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IL NOVECENTO ITALIANO

III.2 Con gli occhi chius

Il primo in ordine cronologico, scritto nel 1913 e stampato nel 1919, è il capolavoro di Federigo Tozzi Con gli occhi chiusi. Domenico Rosi, proprietario di un podere e di un'avviata trattoria nel Senese, vive con Anna, moglie sottomessa e debole e con l'unico figlio Pietro, adolescente dal carattere scontroso e schivo. Dopo la morte della donna, il conflitto tra Pietro e Domenico si acuisce, fino a sfociare in un aperto contrasto quando il ragazzo vorrebbe sposare Ghisola, una contadina scaltra che cerca di ingannarlo. Più tardi, scoprendola in un postribolo, sentirà venir meno il proprio amore. Nella prima stesura del romanzo, Pietro perdona la donna e la conduce a casa con sé con l'intento di sposarla: nella redazione definitiva invece la abbandona al proprio destino sostenendo di non amarla più.

Il titolo allude significativamente alla sensibilità dell'inetto ed enfatizza lo sguardo spento degli “occhi chiusi”, tipica espressione di una coscienza, quella primo-novecentesca, che ha perso i solidi punti di riferimento della cultura positivista e si consuma in visionarie astrazioni derivate dall'introspezione e dal soggettivismo che si contrappongono al nitore e alla violenza della realtà.

La formazione di Pietro è gravata dalla presenza di un padre-padrone che incombe sul figlio con tutta la sua carica negativa, umiliandolo continuamente con i suoi modi autoritari e arroganti, passando in rassegna l'inettitudine di Pietro nei vari aspetti della sua esistenza, a partire dalla scuola: «E a scuola perché ci vuoi tornare? Non ti sei fatto mandar via? Domenico gli parlava della scuola con risentimento e in quei momenti creduti più opportuni per influire sul suo animo. Il giovinotto tacque, sentendosi come svenire: il padre non si sarebbe mai dimenticato di fargli questo rinfaccio, per valersene».101 La presunzione del padre tocca anche

l'ambito del lavoro e quello dell'istruzione: «Io me ne intendo più di tutti gli scienziati, perché sono tuo padre».102 «Tu non saprai mai essere un padrone. Come farai a comandare se tu stesso

101 FEDERIGO TOZZI, Con gli occhi chiusi, a cura di Pietro Gibellini e Giacomo Prandolini, Brescia, La scuola, 1996

p. 108. 102 Ivi, p. 110.

non impari?».103 Il padrone si rivolge al suo sottoposto con una fitta serie di domande retoriche

che non abbisognano di risposta, ma che pongono il monologante nella condizione di impartire la propria lezione/legge senza contraddittorio.

Il tentativo di asservimento compiuto da Domenico a danno del figlio non riguarda solamente la sfera dell'autorità, ma coinvolge anche quella sessuale. Il padre infatti, con il tipico procedimento illustrato prima, stuzzica il figlio anche sull'eventualità di una futura vita di coppia:«-Potresti aiutare me, e tra qualche anno prendere moglie. Domenico trovava conveniente ammogliarlo presto, ora che non c'era più una padrona nella trattoria [...]. -Io... non mi sposerò. -E, allora, pensaci bene: sarò costretto a riprenderla io. Ti dispiacerebbe?».104

Il passo trova un suo ulteriore, ma correlativo, significato nel rituale della castrazione, come ha avuto modo di osservare per primo Giacomo Debenedetti che, confrontando la Lettera

al padre di Franz Kafka e Con gli occhi chiusi di Tozzi, evidenzia le analogie di fondo esistenti

tra i due testi e dimostra il peso esercitato dalle teorie freudiane nella scrittura di entrambi.105

Domenico faceva castrare tutte le bestie di Poggio a' Meli. […] Qualche volta ci erano dieci o dodici galletti accapponati, mogi, che beccavano di mala voglia, con le penne insanguinate; nella stalla, i vitelli intontiti dalla castratura, afflitti, con gli occhi più oscuri e tetri. Il cane disteso sull'aia, i gatti silenziosi e immaligniti, rincantucciati sotto il carro e dietro le fastella, con gli occhi sempre aperti.106

Il pioniere in Italia dell'applicazione dei motivi freudiani ai fenomeni letterari si domanda innanzitutto quali siano le ragioni che soggiaciono alla stesura della crudelissima scena della castrazione, per nulla funzionale alla trama. A suo parere non si tratta né di un effetto estetico né di un tentativo di rimarcare il dispotismo di Domenico ma «la spinta vera è quella inconscia: è l'oscura identificazione di Pietro con quegli animali offesi, menomati con un'operazione quasi sacrificale».107

Non si dimentichi che il romanzo presenta una matrice autobiografica molto marcata: il padre di Federigo è uno spregiudicato uomo d'affari che incombe negativamente sia sul figlio dalla salute precaria che sulla moglie, donna mite e molto affezionata che muore in giovane età. Anche il personaggio di Ghìsola non è del tutto inventato in quanto si possono ravvisare i tratti di Isola, giovane donna amata dallo scrittore. Le dinamiche della famiglia Rosi prendono dunque spunto da quelle dell'autore: forse per questo motivo Debenedetti sottolinea l'involontarietà e 103 Ibidem.

104 Ivi, p. 108.

105 GIACOMO DEBENEDETTI, Il romanzo del Novecento, Milano, Garzanti, 1981, pp. 249-255.

106 F. TOZZI, Con gli occhi chiusi, cit., pp. 113-114.

l'inconsapevolezza con la quale Tozzi si avvicina «alle nuove coordinate interne che trasformano, nel nostro secolo, l'arte dell'Occidente. Se gli altri sono i maestri, lui che si trova sulla loro linea senza rendersene conto, è come un discepolo ignaro».108

Mariarosa Olivieri definisce Con gli occhi chiusi un «mancato romanzo di formazione».109

L'autore senese infatti, nel suo «tentativo di autorappresentarsi attraverso la scrittura»,110 ci

conduce verso una risoluzione finale che non offre risposte definitive e rassicuranti. Se il romanzo si ispira alla forma più tradizionale per un esordiente, quella del romanzo di formazione, nell'end mancato della stesura definitiva, emergono le differenze più sostanziali rispetto al Bildungsroman coevo. Analizzando la forma classica del genere, lo studioso Frederich Jameson ne evidenzia le caratteristiche: «Come avviene in campo teologico, c'è qui una componente evolutiva, ossia uno spostamento dal destino individuale a quello collettivo»;111 la

sintesi tra l'individuo e la società non si verifica invece nell'opera tozziana dove l'esperienza del protagonista, lontana da una interpretazione provvidenziale e trascendente, non riesce a tradursi in accettazione della realtà esterna e, nel caso specifico, nella presa d'atto da parte di Pietro della natura corrotta della donna amata. In questa dicotomia tra sfera pubblica e privata si dichiara il dramma dell'uomo moderno e l'esperienza tozziana anticipa i dettami di una narrativa rinnovata che, attraverso «una scrittura autobiografica ed identitaria»,112 caratterizzata da un andamento

spezzato e dall'invadenza delle immagini, tenta un percorso di formazione per il personaggio e di autoriconoscimento per l'autore.

Affidandoci ancora una volta alle parole di Debendetti, l'incapacità da parte di Pietro di misurarsi con il reale è dovuta all'influenza negativa del padre e alla sua potenza virile ostentata che priva il figlio di ogni possibilità di successo amoroso. «Ma che altro è Con gli occhi chiusi se non la storia di un amore e poi proprio di un fidanzamento andato a monte, perché Pietro è stato messo in condizione di non poter possedere in modo concreto, efficiente la realtà?».113

I documenti genetici dimostrano come la stesura del finale si sia rivelata molto travagliata: Tozzi decide di non portare alle estreme conseguenze il fallimento di Pietro, come invece avrebbe fatto per i protagonisti delle opere successive: si pensi a Remigio che nel Podere (steso tra il 1915 e il 1918) finisce ucciso oppure ai fratelli Giulio, Niccolò ed Enrico Gambi, al centro 108 Ivi, p. 250.

109 MARIAROSA OLIVIERI, Federigo Tozzi, la scrittura delle “immagini” in Il romanzo di formazione tra Ottocento e

Novecento, cit., p. 297.

110 Ibidem.

111 FREDRIC JAMESON, Esperimenti col tempo: realismo e provvidenza in Il romanzo IV. Temi, luoghi, eroi, a cura di

Franco Moretti, Torino, Einaudi, 2003, p. 189.

112 M. OLIVIERI, Federigo Tozzi, la scrittura delle “immagini”, cit., p. 295.

delle vicende di Tre croci (scritto tra il 1918 e il 1920); il primo morto suicida, il secondo di malattia, il terzo rimasto vivo nella più squallida degradazione, sia fisica che morale.

Il finale di Con gli occhi chiusi resta invece sospeso e potrebbe alludere tanto a una possibile rinascita dell'eroe quanto al suo definitivo tracollo: gli occhi chiusi che avevano permesso a Pietro di illudersi sulla sua relazione con Ghisola non possono che aprirsi dinanzi allo stato di evidente gravidanza in cui giace la ragazza e la reazione del giovane è immediata: «Quando si riebbe dalla vertigine violenta che l'aveva abbattuto ai piedi di Ghisola, egli non l'amava più».114

Attraverso la sperimentazione tozziana l'intreccio tra materia freudiana e tematica adolescenziale segna solamente un punto di partenza che verrà approfondito e sviscerato nel corso di tutta la prima metà del Novecento da diversi scrittori affermati.115