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Dalla denotazione generale all’espressione di una sematica densa: la metafora

8. Luigi Pirandello: «Mondo di carta»

Una figura inquietante non solo della lettura ad alta voce, ma anche di quella silenziosa, si delinea nella novella di Luigi Pirandello

Mon-do di carta pubblicata per la prima volta sul «Corriere della Sera»

34 g. leopardi, Epistolario, a cura di F. Brioschi e P. Landi, Bollati Borin-ghieri, Torino 1998, I, p. 88 e pp. 94-95, corsivi nostri.

il 4 ottobre del 190936, nella quale una certa pratica della lettura è sottoposta ad un’analisi spietata. Mondo di carta è seguita non a caso dalla novella Il sonno del vecchio, che chiude la raccolta e nella quale è trattata la figura narcisistica della lettura ad alta voce, che, al posto dell’ascolto tanto atteso, incontra invece il sonno dell’uditore, evo-cando così il feroce attacco di Leopardi contro gli autori che decla-mano pomposamente le loro opere.

Ma torniamo a Mondo di carta e al suo grottesco protagonista, il professore Valeriano Balicci, «un uomo ispido, dalla faccia giallic-cia» che indossa degli «occhialacci da miope» (p. 1019), che vive da molti anni con una vecchia domestica senza preoccupazioni di lavoro grazie ad un’eredità dilapidata però nell’acquisto incontrolla-to di libri, che lo ha costretincontrolla-to addirittura a indebitarsi. Il professore infatti è un maniaco della lettura, ha un rapporto mimetico37 e quindi di fagocitazione coi libri («a rimasticarseli a uno a uno tutti quanti dalla prima all’ultima pagina», «se li mangiasse davvero, anche ma-terialmente, tanto se li accostava alla faccia per leggerli», p. 1022; «come rimbozzolito a covarlo», p. 1024). Durante tanti anni di lettu-ra furiosa ha anche compromesso seriamente la vista fino a perderla del tutto.

Pirandello costruisce abilmente la novella apportando, nel cor-so delle varie riedizioni, delle cor-soppressioni specialmente, che anzi-ché ridurne l’intelligibilità, la esaltano38. Ora nel primo tempo della novella, divisa in tre parti, il personaggio si ritrova al centro di un curioso e violento alterco con «un ragazzaccio sui quindici anni», un figurinajo, che lo provoca maliziosamente facendogli investire e quindi sfracellare, per ben tre volte, in tre luoghi diversi del suo per-corso quotidiano, tre «schifose» statuette fittili femminili.

L’inciden-36 l. pirandello, Novelle per un anno (La Mosca), a cura di M.Costanzo.

Premessa di Giovanni Macchia, Mondadori, Milano 2007, v. I, t. II, pp.

1019-1028. Le pagine indicate tra parentesi tonde nel testo sono tratte da questa edizione.

37 Nel senso del mimetismo animale come è stato egregiamente studiato da r. caillois, Méduse et C ie, Gallimard, Paris 1960.

38 Cfr. le importantissime Note ai testi e varianti a Mondo di carta, in L. pirandello, Novelle per un anno, cit., pp. 1571-1577.

te che di fatto aggraverà fino alla cecità la condizione già precaria dei suoi occhi fortemente miopi, costringerà il professore ad assumere prima un «giovinotto saccente» per riordinare la sua caotica biblio-teca – vera e propria babele nella quale la cecità gli impedisce ormai di orientarsi –, e quindi una lettrice, certa Tilde Pagliocchini, perché possa rileggergli i libri per lui così indispensabili. Naturalmente il rapporto con la lettrice si rivelerà impossibile poiché per il professo-re: «Ogni voce, che non fosse la sua, gli avrebbe fatto parere un altro il suo mondo.» E inoltre, egli non esita a dire alla giovane lettrice: «La sua voce, signorina, mi guasta tutto» (p. 1026-1027). Eppure Tilde aveva tirato fuori:

una voce, che neanche in paradiso.

Ma quando ne diede il primo saggio al Balicci con certe infles-sioni e certe modulazioni, e volate e smorzamenti e arresti e scivoli, accompagnati da una mimica tanto impetuosa quanto superflua, il pover uomo si prese la testa tra le mani e si restrinse e si contorse come per schermirsi da tanti cani che volessero addentarlo39.

No! Così no! Per carità! – si mise a gridare.

E la signorina Pagliocchini, con l’aria più ingenua del mondo: Non leggo bene?

Ma no! Per carità, a bassa voce! Più bassa che può! Quasi senza voce! Capirà, io leggevo con gli occhi soltanto, signorina!

Malissimo, professore! Leggere a voce alta fa bene. Meglio poi non leggere affatto! Ma scusi, che se ne fa? Senta (picchiava con le

nocche delle dita sul libro). Non suona! Sordo. Ponga il caso,

profes-sore, che io le dia un bacio. Il Balicci s’interiva pallido: Le proibisco! (pp. 1025-1026)

39 Un’acuta osservazione metateatrale riguardo al fastidio che la «voce» di Tilde procura al Balicci si legge in i. crotti, Mondo di carta. Immagini del

libro nella letteratura italiana del Novecento, Venezia, Marsilio, 2008, pp.

La lettura ad alta voce costituisce per il povero Balicci un vero e proprio tabù.

Se è vera l’ipotesi che fa della lettura ad alta voce la lettura au-tentica, quella in grado di sintonizzarsi con l’Altro, allora la lettura «a bassa voce» e perfino «senza voce», «con gli occhi soltanto», che il Balicci pretende dalla sua lettrice è una lettura mancata. Nella vita del lettore maniacale che il professore è stato e vuole continuare ad essere, è assente paradossalmente quella risonanza con l’Altro che la lettura instaura, divenendo essa stessa scrittura. L’eroe pirandelliano si priva della lettura ad alta voce così come, nella vita, si era privato della relazione con la donna. Si confronti a riguardo l’ultima versio-ne della novella: «il medico oculista gli aveva dato di smettere la

let-tura.» (p. 1021, c. n.), con la prima versione che dichiara le inibizioni

del Balicci nei confronti delle donne: «il medico più volte gli aveva dato di prender moglie (p. 1573, c. n.).

Come interpretare allora il rifiuto della lettura ad alta voce nella novella di Pirandello? Si tratta della neutralizzazione, della disincar-nazione e perfino della privazione della lettura secondo un modello cristiano di lettura, oppure di un’altra moderna e singolare modalità di lettura?

La novella pirandelliana sembra ereditare una certa forma este-nuata del modello cristiano di lettura, ma che essa trasforma e ro-vescia in una sorta di moderno e caricaturale modello nevrotico di

lectio tacita: una lettura muta e perfino autistica, senza risonanza,

affidata soltanto agli occhi.

Il modello cristiano della lettura è ancora riconoscibile, nono-stante la deformazione grottesca e umoristica, nel motivo del nume-ro di «quaranta giorni al bujo» prescritti dal medico per curare il suo paziente da «quella tremenda caldana» (p. 1022), come pure, in modo ancora più irriconoscibile, nel motivo del numero delle ore di lettura40 richieste dal professore nell’avviso sui giornali, nella prima versione della novella: «Un altro avviso sui giornali, per un lettore o una lettrice “che per due ore la mattina e tre nel pomeriggio

diva-40 Sulla lettura come forma di ascesi praticata dai monaci medievali cfr. r. bartHes, Lettura, cit., pp. 276-277.

gasse coi libri un signore solo, cieco, appassionatissimo della lettura – Valeriano Balicci, via Nomentana, 112, ultimo piano”». (p. 1575, corsivi nostri). Per non dire del riferimento al «bacio» alla fine di questo stesso brano, cioè ad una esplicita e apparentemente incon-grua provocazione sessuale della giovane lettrice.

Ma la nevrosi, cioè la struttura della moderna Soggettività, priva il povero Balicci condannato alla cecità financo della lettura, esauto-rando così radicalmente, almeno in questa novella, l’ascetico model-lo cristiano della lettura.

Per un momento, tuttavia, il lettore della novella potrebbe esse-re tratto in inganno dal desiderio illusorio del protagonista di poter riempire con una «voce» il nuovo ma silenzioso ordine della sua bi-blioteca:

Ma non poté reggere a lungo in quel silenzio angoscioso. Volle che il suo mondo riavesse voce, che si facesse risentire da lui e gli dicesse com’era veramente e non come lui in confuso se lo ricordava. Mise un altro avviso nei giornali, per un lettore o una lettrice; e gli capitò una certa signorinetta tutta fremente in una perpetua irrequietezza di perplessità. Aveva svolazzato per mezzo mondo, senza requie, e anche per il modo di parlare dava l’immagine di una calandrella smarrita, […]41. (p. 1024)

Il qualificativo «angoscioso» attribuito al «silenzio» è sintomatico, dal momento che è proprio questo aggettivo che permette di distinguere il silenzio che si ascolta dal silenzio mortifero. Ma il Balicci preferirà alla lettura a voce alta perfino una lettura senza lettrice, poiché Tilde, compresa la follia del professore, preferirà trascorrere il tempo della lettura assegnatale in compagnia della vecchia domestica:

41 Alla «passerina» della prima versione, Pirandello sostituisce nell’ultima la «calandrella». Forse per farne, grazie ad alcuni precisi tratti che caratte-rizzano l’uccello − le macchie nere ai lati degli occhi e le sue preferenze per i luoghi aridi −, un assurdo doppio rovesciato del Balicci? «Calandrella. Piccola allodola (Calandrella brachydactyla), con una macchia nera ai lati degli occhi, assai comune soprattutto nelle località aride, collinose e di pia-nura», g. devoto; g. oli, Dizionario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze, 1971, s. v..

Il Balicci intanto viveva nel libro che le aveva assegnato e godeva del godimento che si figurava dovesse prenderne. E di tratto in tratto le domandava: – Bello, eh? – oppure: – Ha voltato? – Non sentendo-la nemmeno fiatare, s’immaginava che fosse sprofondata nelsentendo-la lettu-ra e che non gli rispondesse per non distlettu-rarsene.

– Si, legga, legga… – la esortava allora, piano, quasi con voluttà. (p. 1027)

La «signorina» però, comincia a manifestare una certa insofferenza e, per di più, a contestare l’immaginario libresco del professore il quale, in preda all’ira, finirà col liquidarla.

Ma la lettura, priva della voce e affidata esclusivamente agli oc-chi, riserva al professore cieco e «cadaverico» (p. 1020), un immagi-nario di morte: freddo, intatto e cimiteriale, dove il libro si rivela un puro e sterile supporto di carta:

Rimasto solo, Valeriano Balicci, dopo aver raccattato a tentoni il libro che la signorina aveva scagliato a terra, cadde a sedere su la poltrona; aprì il libro, carezzò con le mani tremolanti le pagine gual-cite, poi v’immerse la faccia e restò lì a lungo, assorto nella visione42

di Trondhjem con la sua cattedrale di marmo, col cimitero accanto, a cui i devoti ogni sabato sera recano offerte di fiori freschi – così, così com’era detto là. – Non si doveva toccare. Il freddo, la neve, quei fiori freschi, e l’ombra azzurra della cattedrale. – Niente lì si doveva toccare. Era così, e basta. Il suo mondo di carta. Tutto il suo mondo. (p. 1028. corsivi nostri)

La prova di realtà addotta dalla lettrice/viaggiatrice, che ha visita-to Trondhejm e la sua cattedrale, non riesce a modificare la visione drammaticamente «intangibile» dell’infelice professore costretto a illudersi, per sopravvivere, della realtà del suo mondo di carta, di povere «pagine gualcite» che solo può carezzare.

42 Nella prima versione della novella, la «visione» è qualificata di «intan-gibile»: «e restò a lungo assorto, nella sua visione intangibile» (p. 1576).