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UNICREDIT E BNP PARIBAS: UN CONFRONTO DI BUSINESS MODEL

4. Caratteristiche del modello di business

4.2 BNP Paribas

BNP Paribas viene reputata una grande banca diversificata leader del mercato bancario europeo. Nello svolgimento dell’analisi quantitativa saranno analizzati prima i risultati reddituali, poi le componenti dello stato patrimoniale e, infine, i risultati delle divisioni del gruppo. Il modello di business adottato ha garantito buoni risultati prima e durante la crisi, anche se ha comportato una maggiore volatilità dei risultati durante gli ultimi anni. Come per UniCredit, i grafici successivi sono stati ottenuti utilizzando i dati

0 2000 4000 6000 8000 10000 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 0% 20% 40% 60% 80% 100% 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

89 estrapolati dai bilanci che vanno dal 2002 al 2012.100

Iniziando dal conto economico, i risultati del gruppo sono stati in ascesa fino al 2008, anno in cui le forti perdite derivanti dalla svalutazione dei titoli in portafoglio hanno portato ad utili operativi pari a 3˙724 milioni rispetto agli 11˙058 milioni registrati l’anno precedente (Figura 3.6).

Figura 3.16 – Risultati operativi di BNP Paribas (mln €)

I risultati altalenanti registrati negli anni successivi derivano principalmente dalla volatilità del valore degli strumenti detenuti in portafoglio che hanno fatto registrare risultati netti minori rispetto a quelli degli anni pre-crisi.

L’alta volatilità dei profitti derivanti dall’attività di negoziazione è stata contenuta dalla stabilità dei ricavi derivanti dalla attività tradizionale della banca. La Figura 3.7 mostra infatti un trend crescente fino al 2010. Come noteremo successivamente, dal 2009, il gruppo francese ha intrapreso politiche di offerta dei depositi più aggressive, aumentando così il costo della raccolta che è ricaduto direttamente sull’ammontare degli interessi passivi.

100 BNP Paribas, Annual Report, Parigi, anni 2002-2012.

0 2000 4000 6000 8000 10000 12000 14000 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 53516332 7119 8424 1057011058 3724 9000 13020 965110372

90 Figura 3.17 – Margini di interesse di BNP Paribas (mln €)

I proventi registrati dal gruppo BNP Paribas non derivano solo dal margine da interesse, ma anche dai ricavi provenienti dalle commissioni e dalla negoziazione di attività finanziarie. Queste ultime hanno partecipato sempre meno alla creazione del valore, dato che, dal 2008 in poi, hanno lasciato posto ai ricavi derivanti dall’attività di intermediazione. Quest’ultima è passata in dieci anni da una quota del 32% nel 2002 a una quota del 56% nel 2012 come mostrato dalla Figura 3.18.

Figura 3.18 – Composizione del reddito operativo (termini percentuali)

Il 2008 rappresenta in questo senso uno spartiacque in quanto, con l’avvento della crisi finanziaria, il gruppo francese ha ottenuto maggiori guadagni dalle attività più tipicamente bancarie quali la concessione dei prestiti e il conseguimento di proventi da commissioni, dato che i guadagni derivanti dalla negoziazione di attività finanziarie avevano raggiunto una volatilità considerevole.

0 5000 10000 15000 20000 25000 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 5384 6511 6109 77339124 9708 13498 21021 24060 23981 21745 0% 20% 40% 60% 80% 100% 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 Margine di interesse Commissioni Proventi da attività finanziarie

91 Tuttavia, se si analizzano gli impeghi dello stato patrimoniale, si conclude che il gruppo BNP Paribas è ben lontano dall’applicare il concetto del modello della banca tradizionale fondata sull’intermediazione creditizia.

Figura 3.19 – Composizione degli impieghi (termini percentuali)

Il grafico (Figura 3.19) mostra, infatti, una quota di attività finanziarie che, anche se in diminuzione, si attesta intorno al 50% del totale attivo, mentre la quota dei crediti concessi ai clienti non supera mai il 35%. I prestiti concessi alle altre banche risultano comunque esigui. Tale strategia rispecchia molto il profilo della banca universale che prova a sfruttare le opportunità offerte dai mercati dei capitali piuttosto che investire i propri fondi nella concessione dei prestiti ai clienti.

Occorre, quindi, un focus sugli investimenti finanziari di BNP Paribas, in particolare sulla quantità degli investimenti in derivati. La figura successiva mostra, in valori assoluti, l’investimento in azioni e obbligazioni confrontati con i derivati detenuti in portafoglio alla fine di ogni anno.

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 Crediti vs. clienti Attività Finanziarie Crediti vs. banche

92 Figura 3.20 – L’investimento in Attività Finanziarie (mln €)

È evidente il cambio di operatività avvenuto dopo l’avvento della crisi. Nel 2008, infatti, i derivati hanno quasi pareggiato l’investimento negli altri titoli, mentre prima della crisi non superavano mai il 28% dell’intero portafoglio. Al contrario, dal 2009 in poi, la quota è variata tra il 39,19% e il 44,62%. Come per UniCredit, anche la banca francese non ha tenuto conto delle perdite conseguite nel 2008 e ha continuato ad investire in derivati nonostante questi ultimi comportino un maggiore rischio.

Guardando ora al lato del passivo, la Figura 3.21 sintetizza le fonti di finanziamento del gruppo.

Figura 3.21 – Fonti di finanziamento (termini percentuali)

Come anticipato, la quota dei depositi, mantenutasi costantemente intorno ad un livello del 50% prima della crisi, ha assunto negli ultimi anni un trend crescente in ragione delle politiche di offerta dei depositi più aggressive adottate dalla banca. Inoltre, BNP Paribas

0 200000 400000 600000 800000 1000000 1200000 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 Azioni e Obbligazioni Derivati

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 Depositi Titoli in circolazione Debiti vs. altre banche

93 ha limitato sempre più la sua dipendenza dai mercati interbancari. Difatti, dal 2009 ha ridotto del 50% i propri debiti verso le altre banche passando da 220 a 111 miliardi nella fine del 2012.

Anche per PNP Paribas, l’analisi del passivo si conclude con la dinamica del Patrimonio netto. Il capitale della banca francese (Figura 3.22) è aumentato costantemente sia a seguito degli aumenti di capitale che delle acquisizioni effettuate dal gruppo.

Figura 3.22 – Patrimonio Netto (mln €) Figura 3.23 – Tier 1 ratio

In particolare, gli aumenti di capitale si sono resi necessari per rispettare i requisiti patrimoniali che sono divenuti sempre più stringenti. Le acquisizioni di BNL e di Fortis hanno aumentato il patrimonio netto senza però influire negativamente sull’indice Tier 1 (Figura 3.23) che si è mantenuto intorno ad un livello del 7,50% fino all’inizio della crisi. Le pressioni del mercato e le aspettative di una revisione dei requisiti patrimoniali hanno spinto il gruppo a migliorare ulteriormente la qualità del patrimonio portando il Tier 1 ratio al 13,60% e il Core Tier ratio 1 al 9,90% alla fine del 2012. Gli ultimi risultati trimestrali (settembre 2013) indicano un Core Tier ratio 1 al 10,80%.

L’analisi del modello di business di BNP Paribas si conclude con i risultati ottenuti dalle funzioni del gruppo così come descritte nel paragrafo precedente. Le Figure 3.24 e 3.25 mostrano prima il contributo ai risultati operativi in termini assoluti e successivamente in termini percentuali per comprendere il peso che ha avuto ogni divisione all’interno del gruppo.

- 20.000 40.000 60.000 80.000 100.000 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 0% 2% 4% 6% 8% 10% 12% 14% 16%

94 Figura 3.24 – Contributo delle Divisioni (mln €) Figura 3.25 – Contributo delle Divisioni in %

Se si guarda agli anni precedenti alla crisi, si nota un aumento dei ricavi assoluti, mentre le quote non si allontanano mai dai loro valori medi quali 47% per le divisioni territoriali, 37% per il Corporate & Investment Banking e 16% per Investment solutions. Con la crisi del 2008, aumenta la volatilità dei risultati delle prime due divisioni, in particolar modo per la divisione Corporate e Investment Banking. Quest’ultima ha conseguito una perdita operativa di 1˙189 milioni di euro nel 2008, mentre ha ottenuto risultati molto positivi nei due anni successivi per poi tornare nuovamente ai livelli pre-crisi. Al contrario, il contributo della rete di agenzie è stato sempre positivo e i valori registrati negli ultimi due anni hanno portato a quote oltre la media fino ad arrivare, nel 2012, a ricavi per un ammontare di 6˙490 miliardi di euro, 2 miliardi in più rispetto ai proventi del 2004. La divisione Investment solutions, inoltre, nonostante la congiuntura sfavorevole, ha mantenuto costanti i propri proventi.

Per concludere, vi è un ultimo aspetto degno di nota. A differenza di UniCredit, BNP Paribas ha sviluppato un profilo assicurativo già maturo. In particolare, tramite la società del gruppo BNP Paribas Cardif, rientrante nella divisione Investment Solutions, il gruppo francese assume un ruolo rilevante in tutti i mercati assicurativi in cui è presente. Nell’arco dei dieci anni osservati, il contributo ai risultati operativi dell’attività assicurativa è stato in media del 8% con il miglior risultato di 5˙971 milioni di euro ottenuto nel corso del 2011. L’importanza del comparto assicurativo all’interno del gruppo è dimostrata anche dal rapporto tra riserve tecniche e totale passivo che oscilla sempre intorno a percentuali del 6%.

-2000 0 2000 4000 6000 8000 10000 12000 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 -20% 0% 20% 40% 60% 80% 100% 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

95

5.

I due gruppi a confronto in ambito nazionale

L’analisi appena proposta porta ad alcune conclusioni. Innanzitutto, i profili delle banche non si discostano molto e ciò è probabilmente riconducibile alle similitudini tra i loro mercati di riferimento costituiti per lo più da piccole e medie imprese e da mercati dei capitali non molto efficienti. Ne consegue che entrambi i gruppi hanno creato una struttura organizzativa che prevede le tre Aree d’Affari tradizionali, dotate di una discreta autonomia decisionale.

In particolare, il modello di business di UniCredit sembra rientrare nello schema della banca retail dato che la banca si focalizza specialmente sulla raccolta effettuata tramite i depositi e la concessione dei prestiti a famiglie e imprese. Per quanto riguarda le politiche di investimento adottate dal gruppo negli ultimi anni, l’ammontare del portafoglio attività finanziarie è rimasto pressoché invariato nonostante le perdite conseguite dei periodi di maggior turbolenza. Le perdite conseguite dal gruppo non dipendono inoltre dal modello di business adottato, ma da alcune concentrazioni effettuate che non sempre si sono rivelate di successo.

Il modello di BNP Paribas, invece, rispecchia maggiormente i canoni della banca diversificata, presente in tutti i mercati di riferimento compreso quello assicurativo. Al contrario di UniCredit, le strategie messe in atto dal gruppo francese pongono maggiormente l’accento sull’investimento in attività finanziarie sia nei periodi di crescita che in quelli di turbolenza. Basti ricordare che, negli ultimi dieci anni, la quota del portafoglio finanziario sul totale attivo del gruppo non è mai scesa al di sotto del 50%.

Tuttavia, così come per UniCredit, più della metà del reddito operativo è composto da ricavi derivanti dal margine di intermediazione e entrambi i gruppi puntano ad aumentare la loro attività creditizia sia dal lato degli impieghi che della raccolta.

Inoltre, il grado di diversificazione raggiunto dal gruppo francese si dimostra più elevato rispetto a quello raggiunto da UniCredit se si guarda al contributo delle divisioni strategiche ai risultati reddituali. Nonostante una maggior volatilità dei ricavi, le divisioni dedicate alle grandi aziende e ai grandi patrimoni di BNP Paribas hanno contribuito maggiormente ai risultati del gruppo rispetto a quanto fatto dalle relative divisioni del gruppo italiano. E ciò risulta ancor più vero se si tiene conto dell’importanza assunta dal comparto assicurativo all’interno del gruppo francese.

Guardando alla rischiosità del modello di business impostato dalle due banche, UniCredit sembra avere un modello meno rischioso con meno del 40% di fonti di reddito

96 da non interesse, esigui rapporti con il mercato interbancario e livelli di capitale in aumento. BNP Paribas, nonostante la solidità del modello di business e la diminuzione della sua dipendenza dalle fonti di reddito da non interesse, concentra eccessivamente gli investimenti nelle attività finanziarie e soprattutto nella compravendita di titoli derivati.

Le criticità finora evidenziate sembrano trovare risposta proprio nelle misure proposte dal Gruppo di esperti presieduto da Erkki Liikanen.

Come già descritto nel secondo capitolo, tra le cinque misure proposte, la più importante del rapporto è sicuramente quella che riguarda la separazione obbligatoria delle attività. Giova ricordare che quest’ultima verrebbe applicata solo nel caso in cui le attività oggetto della separazione superino il 15-25% del totale attivo o se queste superino la soglia dei 100 miliardi di euro. Di seguito verrà proposta un’analisi preliminare, al fine di comprendere se i due gruppi verranno interessati o meno dal provvedimento. Per far ciò, bisogna distinguere due casi.

Nel primo caso si ipotizza che venga approvato lo scenario più rigoroso, ovvero che rientrino nella separazione tutti i gruppi che detengono attività oggetto di separazione che superano il 15% del totale attivo o che superano la soglia dei 100 miliardi di euro. Il secondo caso, invece, contempla l’ipotesi che si tenga conto esclusivamente della soglia del 25%. I risultati dei due casi sono sintetizzati nella tabella seguente.

Tabella 3.1 – L’applicazione della separazione obbligatoria

Scenario rigoroso Secondo scenario

Soglie 15% 100 Miliardi 25%

BNP Paribas Superiori Superiori Superiori

UniCredit Superiori Superiori Inferiori

L’analisi preliminare prevede un calcolo approssimativo, dato che per ora non è possibile identificare con precisione quali attività saranno oggetto di separazione. Tuttavia, le raccomandazioni del documento indicano che l’ammontare totale di derivati detenuti dal gruppo dovrebbe rientrare nelle attività oggetto di separazione, mentre per le altre attività finanziarie sarà necessario distinguere le esposizioni verso gli hedge fund, società veicolo e simili nonché partecipazioni in private equity.

Iniziando da BNP Paribas, è sufficiente calcolare il rapporto tra derivati e totale attivo per ottenere un percentuale del 23,46% nel 2012 e una media del 21% negli ultimi cinque anni, mentre se si guarda al complesso delle attività finanziarie si giunge a

97 percentuali del 50% del totale attivo sia per il valore del 2012 che per la media degli ultimi cinque anni. Infine, guardando al limite assoluto dei 100 miliardi di attività oggetto di separazione, negli ultimi cinque anni i soli derivati non hanno mai avuto valori inferiori a 363 miliardi. Quindi, escludendo aumenti delle soglie da parte della Commissione Europea, entrambi i casi ipotizzati portano all’applicazione della separazione obbligatoria per il gruppo francese.

Per UniCredit valgono considerazioni differenti. Se si guarda al rapporto tra attività finanziarie e totale attivo si ottiene una percentuale del 22,87% nel 2012 e una media del 23,20% negli ultimi cinque anni rientrando così nello scenario rigoroso ma non in quello che richiede una soglia del 25%. Se si guarda, invece, la soglia assoluta dei 100 miliardi, UniCredit potrebbe rientrare comunque nella lista delle banche destinatarie della separazione dato che nel 2012 il portafoglio titoli ammontava ad un valore di 130 miliardi di cui 81 in titoli derivati. Di conseguenza, la banca italiana sarebbe esonerata dall’applicazione della separazione obbligatoria esclusivamente nel caso dello scenario meno rigoroso.

In base ai risultati ottenuti dall’analisi proposta in questo capitolo, sembra giusto imporre in tutti i casi la separazione delle attività al gruppo francese dato che una larga parte del suo portafoglio di attività finanziarie è finanziata dai depositi dei risparmiatori e che determinate scelte d’investimento errate rischierebbero di gravare eccessivamente sui clienti. Inoltre, una tale imposizione potrebbe diminuire i risultati reddituali del gruppo ma in maniera non troppo evidente dato che la parte più importante del reddito operativo deriva dall’attività di intermediazione creditizia e dalle commissioni.

D’altra parte, sembra oltremodo corretto che il gruppo italiano rientri solo nella soglia più rigorosa dato che ha mostrato un modello di business più solido e meno incline agli investimenti speculativi pur registrando perdite in conto capitale nei periodi di maggior turbolenza finanziaria.

A parere di chi scrive, le proposte indicate dal gruppo Liikanen sembrano la soluzione giusta alle problematiche evidenziate durante l’analisi effettuata nel corso di questo capitolo. In particolare, il completo divieto di svolgere attività di investimento non è di per sé una soluzione praticabile dato che comporterebbe un enorme deflusso di capitali dai mercati mobiliari e una perdita di competitività per le banche del vecchio continente. Al contrario, risulta appropriato il divieto di investire con fini speculativi i fondi intermediati ottenuti tramite i depositi. Il trend più preoccupante risulta essere proprio quello di un aumento dei depositi verso i clienti accompagnato da un ammontare

98 di investimenti in titoli derivati ancora eccessivo.

Sembra quindi doveroso un intervento che richieda alle banche di svolgere queste attività con i propri fondi e non con i risparmi dei clienti. Questo perché il depositi bancari sono ancor oggi una forma di risparmio ma, sempre più frequentemente, vengono utilizzati dai risparmiatori come strumenti di pagamento.

È interesse collettivo, quindi, preservare i fondi dei risparmiatori tenendo anche conto del fatto che una tale previsione potrebbe portare ad un aumento delle risorse destinate al finanziamento di famiglie e imprese. E ciò risulterebbe utile soprattutto nei periodi di congiuntura sfavorevole come quello attuale. Concludendo, esiste l’effettiva necessità di evitare che scelte errate da parte dei manager influiscano negativamente sui risparmiatori e di ridurre la probabilità e l’impatto dei fallimenti bancari e il rapporto presentato dal gruppo Liikanen sembra andare nella giusta direzione.

99

Conclusioni

La trattazione proposta ha provato a indicare le possibili risposte agli interrogativi posti dalla crisi finanziaria in tema di business model.

Le indicazioni della letteratura possono portare all’identificazione di un modello di business meno rischioso che non faccia troppo affidamento sulle fonti di reddito da non interesse, mantenga una elevata quota di depositi concessi dai clienti, detenga buoni livelli di capitale e abbia dimensioni proporzionate ai mercati in cui opera la banca.

Nonostante alcuni modelli di business abbiano retto meglio ai contraccolpi della crisi finanziaria, nessuna tipologia di banca può essere ritenuta incolpevole dello scoppio della stessa. Ciò suggerisce che non vi è la necessità di un cambiamento di quei modelli che hanno mostrato performance peggiori di altri. Al contrario, risulterebbe più utile la proibizione di quelle pratiche che hanno contribuito all’instabilità finanziaria e che hanno favorito l’innesco e la propagazione della crisi.

Le proposte di riforma dei paesi anglosassoni e dall’Unione Europea sembrano voler raggiungere proprio l’obiettivo della separazione delle attività più rischiose da quelle più tradizionali, nella speranza di evitare che gli errori delle banche si ripercuotano su risparmiatori e contribuenti.

In base alle considerazioni esposte nella trattazione, sembra che le tre proposte contribuiscano a creare sistemi bancari più stabili, confinando in modo credibile le attività di investimento più rischiose. Tali attività d’investimento dovrebbero essere finanziate esclusivamente con il capitale degli azionisti, che sono, evidentemente, gli unici a trarre guadagno dagli investimenti speculativi delle grandi banche. Gli stessi azionisti che promettono, senza tener conto dei rischi assunti, bonus e liquidazioni esorbitanti agli amministratori in cambio di risultati reddituali sempre maggiori.

L’analisi del terzo capitolo si è posta, quindi, l’obiettivo di analizzare il modello di business di UniCredit e PNP Paribas per provare a evidenziarne le peculiarità e la rischiosità.

Il gruppo italiano dimostra di avere un modello di business meno rischio di quello francese, dato che la banca francese fonda il proprio attivo principalmente sugli investimenti in attività finanziarie, composte per la maggior parte da titoli derivati. I due gruppi, operando in Europa, potrebbero essere soggetti alla separazione obbligatoria proposta dal rapporto Liikanen. In base alle soglie che saranno scelte, UniCredit rientrerebbe nel gruppo delle banche oggetto della separazione solo se sarà scelta la soglia

100 più rigorosa, mentre la banca francese in tutti i casi dovrà segregare le attività di

investment banking dal resto del gruppo. Le considerazioni appena fatte sui due gruppi

avvalorano ancor di più le previsioni del gruppo di esperti, dato che BNP Paribas ha dimostrato, alla luce della crisi, di avere un modello di business più rischioso della sua concorrente italiana.

L’imposizione di una separazione obbligatoria come quella proposta dal gruppo Liikanen potrebbe portare a ripercussioni negative sulla redditività dovute a maggiori costi organizzativi e minori economie di scala ma anche a diversi benefici.

Innanzitutto, il divieto di finanziare gli investimenti finanziari tramite i depositi indirizzerebbe, inevitabilmente, maggiori risorse verso i prestiti a famiglie e imprese. La separazione aumenterebbe anche la trasparenza sia verso i risparmiatori che verso gli investitori. I primi sarebbero certi del fatto che i fondi depositati nei conti correnti non siano investiti in attività rischiose, mentre i secondi sarebbero maggiormente consapevoli delle loro scelte di investimento, potendo distinguere nettamente la parte del gruppo maggiormente rischiosa. Inoltre, vi è anche la possibilità di migliorare l’attività di controllo delle autorità di vigilanza che avranno la possibilità di focalizzarsi sulle società del gruppo in base ai rischi assunti.

Un altro aspetto positivo riguarda la gestione delle crisi in quanto, in caso di insolvenza della società incaricata di svolgere l’attività di investment banking, non verrà messa in pericolo la reputazione e la solvibilità del resto del gruppo. Inoltre, sarà più semplice per il management decidere se ricapitalizzare la società in stato di insolvenza o sarà più facile creare una cosiddetta “Bad bank” da cedere a terzi. Infine, tale società insolvente difficilmente sarà ritenuta di vitale per l’economia della nazione dove opera evitando così che la crisi venga risolta utilizzando i fondi pubblici dei contribuenti.

Un ultimo aspetto positivo riguarda il miglioramento dell’efficacia della politica

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