• Non ci sono risultati.

Politica della collocazione e Epistemologie femministe

6.1. Sulla politica della collocazione

Il concetto di politica della collocazione rimanda in generale alla rivendicazione del carattere situato di ogni sapere e del soggetto conoscente, nonché del coinvolgimento del soggetto nella propria visione del mondo. Nelle parole di Liz Stanley: «This way of thin- king about and theorising knowledge – as something which is specific to time and place and person, and so which is contextual, grounded and material, as well as being rooted in the “point of view” of particular knowledge producers who share these ideas with a group of other people who think similarly – is a funda-

mental contribution which feminist thinking has made»77.

La politica della collocazione è il tratto caratteristico del sape- re femminista. L’evoluzione del concetto, tutt’altro che univoca quanto a sviluppi ed esiti, è stata un po’ la stessa che ha dovuto at- traversare il femminismo come teoria e prassi di trasformazione di

sé e della realtà78.Tale evoluzione mostra la difficoltà di sfuggire al-

la forbice universalismo/relativismo – e, più in generale, all’ege- monia del pensiero lineare/binario – qualora nella costruzione di una prospettiva epistemologica ed etico politica che si vorrebbe co-

mune ci si trovi di fronte alla necessità di confrontarsi fino in fon-

do con le molteplici sfaccettature della differenza.

Alla elaborazione di questa prospettiva di analisi critica dei

77 Stanley L., Methodology matters!, in Introducing Women’s Studies. Feminist Theo-

ry and Practice,V. Robinson, Richardson(eds.), MacMillan, London 1997.

78 Per una ricostruzione di questa evoluzione si può vedere: de Lauretis T., Sog-

modelli dominanti, poggianti sul paradigma moderno di oggetti- vità intesa come neutralità ed omogeneità, ha contribuito la ne- cessità di fare i conti non soltanto con la differenza di genere, ma anche e soprattutto con le molteplici differenze esistenti tra don-

ne. La politics of location79nasce appunto tra gli anni ’60 e ’80 al-

l’interno del femminismo nord-americano come metodo per ren- der conto delle differenze esistenti fra le donne del movimento, in risposta alle critiche pregnanti di razzismo, etnocentrismo, classi- smo, omofobia sollevate dalle femministe di colore, lesbiche e po- stcoloniali.Tali critiche, ebbero l’effetto di “contromemorie” e co- strinsero il femminismo mainstream (bianco, occidentale, etero, borghese…) a fare i conti con le relazioni di potere esistenti al

proprio interno80.

La politica della collocazione è quindi venuta sviluppandosi come metodo di analisi della “situatedness”, a cominciare dalla pro- pria location di soggetto epistemologico ed etico-politico (posizio- namento epistemico, socio-culturale, economico, esistenziale), tra- ducendosi poi in una pratica autocritica e autoriflessiva che ri- chiede la Relazione come propria condizione ontologica e come obiettivo etico-politico. La politics of location «conceives of knowers as situated in particular relations to what is known and to other knowers. What is known, and the way that it is known, thereby

reflects the situation or perspective of the knower»81.Tuttavia, ve-

dremo tra poco che questa impostazione comune – che mira alla

79 Il termine fu coniato dalla femminista radicale nordamericana Adrienne Rich, in una serie di saggi pubblicati tra il 1984 e il 1986 e intitolati appun- to: Notes toward a politics of location, in Blood, Bread and Poetry: Selected Prose,

1979-1985, Norton, New York 1986.

80 Secondo de Lauretis «una teoria femminista in quanto tale comincia quando la critica femminista delle formazioni socioculturali (discorsi, forme di rap- presentazione, ideologie) diventa consapevole di sé e si volge al proprio in- terno per interrogare la propria complicità con quelle ideologie: per interro- gare il suo stesso corpo eterogeneo di scritture e di interpretazioni, i loro pre- supposti concettuali, le pratiche cui danno luogo e dalle quali emergono. La teoria femminista è divenuta possibile in un’ottica postcoloniale». de Lauretis T., Soggetti..., cit., 1999.

81 Anderson E., Feminist Epistemology and Philosophy of Science, voce per la Stan-

ford Encyclopedia of Philosophy, in «http://plato.standford.edu/entries/femi-

consapevolezza e alla responsabilità e in cui è centrale l’attenzio- ne al potere inteso come il fenomeno al tempo stesso più esterno e più intimo – si specifica di fatto in approcci epistemologici e metodologici diversi. Si potrebbe dire che la differenza tra i vari approcci dipende dal diverso modo di concepire l’essere in situa- zione del soggetto in relazione all’oggetto (dell’Io/Noi in rappor- to ai suoi Altri e alle sue Altre) – tenendo conto della dimensio- ne temporale del posizionamento, nel senso della memoria e del- la genealogia, e di quella spaziale, intesa come nozione geo-poli- tica – ovverosia, dal diverso modo di concepire il potere in rap- porto alla soggettività e all’identità.

Dopo averli analizzati ricorrendo alla classificazione di Sandra Harding, argomenterò brevemente in favore di una reciproca inter- sezione e contaminazione tra loro: essi possono cioè rappresentare livelli di azione, politiche e strategie diverse in relazione al conte- sto in cui la pratica femminista opera, a seconda delle problemati- che che decidiamo di prendere in considerazione e soprattutto a seconda della particolare location dalla quale lo facciamo.

6.2. Epistemologie femministe

A. La classificazione di Sandra Harding. In The Science Question in Fe- minism, un classico del 1986, ed in una serie di lavori successivi82,

Sandra Harding, filosofa della scienza statunitense, ha tentato di chiarire in cosa consista il “di più” apportato dalla riflessione fem- minista al dibattito scientifico. Muovendo da una preliminare di-

stinzione tra metodo di ricerca, metodologia ed epistemologia83,

82 Harding S., The Science Question in Feminism, Cornell University Press, Itha- ca 1986; Id., Feminism and Methodology, Indiana University Press, Bloomin- gton 1987; Id., Feminism, Science, and the Anti-Enlightenment Critiques, In Ni- cholson (eds), Feminism/Postmodernism, Routledge, London 1990; Id., Who-

se Science? Whose Knowledge? Cornell University Press, Ithaca 1991; Id. Is Science Multicultural? Postcolonialisms, Feminisms, and Epistemologies, Indiana

University Press, Bloomington 1998.

83 Mentre il metodo di ricerca consiste in «techniques for gathering evidence: li- stening to or interrogating informants, observing behaviour, or examining hi- storical traces and records», la metodologia è piuttosto una teoria e un’analisi

l’A. ha individuato quel “di più” nell’elaborazione di nuove me- todologie ed epistemologie. L’analisi di Harding si concentra principalmente sull’epistemologia, sottolineando comunque la di- pendenza di questa da metodi e soprattutto da metodologie par- ticolari. L’A. ha quindi proposto una classificazione delle princi- pali posizioni epistemologiche femministe in Feminist Empiricism,

Feminist Standpoint Theory e Feminist Postmodernism.

Nel testo del 1986 Harding caratterizzò i tre approcci come se si trattasse di prospettive fondamentalmente contrastanti, proba- bilmente per un’esigenza euristica. Sviluppi e proficue intersezio- ni all’interno della teoria femminista degli ultimi dieci-quindici anni hanno attutito la rigida distinzione tra le tre tipologie di ap- proccio – trend che la stessa Harding aveva previsto e che poi ha contribuito a determinare. In un saggio successivo parlò appunto di «epistemologia transizionale» e lei stessa ha adottato una pro- spettiva epistemologica che cerca di unire il meglio della Stan-

dpoint Theory con il meglio del Feminist Postmodernism.

Feminist Empiricism, Feminist Standpoint Theory e Feminist Postmo- dernism sono quindi categorie euristiche, che non devono essere pre-

se come compartimenti stagni visto che, in molti casi, si riscontra un’intersezione anche piuttosto proficua tra i diversi approcci.

B. Feminist Empiricism. Per Feminist Empiricism si intende una

forma di epistemologia fondazionalista post-metafisica, che si oc- cupa di investigare e presentare la possibilità di una scienza ogget- tiva e vera (“a successor science” nelle parole di Harding), di contro a quella scienza erronea che è il risultato di assunzioni e modi di procedere androcentrici:

di come la ricerca procede o dovrebbe procedere. «[I]t includes accounts of how the general structure of theory finds its application in particular scienti- fic disciplines». Aggiungerei, con Liz Stanley, che la metodologia è altrettanto «[a] set of linked ‘procedural’ or ‘operational’ elements which provide the grounding for ‘investigating’». Cfr. Stanley L., Methodology..., cit., 1997. L’epi- stemologia è invece una teoria della conoscenza: «It answers questions about who can be a ‘knower’ (can women?); what tests beliefs must pass in order to be legitimated as knowledge (only tests against men’s experiences and obser- vations?); what kinds of things can be known (can ‘subjective truths’ count as knowledge?), and so forth». Harding S., Feminism and Methodology, cit., 1987.

Feminist Empiricism is the justificatory strategy that has been used primarily by researchers in biology and the so- cial sciences. Feminist empiricists argue that sexism and androcentrism in scientific inquiry are entirely the conse- quence of badly done science84.

Sul piano metodologico, le esponenti del Feminist Empiricism sono le figlie di Quine e della rivoluzione epistemologica da lui

apportata all’empirismo a partire dagli anni ’60 del Novecento85.

Contro l’empirismo classico, Quine sostenne che l’osservazione condotta sui dati dell’esperienza, lungi dall’essere neutrale, è cari- ca di teoria e che l’epistemologia, lungi dal fornire una giustifica- zione meta-teorica alla scienza, è molto più semplicemente un progetto interno alla scienza stessa, teso ad investigare empirica- mente le procedure dell’indagine scientifica. Tuttavia, Quine po- stulò una divisione netta tra fatti e valori difficilmente condivisi- bile da un punto di vista femminista. Non a caso, le femministe empiriche sono profondamente impegnate a sondare il possibile contributo dei valori femministi all’indagine empirica e a vedere come i metodi scientifici possano essere migliorati in termini di oggettività alla luce delle analisi femministe sui pregiudizi di ge- nere negli approcci mainstream. La versione femminista dell’empi- rismo naturalizzato quindi non segue Quine nel ridurre l’episte- mologia ad una investigazione psicologica non normativa, ma piuttosto rivendica il ruolo dei giudizi di valore all’interno di una ricerca empirica rigorosa. Quine inoltre appoggiava un individua-

lismo metodologico86: alla base della sua epistemologia naturaliz-

zata stavano soprattutto il comportamentismo e la neuro-psicolo- gia. Le femministe empiriche invece prestano attenzione all’im- patto che le varie pratiche sociali legate al genere, alla razza e ad altri possibili fattori di disuguaglianza hanno sull’indagine empi- rica. Perciò esse prendono sul serio la sociologia, la storia e le scienze sociali. Molte appoggiano addirittura una epistemologia

84 Harding S., Feminism, Science..., cit., 1990.

85 Quine, W.V. O., Two Dogmas of Empiricism, in From a Logical Point of View, Harper & Row, New York 1963; Id., Epistemology Naturalized, In Ontological

socializzata, in cui l’indagine è trattata come un processo sociale a tutti gli effetti e tra i possibili soggetti di conoscenza includono anche comunità o networks di individui.

Come ha spiegato Elizabeth Anderson, esponente di spicco dell’empirismo naturalizzato, il problema centrale che si pone il

Feminist Empiricism può essere espresso attraverso due paradossi

apparenti. Innanzitutto, la maggior parte della critica femminista della scienza consiste nello svelare i pregiudizi androcentrici e ses- sisti che informano gli approcci mainstream. La forza di tale criti- ca sembra poggiare sul primo caposaldo dell’empirismo, secondo cui pregiudizio e parzialità sarebbero epistemologicamente nega- tivi nella misura in cui portano ad una cattiva teoria.Tuttavia le fi- losofe e scienziate femministe vogliono che i valori femministi, che sono appunto parziali, informino l’indagine scientifica. Que- sto è noto come the paradox of bias. In secondo luogo, e correlati- vamente, gran parte della critica femminista della scienza è dedi- cata all’esposizione dell’influenza dei fattori sociali e politici sul- l’indagine scientifica. Le teorie accusate di androcentrismo e ses- sismo sono viste come una emanazione del sessismo che permea la società nel suo complesso. Ciò sembrerebbe implicare che, al fi- ne di eliminare questi pregiudizi sociali occorra adottare una epi- stemologia individualistica; al contrario le studiose femministe pongono l’accento sulla costruzione sociale della conoscenza e sull’opportunità di lasciare spazio a differenti influenze sociali.

Questo può essere chiamato the paradox of social construction87.

Le femministe empiriche sostengono che per eliminare en- trambi i paradossi occorre minare l’assunto principale che li ani- ma: l’idea cioè che la parzialità sia di per sé un male e che agisca sull’indagine scientifica solo affievolendo l’influenza dell’eviden- za, della logica o di qualunque altro fattore cognitivo che inter- viene nell’indagine al fine di produrre verità e oggettività. Il loro

motto potrebbe essere: «Not all bias is epistemically bad»88.

86 L’individualismo metodologico è una dottrina antistrutturalista e antistori- cista, la quale prescrive che tutti i fenomeni sociali siano spiegati in termi- ni di individui.

87 Anderson E., Feminist Epistemology and Philosophy of Science, cit., 2003. 88 Cfr. Antony L., Quine as Feminist:The Radical Import of Naturalized Epistemo-

Quindi, rifacendosi prevalentemente alla tradizione pragmati- sta, le femministe empiriche rivendicano come fatto potenzialmen- te positivo il carattere situato del sapere e del soggetto conoscente. Rispetto alla location dei soggetti e ai differenti posizionamenti in- tesi come differenziali di potere, si tratta di distinguere tra quali dif- ferenze sono ricchezze e quali invece sono disuguaglianze:

[O]ur proper project should not be to give up on presup- positions or biases, but to empirically study which biases are fruitful and which mislead, and reform scientific prac- tice accordingly89.

logy, in Antony and Witt (eds.), A Mind of One’s Own,Westview Press, Boul-

der 1993. Ci sono tre strategie generali normalmente impiegate per dimo- strare questo assunto: una pragmatica, una procedurale ed una realista mo- rale. Ecco come Anderson riassume queste diverse strategie, miranti a difen- dere il carattere situato e parziale del sapere: «The pragmatic approach stres- ses the plurality of aims that inquiry serves. Inquiry seeks truths, or at least empirically adequate representations, but which truths any particular inqui- ry seeks depends on the uses to which those representations will be put, many of which are practical and derived from social interests. The parado- xes are dissolved by showing how responsible inquiry respects a division of labor between the functions of evidence and social values — the evidence helping inquirers track the truth, the social values helping inquirers con- struct representations out of those truths that serve the pragmatic aims of inquiry (Anderson 1995b).This view may be joined with a view of nature as rich, complex, and messy. No single theory captures the whole structure of reality, since different ways of classifying phenomena will reveal different patterns useful to different practical interests (Longino 2001).The procedu- ral approach argues that epistemically bad biases can be kept in check through an appropriate social organization of inquiry. A social organization that holds people with different biases accountable to one another will be able to weed out bad biases, even if no individual on her own can be free of bias (Longino 1990).This view may be joined with the idea that the sub- ject of knowledge (Nelson 1993), epistemic rationality (Solomon 1994) or objectivity (Longino 1990, 2001) is the epistemic community, not the indi- vidual.The moral realist approach argues that moral, social and political va- lue judgments have truth-values, and that feminist values are true. Inquiry informed by feminist values therefore does not displace attention to the evi- dence, because the evidence vindicates these values (Campbell 1998)». An- derson E., Feminist Epistemology, cit., 2003.

Nelle parole di Anderson, il progetto del Feminist Empiricism è sintetizzabile come segue:

In the absence of a sharp distinction between facts and va- lues, it cannot be argued that inquiry explicitly motivated by feminist values is in principle opposed to the truth. Whether any particular feminist, or sexist, theory is true or false will depend on empirical investigation informed by epistemic norms — norms which may themselves be reformed in light of the merits of the theories they gene- rate.This is the project of naturalized epistemology, whe- reby the vindication of norms of inquiry is sought not outside, but within, ordinary empirical investigation90.

L’empirismo femminista si contraddistingue pertanto per il suo pragmatismo, ma in esso l’attenzione è concentrata prevalen- temente sul momento della “giustificazione”, piuttosto che sul “contesto della scoperta”. Sebbene riconoscano il carattere situa- to di ogni (soggetto di) conoscenza, le femministe empiriche non rinnegano il metodo scientifico classico (empirico), ma anzi indi- viduano nella sua rigorosa applicazione la soluzione all’androcen- trismo della teoria tradizionale. Per quanto in molti casi si aprano

a forme moderate di costruzionismo sociale91, le loro riflessioni

non escono completamente dal dualismo tra soggetto/oggetto. L’oggettività è qui intesa ancora in termini di imparzialità e uni- versalità, garantite dalla fede nella cognitive legacy della ragione il- luministica (intesa in senso normativo e non metafisico).

L’universalismo è inteso in senso procedurale, come “teoria della giustificazione razionale” di principi e valori tendenzialmen- te universali (comuni all’umanità). Il conseguimento dell’univer- salità è basato su un modello di discussione democratica. Si rico-

90 Anderson E., Feminist Epistemoloy..., cit., 2003.

91 Secondo il costruzionismo sociale, il modo in cui si comprende il mondo e i propri simili è una costruzione sociale prodotta dalle interazioni interper- sonali e, in particolare, dalle interazioni linguistiche. In altre parole, il sé vie- ne socialmente costruito attraverso il linguaggio e ogni individuo è chiama- to a tessere la trama della propria storia personale sul telaio delle più ampie costruzioni narrative imposte dalla società in cui vive.

nosce che la produzione di conoscenza è un’impresa collettiva, as- sicurata dalle interazioni critiche e cooperative tra i soggetti co- noscenti. I prodotti di tale impresa sono tanto più oggettivi quan- to più riescono a superare le critiche provenienti dai “vari punti di vista”.Tale idea si basa su una lunga tradizione che risale a J.S. Mill, Karl Popper, e Paul Feyerabend. Le femministe empiriche sviluppano questa tradizione fornendo resoconti più accurati e si- tuati dei “vari punti di vista”, sottolineando l’influenza delle posi- zioni sociali dei soggetti nelle proprie rappresentazioni del mon- do, si curano di rendere visibili le differenze e le interazioni tra di- verse comunità epistemiche, e soprattutto sottolineano con mag- gior forza l’importanza dell’uguaglianza tra i soggetti. Vedremo meglio nel terzo capitolo che nel tentativo di fornire una rappre- sentazione postmetafisica e situata del soggetto, le femministe em- piriche danno comunque la priorità alla coscienza e alla volontà razionale rispetto ad altre facoltà, per quanto tentino di bilanciare l’astratto razionalismo con qualche etica della cura o delle emo-

zioni92 e si sforzino di rendere conto delle differenze, in primis

quella di genere, ma anche differenze culturali e di status sociale. Vedremo anche che la concezione del potere che sorregge le teo- rie delle femministe empiriche è pensata tendenzialmente sul mo- dello dualistico di dominanti/dominati, e presuppone una sorta di priorità e indipendenza ontologica del soggetto rispetto al potere stesso. Questo schema cognitivo è quello che si ritrova nel proce- duralismo liberale, comprese le sue versioni femministe. Basta pensare alle rivisitazioni femministe dell’equilibrio riflessivo ra- wlsiano o della teoria dell’agire comunicativo habermasiana. In definitiva, qui i saperi situati sono visti come una integrazione dell’universalismo cognitivo.

C. Feminist Standpoint Theory. In generale, le standpoint theories

aspirano a rappresentare il mondo da una prospettiva particolare e

92 Si vedano in proposito i classici di Nancy Chodorow, The Reproduction of

Mothering. Psychoanalisis and the Sociology of Gender, University of California

Press, London 1978; Carol Gilligan, In a Different Voice, Harvard University Press, Cambridge 1982; Jessica Benjamin, The Bonds of Love: Psychoanalysis,

socialmente situata, che si ritiene possa rivendicare una sorta di privilegio epistemico proprio in virtù della propria particolarità e

situatedness. Una completa “teoria del punto di vista” deve saper

specificare: (i) la location della prospettiva dotata di privilegio epi- stemico; (ii) le questioni rilevanti sulle quali tale prospettiva può rivendicare una visione privilegiata; (iii) l’aspetto della location che dà luogo ad una visione migliore: ad esempio, un particolare ruo- lo sociale, o una certa identità singolare; (iv) la giustificazione di tale privilegio epistemico; (v) il tipo di superiorità epistemica ri- vendicata: ad esempio, una maggiore accuratezza o abilità nel ga-