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Dalla denotazione generale all’espressione di una sematica densa: la metafora

9. Bernhard Schlink: A voce alta - The Reader

The Reader, uno dei film di successo della 59esima berlinale (2009)43, ispirato a un romanzo di Bernhard Schlink (Der Vorleser, 1995)44, tratta di un dramma ambientato nella Germania postbellica.

Il film, come il romanzo, focalizza il motivo della lettura ad alta voce, collegandolo intimamente a quello dell’analfabetismo, motivo quest’ultimo a sua volta identificato come il nodo cruciale che inve-ste specialmente quella condizione inquietante e contraddittoria che può rendere l’uomo al contempo fragile e criminale.

Il romanzo A voce alta è scritto e narrato in prima persona dal protagonista, Michael Berg, un professore di storia del diritto, divor-ziato e già padre di una figlia quando decide di tradurre in scrittura l’avventura più intima e drammatica della sua biografia amorosa, nel tentativo di elaborare «un dolore» rimasto fino ad allora «inconsape-vole» e «non riconosciuto»45.

Michael incontra durante la sua adolescenza, all’età 15 anni, Han-na Schmitz uHan-na bigliettaia più che trentenne, che lo aiuta mentre vie-ne colto in strada da un malore.

Dopo essersi rimesso da una lunga malattia riesce a ritrovare la donna alla quale lo legherà un’intensa relazione d’amore scandita, durante i loro incontri, da un vero e proprio rituale della lettura. Han-na infatti chiederà presto a Michael di leggerle a voce alta i libri che sta studiando al liceo. I classici antichi, tedeschi e anche stranieri saranno così al centro di questi incontri amorosi rituali nei quali si intrecciano la voce, l’ascolto e i corpi dei due amanti. Hanna però nasconderà a Michael il suo segreto: l’analfabetismo del quale si ver-gogna profondamente.

Ora, accade che all’improvviso e senza alcuna spiegazione Hanna sparisce dalla vita del suo «ragazzino», lasciandolo confuso e op-presso da un senso di colpa. Ma uno stupore ancora più traumatico coglierà dopo alcuni anni il giovane studente in legge, che riconosce

43 Regia di Stephen Daldry, sceneggiatura di David Hare, con David Kross, Kate Winslett e Ralph Fiennes.

44 b. scHlinK, A voce alta. The Reader [1996], Garzanti, Milano 2009.

nell’aula del processo che si sta celebrando nei confronti di alcune imputate per crimini nazisti, la sua ex amante. Sull’accusa rivolta alla signora Schmitz pesa per di più l’aggravante dello sfruttamento a fini personali, di alcune ragazzine, le sue protette, scelte a turno tra le prigioniere più giovani e più deboli del Lager, e riunite ogni sera nella sua stanza perché leggessero per lei, prima di essere selezionate e spedite a morire.

Questo incomprensibile comportamento, per il quale la stessa imputata non sa e non vuole dare alcuna spiegazione, costituisce in effetti il punto più opaco e sfuggente della storia, non solo per Mi-chael, ma anche per il lettore del romanzo e lo spettatore del film, che rischiano di proiettare fantasmi perversi su una tale pratica di lettura, almeno fino a quando il testo non chiarirà che durante quelle riunioni le prigioniere, per loro esplicita confessione, erano soltanto obbligate a leggere ad alta voce. Michael tenterà allora di concedere delle atte-nuanti all’assurdo gesto di Hanna la quale, con tale obbligo, avrebbe sottratto le sue protette alle fatiche ben più disumane cui erano sot-toposte le altre prigioniere del campo prima di passare attraverso la cosiddetta selezione.

Questo desiderio di lettura che Hanna può soddisfare nel Lager costituisce forse l’unico spazio di godimento per la giovane sorve-gliante illetterata, un godimento dai tratti fatalmente ambigui, data la cornice sadica nella quale esso si appaga, ma che consente para-dossalmente e tragicamente l’unico momento di umanizzazione del desiderio ad un soggetto analfabeta e criminale. Le scarne notizie sulla sua povera biografia confermano che la sorvegliante ha bisogno di queste letture, ha bisogno di nutrire il suo immaginario di ragazzi-na mancata a cui sono state forse rubate l’infanzia e l’adolescenza. I giovani dell’allegra brigata non si erano del resto rifugiati in un luogo al riparo dal contagio della peste46? Come quei giovani, anche Hanna si ritaglia, attraverso i racconti letti dalle prigioniere, il suo rifugio immaginario lontano, per quanto le è possibile, dalla peste del Lager. All’ordine criminale del campo al quale è condannata a obbedire,

46 Cfr. g. boccaccio, Decameron, a cura di V. Branca, Torino, Einaudi 1980, pp. 32 ss., nelle quali Pampinea con riferimento «alla conservazione della nostra vita» giustifica la fuga dall’appestata Firenze.

ella alterna la libertà della lettura. La scelta estrema del suicidio da parte di questa umile eroina potrebbe infatti essere interpretata come un desiderio di espiazione della sua colpa criminale. Un’espiazione che è possibile anche grazie all’identificazione con le sue protette. Col suicidio ella raggiunge e forse placa quei morti, che l’avevano visitata (perseguitata?) regolarmente ogni sera in carcere e ancor pri-ma fuori dal carcere. Pertanto la lettura e la scrittura imparate nella clausura carceraria hanno insegnato ad Hanna a quale prezzo – del dominio possessivo e autoritario, dell’orrore e della morte – ella ave-va cercato e forse anche costituito un’immagine umana e accettabile di se stessa attraverso l’immagine delle sue lettrici. E questo avviene solo alla fine di un lungo percorso di diciotto anni passati in prigione dove, riconquistata dalla lettura a voce alta dei classici che Michael registra per lei su delle cassette, riesce perfino a imparare a scrivere per poter ringraziare, attraverso dei bigliettini dalla scrittura rozza ed elementare, il suo lettore e amante di un tempo.

Alla fine di questo rapido percorso una riflessione, o meglio una domanda si impone, soprattutto in un tempo in cui la lettura, la scrittura e lo studio dei testi stanno vertiginosamente cambiando: la lettura resterà ancora quel luogo privilegiato, libero e creativo che abbiamo cercato di delineare attraverso il «lavoro della lettura» e la «lettura ad alta voce»?