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La raccolta e la gestione della liquidità

3. La crisi finanziaria e il possibile cambiamento dei modelli di business

3.1 L’impatto sui modelli di business

3.1.2 La raccolta e la gestione della liquidità

Nel corso delle diverse ondate della crisi, le tensioni sui mercati della liquidità hanno, a più riprese, condizionato il mercato del credito: sia nella prima fase che nella fase più recente dell’accentuarsi della percezione del rischio sovrano. Le tensioni di liquidità hanno causato shocks senza precedenti in termini di accesso ai mercati monetari e di costo della liquidità che hanno rischiato di tradursi in una disordinata contrazione dei prestiti concessi a famiglie e imprese, con gravi ripercussioni sull’economia reale, sulla stabilità finanziaria e sul meccanismo di trasmissione della politica monetaria. L’impatto di questi shocks è stato particolarmente incisivo per quei modelli di business che fino ad allora avevano improntato la propria strategia di finanziamento sull’acquisizione di liquidità a breve attraverso i mercati all’ingrosso o attraverso la cartolarizzazione di prestiti. Per questi intermediari, la forte crescita dell’attivo era stata poggiata su basi poco solide e poco stabili. Le conseguenze della crisi di fiducia tra gli intermediari iniziata

34 nella seconda onda della crisi ha colpito non solo le banche più esposte verso i titoli tossici ma anche le banche che utilizzavano i mercati interbancari per ragioni di aggiustamenti di liquidità. Inoltre le tensioni non si limitarono ai mercati statunitensi ma contagiarono anche i mercati europei dato che fino ad allora una buona parte della liquidità era fornita dagli intermediari dei mercati monetari americani.

Le turbative nei mercati del finanziamento a breve termine hanno indotto le banche centrali a fornire fondi senza precedenti. Allo stesso tempo, i governi hanno fornito sostegno attraverso una serie di misure, come iniezioni di capitale, emissioni di obbligazioni garantite e aumenti dei massimali di assicurazione dei depositi. Ciò ha anche aiutato le banche a contenere i costi di finanziamento al dettaglio e all’ingrosso.

A loro volta, molte banche hanno adeguato i loro modelli di finanziamento verso fonti più stabili, rappresentate principalmente da depositi al dettaglio. Dal 2009 infatti, si è osservato un crescente interesse per i depositi e un aumento dei tassi di interesse bancari offerti.60 Questa maggiore attenzione verso i depositi potrebbe essere un segnale di un ritorno a quell’operatività tradizionale che dovrebbe contraddistinguere il core business bancario. Come mostrato da diversi studi, la scelta di impostare una strategia di raccolta maggiormente improntata sui depositi al dettaglio ha premiato alcune banche che hanno dimostrato durante la crisi migliori performance e un minor rischio di fallimento.61 Il modello di business che è stato maggiormente interessato da questo cambiamento nelle politiche di finanziamento è stato il modello di banca universale diversificata che ha stabilizzato maggiormente la raccolta facendo anche minor ricorso ai mercati interbancari.

Le banche che invece hanno fatto maggiore affidamento ai mercati all’ingrosso a breve termine hanno subito maggiormente i contraccolpi della prima onda della crisi. Questo a causa della natura dei mercati wholesale che porta gli intermediari prestatori a non avere alcun incentivo nel monitorare le banche finanziate. Ed è automatico che a seguito di un minimo segnale negativo vengano ritirate le linee di credito fino ad allora concesse. Inoltre, il mercato interbancario ha avuto un ruolo significativo nella trasmissione della crisi nelle settimane successive al crollo di Lehman Brothers.62

Per quanto riguarda l’Europa, l’andamento della raccolta bancaria ha avuto fasi

60 Banca Centrale Europea, EU banking structures, Frankfurt, 2010, pag. 30.

61 Rixtel A., Gasperini G., Financial crises and bank funding: recent experience in the euro area, Bank for

international settlements working paper n. 406, Basel, 2013, pag. 5.

62 Raddatz C., When the rivers run dry: liquidity and the use of wholesale funds in the transmission of the

35 alterne. Tra il 2008 e il 2009 è stata in aumento in tutti i paesi del mercato unico tranne che per Lussemburgo e Irlanda che hanno registrato un calo nel 2008. Nel 2009 invece furono Belgio, Irlanda, Grecia e Paesi Bassi a veder diminuire i loro livelli di raccolta. L’incremento della raccolta è dovuto a diversi fattori: i crescenti sforzi delle banche europee nell’aumentare la quota di finanziamento più stabile, la mancanza di alternative di investimento e la minore propensione al rischio di famiglie e imprese.63 La figura 1.16 mostra la raccolta effettuata nei paesi membri tra il 2005 e il 2009. Sono stati scelti i dieci paesi appartenenti alla zona euro con il totale raccolta più alto in base ai livelli riscontrati dalla Banca centrale europea nel 2009.

Figura 1.16 – La raccolta dei dieci maggiori stati della zona euro tra il 2005 e il 2009

Fonte: rielaborazione personale da dati BCE.

L’aumento della raccolta è stato accompagnato da due interventi straordinari della Banca centrale europea che, alla fine del 2011 e all’inizio del 2012, ha collocato 1000 miliardi di euro con scadenza a tre anni tramite le operazioni di rifinanziamento a lungo termine (LTRO). Il supporto dell’Eurotower ha permesso la riduzione della raccolta all’ingrosso e la diminuzione del costo complessivo della raccolta totale dato che il tasso d’interesse delle LTRO è stato dell’1%.

Tali operazioni si sono rese necessarie dopo la manifestazione del rischio sovrano in capo ad alcuni stati membri. Il rischio sovrano, dovuto a incertezze circa la sostenibilità delle finanze pubbliche e all’instabilità politica di alcuni stati membri come Grecia,

63 Banca Centrale Europea, EU banking structures, op. cit., pagg. 11-12.

0 500000 1000000 1500000 2000000 2500000 3000000 3500000 2005 2006 2007 2008 2009

36 Irlanda, Portogallo e, successivamente, Italia e Spagna ha causato un ritiro degli investimenti verso gli intermediari degli stati interessati. Le banche, destinando buona parte della loro liquidità nei titoli di stato dei rispettivi paesi di appartenenza, risultano strettamente legate alle sorti di questi ultimi e ne subiscono quindi l’influenza negativa in caso si sfiducia da parte dei mercati.

Sebbene le banche italiane si siano dimostrate più solide di molte concorrenti europee, nella provvista sui mercati all’ingrosso, nei primi mesi del 2011, pagavano circa 70 punti base in più rispetto a quelle tedesche e francesi sul debito senior a parità di rating. Questo differenziale era inferiore a 10 punti base prima della crisi finanziaria, addirittura negativo in alcuni periodi durante la crisi.64 Per rispondere alla stretta dei mercati interbancari, le banche dei paesi periferici hanno spinto ancor di più nella offerta di depositi anche se a costi superiori al passato. Inoltre, per quanto riguarda i mercati

wholesale a lungo termine, le banche di Grecia, Irlanda e Portogallo sono state

praticamente tagliate fuori dai mercati obbligazionari primari mentre le banche di Italia e Spagna hanno collocato le loro obbligazioni tramite la forma delle obbligazioni garantite.

3.1.3 I rischi

Le diverse fasi della crisi hanno portato un aumento del rischio in capo agli intermediari senza distinzioni di modelli di business. Non vi è infatti un modello che non sia stato colpito dall’aggravarsi del rischio durante la crisi. È interessante quindi capire quali sono le caratteristiche che favoriscono la stabilità bancaria durante le crisi per identificare i modelli meno rischiosi.

Nello studio già citato effettuato dal CEPS si analizza il rischio dei quattro modelli di business descritti nel primo paragrafo attraverso diversi indicatori. Il primo indicatore è lo Z-Score e i risultati evidenziano che il modello Diversified retail riesce ad ottenere buoni risultati mentre le banche wholesale hanno uno indice più alto.

Il secondo indicatore utilizzato nello studio è il rapporto tra le attività ponderate per il rischio secondo gli standard di Basilea II (RWA) e il totale attivo. Minori livelli di questo rapporto indicano una minore rischiosità delle attività. Sorprendentemente, i modelli che hanno un rapporto più basso sono le banche d’investimento e le banche all’ingrosso mentre le banche Retail oriented e Diversified hanno risultati peggiori. Probabilmente i risultati sono dovuti alla minor quantità di capitale detenuta dai primi due modelli che, di

64 Vaciago G., Bianconi M., De Felice G., Il funding delle banche italiane problemi e prospettive, in

37 conseguenza, sono obbligati a contenere il totale degli RWA.

Il terzo indicatore riguarda gli spread dei Credit Default Swap medi riferiti ai titoli obbligazionari delle banche del campione e ha lo scopo di indicare la fiducia del mercato nei confronti dei diversi modelli di business. L’analisi statistica non rileva però differenze significative tra i valori dei diversi modelli e ciò potrebbe indicare che gli investitori non sembrano far caso ai quattro modelli di business.

Il quarto e ultimo indicatore è il Net Stable Funding ratio (NFS) così come proposto dal comitato di Basilea che stima la misura del rischio di liquidità a lungo termine. Le cifre dimostrano che il modello Diversified retail affronta rischi di liquidità inferiori mentre le banche d’investimento hanno risultati peggiori.

In sintesi, le banche wholesale e le banche investment oriented affrontano maggiori rischi a causa della raccolta all’ingrosso e gli investimenti con alto grado di rischio. Le banche

retail oriented invece affrontano rischi minori grazie a più elevati livelli di capitali e

minori mismatching tra attivo e passivo.65

Tra i vari modelli di business vi sono stati casi eclatanti di banche che non hanno superato la crisi. Le cause del loro fallimento possono indicare quali sono le pratiche scorrette e le strategie errate che hanno portato alla loro bancarotta. Di seguito saranno elencati brevemente alcuni casi emblematici.

In ordine cronologico, la primo caso è quello della Northern Rock, la banca inglese che nel febbraio del 2008 è stata nazionalizzata dal governo britannico. Le cause del dissesto sono molteplici. La prima è stata la crescita dimensionale che ha portato l’istituto ad essere la quinta banca del Regno Unito nel 2007 grazie ad una strategia aggressiva di concessione di mutui e prestiti personali fino al 125% del valore delle garanzie presentate. Questa crescita è stata finanziata in larga parte dalla liquidità a breve termine a basso costo fornita dai mercati all’ingrosso e dalla cartolarizzazione dei mutui concessi. Inoltre, la qualità del capitale sociale è diminuita dal 1995 in poi fino a portare ad un leverage oltre i 90 punti. A causa del mancato rinnovo delle linee di credito concesse dagli investitori dei mercati wholesale, il 13 settembre 2007 fu annunciato che la Northern Rock aveva bisogno di assistenza da parte della Banca d’Inghilterra e la mattinata seguente si scatenò la corsa agli sportelli. Quindi la corsa agli sportelli che portato alla nazionalizzazione della Northern Rock è la diretta conseguenza dell’espansione aggressiva della banca finanziata però con basi poco stabili.

65 Ayadi R., Arbak E., De Groen W., Banks and business models: Towards a new paradigm?, op. cit., pag

38 Il secondo caso, che coincide con lo scoppio della crisi finanziaria, è il fallimento di Lehman Brothers. Anche in questo caso, dal 2006 la banca ha aveva deciso di intraprendere una strategia di crescita aggressiva assumendo maggiori rischi soprattutto nel comparto dei mutui subprime con la relativa cartolarizzazione degli stessi. Tali operazioni di concessione di prestiti erano finanziate da operazioni pronti contro termine sui mercati interbancari. Intanto, i prezzi degli immobili calarono vertiginosamente creando pesanti ripercussioni sul segmento subprime. La prima banca d’investimento a pagarne le conseguenze fu Bear Stearns che fu acquistata da JP Morgan Chase. In quel momento il mercato vide Lehman come la prossima banca destinata al fallimento. A seguito delle ingenti perdite registrate nel comparto dei mutui subprime e le calo della fiducia del mercati, le autorità statunitensi incontrarono gli amministratori delegati delle maggiori istituzioni finanziarie americane il 15 settembre 2008 per cercare una incorporazione o un sostegno dalle banche concorrenti. Il tentativo fallì e Lehman

Brothers fu costretta a dichiarare bancarotta. Questo fallimento fu una sorpresa in quanto

nessuno si aspettava che il governo avesse lasciato fallire una banca ritenuta Too-big-to-

fail. Ciò comportò piani di intervento nell’economia molto più costosi rispetto ai 60

miliardi necessari per salvare Lehman ma si spera che servirà da deterrente contro la crescita spropositata ottenuta senza basi solide.

L’ultimo caso riguarda la Royal Bank of Scotland che fu anch’essa nazionalizzata dal governo britannico il 13 ottobre 2008. Inizialmente, la fragilità della banca era dovuta ai livelli di capitale poco capaci di assorbire le perdite a seguito dello scoppio della crisi dopo il crollo di Lehman Brothers. Nonostante il rispetto dei requisiti regolamentari, il capitale si rivelò comunque inadeguato ad assorbire le perdite. Ciò che ha portato al fallimento Royal Bank of Scotland è stato il mancato rinnovo delle linee di credito concesse dal mercato all’ingrosso a seguito dell’aumento dei rischi a seguito dell’acquisizione di ABN AMRO. La fusione comportò una maggiore dipendenza dai mercati all’ingrosso, una maggiore leva finanziaria dovuta all’espansione del comparto dell’investment banking e a un aumento dell’esposizione verso titoli strutturati. L'intensificazione delle incertezze dei mercati durante l'estate 2008, culminate con la perdita di fiducia acuta in seguito al crollo di Lehman, ha colpito direttamente anche Royal

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4.

Quali indicazioni dalla crisi in materia di modelli di business?

Volendo riassumere le considerazioni dei paragrafi precedenti, è possibile sintetizzare i risultati nei seguenti punti:

- fonti di reddito: la diversificazione delle fonti di reddito crea vantaggi ma uno spostamento troppo pronunciato verso le fonti di reddito da non interesse può comportare perdite elevate durante le fasi di crisi a causa dell’eccessiva volatilità degli utili;

- la raccolta: il maggior ricorso alle fonti da non deposito comporta maggior rischio a causa dell’instabilità dei mercati all’ingrosso;

- capitale proprio e leverage: un maggior capitale, e quindi un minor leverage, migliora le condizioni bancarie sia in fasi normali che di crisi;

- dimensioni: la crescita delle dimensioni non porta necessariamente ad un miglioramento dell’efficienza e può essere un fattore negativo se sproporzionato rispetto alle economie di riferimento;

- la conoscenza e l’approfondimento della tematica dei modelli di business può aiutare a identificare meglio i punti critici dell’attività bancaria per intervenire sulle attività che generano instabilità.

Nonostante le differenze evidenziate tra i diversi modelli di business, risulta come in pratica tutti i modelli siano stati coinvolti della crisi proprio per il carattere sistemico della stessa ma che è possibile individuarne alcuni che sono più responsabili di altri del dissesto finanziario.

I modelli di business all’origine della crisi sono però molteplici, lo stesso modello della banca commerciale che, da una prima analisi, sembra aver attutito meglio di altri i contraccolpi della crisi, non è esente da colpe. In alcuni casi è stato dannoso per la stabilità finanziaria, si osservi ad esempio che alla base della crisi subprime vi sono state anche le banche commerciali specializzate nel segmento dei mutui

subprime finanziate tramite il prestito dei mercati interbancari. Allo stesso tempo

vi sono state anche alcune banche commerciali di maggiori dimensioni che hanno smesso di finanziare l’attivo tramite la raccolta diretta a favore dei fondi ottenuti tramite le cartolarizzazioni.

Data la gravità della crisi e le sue ripercussioni prodotte sui mercati e sull’economia reale ci si potrebbe aspettare un rapida e decisa ristrutturazione del sistema bancario con un’uscita dal mercato delle banche più deboli e di quelle più

40 rischiose. Tuttavia, la ristrutturazione del sistema bancario non è ancora avvenuta e le dimensioni del sistema bancario in Europa non sono variate. Questo limitato impatto può essere dovuto al significativo sostegno alla liquidità fornito dalla Banca centrale europea e degli interventi degli stati sovrani.66

Sebbene alcune banche abbiano iniziato a ridurre il rischio del loro business, molte fanno ancora eccessivo affidamento sui mercati interbancari. Inoltre, negli Stati Uniti si sta assistendo a un ritorno ai livelli pre-crisi sia dei prezzi di mercato che delle pratiche scorrette attuate dalle grandi banche d’investimento. Secondo un articolo pubblicato dal Wall Street Journal il 4 giugno 2013, le banche JP Morgan e Morgan Stanley stavano tornando ad assemblare i

Collateralized debt obligations (CDO) che, dal 2007 in poi, hanno causato perdite

ingenti nei portafogli degli intermediari in tutto il mondo. Inoltre, veniva evidenziato come i mutui subprime e i titoli di stato dei paesi periferici dell’Unione Europea stessero andando a ruba.67 Come nei periodi precedenti alla crisi del 2008, gli investitori sembrano essere completamente noncuranti del rischio e guardano esclusivamente al rendimento offerto dai titoli presenti nel mercato. Il concetto base dei mercati finanziari del rischio-rendimento viene applicato alla lettera, ciò che non è cambiato è la propensione al rischio degli intermediari. Il problema è che oggi, se scoppiasse una crisi sistemica, gli Stati sovrani non avrebbero più la capacità per combatterla perché hanno troppo debito. Gli unici interventi intrapresi dalle banche sono costituiti dal deleveraging dovuto alla riduzione del trading book, in particolare nel portafoglio derivati, e del finanziamento non domestico mentre per i prossimi anni sono previste ulteriori riduzioni negli attivi. Da parte degli intermediari non è arrivata quindi una risposta abbastanza incisiva da poter dire che si sono eliminati, o almeno attenuati, i fattori che hanno causato la crisi. Ecco perché vi è una pressante necessità di trovare una soluzione che provenga da una fonte diversa. Nel capitolo successivo saranno esaminate le diverse iniziative portate avanti dalla vigilanza per quanto riguarda il quadro regolamentare proposto dal comitato di Basilea e per quanto riguarda i provvedimenti politici oggetto di studio negli Stati Uniti e in Europa.

66 High-level Expert Group on reforming the structure of the EU banking sector, op. cit., pag. 25. 67 Burne K., One of Wall Street’s riskiest bets returns, Articolo tratto dal sito del Wall street journal, New

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CAPITOLO II

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