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Homo legens. Lo spazio utopico della letteratura nell’ermeneutica ricoeuriana

5. Una partita a scacchi

Invece di proseguire il suo racconto («at this time / I will tell no tales»52), Prospero solleva un ipotetico sipario e mostra ad Alonso e al suo seguito Ferdinand e Miranda che, mentre sono giocano a scacchi, intrecciano un rapidissimo dialogo:

ProSPero discovers Ferdinand and Miranda playing at cess Mir. Sweet lord, you play me false.

Ferd. No, my dearest love,

I would not for the world.

Mir.Yes, for a score of kingdoms you should wrangle,

andI would call it fair play.53

In luogo della spiegazione richiesta da Alonso («If thou be’st Prospe-ro, / Give us particulars of thy preservation; / How thou hast met us here»54), Prospero mette in atto un ennesimo artificio («a wonder, to content ye») che ha il fine di distogliere l’attenzione dei suoi interlo-cutori dalla straordinarietà delle circostanze presenti («These are not natural events; they strengthen / From strange to stranger»55). Una ricompensa, una sorta di premio che recisamente viene loro concesso

52 Ivi, p. 120 (V, I, 128-129).

53 Ivi, p. 123 (V, I, 172-175). Greenaway ancora una volta non si lascia sfuggire le possibilità scenografiche del testo e mette a punto una rappresen-tazione di questa microsequenza che porta allo scoperto l’ennesimo vezzo meta-teatrale incastonato da Shakespeare nella commedia: nel film Prospe-ro, in qualità di inopinabile gestore di tutta la macchina scenica e dei suoi trucchi, solleva un sipario chiuso su Miranda e Ferdinand che giocano a scacchi.

54 Ivi, p. 121 (V, I, 134-136).

in cambio del differimento delle rivelazioni attese; una visione che risulti gradita e che liberi Prospero dall’incombenza di confessare la propria stregoneria.

Ferdinand sta per essere restituito a suo padre, ma prima che ciò effettivamente accada e bruscamente alteri, in parte saziandole, le attese (pretese) dei naufraghi, la macchina drammatica viene dunque messa in stallo per la durata della brevissima sequenza della partita a scacchi. Siamo in presenzadi un’ennesima mise en abyme. Gli spo-stamenti dei personaggi all’interno di The Tempest sembrano sottesi da un progetto ordinato, come fossero mosse di un giocatore che, sul quadrato regolamentato della scacchiera/testo, disponga e poi spo-sti, secondo una strategia di volta in volta modificabile, i suoi pezzi, dotati di possibilità di movimento predefinite. Il giocatore Prospero, allo stesso tempo dentro e fuori della scacchiera, ridotti i suoi avver-sari al ruolo subalterno e politicamente degradato di pedine, ha fa-coltà straordinariamente simili a quelle di un narratore romanzesco: appena entra in scena sottoscrive col destinatario della commedia un patto preliminare, un pacchetto di norme narrative/ricettive che può trasgredire in ogni momento, selezionando un codice di riferimento e assumendo una posizione nei confronti della storia che, nonostante l’iniziale sanzione di inderogabilità, può variare quando vuole. Ap-parentemente incurante degli interessi del lettore-spettatore, Prospe-ro sembra agire nella più completa autonomia, ma in realtà, sempre pronto a sacrificare la verosimiglianza alla persuasività, non cessa mai di calibrare parole e azioni sugli intenti prestabiliti del suo pia-no: amministra con ogni cura la materia dei racconti e trascina dove meglio crede noi e la folla dei personaggi assiepati sull’isola. Più che destinatario di un messaggio, il lettore-spettatore è vittima di un progetto di seduzione (interno/esterno alla storia), in cui il racconto, apparecchio subdolo e capzioso, è un’arma al pari dell’incantesimo. Ma come ogni narratore, per quanto esperto e smaliziato, Prospero può commettere errori.

Nell’intenzione di tacere la sua «Art» (e la connessa responsa-bilità della tempesta), Prospero ne mette in scena gli effetti,ne offre una rappresentazione metonimica, spostata, pressappoco come Freud riteneva accadesse, nel processo di formazione dei sogni, ai pensieri

onirici latenti più sgraditi alla coscienza poiché capaci di turbare il delicato equilibrio di energie che sorregge la psiche56. Si tratta dun-que di un atto di programmata auto-censura. L’Arte di Prospero, pur incessantemente chiamata in causa, finisce sempre col sottrarsi al no-stro desiderio di sapere. Siamo invitati in ogni momento a prendere atto dei portentosi effetti di questa bizzarra specie di negromanzia scenica, senza però che nulla ci venga detto circa la sua origine e i suoi possibili contenuti. L’insistenza maschera dunque un’assenza, un vuoto che l’autore si riserva di non colmare, in cui risiede iltrat-to più caratteristico del tesiltrat-to: l’irriducibilità che preserva il senso dall’esaurimento e dà impulso a sempre nuove letture, il «punto» dove il testo si mostra «insondabile, quasi un ombelico attraverso il quale esso è congiunto con l’ignoto»57.

6. Voci

Se The Tempest insiste sulla tendenza di Prospero a servirsi di rac-conti e, in generale, di strategie linguistiche per portare a compimen-to i suoi piani, Prospero’s Books lo mostra non solo come un agglo-merato di discorsi, ma anche come un reticolo di tracce attraverso cui si manifesta la sua coscienza della posizione rivestita all’interno del testo. Nella commedia si affollano i frammenti della sua caleido-scopica parole, la cui intensa strutturazione retorica ha lo scopo di attualizzare le possibilità di seduzione e di dominio che di volta in volta si rendono necessarie; nel film si aggiunge, strisciante nell’om-bra, il patrimonio inesteso della sua langue, l’insieme delle virtualità persuasive di cui egli permanentemente dispone (i 24 libri).

Descrivendo alla figlia Mirandagli stratagemmi di cui il fratello Antonio si è servito tanti anni prima per impadronirsi del ducato di Milano, Prospero stila una sorta di breve fenomenologia dell’ingan-no:

56 Cfr. s. Freud, L’interpretazione dei sogni (1899), in id., Opere, Torino, Boringhieri, vol. 3, 1966, pp. 282-285.

Pros. Being once perfected how to grant suits,

How to deny them, who t’ advance, and who To trash for over-topping, new created

The creatures that were mine, I say, or chang’d‘em, Or else new form’d‘em; having both the key Of officer and office, set all hearts i’th’state To what tune pleas’d his ear; that now he was The ivy which had hid my princely trunk, And suck’d my verdure out on ‘t.58

Questi versi mettono per alcuni istanti in rilievo il tema che funge da tessuto connettivo dell’intera commedia. Il gioco del potere coinvol-ge tutti i personaggi e Prospero implicitamente ne assume, prima e dopo suo fratello, la regia («creatures that were mine»). La sua tiran-nide verbale si irradia nel testo attraversando non solo i suoi discorsi, ma anche quelli degli altri personaggi («how to grant suits, / How to deny them»), sulla cui superficie crespa si depositano le spore della sua lingua autoritaria, di volta in volta restando bene in evidenza come corpi estranei («chang’d‘em, / Or else new form’d‘em»), o gettando fuori nuove conturbanti infiorescenze («new created / The creatures»), tracce ibride di un disegno complesso. I personaggi fi-niscono dunque per essere tempi diversi di un’unica performance, suoni modulati secondo un disegno prestabilito («set all hearts i’th’ state / To what tune pleas’d his ear»).

Il Prosperodi Greenaway, interpretato dall’attore inglese John Gielgud, espropria della loro voce ipersonaggi che si muovono nel campo di forze sprigionato sull’isola dal suo «magic garment», li esautora privandoli della loro autonomia di parola, letteralmente li parla. Se nella commedia la sua influenzapreme dall’esterno sui di-scorsi altrui e allo stesso tempo si insinua nelle loro pieghe profonde, attraverso gli interstizi aperti dall’incertezza, dalla paura e dall’affet-to, nel film Greenaway impone a gran parte dei personaggi la voce di Gielgud, esplicitando inequivocabilmente il fondo autoritario e vendicativo del piano di Prospero, mostrandolo spregiudicato ma-nipolatore di persone ed eventi, e soprattutto enfatizzando l’idea di

un Prospero creatore di mondi e rifrangendola in un continuo gioco di specchi che sovrappone le figure di Shakespeare/Prospero-perso-naggio/Prospero-narratore/Greeneway, in una cornice di vorticose citazioni pittoriche, prima fra tutte quella del San Gerolamo nello

studio di Antonello da Messina. Tenendo dietro ai fili della trama

shakespeariana, a volte intrecciandoli in significative ridondanze, Greenaway insegue parossisticamente una dimensione estetica on-nicomprensiva, dove la musica59, la ricerca fotografica e grafica, le allusioni pittoriche e architettoniche60, la letterarietà iconica del mo-dello e le continue fughe meta-finzionali ricreano in modo originale lo spirito del barocco shakespeariano e lo rileggono alla luce di un post-moderno eccitato e ipertrofico.