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IL NOVECENTO ITALIANO

III.5 Echi nieviani ne Il barone rampante

III.5.1 Un Bildungsroman sui generis

Dopo aver espresso i propri debiti nei confronti del capolavoro risorgimentale, Calvino mette subito in luce una delle più importanti differenze: il suo protagonista esprime un punto di vista disincantato sul mondo poiché vive un rapporto conflittuale con il reale e rinuncia in maniera perentoria alla vita storica, al connubio tra singolo e società, scegliendo un'esistenza arborea, isolata e assecondando in questa maniera una tipica propensione novecentesca.

La sua formazione segue regole non istituzionalizzate, è giocata tutta a prescindere dal contesto e diviene bandiera di una ricerca personale del proprio io e dei propri valori. Di primo acchito questa scelta sembrerebbe in tutto dissonante dalla formulazione del Bildungsroman ottocentesco e dal suo prototipo goethiano; tuttavia la questione è più sottile e va affrontata con cautela. Per tutto il corso della narrazione Biagio mette in risalto il filantropismo del fratello, «si sarebbe detto che solo la gente gli stesse a cuore»,250 tipica espressione dell'epoca dei lumi che si

concretizza in diverse occasioni. La ricerca di indipendenza non significa per l'eroe selvatichezza, isolamento dal consorzio civile. Cosimo non rinuncia a essere un gentiluomo, anche se vive sugli alberi, né è intenzionato ad abbandonare gli studi; anzi, la sua partecipazione diviene ora più attiva e intensa di quando viveva a terra. «Ora invece lo prese il bisogno di far qualcosa di utile al suo prossimo»251e così si interessò a ingrassi e semine aiutando i contadini

poiché dall'alto poteva indicare se i solchi erano dritti o storti, se i pomodori erano maturi (capitolo VIII); imparò a potare gli alberi, a domare gli incendi (capitolo XIV), a difendere i boschi dall'invasione dei lupi (capitolo XXIV); ma si spinse oltre, puntando alla stesura di quegli ambiziosi disegni politici ispirati alla Rivoluzione francese che lo avrebbero condotto a divenire capo della Massoneria d'Ombrosa (capitolo XXV), ispiratore dell'effimera Rivoluzione contro i privilegi feudali (capitolo XVI), collaboratore dell'Armata Repubblicana (capitolo XXVII) e infine autore di un trattato intitolato Progetto di Costituzione per Città Repubblicana con

Dichiarazione dei Diritti degli Uomini, delle Donne, dei Bambini, degli Animali Domestici e

249 Ivi, pp. 196-213. 250 Ivi, p. 78. 251 Ivi, p. 124.

Selvatici, compresi Uccelli Pesci e Insetti, e delle Piante sia d'Alto Fusto sia Ortaggi ed Erbe

(capitolo XXVIII).

Tuttavia la voce narrante non può che sottolineare la natura contraddittoria del fratello, conteso tra la passione per il prossimo e il bisogno di una vita dissociata. Secondo Biagio la ricerca di una società perfetta e la consapevolezza di non averla ancora realizzata giustificano il bisogno di solitudine che caratterizza l'esistenza di Cosimo:

Come questa passione che Cosimo sempre dimostrò per la vita associata si conciliasse con la sua perpetua fuga dal consorzio civile, non ho mai ben compreso, e ciò resta una delle non minori singolarità del suo carattere. Si direbbe che egli, più era deciso a star rintanato tra i suoi rami, più sentiva il bisogno di creare nuovi rapporti col genere umano. [...] Forse, se proprio si vuole ricondurre a un unico impulso questi atteggiamenti contraddittori, bisogna pensare che egli fosse ugualmente nemico d'ogni tipo di convivenza umana vigente ai cavalli suoi, e perciò tutti li fuggisse, e s'affannasse ostinatamente a sperimentarne di nuovi: ma nessuno d'essi gli pareva giusto e diverso dagli altri abbastanza; da ciò le sue continue parentesi di selvatichezza assoluta.252

Per la maggior parte della critica la scelta del barone rampante si offre come una trasparente metafora della condizione dell'intellettuale: questi ha bisogno di guardare la realtà da una posizione di distacco per poterla osservare e capire meglio, nonché per restare libero, per non farsi imprigionare da condizionamenti esterni e da dogmatismi ideologici; il distacco straniante è la condizione della sua partecipazione attiva e consapevole al processo storico e alla vita civile. Mario Barenghi sottolinea inoltre come la composizione del libro coincida con un periodo politico di cocente delusione. Calvino infatti, pur rimanendo formalmente iscritto fino al 1957 al Partito Comunista Italiano, non approverà la scelta della dirigenza del suo partito che, nonostante i fatti d'Ungheria del 1956,253 continuerà ad allinearsi sulle posizioni sovietiche.

Di fatto nelle vicende del Barone sono leggibili come trasposizioni fantastiche di vicende politiche attuali; soprattutto, l'invenzione centrale del libro - la decisione del protagonista di salire sugli alberi e di non scenderne mai più - rappresenta una scelta di solitudine, una presa di distanza, che senza dubbio trae origine dal profondo disagio verso la politica attiva.254

252 Ivi, pp. 228-229.

253 La Rivoluzione ungherese del 1956 durò dal 23 ottobre al 10 novembre e fu sollevata dall'armata di spirito anti- sovietico contraria al governo dell'Ungheria socialista. Si concluse con una sanguinosa repressione ad opera delle truppe sovietiche che provocarono la morte di oltre duemila persone. La violenza dei fatti d'Ungheria provocò sconcerto tra le nazioni occidentali che nella maggior parte dei casi condannarono la durezza sovietica e revocarono il proprio sostegno alla causa comunista. La linea ufficiale adottata dal Partito Comunista italiano fu di pieno appoggio all'intervento sovietico. La base del partito però non accettò pienamente questa decisione: vi fu un calo immediato di iscritti al PCI e la CGL dimostrò solidarietà per gli insorti ungheresi. Il dibattito si fece subito acceso anche tra gli intellettuali: alcuni di loro si dimisero dal partito (è il caso di Calvino, Vittorini, Farina), altri deplorarono l'intervento sovietico nel Manifesto dei 101.

Possiamo quindi concludere che lo stacco dal vivere associato si compia in funzione di una ricerca più responsabile e autentica di collaborazione con gli uomini, in un'ottica di miglioramento della società stessa. Osserva a questo proposito Claudio Milanini che ne I Nostri

Antenati «si impara ad essere attraverso l'incontro e lo scontro con il mondo, non c'è verità in interiore hominis che non si definisca nel rapporto con gli altri; di qui il primato dell'azione, del

fare, rispetto al sentire, al rammemorare».255

L'azione e l'impegno non conducono tuttavia a una rappresentazione idillica del reale: Cosimo promuove sempre nuove associazioni ma il suo è un perenne ricominciare da capo dato che le sue intese con gli abitanti di Ombrosa funzionano quando bisogna affrontare avversità temporanee ma perdono la loro ragion d'essere se chiamate a diventare stabili, a causa della loro natura inane. Ma già il fatto che Cosimo si adoperi per il bene comune dimostra il suo far parte di una comunità.

Ecco dunque come la distanza dal Bildungsroman classico cominci ad assottigliarsi: non mancano inoltre chiari elementi di raccordo, a partire dal rapporto conflittuale con la figura paterna. Il 15 giugno del 1767, a mezzogiorno, il giovane Cosimo si rifiuta di mangiare il piatto di lumache servitogli per pranzo e si rifugia sopra un albero per sfuggire alla punizione che il padre minaccia di infliggergli.

Nostro padre si sporse dal davanzale. - Quando sarai stanco di star lì cambierai idea, - gli gridò. - Non cambierò mai idea - gli fece mio fratello, dal ramo.

- Ti farò vedere io, appena scendi!

- E io non scenderò più! - E mantenne la parola.256

Il gesto di Cosimo, che equivale a un rifiuto dell'autoritarismo e del dogmatismo, esprime un bisogno di libertà e di indipendenza individuale che per essere raggiunto deve passare innanzitutto attraverso il rifiuto del ruolo paterno. Tuttavia l'affetto del Baroncino per i genitori sarà una costante della sua esistenza arborea, «Cosimo partecipava come di straforo alla nostra vita»257 e assisteva dall'alto agli eventi più importanti della famiglia Piovasco, provando alle

volte nostalgia e rammarico per una scelta di vita così estrema. Nel corso della narrazione il personaggio del Barone Arminio, rimasto spiritualmente ai tempi delle Guerre di Successione, dimostrerà un'evoluzione in positivo, dovuta soprattutto ai confronti diretti con il figlio primogenito del quale ammira la fermezza dei propositi e la scelta di libertà individuale; il gesto 255 C. MILANINI, L'utopia discontinua, cit., p. 54.

256 I. CALVINO, Il barone rampante, cit., p. 15.

finale d'amore che il padre gli riserva dimostra come l'incomunicabilità generazionale possa a volte essere colmata dalla purezza dei sentimenti:

Poi si sciolse la cinta cui era appesa la spada. - Hai diciott'anni... è tempo che ti consideri un adulto... io non avrò più molto da vivere...- e reggeva la spada piatta con le due mani. […] - Tieni questa spada, la mia spada -. S'alzò sulle staffe, Cosimo s'abbassò sul ramo e il Barone arrivò a cingergliela.

- Grazie, signor padre... Le prometto che ne farò buon uso.

- Addio figlio mio -. Il Barone voltò il cavallo, diede un breve tratto di redini cavalcò via lentamente.

Cosimo stette un momento a pensare se non doveva fargli il saluto con la spada, poi riflettè che il padre glie l'aveva data perché gli servisse da difesa, non per fare delle mosse da parata, e la tenne nel fodero.258

È sorprendente constatare come la distanza di pochi metri aiuti il giovane non solo a mantenere, ma anche a migliorare i rapporti con gli altri: la madre Generalessa, chiamata così per i suoi modi bruschi e militari appresi al seguito del padre che la portava con sé in battaglia, incontra i figli solo durante i pasti, mentre «per il resto della giornata stava ritirata nelle sue stanze a fare pizzi e ricami e filè».259 Tuttavia ella sarà forse la prima a comprendere le ragioni

del figlio, che spia da lontano con il cannocchiale e con il quale comunica attraverso l'uso di bandierine colorate. Quando la donna sarà prossima alla morte, Cosimo l'assisterà dal ramo più vicino alla camera da letto e la farà sorridere soffiandole bolle di sapone vicino alla bocca. Un deciso miglioramento subiscono anche i rapporti con l'Abate e con il Cavalier Avvocato Andrea Silvio Carrega, fratello naturale del padre e amministratore dei poderi dei Piovasco di Rondò di cui Cosimo diventerà fido confidente.