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Inat, Robijaši e dintorni

ČELIK JE DIO ŽIVOTA MOG

1.1. Inat, Robijaši e dintorni

Intento a chiacchierare con i passanti sul Kameni Most, il ponte che unisce le due anime della città vecchia, si può trovare tutti i giorni, fino al tramonto, il vecchio Sejo, leggenda di Zenica e fondatore del gruppo di Ultras dei Robijaši. Tenendo banco nei discorsi tra amici e conoscenti, cura da lontano la sua bancarella montata accanto all’intramontabile bici azzurra, dalla ruota posteriore sempre troppo sgonfia, pronto a intervenire nel caso in cui qualche avventore volesse comprare qualche gadget del Čelik o l’unica, sbiadita maglia della Raprezentacija61 con il numero 11, vessillo del Capitano, nato e cresciuto sotto le granate della Sarajevo assediata: Edin Džeko, Dijamant (Diamante). Di tanto in tanto il primo dei Robijaši si prende una pausa dalle pubbliche relazioni per rilassarsi ad un bar accanto al ponte; è lì che all’occasione ci fermiamo a discutere sul campionato italiano, sulle prestazioni del Čelik62, sulla direzione arbitrale della giornata, sullo scoramento dei tifosi per la stagione deludente, finendo immancabilmente per rivangare i fasti del passato, non solo della squadra ma di tutta una società che oggi, fatalmente: «Hoće da ide naprijed

al’ gleda na retrovizoru» (vuole andare avanti ma guarda nello specchietto retrovisore), per citare

la massima del defunto Prof. Jalimam, Storico di professione e Professore all’Università di Zenica, autore fin dagli anni ’70 della serie di monografie dedicate alla città (Safet, C.P., 06/03/2019). Sejo Čerimović, capo Ultras, ex circense e lavoratore in pensione del KP Dom (carcere della città), non ha perso nemmeno una partita della sua squadra e ricorda come il nome scelto per gli Ultras derivi proprio dalla sua esperienza di lavoro in prigione, altro famigerato mesto simbolo della città. Già di diritto entrata nell’immaginario collettivo jugoslavo come «najgore mjesto na Balkanu» (il peggior posto dei Balcani)63 in quanto carcere di massima sicurezza in cui sono stati ospitati oppositori politici, assassini seriali accusati dei crimini più efferati, ospita oggi perlopiù criminali di guerra, stupratori, pluriomicidi, rapitori ed ergastolani condannati al carcere duro (Jalimam, Marić e Spahić, 2008). Impostata «sul modello irlandese che permetteva ai carcerati di lavorare

61 Nazionale di calcio della BiH.

62 Fino al termine del campionato 2019-2020 il Čelik ha militato nella Premier League bosniaca. Nell’agosto 2020, a causa della decisione di abbandonare la società da parte del Presidente turco e travolta dai debiti, la squadra è passata nelle mani dei Robijaši, il cui Consiglio Direttivo ha deciso per la ripartenza dall’ultima categoria, la

Kantonana Liga. Fino a fine 2020, tutte le partite di campionato sono finite con risultati tennistici a favore degli

zeničani.

63 Un recente reportage dell’autorevole portale croato Express.hr ha messo in luce le condizioni dei detenuti al carcere di Zenica, dimostrando come violenza, sfruttamento sessuale, spaccio di droga siano all’ordine del giorno.

nella piccola fonderia interna» (Jalimam, 1999: 49), oltre ad essere stata la più grande prigione jugoslava (attualmente la più grande della BiH), deve la sua fama -oltre alla severità del regime carcerario impostovi- alla caratura dei personaggi che da qui sono passati. Tra gli «ospiti» più celebri si annoverano figure che non solo hanno cambiato le sorti della Regione ma che hanno lasciato un’impronta indelebile nei manuali di Storia di mezzo mondo: Gavrilo Princip e i compagni della Mlada Bosna64, Alija Izetbegović65 primo Presidente della BiH indipendente, Vojislav Šešelj66 e il premio Nobel per la letteratura del 1961, Ivo Andrić67 (Jalimam, Marić e Spahić, 2008).

Di questo luogo, tanto esecrato quanto ammantato di storia, ha causticamente narrato le gesta una delle band jugoslave più famose e influenti degli anni’80, i Zabranjeno Pušenje (in cui militò, tra gli altri, il pluripremiato regista e musicista Emir Kusturica)68 nella loro Zenica Blues, il cui il ritornello -vero e proprio tormentone dell’anno 1984- lascia un ricordo poco benevolo della città:

Zenico mrzim svaki kamen tvoj Zbog tebe ja mrzim život svoj

Ko preživi dvanaest godina u K.P. domu Zenica Taj je pravi Hadžija

O Zenica, odio ogni tua pietra a causa tua, odio la mia stessa vita

chi sopravvive 12 anni al carcere di Zenica quello è un vero Hadžija69

Sull’onda del successo della band sarajevese e della popolarità che ebbe l’Istituto Penitenziario di Zenica a seguito della hit musicale, venne creato nel 1988 il movimento Ultras organizzato chiamato Robijaši70, teso a raffigurare un gruppo sociale che istintivamente rimanda a sensazioni poco rassicuranti, volto a intimidire le tifoserie avversarie: i Galeotti.

64 Gruppo di giovani bosniaci (di tutte le confessioni) che si battevano per l’indipendenza dei territori occupati da Vienna. A Zenica insieme al Princip, furono detenuti gli altri partecipanti all’attentato dell’erede al trono Francesco Ferdinando, Čubrilović, Čabrinović e Mehmedbašić (Dedijer, 1966).

65 Primo Presidente della BiH e del partito nazionalista bosgnacco SDA, che promosse il Referendum che portò all’indipendenza della BiH dalla SFRJ e alla conseguente Guerra di Bosnia.

66 Criminale di Guerra nato in BiH, politico ultranazionalista serbo, capo delle milizie paramilitari «Aquile bianche» e attuale deputato del Partito radicale serbo al Parlamento della Serbia. Divenuto famoso, oltre che per le sue teorie pan-serbe, per il suo comportamento sprezzante e deplorevole durante il processo all’Aia al Tribunale Internazionale per i Crimini in Jugoslavia, in cui si è autodifeso.

67 Premio conquistato per il romanzo storico dal titolo Na Drini Ćuprija (1945). In italiano: Il ponte sulla Drina (1960). 68 Bosniaco, naturalizzato serbo dopo lo scioglimento della Jugoslavia.

69 Termine che sta ad indicare colui che ha compiuto il Pellegrinaggio alla Mecca. Nel linguaggio popolare utilizzato per indicare un uomo fortunato, «che se la passa bene», un «signore».

70 In sostituzione dei precedenti gruppi di tifosi organizzati, tra cui vale la pena ricordare gli Smogevi, dal termine smog, chiaro riferimento all’altissimo tasso di inquinamento presente in città.

Immediatamente riconoscibili per via del simbolo che campeggia su felpe, sciarpe e striscioni, rappresentante un inconfondibile volto deforme con spinello in bocca, orecchini e cicatrice, i

Robijaši sono entrati nell’immaginario collettivo come una forza resiliente dirompente in grado di

catalizzare l’attenzione di media e politica, come sottolineato anche da Branimir Tucaković71 ex-giocatore e funzionario del club, nella sua monografia Čelik zauvijek (Čelik per sempre, 2013). Non solo riconoscibili ma anche temuti e rispettati dagli altri supporters per via di un’organizzazione orizzontale e capillare che, fino a qualche anno fa, coinvolgeva migliaia di supporters che ogni settimana si ritrovavano sulle gradinate del «Bilino Polje». I numeri dei tifosi che si muovevano a Zenica non erano lontanamente immaginabili per la maggior parte delle squadre dell’intera Regione:

Fino a due anni fa la media del «Bilino» era di 7.500 spettatori a partita... solo il «Maksimir»72 a Zagabria faceva di più in tutta la Regija73... questo ti fa capire quanto la gente sia appassionata qui [...]. A Zenica non c’è molto da fare e allo stadio ci vanno tutti... la gente ama il calcio, qui siamo pazzi per il calcio... per questo siamo i tifosi più forti [Igor detto «Giga» [1988], C.P., 26/07/2019]

Un gruppo, i Robijaši, che nel contesto post-bellico caratterizzato da decenni di profonda crisi strutturale, economica e morale e dallo sgretolamento dei dogmi che hanno retto la società fino agli anni ‘90 (Čaušević, 2013; Ringdal, Listhaug e Simkus, 2013), ha saputo porsi come centro gravitazionale aperto, inclusivo e resistente soprattutto per i giovani della città, facendo riferimento ai principi socialisti di Bratstvo i Jedinstvo (Fratellanza e Unità)74, oggi avversati dal sistema politico nazionalista. In campo artistico questo avviene attraverso l’utilizzo della forma espressiva dei murales, rifacendosi ai temi cari alla corrente socrealista, in opposizione al «modello dominante etno-ghettizzante, figlio della Guerra e del potere nazionalista» (Prof. Delibašić [1964], R., 05/04/2019).

Così come spesso è accaduto nelle relazioni che sono venute a crearsi sul campo, la questione nazionale non è mai emersa come dirimente, tanto che fin dai primi giorni alcuni colleghi dell’Università di Zenica auspicavano un approfondimento sulle tematiche nazionali proprio a

71 † Marzo 2019.

72 Stadio della Dinamo Zagabria. 73 Regione.

partire dall’analisi delle relazioni all’interno della tifoseria, in cui «il capo Ultras è un serbo, la gente viene da Vitez, Žepće, Busovaća75 e insieme si canta, si salta e si beve»76, avvertendo questa situazione come extra-ordinaria rispetto ad altre zone del Paese.

Durante tutta una stagione in curva, anche davanti a cori e striscioni di chiara matrice nazionalista separatista (in particolare con i croato-bosniaci dello Zrinski Mostar e dello Siroki Brijeg e contro i serbo-bosniaci del Borac di Banjaluka), la tensione etno-nazionale pareva dissolversi nell’ennesimo grido di incitamento della propria squadra, scandendo a gran voce un unico coro: «Ovo je Bosna» (Questa è Bosnia). Nelle le operazioni estive di restauro di alcuni murales in città ho avuto modo di conoscere più da vicino alcuni capi Ultras e tifosi storici che hanno ben chiara la direzione della compagine in materia di sentimento nazionale (fig. 7):

Qui non guardiamo queste cose... Zenica è una città multietnica e sempre lo sarà... i politici sono nazionalisti, gente di destra... noi non stiamo da nessuna parte... a noi non piacciono gli altri tifosi per via della squadra che tifano, non ci interessa niente della nazionalità, né sul campo, né nella vita di tutti i giorni [...]. Per quanto ci riguarda, come tifosi, non c’è nessun risentimento nazionalista [...] in città forse può esserci... ma tra di noi non c’è niente di simile... come Robijaši, siamo tifosi e amici e nelle nostre relazioni non c’è nemmeno questo pensiero... cattolico, musulmano, serbo, croato?! Non esiste proprio il pensiero capisci?

[Š. detto «Debeli» -il Grasso- [1996], C.P., 26/06/2019]

Sembrerebbe che le differenze nazionali e religiose presenti in questo gruppo siano state oggetto di elaborazione, in modo tale che non vi sia alcuna ragione per cui possano costituire un problema. Siamo ben lontani dalla situazione deprecabile in cui mi sono ritrovato cinque anni orsono, quando a Prijedor, durante la partita con il Sarajevo, furono intonati cori inneggianti a Ratko Mladić, «il macellaio dei Balcani»77 che portarono la squadra locale a giocare a porte chiuse tutta la stagione.

75 Paesi confinanti, a maggioranza assoluta croato-bosniaca.

L’espressione è utilizzata per mettere in luce la partecipazione di gruppi croati nelle frange ultras del Čelik. 76 Riferimento alla componente musulmana. Il divieto di consumare bevande alcoliche imposto dalla dottrina islamica non viene rispettata in maniera pedissequa (salvo qualche eccezione) all’interno della tifoseria.

77 Generale dell’Esercito della RS, condannato dal ITCJ per genocidio e crimini contro l’umanità, durante la Guerra di BiH e diretto responsabile dell’Assedio di Sarajevo che costò più di undicimila morti.

L’atmosfera distesa e conciliante tra gli Ultras di Zenica si esprime concretamente nei lavori collettivi che i ragazzi dei diversi gruppi organizzati78 portano avanti per mantenere le loro opere

murarie all’altezza della loro fama:

Il nostro gruppo non è basato solo sulla partita... se qualcuno ha bisogno di aiuto, se succede qualcosa, non sono io privato ma siamo noi, come gruppo, ad aiutare. Non siamo tifosi, non siamo amici... (con enfasi, aumentando il tono della voce) mi smo braća (siamo fratelli)... ok siamo una subcultura come altre e ci sono anche le cose negative tra di noi... è normale, ma la relazione che c’è, va oltre la partita, esiste nella vita di tutti i giorni [...]. Tutte le religioni alla fine dicono di non uccidere e non rubare quindi in fondo siamo tutti uguali... guarda qui, io musliman, lui katolik (indicando Giga alla sua sinistra)...mentre lui è ortodosso, credo... (alzando la testa e chiedendo conferma al tifoso alla sua destra, intento

a dipingere)... ehi Mešeš sei ortodosso tu? (il compagno annuisce serenamente)... ecco

finalmente quello che ti volevo dire... ma lo hai visto da te... tre religioni diverse che hanno visto la Guerra, stanno qui insieme a lavorare... e domani mattina tutti insieme in trasferta! E adesso se vuoi una birra, prendila pure, le abbiamo un po’ nascoste per non dare una brutta impressione alla cittadinanza ma tu sei cattolico e puoi bere!

[Ibrahim [1986], C.P., 26/06/2019]

Pronunciatomi ateo, Muijke, tifoso di lunga data, prontamente precisa: «Bene! Non preoccuparti, ognuno qui rispetta quello che l’altro vuole essere... živjeli! (salute!)» (C.P., 26/06/2019).

In un sistema civico come quello bosniaco, in cui i valori di riferimento sembrano essere ciclicamente annullati e rimodulati in funzione del colore di casacca al governo, nella rincorsa spasmodica dell’Anno Zero evocato ad ogni cambio di regime (Drakulić, 1993), lo «stile Robijaši» sembra essere ancorato e perfettamente in sintonia con linee di pensiero che precedono la svolta nazionalista degli anni ’90, mettendo in crisi quelli che sono i valori tradizionali e conservatori che la politica locale ha abbracciato nel nuovo millennio.

Oltre a porsi in antitesi rispetto alle correnti nazionaliste che animano la scena pubblica della città, attraverso il grande boicottaggio del tifo durato dal 2014 al 2017, i Robijaši hanno cercato di mettere in atto uno dei primi esperimenti di azionariato popolare nell’Est Europeo, per cercare di strappare il club dalle mani di un’amministrazione che utilizzava la compagine sportiva come 78 Steel City Ultras, Odabrani, Lifestyle Convict, Uzavreli Front, Illegal Crew, Zenica Boys e Josip Broz Čelik sono i nomi dei gruppi organizzati per mahale, parola turca riferita ai quartieri in cui è divisa la città.

bancomat per finanziare i propri interessi privati. È al grido di: «Jedan član, jedan glas» (un membro, un voto) che nel febbraio 2016 sono scesi in piazza più di 7.000 tifosi, dando vita alla più grande manifestazione avvenuta in città dalla fine della Guerra e che portò, un anno più tardi, alle dimissioni dell’intero blocco societario.

Dopo i successi degli anni ’90 nel nuovo campionato nazionale bosniaco, il club sta attraversando, da più di un decennio una profonda crisi finanziaria e gestionale, che ha avuto profonde ripercussioni anche a livello politico, dove il destino della società è più volte passato per le campagne elettorali dei candidati Sindaci, che hanno scorto nei tifosi vere e proprie leve elettorali in grado di spostare gli equilibri partitici al potere:

Sempre, sempre c’è stata influenza della politica nel club... c’erano sempre 10.000 persone, allo stadio, per questo motivo tutti i politici pensavano che grazie ai tifosi sarebbero riusciti a raggiungere i loro obbiettivi elettorali... sfruttando la gente comune... un cavallo di battaglia elettorale per tutti i Sindaci che si sono candidati è sempre quello di aggiustare la situazione finanziaria della squadra... ma questo ti dà l’idea di una cosa: è la prova di quello che significa a Zenica il Čelik... è fondamentale per la città, per i tifosi e per la politica [Ibrahim, R., 26/06/2019]

Una situazione conflittuale quindi, che pone gli Ultras della squadra in una posizione fuori dagli schemi, non solo nell’attuale panorama politico della città, ma anche lontano da altre strutture di tifo organizzate ed estremamente nazionalizzate, presenti soprattutto nella regione erzegovese. Nel segno degli Hajduci79, mitiche figure storiche legate alla resistenza antistatalista nella Regione, i Robijaši (e come si vedrà nei capitoli successivi, in maniera analoga seppur con finalità differenti, gli stessi minatori abusivi) si pongono come alternativa ideologico-politica apartitica allo schiacciante predominio delle narrazioni fortemente divisive, categorizzanti, nazionalizzanti che dominano la scena pubblica bosniaca, fendendone il sistema educativo, economico, mass mediatico e artistico (Hasibović; Perry; Torsti in Listhaug & Ramet, 2013).

Attraverso un substrato filosofico in grado di sparigliare l’ordine costituito, un particolare tratto distintivo viene elevato a motore propulsivo in grado di guidare le azioni del collettivo: l’inat.

Il Čelik è come una sorta di religione... je ljubav (amore), qualcosa che non sui può scrivere... noi siamo portatori di una identità... noi, Robijaši d’acciaio abbiamo una

mentalità propria, non so come dire... lokal patriotizam80... in città la maggior parte sono zeničani, nati qui, cresciuti qui, mentre a Sarajevo, come ogni grande città, hanno più dispersione, anche di squadre: Željo, Sarajevo i Olimpik81... invece qui solo il Čelik... noi siamo al momento la tifoseria più forte della BiH perché da altre parti non c’è quella forma di socialità contagiosa... perché dove c’è l’industria pesante le persone hanno un carattere più forte, sono più unite... non importa chi sei! Grazie al duro lavoro le persone hanno energia, forza nella vita... la differenza tra noi e gli altri tifosi sta tutta in una cosa... l’inat [Giga [1989], C.P., 27/07/2019]

Definito dal filologo Anić (Hrvatski jezični portal) come: «Agire deliberatamente contro la volontà di un altro per orgoglio, arroganza o amore di sé; intransigenza appassionata, sfida», celebrato ed enfatizzato durante le Guerra degli anni ’90, inat si propone oggi come distintivo di un atteggiamento, di un modo di approcciarsi alla vita e alle mutevoli situazioni, senza arretrare di un passo, semmai perseverando con caparbietà, ostinazione e protervia.

Sarebbe quindi nella forza euristica dell’inat e nella coscienza di classe legata alla tradizione industriale fortemente collettivizzata della città, che risiederebbe il valore aggiunto che rende il panorama del tifo a Zenica un unicum a livello nazionale, differenziandolo dalle altre tifoserie del Paese. Questo aspetto viene sottolineato anche dal Rettore dell’Università di Zenica:

Il fatto che qui in città vi fosse lavoro per tutti ha attratto migliaia di persone dall’intera Jugoslavia e dall’Europa... per poter funzionare, le cose dovevano basarsi su una serie di valori che potremmo definire universali... essere aperti, kozmopolitizam (cosmopolitismo) diremmo oggi... il Čelik era il polo di aggregazione di tutti, in particolare dei lavoratori che dopo una settimana di fatiche potevano contare sulla loro squadra, che era veramente loro perché ne erano i finanziatori... la partita della domenica era il divertimento popolare per eccellenza, un elemento cardine nella vita dei cittadini, in particolare degli operai che di gran lunga preferivano il «Bilino Polje» al teatro, alle mostre o ai concerti... per questo il Čelik e i suoi tifosi, in quanto classe operaia, costituiscono una sfera estremamente importante per carpire le relazioni nel tessuto sociale della città e nel nostro modo di vivere [Prof. Kukić, R., 24/06/2019]

80 Patriottismo locale.

81 Željenicar (Željo; la squadra dei ferrovieri) e F.K. Sarajevo sono squadre blasonate della capitale che militano nella Premier League bosniaca, la massima divisione. L’Olimpik milita nella serie cadetta federale, la Prva Liga FBiH. Anche nel campionato di calcio, ad esclusione della massima serie, esistono tornei distinti tra FBiH e RS.

Nonostante la definizione classificatoria di Anić, parlare di inat significa addentrarsi in un campo semantico confuso, ambiguo e quanto mai sfuggevole ad ogni rigida definizione e classificazione. Alla domanda: «Cosa è inat?» da Zenica a Belgrado difficilmente sentirete una risposta chiara e univoca82.

«Teško je to obijasniti» (è difficile da spiegare). Probabilmente inizierà così l’introduzione del

concetto da parte del vostro interlocutore, sia esso serbo, croato o bosniaco, professore universitario o minatore, operaio o medico.

In relazione agli avvenimenti tragici che hanno falcidiato i Balcani durante tutti gli anni’90, inat è stato a più riprese elevato a caratteristica fondativa dell’identità popolare, trascendendo in questo modo il significato dell’originale lemma turco, per assumere nell’intricato contesto balcanico, un contenuto sincretico ma assai potente (Djilas, 2003; Jovanović, 2008, Milović, 1999). Avere ben chiaro cosa rappresenti inat nel contesto bosniaco-erzegovese risulta tanto problematico quanto necessario, alla luce del continuum storico in cui esso si inserisce.

Atteggiamento avvicinabile al mondo degli Hajduci, formazioni di combattenti protagonisti delle insurrezioni e delle guerriglie contro l’Impero Ottomano (diventati nel tempo sinonimo di insorto e patriota), può rappresentare un tenace spirito guerriero, sprezzatura del pericolo, impresa martirizzante dal sapore stoico, spavalderia animata da moto d’orgoglio e dal sentimento di sfida, con cui questi personaggi leggendari hanno ostinatamente e persistentemente portato avanti la loro lotta contro l’avversario nonostante la disparità d’armi, mezzi e la grandezza del nemico (Petrović, 2000).

Presenti anche durante la dominazione austro-ungarica come sacche di resistenza alla colonizzazione di Vienna, attraverso i secoli sono stati oggetto della tradizione folklorica popolare, catapultate nella poesia, nei miti e nelle fiabe musulmane, come nel caso di Mujo Hrnijca, hajduk musulmano del XVII secolo o dell’eroe epico Alija Đerzelez, entrambi portatori di «identità sovversive» (Kunić, 2018: 169)83.

82 Utilizzato in particolar modo in Serbia e BiH.

83 Il filone di studi relativo ai miti e alle leggende della tradizione bosniaco-erzegovese è decisamente ricco e negli ultimi anni è andato concentrandosi sui moti sincretici che hanno portato ad una commistione di caratteri dei personaggi che popolano la letteratura classica d‘area. Nello specifico, risulta saliente in gran parte della tradizione