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il caso della Anerkennung hegeliana

1. Bisogni o desideri?

Partendo, come faccio in questo lavoro, dall’idea che i bisogni so- no l’oggetto primo e più precipuo della natura relazionale dell’es- sere umano, è chiaro sin dal principio che non voglio occuparmi di bisogni intendendoli solamente come istanze umane prove- nienti dalla sfera biologica. Il significato di “bisogno” a cui inten- do rivolgermi non è solo quello legato ad una dinamica degli im- pulsi, bisogno cioè che si appaga se trova le proprie condizioni di soddisfazione lungo una direzione di adattamento mente-mondo (John Searle). Il bisogno è un’espressione che assume significato percorrendo anche la direzione opposta, vale a dire quella mondo-

mente. Searle ha proposto una distinzione analitica della direzione

di appagamento dei bisogni. Per l’appagamento di un bisogno i soggetti compiono azioni che rivelano gli aspetti intenzionali

che stanno dentro le azioni stesse. Con l’intenzionalità ci si muo- ve quindi dalla mente verso il mondo, tutto l’opposto di come in- vece si muovono le “credenze”. Come egli scrive: «nel caso della credenza, si suppone che lo stato intenzionale rappresenti come stanno le cose nel mondo. La credenza, potremmo dire, è respon-

sabile del suo adattamento al mondo. Ma nel caso del desiderio, il suo

scopo non è rappresentare come stanno le cose, bensì come vor- remmo che stessero. Nel caso del desiderio potremmo dire, è re-

sponsabilità del mondo adattarsi al suo contenuto»2. Questa distinzione

regge se alla base si ammette un’assunzione di fatto, che cioè ogni singolo stato della coscienza (a partire dagli aspetti volitivi del de- siderio fino a quelli delle credenze morali, etiche, politiche) sia la diretta rappresentazione di un’intenzionalità di fondo dell’attore. Ogni atto è, dunque, la rappresentazione di una direzione di in- tenzionalità di cui analiticamente si possono ricostruire le condi- zioni di soddisfacimento: se si adatta al mondo è una credenza, se è il mondo ad adattarsi è un desiderio.

Propongo di provare a guardare fuori dalla validità analitica di questa distinzione, che ripeto risulta tale unicamente se si assume lo stato coscienziale come atto totalmente intenzionale. Credo in altre parole che decenni di studi nel campo della psicologia socia- le, della fenomenologia sociale, della sociologia della conoscenza, per voler citare solo alcune tra le discipline che si sono spese in tal senso, abbiano dimostrato che esiste una altrettanto validità teori- ca nell’argomentare, all’opposto di ciò che Searle sostiene nella sua distinzione, che sussiste una importante implicazione tra ciò che crediamo che qualcosa sia e il desiderio di come vorremmo che essa fosse. Questo per il motivo che la nozione d’intenziona- lità da sola non basta a descrivere la natura dei desideri: se infatti applichiamo alla sfera dei bisogni il concetto d’intenzionalità se- arliano, si può facilmente notare che esso non è in realtà la descri- zione aderente al desiderio che pretende di essere, ma semplice- mente una raffigurazione del desiderio che si costruisce a posterio-

ri rispetto all’oggetto su cui l’azione del desiderio proietta la sua

scelta. Infatti nel desiderio così come inteso da Searle l’intenzio- nalità acquista senso nel prodursi stesso dell’atto di “riferirsi a”

qualcosa. Perciò nell’atto di bere, il suo compiersi fa di questo at- to la manifestazione di una intenzionalità di fondo per la quale, a posteriori, si è portati a concludere che avere sete significa avere il

desiderio di bere.

Il punto è che non tutte le manifestazioni di atti che am- mettono desideri sono la traduzione di dirette intenzionalità. L’attualizzarsi di un desiderio non trae cioè la sorgente della sua desiderabilità unicamente dalle “direzioni di preferenza”. Le pre- ferenze, che attengono sì alla sfera individuale del piacere, non sempre sono però determinabili in maniera così individuale e volontaristica. La direzione mente-mondo dei desideri non può quindi essere presa unicamente come modello di validità dell’in- tenzionalità nel desiderio, dal momento che le sorgenti che de- terminano e condizionano la preferenza spesso sono alle spalle dei soggetti.Tornando al desiderio di bere, possiamo dunque di- re che se è vero che avere sete significa avere il desiderio di be- re, non è sempre vero che avere il desiderio di bere significa ave- re sete. Nella desiderabilità di qualcosa agiscono forme di prefe- renze che, in quanto forme, sono il risultato di un movimento che si nutre di fonti eterodosse rispetto alla direzione dell’inten- zionalità, tanto da contaminarne e dissimularne in alcuni casi an- che le condizioni di soddisfazione cui un atto, nella visione di Searle, deve sottostare per essere detto desiderio oppure creden- za. Bisogni, desideri e credenze sono sottoposti a sovrapposizio- ni che non permettono all’intenzionalità di potersi rappresenta- re in una unica maniera.

Ci si potrebbe chiedere a questo punto se bisogni e desideri sono la stesa cosa. Probabilmente ci sono ragioni psicologiche, so- ciologiche, neurologiche per poter distinguere gli uni dagli altri. In questo mio lavoro ho ritenuto però opportuno partire da una posi- zione che avesse già fatto esperienza di questa distinzione, elaboran- dola in una visione d’insieme. Condivido qui l’idea di Lawrence A.

Hamilton3che tende a restringere la distinzione tra bisogni e de-

sideri, (needs e wants), sostenendo che tale distinzione è frutto di un particolare modo di intendere l’autonomia desiderativa dell’in-

3 Hamilton L. A., The Political Philosophy of Needs, Cambridge University Press, Cambridge 2003.

dividuo. Tenendo infatti separate le pulsioni biologiche dei biso- gni dai desideri (che sono costruzioni più mediate della relazione

mente-mondo), si mira a distinguere un aspetto emotivo della desi-

derabilità da uno cognitivo. A questo proposito, secondo Hamil- ton meglio sarebbe parlare di una dinamica di bisogni e desideri che ha luogo in uno spazio più complesso della semplice direzio- ne di adattamento, percorribile, questa, ogni volta nell’unico sen- so possibile di significazione, mente-mondo. Con la want-need dyna-

mic è la stessa dinamica che pone il significato della distinzione tra

bisogni primari e desideri sociali e non viceversa.

Va fatta però una precisazione. Con quanto detto, non in- tendo certo sostenere che nella want-need dynamic ogni riferi- mento alla natura biologica del bisogno umano sarebbe da ri- muovere a favore di una costruzione totalmente sociale del bi- sogno stesso. Dico diversamente che il significato di una distin- zione tra bisogni e desideri, tra, se si preferisce, una “prima natu-

ra” e una “seconda natura”, acquista significato solo nell’intreccio

in cui si muovono le sorgenti della desiderabilità, gli oggetti del- la desiderabilità, le intenzionalità che si ricostruiscono negli atti della desiderabilità. Quando faccio delle azioni agisco guidato da ciò: che ho bisogno. Nel bisogno primario, cioè nel bisogno così come si dà nelle manifestazioni più vicine alla vita immediata e istintiva, io sono quello che sto facendo. Ciò che sono coincide con ciò di cui ho bisogno ed è questo ciò che mi muove. In questi casi io agisco senza avere la coscienza di ciò che sto facendo. Aderisco a ciò che faccio.Abbiamo dei bisogni che muovono al- cuni nostri atti. In questi siamo quello che stiamo facendo. Tut- ti gli organismi sono accomunati da questo avvertire i bisogni. Sono dietro alla scrivania e mi accendo una sigaretta. Mi accor- go che non ho il portacenere, mi alzo per andare a prenderlo. Ma all’improvviso mi fermo a riflettere sui miei atti. Il mio bisogno di fumare – che non è naturale ma sicuramente istintivo – non sta determinando solo i miei atti spingendoli verso le cose desi- derate (nella direzione mente-mondo), ma per potersi soddisfare ha implicato una organizzazione dell’ambiente che avvicina atti e

cose. Ho un bisogno e organizzo l’ambiente affinché soddisfi

questo mio bisogno. Questo preparare è uno sforzo, una fatica. Molte volte infatti richiede la necessità di spostarsi, sollevare, av- vicinare e altre azioni simili. L’acquisizione delle tecniche per

organizzare l’ambiente non è solo un fatto preparatorio e anti- cipatorio della soddisfazione, ma con il complicarsi dei riferi- menti e delle conoscenze diventa anche un elemento fortemen- te condizionante, che quindi si interpone nella mediazione tra la sorgente del bisogno e l’attualizzazione di esso come rappresen- tazione di una intenzionalità.

Il bisogno non è quindi solo il “bisogno di qualcosa”, ma an- che la struttura del suo contenuto, di ciò che freme all’interno del bisogno stesso. Con Henry Frankfurt possiamo definire questa struttura come la capacità umana di formare «desideri di second’or-

dine» (second-order desires)4, vale a dire la capacità non solo di desi-

derare o di aver bisogno di qualcosa, ma desiderare il desiderare stesso, essere cioè in grado di riflettere sulla propria condizione di soggetti bisognosi e desideranti, al fine di poter porre in essere den- tro le dinamiche della ricerca di soddisfazioni, strategie e capacità per valutare i propri bisogni. La riflessione sui bisogni e l’apprendi- mento di strategie di valutazione, porta il tema biologico dei biso- gni direttamente dentro un orizzonte più allargato delle azioni umane. «Valutare» significa prima di tutto «tenere in considerazio- ne», e questo costringe i propri criteri di soddisfacimento (e quin- di anche la propria intenzionalità) ad aprirsi alla presenza di altri soggetti che sono interessati a cercare soddisfacimento nella stessa porzione di mondo verso cui le nostre azioni si indirizzano.

Ma come si lega il “tenere in considerazione” la propria de- siderabilità con la presenza degli altri? Si può considerare l’assolu- tezza di questo quesito come uno tra i prodromi della nozione hegeliana di riconoscimento (Anerkennung).

Di Hegel affronterò il tema della Anerkennung facendo riferi- mento a due particolari trattazioni fatte dall’autore in due luoghi differenti della sua produzione intellettuale: la prima trattazione, scelta se vogliamo abbastanza obbligata, è la nota “lotta per il rico- noscimento” (Fenomenologia dello spirito); la seconda è quella altret- tanto nota del “sistema dei bisogni” (Filosofia del diritto). La scelta di accostare questi due momenti per spiegare il configurarsi dell’Aner-

kennung hegeliano non è casuale o arbitraria. Il riconoscimento he-

geliano, come cercherò di mostrare, è una articolazione che con- nette la struttura relazionale del soddisfacimento dei bisogni con l’acquisizione da parte del soggetto, tramite la reciprocità dell’esse- re riconosciuto, di un proprio valore sociale all’interno della socie- tà. Come vedremo, se l’ordine dei bisogni è l’elemento positivo dell’organizzazione della società in sfere di interazione (famiglia, società civile, stato), il riconoscimento reciproco riempie di titola- rità sociali (“status”) il vuoto e l’astrattezza della “seconda natura” della società, che così acquista le forme di vita concrete provenien- ti dalla pragmatica delle relazioni intersoggettive.