sono stato
266 D’ora in poi Komisija.
267 RMU: Report ufficiale n. 5028/18, del 19/03/2018; vedi Allegati n.5 e n.6.
268 Storica condizione in cui è piombata quasi metà della popolazione di Zenica nell’ultimo decennio del XX secolo; Ahmetadić e Gutić, Giornalisti, C.P., 23/06/2019.
dall’autunno del ’91 fino alle 12.00 del 2 giugno del ’92. Quel giorno me lo ricordo come se fosse ieri... ho detto al mio socio: «Ja ću u Ratu» (vado alla Guerra) e gli ho lasciato così, su due piedi, miniera, attrezzatura e paga della giornata
[Z., C.P., 22/07/2019]
Tornato a casa vivo per miracolo nel 1995, invalido dopo essere saltato su una mina, Z., è rimasto invano in attesa di un riconoscimento da parte dello Stato per cui aveva combattuto, che puntualmente non arrivò: «Allora io e altra gente come me abbiamo iniziato a fare qualche lavoro... illegale è normale... semplicemente perché lo Stato non ci ha dato altra scelta... tu però devi vivere (moraš da živiš)... a casa hai moglie e figli... che fai? Uno inizia ad estrarre carbone, un altro va a rubare la legna, altri il ferro... perché? Perché devi sopravvivere!» (Z, C.P., 12/12/2018).
Anche un volto noto di Gradišće, figura che già ricopriva incarichi dirigenziali di Partito prima della dissoluzione del sistema socialista e che divenne uno dei più longevi e apprezzati presidenti della Comunità Locale, si ritrovò -come molti altri- nella stringente condizione:
Di doversela cavare (da se snalazi)... devi sapere che appena finita la Guerra era addirittura peggio che in Guerra... non c’erano più berne, l’acciaieria non aveva lavorato per anni... all’epoca c’era solo il carbone per salvarci... allora in gruppo si andava nelle jame o dove affiorava a cielo aperto... letteralmente je bilo preživljavanje (era sopravvivenza)... il carbone che estraevamo un po’ lo tenevamo per noi per scaldarci, un po’ lo vendevamo per racimolare 4 o 5 KM al giorno, 2,5 €... (con una smorfia e un mesto sorriso, scuotendo il
capo) che vita dura era! Io lavoravo alla RMU come elettricista ma nel periodo turbolento
del Dopoguerra non c’era niente di niente... in Guerra in qualche modo c’erano i margini per vivere, una sorta di economia di contrabbando e la gente del villaggio riusciva a tirare avanti... ma dal ’96 dovevi trovarti un modo da se snalazi (per cavartela)... e quel modo, per molti, è stato scavare carbone sulla Brdo
[NS., R., 14/12/2018]
Una scelta, quella di intraprendere l’attività estrattiva sulla collina, dettata dalla mera necessità, dalle condizioni limite a cui era sottoposta la popolazione bosniaca a partire dalla fine del conflitto269 che per quattro anni aveva flagellato il Paese, e che a Zenica si intrecciava con il collasso delle grandi aziende collettive, RMU e ŽZ su tutte.
Emblematica a tal proposito la storia di LŠ, gigante di quasi 2 metri per 110 kg, mani permanentemente nere di carbone, che della collina ha fatto la sua seconda casa. LŠ fu infatti: «Il primo uomo a metter su una jama sulla Brdo (dice con un sorriso compiaciuto), o forse il secondo... quando ancora grattavi un attimo il terreno e trovavi il čumur (carbone)... quando la situazione era così disperata che anche mia moglie veniva a lavorare in miniera... c’era la Guerra cazzo!» (LŠ., C.P., 05/02/2019).
Personaggio notevole, LŠ detto «Perone» per via della sua corporatura ossuta, è a pieno titolo una memoria storica dei processi e dei mutamenti che hanno investito la collina e i suoi lavoratori a partire dagli anni ’90. Esubero della ŽZ fin dall’inizio della Guerra, scampò la chiamata alle armi al grido: «Samo budala vole Rat» (solo gli stupidi amano la Guerra) e insieme a una squadra composta da tre amici con le rispettive mogli, iniziò l’impresa che ancora oggi, trent’anni più tardi, continua a permettergli di condurre una vita più che dignitosa.
Come tutti i minatori della prim’ora, Perone ribadisce che: «Prima della Guerra nessuno aveva bisogno di lavorare così... poi è diventato un modo per mantenersi... ma all’inizio era tutto diverso rispetto ad adesso... c’erano le bombe! L’attività estrattiva era una cosa piccola, per poter dare da mangiare a nostro figlio... avevamo solo un piccone e un secchiello... altro che escavatori!» (LŠ., C.P., 12/12/2018). Questo chiarisce ancora una volta come la genesi di questo fenomeno risieda nella strategia dispiegata per far fronte alla miseria e alla fame che in quel periodo rappresentava a Zenica il labile confine tra la vita e la morte.
Classe 1963, LŠ oltre ad essere il più longevo dei minatori abusivi oggi in attività (30 anni di lavoro, che basterebbero per la pensione in una miniera legale)270, si può fregiare del titolo di «inventore» di un metodo che ha rivoluzionato l’estenuante lavoro d’estrazione sotterranea, inizialmente svolta solo in superficie:
Un mio amico era venuto qua a fare legna [sulla collina, N.d.A.] e aveva visto un pezzo di terra fumante... scavando un attimo aveva trovato un giacimento ben nascosto... io ho iniziato così... il mattino dopo sono venuto a raccoglierlo con un secchio e un piccone e caricarlo direttamente sul trattore... poi quello in superficie è finito... così ho deciso di provare a scavare sottoterra e seguire la vena (žila)... ma a un certo punto dovevo costruire qualcosa come una vera miniera... nessuno di noi era professionista (profesionalac) quindi
abbiamo fatto come ci sembrava più giusto... la legna la facevamo noi; avevamo solo due lampade, un piccone, secchi e carriola (ajzin, kanta i tačka)... una volta scavato il tunnel si riempivano le carriole che venivano portate su... il carbone veniva svuotato nei secchi e gettato sul rimorchio del trattore... una tonnellata era mezzo cassone271... niente sacchi, niente martelli pneumatici... tutto a mano! E le donne lavoravano come gli uomini! Tutto il giorno su e giù con le carriole... quando pioveva era un inferno, si scivolava, c’era fango ed era un casino salire su... un giorno mi sono detto: «Devo riuscire a fare meno fatica sennò non resisterò ancora a lungo... proviamo a unire 2 o 3 carriole, come dei vagončić (carrelli di miniera) e tirarle su in qualche modo...». Il problema era come non farle rovesciare, perché non c’erano binari... così ho pensato di prendere una vecchia vasca da bagno, usarla come base e metterci dentro le carriole... ma come tirarle su? Avevo un trattore, ci ho montato un verricello e allora bastava costruire un gancio a cui si attaccava alla fune e tirare... poi ho pensato: «Jebi ga perché non riempire direttamente la kada (vasca) senza le carriole?!». Ma l’incognita era se la kada avrebbe resistito agli urti contro le pareti tirandola su... mi ricordo bene la prima volta: abbiamo riempito mezza kada di prova e abbiamo tirato su... tutto perfetto jebi ga! (Emettendo un sommesso grido di gioia e alzando i pugni in
segno di vittoria mentre discutiamo in un bar del centro commerciale di Zenica)... Da lì è
cambiato tutto: abbiamo iniziato a riempirla fino all’orlo e usarla per tirare su... dopo poco la gente che passava sulla collina... gli altri minatori... vedevano questo sistema e venivano da me e chiedevano se funzionava... certo che funzionava, bastava rinforzare un po’ la vasca con del metallo ed era fatta! La voce si è sparsa velocemente e adesso, trent’anni dopo, tutti usano le kade per tirare su il carbone (fig. 21)!
[LŠ, C.P., 05/02/2019]
Oggi, a differenza di allora, nonostante la tecnica di estrazione sia rimasta la stessa, molto è cambiato, a partire dalla disponibilità di carbone, dagli attrezzi utilizzati, passando per la configurazione della manodopera, le motivazioni che sorreggono la scelta di lavorare in queste condizioni, per finire con l’aumento dei guadagni e con la costituzione di vere e proprie firme (ditte) altamente organizzate nell’estrazione e distribuzione del čumur (carbone).
Quest’ultimo, che inizialmente affiorava diffusamente, oggi non è più così facilmente disponibile e per iniziare un’attività di questo tipo, a detta di molti, «serve fortuna... pura fortuna o una buona
Nafaka272 per trovare una buona vena... quando trovi una tavola di roccia (kamen ploća), stai sicuro che lì sotto c’è carbone e questa è una verità, non solo una leggenda di minatori...» (S.K., R., 14/12/2018). Costoro infatti non dispongono di alcun tipo di mappa geomorfologica in grado di segnalare l’eventuale presenza di validi giacimenti da cui iniziare lo scavo, e l’unica strategia possibile è: «Provare, provare, provare e sperare nella fortuna (sreča), poiché nessuno riesce a guardare tra le rocce... purtroppo!» (I., C.P., 14/10/2019).
Il fatto di dover tentare qua e là prima di trovare un buon giacimento rappresenta oggi un problema particolarmente sentito da parte di coloro che lavorano nella jame, che si vedono «scippati» del suolo su cui potenzialmente lavorare, da parte di quanti «sono arrivati sulla collina con gli escavatori (bager) e hanno iniziato a scavare dove gli pare, distruggendo l’ambiente e rendendo più difficile trovare un posto libero dove scavare in pace... oggi è tutto più pericoloso» (SK., R., 14/10/2018).
Proprio questa nuova categoria di minatori/imprenditori trasferitasi dalla discarica alla Brdo, dotati di capitale e macchinari per il lavoro a cielo aperto, rappresentano lo sviluppo processuale del lavoro in miniera e il mutamento che è andato dispiegandosi sulla collina negli ultimi 12, 13 anni sia in termini di investimento sia di espansione del business del carbone.
Queste nuove figure, già incontrate nel capitolo precedente, sono il prodotto dell’ascesa e del declino dell’estrazione di ferro dalla discarica che, con il loro approdo, hanno rivoluzionato organizzazione e divisione del lavoro sulla collina, diventando a tutti gli effetti veri e propri «datori di lavoro» (gazda) e distanziandosi decisamente dall’idea di primaria necessità che ha accompagnato gli albori dell’estrazione abusiva di carbone.
Come raccontatomi da Ahmed, vecchio minatore ormai a riposo:
Tutti quelli con le macchine che sono stati cacciati da Rača circa 8 anni fa si sono buttati sulla collina... questi Tajkuni hanno cambiato la situazione... quando andavo io, era per sopravvivere! Adesso è tutto diverso... a questi che sono arrivati adesso non interessa niente di niente... loro vogliono estrarre sempre e sempre di più, guadagnare a qualunque costo...
pravi kapitalisti (veri capitalisti)... hanno portato delle novità, le macchine, i camion per
272 Nafaka è un concetto complesso, non traducibile, che sta a rappresentare una miscellanea inesatta di sorte, fortuna, caso, predestinazione e un pizzico intenzionalità. Nafaka «è e non è», come direbbero a Zenica. Avere una buona nafaka significa in qualche modo essersi meritato quel che di buono è capitato. Questa parola ha dato il titolo a uno
scavare a cielo aperto, generatori, illuminazione, martelli pneumatici, motoseghe, carburante... qualche gazda illuminato, sottoterra usa dei sistemi di ventilazione e uno addirittura mi hanno detto che ha preso dei caschi... la gente scava oggi per 150, 200 metri! Noi prima facevamo tutto a mano (ručni rad) altro che martello pneumatico!
[Ahmed, C.P., 16/03/2019]
La comparsa di queste nuovo tipo di minatore privato, dotato di capitale e mezzi meccanici, ha radicalmente mutato il sistema estrattivo originario, fondato sulla necessità, così come i rapporti lavorativi che erano andati creandosi na Brdo (sulla collina), contribuendo in questo modo ad ampliare la forbice delle disuguaglianze.
Per questi gazda (capi), infatti, l’estrazione del čumur (sia a cielo aperto che sotterranea): «È un business... mentre per noi che lavoriamo alle loro dipendenze è solo sopravvivenza... bisogna fare due discorsi diversi! (Parlando in tono serio) Un discorso vale per chi ci lavora, l’altro per chi è
gazda (capo)... per lui sì che è un business... devono cercare i clienti, comprare le attrezzature,
pagare di qua e di là, pagare i minatori... ma ci guadagnano davvero... sono due cose completamente diverse, loro hanno i mezzi, loro sono i capi» (Z., C.P., minatore spaccapietre, 04/12/2019). È in particolare con l’arrivo dei Tajkuni da Rača che va affermandosi un modello di gerarchizzazione del lavoro fondato sulla netta distinzione tra gazda e rudari (capi e minatori), frattura fondante che caratterizza oggi l’ambiente delle miniere illegali di carbone di Zenica. Stando a quanto riferitomi da AT., ingegnere presso la miniera statale di Stara Jama, secondo i verbali della Commissione per il controllo dell’estrazione illegale istituita sedici anni fa dalla RMU273:
All’inizio erano tutti dei poveri... non c’erano gazda o Tajkuni che facevano lavorare altri per loro... adesso invece queste forme di lavoro sono quasi la totalità. Sono pochissimi quelli che estraggono solo per sé o come una cooperativa... i gazda si arricchiscono giorno per giorno e fanno lavorare la gente senza assicurazione, senza sicurezza, senza niente... solo questi andrebbero perseguiti per me... questi non lo fanno per portare il pane ai figli (za prehraniti svoju djecu)... non pagano le tasse, non pagano i contributi agli operai, rubano in grandi quantità allo Stato e vivono come Hadžija274! Agli operai invece, a quelli che lavorano in quelle miniere illegali davvero per sopravvivere, bisognerebbe chiedere scusa
273 Rudnik Mrgog Uglja, le miniere statali di Zenica. 274 Come dei «veri signori». Vedi nota n.96 cap.1.
e dire: «Perdonateci ma così non potete più lavorare perché è troppo pericoloso»... d’altra parte però, lo Stato non crea in nessun modo un ambiente adeguato per poter lavorare dignitosamente in regola in questo Paese, quindi... io li capisco!
[AT., membro della Commissione per le miniere abusive, C.P., 23/07/2019]
Il problema di fondo che viene evidenziato anche da altri membri della Commissione riguarda il fatto che non vi siano a Zenica valide alternative lavorative, nessun clima favorevole agli investimenti e, di conseguenza, nessuno stimolo economico attrattivo in grado di ridurre il fenomeno delle miniere abusive: «Guadagnano bene lassù, conosco gente che ha rifiutato lavori alla Mital per scavare carbone... i capi hanno soldi, hanno sempre clienti, ogni anno estraggono centinaia di tonnellate di carbone... cosa devono fare? Andare a lavorare per qualche ditta a 500, 600 KM?» si chiede retoricamente Alaudin Čišić membro della Komisija (Commissione), riflettendo sulle misere opportunità offerte dal mercato regolare.
Le figure dei capi (gazda) sono, quasi per definizione, divisive: da una parte giudicate esempi di successo in un nuovo, competitivo contesto neoliberista; dall’altra sono visti come sfruttatori senza scrupoli arricchitisi alle spalle dei «propri» minatori.
Per Muharem Okan, Presidente dell’Associazione dei Veterani di Guerra di Gradišće:
Questa è gente che si fa il culo... non parlano e lavorano! Lavora oggi, lavora domani, il gruzzoletto cresce... compri il camion, compri il bager, compri questo e quello... non sono soldi arrivati preko noći (all’improvviso) ma è frutto del lavoro... questa è meritocrazia, questo è il capitalismo mio caro Latif, come dite voi in Europa...
[Okan, R., 03/04/2019]
Ciononostante, «la differenza tra gazda e rudari (capi e minatori) è enorme» (Čoza, abitante di Gradišće, C.P., 23/05/2019): per i primi, il guadagno netto giornaliero si aggira, a seconda del periodo e delle tonnellate estratte, tra i 300 e i 1200 KM, ossia tra i 150 e 600 € netti al giorno. Nel caso dei minatori (rudari) le paghe variano di poco a seconda della miniera in cui si lavora e, in media, si oscillano tra i 40-50 KM fino ai 70 KM al giorno, per sei giorni lavorativi a settimana (20-35 €).
Per quest’ultimi le condizioni di lavoro sono sconcertanti: «Ogni giorno è un rischio per la vita e tutti sono consapevoli di questo... è un lavoro ingrato e durissimo fisicamente... non sono miniere con tutti i sistemi di sicurezza... e loro non sono professionisti per questo è pericoloso» (Prof. E.
Bujak, R., 24/11/2018). La possibilità di lavorare e guadagnare uno stipendio più alto della media si scontra chiaramente con la precarietà di un futuro sempre in balia delle decisioni del proprio
gazda, in totale assenza di ogni tipo di diritto e tutela, in cui «nessuno ti può garantire che domani
lavori... nessuno ti può garantire che risalirai con le tue gambe, una volta sceso giù» (ibid.). La questione dirimente all’interno del contesto etnografico, e che vale la pena sottolineare in chiusura di paragrafo è dunque la profonda modificazione della struttura organizzativa delle miniere che è andata ad influire sul tessuto delle relazioni lavorative sedimentate da anni sulla collina. L’ampliamento del circuito informale del carbone, dovuto in gran parte alle maggiori quantità di combustibile estratte grazie alla meccanizzazione del lavoro, ha contribuito alla trasformazione delle ragioni con cui i nuovi gazda esercitano tale attività abusiva, del tutto mutate rispetto alle necessità dettate dall’indigenza, che spinsero i primi minatori privati a rischiare la vita per il prezioso oro nero. L’impulso dato dal capitale accumulato attraverso lo sfruttamento intensivo della discarica Rača ha comportato l’esportazione sulla collina del modello di lavoro