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LA RISPOSTA DELL'OTTOCENTO ITALIANO

II.6 Il caso Pinocchio: un successo insperato

II.6.2 Una formazione borghese?

Il fatto che Collodi abbia ripreso la stesura di Pinocchio per volere della casa editrice, ci porta a individuare quei motivi tematici ai quali è stato possibile garantire un ampliamento.

A nostro avviso la prova più incisiva di una progettualità che non si esaurisce con l'impiccagione risiede nel desiderio di ammorbidire le durezze presenti nella prima parte e portare a compimento quel percorso educativo evidente fin dai capitoli di apertura.

Pinocchio è vicino al progetto moderno di Bildungsroman perché tratta la storia di un inserimento nella società da parte di un giovanissimo che riesce a guadagnarsi un posto di lavoro dignitoso tale da permettere una promozione sociale a lui e all'anziano genitore.

Come osserva Alberto Asor Rosa è innegabile la prospettiva borghese adottata da Collodi che dal panorama della miseria, tipico delle campagne dopo la proclamazione del Regno d'Italia, riconduce il suo giovane protagonista nell'ambiente eletto della borghesia.88 Altrettanto pertinenti

sono tuttavia i dubbi espressi da Giovanni Jervis riguardo alla validità di tale promozione: «In

Pinocchio il pedagogismo non viene abbandonato: ma anziché risolversi in se stesso, si rivela

nella propria contraddizione».89

Il soggetto borghese deve essere in grado di dividere il mondo in onesti e imbroglioni, sia per una questione morale che per un calcolo utilitaristico. I farabutti, impersonati dal Gatto e la Volpe, suggeriscono strategie economiche impraticabili, come piantare gli zecchini al Campo dei Miracoli sperando che nello spazio di una notte ne cresca una pianta; le figure positive insegneranno che il denaro si conquista con il duro lavoro combinato a principi di assennatezza, prudenza e capacità di calcolo. Per ribadire ed esplicare ulteriormente il concetto, Collodi renderà concreto il principio della laboriosità con l'ingresso di Pinocchio nell'isola delle Api industriose (capitolo XXIV). Qui «le strade formicolavano di persone che correvano di qua e di là per le loro faccende: tutti lavoravano, tutti avevano qualche cosa da fare. Non si trovava un ozioso o un vagabondo nemmeno a cercarlo col lumicino». In questa città l'etica del lavoro prevede uno scambio equo tra soggetti attivi: a nessuno è permesso vivere sulle spalle degli altri come apprenderà Pinocchio al quale, in cambio di un pezzo di pane e di un bicchiere d'acqua, verrà richiesto un aiuto concreto da parte del carbonaio prima, dal muratore poi e da almeno altre venti persone.

88 ALBERTO ASOR ROSA, Le voci di un'Italia bambina (Cuore e Pinocchio) in Storia d'Italia, IV, 2, Torino, Einaudi,

1975.

89 GIOVANNI JERVIS, Prefazione in CARLO COLLODI, Le avventure di Pinocchio: storia di un burattino, Torino, Einaudi,

Anche la generosità nasconde in realtà i sintomi di un fine meno nobile e più utilitaristico.

Alcune figure mostrano un altruismo solo apparente: è il caso del cane Alidoro che, dopo aver ricevuto soccorso in mezzo al mare da Pinocchio, riesce a sdebitarsi, strappando il burattino dalle grinfie del Pesce Verde che voleva cuocerlo in padella. La risposta del cane ai ringraziamenti del nostro protagonista tradisce un ragionamento di convenienza e gratitudine condivisibile ma lontano da una bontà d'animo disinteressata propria ad esempio del Colombo (XXIII) o del Tonno (XXXVI). «Non c'è bisogno - replicò il cane - tu salvasti me, e quel che è fatto è reso. Si sa: in questo mondo bisogna tutti aiutarsi l'uno con l'altro».90

Non si fa nulla per nulla: questo insegnamento, che si adatta alle logiche economiche del mercato, rivela il lato cinico e crudele della società borghese che sostanzialmente non prevede nessuna pietà per gli ultimi, gli emarginati, i poveri. Lo afferma lo stesso burattino ricordando un insegnamento paterno: «I veri poveri in questo mondo, meritevoli d'assistenza e di compassione, non sono altro che quelli che, per ragioni d'età o di malattia, si trovano condannati a non potersi più guadagnare il pane col lavoro delle proprie mani. Tutti gli altri hanno l'obbligo di lavorare; e se non lavorano e patiscono la fame, tanto peggio per loro».91

Subito il pensiero si rivolge a Lucignolo, il compagno di classe che convince Pinocchio a partire per il Paese dei Balocchi. Questa meta favolosa, «il più bel paese di questo mondo: una vera cuccagna» è il sogno di ogni ragazzo e rappresenta il corrispettivo, ma di segno opposto, del Paese delle Api industriose. «Lì non vi sono scuole, lì non vi sono maestri, lì non vi sono libri. In quel paese benedetto non si studia mai. Il giovedì non si fa scuola, e ogni settimana è composta di sei giovedì e una domenica».92

La proposta è davvero allettante se ci poniamo nella prospettiva di qualsiasi bambino di quell'età e, infatti, Pinocchio si lascia abbindolare. Dopo cinque mesi di intere giornate passate a divertirsi, i due amici si svegliano con un paio di orecchie d'asino ciascuno, vengono divisi e venduti dall'Omino di Burro.

Ritroveremo Lucignolo solo alla fine della storia sotto le fattezze di ciuco che muore di stenti e di fatica mentre è costretto a girare il bindolo in una fattoria.

A Pinocchio viene concessa la rinascita quando, sott'acqua nel mare, è divorato dai pesci che lo liberano della pelle di ciuco (XXXIV); a Lucignolo invece manca l'occasione di 90 C. COLLODI, Le avventure di Pinocchio: storia di un burattino, cit., p. 114.

91 Ivi, p. 91. 92 Ivi, p. 122.

redenzione. Era davvero necessaria un'immagine così crudele per insegnare ai ragazzi l'importanza della scuola?

Un altro aspetto sul quale Collodi insiste molto è appunto l'istruzione: il Grillo Parlante prospetta a Pinocchio due strade percorribili per diventare ragazzi perbene: andare a scuola o imparare un mestiere per potersi buscare un pezzo di pane. Ciascuna delle due alternative è valida nell'Italia umbertina postrisorgimentale ma la scelta è obbligata, altrimenti si diventa somari o si finisce in prigione e ospedale (capitolo IV).

Tutti i personaggi positivi consigliano a Pinocchio di impegnarsi nello studio perché così facendo otterrà una posizione sociale dignitosa. La coerenza con i dettami delle riforme scolastiche attuate dopo l'Unità è lampante ma a colpire l'attenzione è il fatto che il sunto delle virtù dei ragazzi perbene offerto dalla Fata, «prendere amore allo studio e al lavoro» viene letto in un'ottica di convenienza personale. L'amore per la cultura fine a se stessa non è contemplato, poiché anche la scuola rappresenta un mezzo per raggiungere altri scopi. Ciò che viene insegnato a Pinocchio è di scegliere il bene perché conviene di più.

Ma l'animo del protagonista è sempre conteso tra due istanze: la componente di monelleria, portata davvero all'estremo, lo conduce verso scelte sbagliate; il desiderio di conformismo e dunque di inserimento nella società lo spinge invece a seguire gli stereotipi educativi propugnati dal padre, dalla Fatina e dal Grillo.

Alla fine della storia Pinocchio sembra entusiasta di aver trovato la propria strada: «Com'ero buffo, quand'ero burattino! E come ora sono contento di essere diventato ragazzo perbene».93

Ma come possiamo essere sicuri che non si tratti dell'ennesima trasformazione? Non sarebbe la prima a cui Pinocchio va incontro nella sua esistenza. Siamo dunque autorizzati a figurarci il finale come qualcosa di provvisorio e aperto, forse, in fondo, semplicemente irrisorio. Non dimentichiamoci che Pinocchio è famoso in tutto il mondo per le sue bugie, oltre che per i suoi pentimenti effimeri. Perfino la Fatina si era sbagliata sul conto del figlioletto mentre preparava la festa con i panini imburrati per gli amici e Pinocchio era già diretto al Paese dei Balocchi con Lucignolo.