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I limiti della “socializzazione” della natura umana e la mancanza di una differenza sessuale

il caso della Anerkennung hegeliana

5. I limiti della “socializzazione” della natura umana e la mancanza di una differenza sessuale

Proviamo ora a trarre delle considerazioni finali rispetto a quanto è stato detto. Mettendo insieme gli spunti raccolti analizzando il

“sistema dei bisogni” e la “lotta per il riconoscimento”, si può ve- dere che, primo, in Hegel il concetto giovanile di Anerkennung è legato al sistema societario della maturità, e secondo che l’Aner-

kennung così pensata non è un modello di socialità alternativo o

diverso da quello contrattualistico, piuttosto esso ne rappresenta una revisione operata sulla base di una diversa “socializzazione” della natura umana. Provo a chiarire queste due considerazioni.

Che “sistema dei bisogni” e la “lotta per il riconoscimento” siano in Hegel aspetti convergenti, credo si cominci ad intuire. Bi- sogni e riconoscimento sono infatti legati da una logica di fondo che li rende molto sovrapponibili, non solo nell’ovvia conclusio- ne che dalla sovrapposizione di bisogni e riconoscimento risulta il “bisogno di riconoscimento”. Essi si sovrappongono per un trat- to ben più profondo e significativo, dandosi sostegno reciproco. Infatti mentre l’organizzazione sociale dei bisogni produce sfere sociali differenti per forme di eticità differenti, la struttura del ri- conoscimento funziona come modello per l’articolazione delle condotte individuali all’interno di ogni singola sfera sociale: se l’organizzazione dei bisogni tramite la divisione del lavoro e del- le conoscenze tecniche disegna la sagoma del progetto etico he- geliano, il riconoscimento ne riempie le cavità fenomenologiche tramite contenuti morali intersoggettivi. Ancora: se nell’organiz- zazione dei bisogni si conserva l’unicità del second-order desires, nel riconoscimento il soggetto fa esperienza della duplicazione (Ver-

dopplung) della propria coscienza nella relazione con l’altro.

A conferma di quanto detto, ci sono una serie di ragiona- menti controfattuali che si possono ricordare. Sintetizzandoli in pochi punti, si può dire che: i) l’eticità di un sistema societario di- viso in sfere sociali non avrebbe possibilità di ancorarsi nella cor- poreità ed emotività dei soggetti, se non ci fossero forme di rico- noscimento derivanti dalla lotta degli interessati per venir confer- mati. Questo vuol dire che lo spazio simbolico entro il quale il ri- conoscimento enuncia gli atteggiamenti morali da condurre, rap- presenta il luogo in cui viene socializzato il contenuto pulsionale e naturalistico dei bisogni. In questo senso le forme di riconosci- mento sono depositarie del passaggio dalla prima alla “seconda na-

tura”, un passaggio che si compie tramite una “socializzazione”

della natura umana. Inoltre, ii) senza una convergenza tra le forme del riconoscimento e il sistema dei bisogni, non sarebbe possibile

cogliere nell’etica normativa hegeliana quella connessione interna all’universalizzazione, cioè quel grado di compiutezza dell’astratto che passa per il grado di realizzazione del singolo nella sua dimen- sione sociale. Infine iii) senza tale convergenza non sarebbe possi- bile vedere la funzione etica e normativa importante che Hegel ascrive ai bisogni, allorché essi non solo sono legati alle istanze dell’azione, ma come continuazione di questi si capovolgono in elementi di vincolo nei confronti delle istituzioni sociali, aprendo quindi un possibile nesso tra bisogni e dovere. Un dovere certo non in senso categorico, ma ancorato e incorporato nell’immagine dei soggetti, nella dipendenza delle coscienze al mutuo riconosci- mento che li divide.

Se, dunque, bisogni e dovere trovano un loro modo di con- nettersi, è senz’altro ragionevole potere ipotizzare, come faccio in questa sede, che esiste un nesso forte tra sistema dei bisogni e lotta

per il riconoscimento. In Hegel, dal mio punto di vista, in definitiva

pare esserci sia sul piano materiale della produzione di prodotti per soddisfare bisogni, sia sul piano immateriale della riproduzio- ne di un ordine simbolico di condivisione, una medesima logica. Questa logica si muove con l’obiettivo di ripristinare in maniera esplicitata e oggettivata quelle che erano le condizioni di parten- za, arrivare cioè a porre l’intersoggettività sia come rapporto em- pirico (l’altro come colui che sta fuori di me), sia come elemen- to immaginifico (l’altro come me stesso) senza doverla presuppor- re come data per natura.

Veniamo con questo al punto della vicinanza tra Anerkennung hegeliana e la teoria classica del contratto sociale. Dopo ciò che si è detto, il passo è quasi obbligato. La lotta per il riconoscimento potrebbe essere pensata come lo slittamento su un piano sì rifles- sivo e coscienziale, ma totalmente ancora logico e astratto, del contratto giusnaturalistico alla Hobbes. Certo ci sono degli ele- menti nel sistema di pensiero di Hegel che ne mostrano l’inten- zionalità di discostarsi dalla concezione giusnaturalistica, intenzio- ne che però non si concretizza nello svolgimento del suo sistema. La differenza con il giusnaturalismo è che mentre nel giusna- turalismo il contratto prende forma dal bisogno di uscire dalla condizione naturale umana, intesa come forma generale e astratta capace di produrre attraverso l’anarchia l’autodistruzione e la

guerra di tutti contro tutti, nel sistema societario hegeliano vi è un processo di interiorizzazione e socializzazione della forza ge- nerale della natura, processo solo iniziato e non compiuto, che conduce ad una seconda natura, la natura appunto relazionale del- l’essere dell’uomo. Non più quindi un contratto per evitare l’ipo- tesi catastrofica del tutti contro tutti, ma una forma contrattuale della società che pone lo sviluppo dei bisogni del singolo come base dello sviluppo dei bisogni dell’altro.

Per Hobbes l’essere umano, concepito meccanicisticamente come una sorta di automa che si muove da sé, si caratterizza an- zitutto per la peculiare capacità di provvedere al proprio benesse- re. Ma nel momento in cui l’uomo si imbatte nel suo simile, que- sto comportamento previdente si trasforma in una forma di pre- ventivo accrescimento del potere generato dalla diffidenza. I due soggetti in questo modo, non conoscendo le intenzioni l’uno del- l’altro, si vedono costretti ad allargare previdentemente il loro po- tenziale difensivo per spaventare e prevenire anche in futuro la possibile aggressione da parte dell’altro. Hegel aveva capito che in Hobbes questa descrizione non è che un esito possibile. Hegel cioè sembra aver capito nella sua lettura della filosofia politica

hobbesiana ciò che più tardi si dirà del filosofo del Leviatano39:

Hobbes illustra una condizione fittizia di coesistenza degli uomi- ni che egli tenta di caratterizzare con l’equivoco termine di “na- tura”. Ma la teoria dello stato di natura non vuole descrivere la si- tuazione di partenza della socializzazione umana sulla base di una astrazione da ogni tipo di storia concreta; piuttosto l’astrazione dello stato di natura rappresenta la condizione generale che si ver- rebbe teoricamente ad affermare nel caso in cui, per ipotesi, fosse in un secondo momento ritirato dalla vita sociale degli individui ogni organo politico di controllo, ogni elemento terzo.

Se quindi Hobbes aveva mostrato ipoteticamente cosa può succedere se vengono meno le istituzioni politiche e all’improv- viso si dovesse scoprire la natura umana per quello che sarebbe senza l’abito dei vincoli istituzionali, Hegel fa il percorso inverso

39 Buck G., Selbsterhaltung und Historizität, in Eberling H. (a cura di), Subjekti-

vität und Selbsterhaltung. Beiträge zur Diagnose der Moderne, Suhrkamp, Frankfurt

mostrando come, invece, lo stato di natura contenga già una idea di eticità in potenza e che quindi la socialità, piuttosto che essere giustificata in termini negativi come un contratto che deve esser- ci per evitare il ragionamento controfattuale della accrescimento della belligeranza, diventa l’articolazione positiva e concreta per superare lo stato di diffidenza degli individui hobbesiani. La guer- ra hobbesiana di tutti contro tutti è, nella visione di Hegel, un esi- to possibile delle relazioni umane e per questo contiene già, nel- la sua estremizzazione, l’intuizione che, prima che la guerra di tut- ti contro tutti abbia esito, deve in qualche modo darsi una funzio- ne positiva e creatrice delle relazioni intersoggettive.

Lo stato di natura, in Hobbes espediente controfattuale della logica dello stato, diviene in Hegel fattuale elemento della logica della socialità, dell’articolazione di quella paura politica della clas- sicità, che era paura per l’aggressione dell’altro, nella paura politi- ca moderna che è paura per l’esposizione all’altro. Per questo nel riconoscimento si compie un grado diverso di socializzazione del- la natura: il riconoscimento permette di rimontare il passaggio lo- gico-mentale più ovvio – dallo stato di natura allo stato del sapere – nel passaggio più complesso da un stadio del sapere all’altro, tutto per il tramite di una socializzazione della natura. Riconoscendosi degni di riconoscersi si compie cioè la funzione logica superiore che Hegel assegna allo spirito, vale a dire ciò che Roberto Finel- li ha chiamato il circolo del presupposto-posto, per cui l’assoluto tra- mite dei processi di interiorizzazioni arriva a porre i propri pre- supposti, sottraendo progressivamente a se stesso ogni forma di

autorappresentazione e di identificazione esteriore40.

Se, dunque, il circolo del presupposto-posto sottrae a se stes- so ogni forma di autorappresentazione, esso a ben vedere giunge- rà alla progressiva coincidenza di interiorità e esteriorità utilizzan-

40 Finelli R. (in collaborazione con Bellofiore R.), Capital, Labour and Time: the

Marxian Monetary labour Theory of Value as a Theory of Exploitation, in Bello-

fiore R. (a cura di), Marxian Economics. A Reappraisal, Macmillan, London 1998, pp. 48-74; Id., “Abstraktion und Gesellschaft” bei Adam Smith, Hegel und

Marx, in Chitas E., Losurdo D. (a cura di), Abstrakt und Konkret – Zwei Schlüsselkategorien des zeitgenössischen Denkens, Peter Lang Verlag, Frankfurt a.

do con valore normativo formalizzazioni esclusivamente desunte da nessi del tipo sapere-natura. Ma come si può vedere, a questo ti- po di nesso della ragione manca del tutto l’altra parte della costru- zione della conoscenza, vale a dire la relazione sapere-storia. Que- sto non vuol dire che la determinazione storico-sociale della co- noscenza sia in grado di togliere l’alienazione dello spirito nella natura. Sarebbe un banale storicismo. Quello che invece sostengo è che va data alla ragione la possibilità di fare una esperienza di ulteriore alienazione, quale quella appunto contenuta nel rappor- to del sapere con la storia. Senza l’esposizione della ragione a que- sto grado di confronto, non sarà possibile realmente porre lo spa- zio della socialità. Solo l’esperienza di una ulteriore possibile alie-

nazione, può porre i bisogni, le inferenze linguistiche41e l’evolu-

zione delle strutture mentali42, in una posizione diversa da quella

41 Questa è l’idea di R.B. Brandom. Secondo Brandom il contenuto concettuale si caratterizza in quanto risultato di una attività inferenziale del soggetto agen- te sulle cose che conosce. Recuperando un’intuizione del Wittgenstein delle

Ricerche Filosofiche sull’impossibilità di avere sempre una regola che stabilisca

l’applicazione di una regola, Brandom suppone di conseguenza che non vi può essere un sistema di regole autofondantesi. Se questo è vero, allora la pras- si reale deve trovare al proprio interno un fondamento che consenta alle sin- gole regole di essere giustificate e questo fondamento non può che essere espresso da un tipo di logica che renda esplicita la prassi stessa. Questa logica è la logica inferenziale che parte dal rapporto materiale tra gli oggetti. Cfr. Brandom R.B., Make it explicit, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1994; Id., Articulating reason. An Introduction to Inferentialism, Harvard Univer- sity Press, Cambridge (Mass.) 2000, trad. it., Articolare ragioni. Una introduzio-

ne all’inferenzialismo, il Saggiatore, Milano 2002.

42 In particolare rinvio qui a Testa I., Naturalmente sociali, Per una teoria generale

del riconoscimento, in “Quaderni di Teoria Sociale”, 5, 2005, pp. 165-218.

L’idea di Testa è che si dia una struttura mentale del riconoscimento intesa come costrutto cognitivo. Come Testa scrive in un altro suo contributo al- la discussione su questo tema: “il “riconoscimento cognitivo” [è] inteso co- me quel meccanismo di coordinazione cognitiva-percettiva tra organismi interagenti che, consentendo cognitivamente l’assunzione dell’atteggiamen- to dell’altro, rende possibile lo sviluppo cognitivo dei processi di apprendimen- to naturali. Ciò non significherebbe presupporre l’autocoscienza già al livello delle interazioni biologiche: al contrario, il vantaggio di tale impostazione con- sisterebbe nel fatto che essa potrebbe rendere comprensibile come l’autoriferi- mento cosciente possa emergere – quale vantaggio evolutivo per la specie i cui

di un semplice “sussistere” del soggetto nel quadro normativo in- torno a lui. Se si rimane invece fermi a un polo oggettivo della conoscenza assunto come medio del rapporto tra sapere e natura, il grado di socialità degli atti sarà dato dal solo livello di abilità del- le coscienze ad assumersi impegni e riconoscere titolarità nei con- fronti degli altri. Ma “pensare” non significa solo tirarsi fuori dal nulla, così come una teoria della conoscenza non significa solo produrre una teoria di come nasce la conoscenza, cioè di come e da dove viene il fatto che conosciamo. A mio parere, non è solo in questo tipo di nascita che gli atti sociali assumono quel grado im- putabile di responsabilità che hanno quando si elevano a momen- ti di interazione e identificazione. Nello spazio sociale della ragio- ne pensare significa soprattutto sentire di pensare, sentire di esser-ci. Per questo non è solo la nascita naturale o il linguaggio che con- sente agli individui di distinguersi. Se tutto si riducesse a dover spiegare come si articola il potenziale naturale o la capacità lingui- stica dell’individuo, non ci si sposterebbe da un tipo di normati- vità monologica, non molto diversa da quella di una qualsiasi on- tologia sociale. Accanto alla nascita della conoscenza come fatto dell’essere nel mondo, ne esiste anche un’altra. In ogni conoscen- za del mondo che impariamo a organizzare e a gestire coincido- no, infatti, due eventi originari: la nascita di un mondo e la nascita di

noi stessi (M. Merlau-Ponty43). In questo senso, quindi, l’azione co-

organismi dispongono di meccanismi flessibili di monitoraggio – dall’imple- mentazione di meccanismi più semplici più semplici di riconoscimento percet- tivo-interazionale”, in Testa I., Riconoscimento naturalizzato. Una soluzione scettica

al dibattito sull’autocoscienza tra Henrich,Tugendhat e Habermas, in Costa P., Rosa-

ti M.,Testa I. (a cura di), Ragionevoli dubbi, Carocci, Roma 2001, p 87. 43 Secondo M. Merlau-Ponty nascere, è nascere dal mondo e al tempo stesso

nascere al mondo. Il mondo è già costituito, ma non è mai completamente costituito. Sotto il primo rapporto noi siamo sollecitati, sotto il secondo sia- mo aperti ad un’infinità di possibili, cfr. Merlau-Ponty M., Fenomenologia

della percezione, il Saggiatore, Milano 1963. Sulla ricchezza di rimandi e in-

terconnessioni tra uomo cultura e mondo, rimando qui alle interessanti li- nee di sviluppo teoretico e sociale contenute in una raccolta di saggi cura- ta da D’Armento Vito A., La foresta perduta. Paradigmi per una educazione allo

sviluppo umano sostenibile e durevole, Pensa Multimedia, Lecce 2005. Di que-

sto volume in particolare, oltre al già citato D’Armento, rinvio ai saggi di Sergio Moravia, Edgar Morin, Christoph Wulf.

gnitiva del riconoscimento piuttosto che essere la porta tra la pri- ma natura e la seconda natura, sta invece ad indicare una seconda

nascita o anche una rinascita. Non basta dunque pensare il ricono-

scimento come la forma della potenzialità pragmatica e corporea del nostro essere creature sensibili e vulnerabili. Come bene Da- vide Sparti ha ricordato in un suo recente articolo sul tema del ri- conoscimento, la vulnerabilità dell’essere sociale non deve essere legata «alla circostanza di essere creature incorporate e finite, di- sposte alla malattia e alla mortalità, ma al nostro essere esposti al- le contingenze dell’agire, ossia ai limiti pratici imposti dalle con-

seguenze future delle nostre interazioni»44. Esiste perciò un grado

della corporeità, della nostra emotività che non è un potenziale che attende un consono programma di esplicazione, ma che inve- ce possiede già in se stesso una certa forma di energeia, di attività ra- zionale, qualcosa di simile a ciò che Ludwig Siep ha definito aspetti

normativi del corpo umano45. La costituzione dei second-order desires è es-

sa stessa una forma di potenzialità articolata che si apre ad un mon- do a sua volta già formalizzato da presupposti di mediazioni: il con- vergere o il divergere di queste due forme di attività è il segno non tanto del passaggio dalla coscienza all’autocoscienza, ma dalla co- scienza soggettiva all’interazione con l’altro. In questo senso, modu- lare il rapporto tra sapere e mondo in termini di adesione a modelli evoluzionistici o al contrario spingere verso modelli etici di ricono- scimento, dipenderà dalle forme che tale rapporto assumerà nel suo manifestarsi storico-sociale. Se si rimane fermi ad un unico livello di manifestazione del nesso sapere e mondo, è in primis la stessa rela- zione con l’altro che ne viene a risentire. Come bene ha visto Judith

Butler46 l’altro hegeliano è stato interpretato o come momento

costitutivo dell’io o come pure momento di estasi dell’io. Nel pri-

44 Sparti D., Oltre la politica del riconoscimento. Per una rilettura del nesso identità/ri-

conoscimento a partire da Hannah Arendt e Stanley Cavell, in “Teoria politica”,

2, 2005, pp. 101-125, qui p. 103. Sempre dello stesso autore rimando a Spar- ti D., L’imperativo del riconoscimento.Tre modi di problematizzazione di un concet-

to, di prossima pubblicazione su “Quaderni di teoria sociale”.

45 Siep L., Normative Aspects of Human Body, in “Journal of Medicine and Phi- losophy”, 28, 2, 2003, pp. 171-185.

46 Butler J., Critica della violenza etica, Feltrinelli, Milano 2006, in particolare qui pp. 39 ss.

mo caso, l’altro è inizialmente posto all’esterno e poi il processo di riconoscimento porterà a interiorizzare l’altro nell’io tramite un’appropriazione indebita della sua diversità. Nel secondo caso, il rapporto con l’altro non si costruisce dentro l’io ma all’esterno. L’io trova ripetutamente se stesso fuori di sé e riconosce questo essere sempre altro da se stesso proprio in rapporto con un altro. La pre- senza dell’altro trasforma l’io nella serie dei suoi incontri e perciò si rende impossibile un ritorno completo a sé.

Sia però che si tratti di momento costitutivo dell’io, sia che si tratti di estasi, il riconoscimento in entrambi i casi non è che una

rappresentazione del rapporto con l’altro: si passa dal “chi sono io?”

nella variante appropriativa al “chi sei tu?” della variante della rela- zione estatica all’altro47.

La rappresentazione della relazione all’altro, a questo punto ne- cessiterebbe per usare un’espressione di Seyla Benhabib di passare

“dall’altro generalizzato all’altro concreto”48. Un altro nella concretezza

del suo “sentire di pensare”, nel suo sentire di essere qualcuno, sentire

47 A questo proposito, come la stessa Butler sottolinea, la riflessione di Adria- na Cavarero ci offre la cifra per capire i termini di questa seconda doman- da. Come Cavarero scrive: “è il tu che viene prima del noi, prima del voi, prima del loro. Sintomaticamente, nelle vicende moderne e contemporanee dell’etica e della politica, il tu è invece un termine spaesante. Ignorato dalle dottrine individualistiche troppo occupate a lodare i diritti dell’io, e messo in maschera da un’etica kantiana capace di inscenare un io che si dà solen- nemente del tu, esso non trova casa neppure nelle scuole di pensiero che al- l’individualismo si oppongono”, in Cavarero A., Tu che mi guardi, tu che mi

racconti. Filosofia della narrazione, Feltrinelli, Milano 2003, p. 118.

48 Benhabib S., The Generalized and the Concrete Other, in Id., Situating the Self: Gen-

der, Community and Postmodernism in Contemporary Ethics, Routledge, New York

1992, pp. 148-178. In un recente lavoro Benhabib ha utilizzato lo stesso tipo di configurazione del rapporto con l’altro, usando la versione concreta dell’“altro generalizzato” come base per favorire quel genere di norme che renda l’acce- so alla costituzione delle regole libero e partecipato. Mutuandola da Habermas, secondo Benhabib la norma minimale del rispetto di ogni altro individuo co-