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1475) ed il Libro segnato A di Bernardo di Stefano Rosselli (1475-1500)

4.3. La bottega come luogo fisico

A partire dal Medioevo, con il termine bottega345 si iniziò ad intendere non solo il luogo fisico di produzione, il laboratorio, e di smercio dei manufatti, il negozio, ma, al contempo, l’insieme di competenze gerarchizzate, legate a precise esigenze economiche e di mercato, finalizzate alla produzione di oggetti di natura artigianale o artistica.

Dopo il Mille le botteghe fecero nuovamente la loro comparsa negli spazi urbani; esse erano situate nei locali al piano terreno degli edifici cittadini, in vani per lo più arcuati aperti sulla via o sulla piazza, dove rimasero comunemente ubicate fino al Novecento.

Nella Firenze del XV secolo il prototipo più diffuso di luogo commerciale era situato al piano terreno di un edificio che poteva essere un’antica casa-torre oppure un più recente palazzo di abitazione.

La bottega artigiana presentava all’interno una stanza principale, fornita di un palco, cioè di una sovrastruttura che oggi viene comunemente definita con il nome di ‘soppalco’, generalmente adibita al deposito di merci, mercanzie e masserizie, che si raggiungeva per mezzo di una scala, e di una o più stanzette, per lo più prive di finestra. Vasari, nella vita del Pontormo, fa una rapida descrizione della casa di questi e dell’uso che il pittore faceva del palco nella propria casa-bottega: “ha più tosto cera di casamento da uomo fantastico e

solitario, che di ben considerata abitura; conciosiachè alla stanza dove stava a

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Sulle famiglie di pittori, come i Botticini, i Bicci, i Rosselli, i Gozzoli, cfr.: Maestri e botteghe. Pittura a

Firenze alla fine del Quattrocento, (catalogo della mostra), Firenze, 1992, pp. 91-125.

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Il termine deriva dal greco “apothéke” e in origine stava ad indicare solo il deposito di una attività commerciale. Per estensione, a partire dal Medioevo il termine indicò anche lo studio dell’artista ed il laboratorio di artigiani. Sulla bottega intesa come luogo fisico, si vedano: Le botteghe di pittura: luoghi, strutture e attività, in: Maestri e botteghe… (op. cit.), pp. 23-33; id., Botteghe di artisti e artigiani nel XV secolo, in: Gli antichi

chiassi… (op. cit.), pp. 209-213; R. Cassanelli, Artisti in bottega. Luoghi e prassi dell’arte alle soglie della modernità, in: La bottega dell’artista… (op. cit.), pp. 7-29; A. Modigliani, Mercati, botteghe e spazi di commercio a Roma tra Medioevo ed età moderna, Roma, 1998, con part. rif. alle pp. 124-130; I. Palumbo-

Fossati, L’interno della casa… (op. cit.), pp. 109-153; J. Shell, op. cit., con part. rif. alle pp. 59-100; M. L. Bianchi e M. L. Grossi, Botteghe, economia e spazio urbano, in: La grande storia dell’artigianato. Vol. II: il

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dormire e talvolta a lavorare, si saliva per una scala di legno, la quale, entrato che egli era, tirava su con una carrucola, a cciò niuno potesse salire da lui sanza sua voglia o saputa.”346

La bottega di Neri di Bicci, situata in via Porta Rossa, quindi nel cuore commerciale della città, aveva anche la volta, la cantina, ed un fondachetto, un ambiente che poteva servire come magazzino o per svolgere alcune mansioni specifiche inerenti l’attività artigianale della bottega347.

Neri possedeva inoltre un fondo secondario, che era adibito solo ad uso laboratorio, in via San Salvadore, in Oltrarno, dislocato nei pressi delle abitazioni che possedeva la sua famiglia e che era stata la sede della vecchia bottega paterna348.

Le dimensioni dei locali di un’attività artigianale erano variabili, anche a seconda dell’importanza della bottega e del mestiere che vi si praticava, ma per quanto riguarda le botteghe di pittura generalmente non si trattava di ambienti troppo angusti, dal momento che essi dovevano non solo permettere a numerose persone di svolgere contemporaneamente diverse mansioni, ma anche contenere al suo interno un cospicuo numero di manufatti finiti pronti per la consegna, oppure in allestimento, oltre a tutti i materiali, il mobilio e gli arnesi propri del mestiere.

Quando le botteghe erano effettivamente ristrette in spazi limitati, nelle portate catastali questo aspetto veniva sempre evidenziato, ricorrendo alle espressioni di “mezza bottega”, “botteguzza” o “botteghino”, ma dobbiamo tenere presente che nelle portate catastali i dichiaranti tendevano a sminuire l’effettiva grandezza dei propri beni immobili per cercare di ottenere una tassazione inferiore.

All’interno della bottega gli ambienti erano messi in comunicazione attraverso gli usci ed all’esterno da finestre e dalla porta principale, quella di accesso, che si affacciava direttamente sulla strada.

Negli interni rinascimentali si presume che entrasse poca luce naturale. Le finestre erano generalmente piccole e col tempo cattivo erano protette da imposte di legno; a Firenze le assi lignee delle imposte venivano ricoperte con pezze di lino oleate, da cui le finestre presero il tipico nome di impannate, ed erano occasionalmente decorate, tanto da rendere gli interni ancora più scuri; nel

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Cfr.: G. Vasari, op. cit., a cura di G. Milanesi, VI, p. 279. L’aneddotto viene riportato anche da R. e M. Wittkower, Nati sotto Saturno, Torino, 1996, pp. 82-83, come testimonianza di una -supposta- psicosi paranoide del pittore, così come emerge dal racconto vasariano.

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“Richordo chome a dì detto io Neri di Bicci ò tolto a pig[i]one da Mariotto d’Arighi Davanzati 1° bottegha a

uso di dipintore chon uno fondachetto e uno palchetto in detta bottegha e volta, posta nel Popolo di Santa Trinita di Firenze; a primo via chiamata Po[r]ta Rossa”. Cfr.: Neri di Bicci, op. cit., ricordo n° 203, p. 104.

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Libro D di Neri viene fatto riferimento ad una decorazione eseguita su questo

tipo di finestra: “De’ dare (…) per amorini gli fe’ in una finestra inpanata…”349. Non ci sono molti riferimenti a finestre di vetro per l’uso domestico nel primo Rinascimento, sebbene esistessero; ma si trovavano più facilmente nei palazzi signorili350.

Ecco la descrizione che Neri fa della propria bottega, nel Dicembre del 1469, in occasione del rinnovo del contratto d’affitto: “Richordo chome el sopradetto dì

io Neri di bicci dipintore ò tolto a pig[i]one da Mariotto d’Arigho di Davanzato Davanzati citadino fiorentino e del popolo di Santa Trinita di Firenze una botegha a uso di dipintore, nella quale al presente istò e sono istato più tenpo fa, posta in Porta Rossa nel detto Popolo chon sua ‘difici e usi apartenenti, c[i]oè chon fondachetto e nel quale fondachetto è pozo, chamino, aquaio e volta e finestra, la quale dà lume a detto fondachetto, per anni cinque prosimi a venire (…) e per prezo e pig[i]one della detta botegha gli debo dare ogni anno f. 16 di sugello, paghando di sei mesi in sei mesi la detta pigione, sì che in detti cinque anni fac[i]a la somma di f. 80 e chosì d’achordo fato el sopradetto dì”351. Dalla descrizione di Neri desumiamo che il fondachetto della bottega, presumibilmente ricavato nel retro dell’edificio, era illuminato, ma la stanza principale no: quindi l’intero ambiente di lavoro doveva prendere luce dalla sola porta d’ingresso.

A Firenze, la porta d’ingresso delle attività commerciali aveva, quasi sempre, ai due lati due muriccioli, le cosiddette mostre, sopra i quali venivano esposti i manufatti alla vista di tutti, anche come garanzia della qualità dell’esecuzione del lavoro che veniva offerto. Tutto l’insieme dello spazio aperto fino al suolo ed al di sopra delle mostre era delimitato da sportelli di legno composti di più parti, che venivano chiusi quando era necessario proteggere le merci per pioggia o troppo sole, oppure per riporle, come nel caso di particolari ricorrenze religiose o civili, in cui ci si doveva astenere dalla vendita delle proprie mercanzie, come prescritto dagli Statuti delle Corporazioni352. Su tale schema murario si venne sempre più perfezionando il sistema di chiusura e di esposizione che consistette, nel XVI secolo, in un infisso vetrato e munito di solidi sportelli esteso per tutto il vano, ma apribile solo per la parte di passaggio,

349 Cfr.: Neri di Bicci, op. cit., ricordo n° 343, p. 174.

350 Cfr.: P. Thornton, The Italian Renaissance Interior. 1400-1600, London, 1991, pp. 27-28. 351 Cfr.: Neri di Bicci, op. cit., ricordo n° 642, p. 342.

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Ad esempio, gli Statuti dell’Arte dei Medici e Speziali stabilivano che i giorni di astensione dalla vendita, durante i quali le mostre delle botteghe dovevano rimanere chiuse, oltre a tutte le feste comandate, erano: Calendimaggio, il giorno di San Luca, gli anniversari della battaglia di Campaldino (11 Giugno 1289) e della caduta di Pisa (9 Ottobre 1406), e la festa di S. Anna (26 Luglio), che coincideva con la cacciata del Duca di Atene da Firenze. Cfr.: C. Fiorilli, I dipintori… (op. cit.), 1920, pp. 27-29.

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e fisso per la restante parte destinata a servire da mostra: praticamente un antesignano della moderna vetrina.

Nella luce del vano, spesso protetto verso l’alto da tettoie o tende, si trovava il banco per la vendita, che durante il XIII secolo avveniva soprattutto all’aperto. Più tardi, a partire dai primi del Trecento, si diffuse l’uso del banco in muratura che divideva stabilmente il vano in due parti, l’una fissa e chiusa destinata alla mostra ed alla vendita della merce, l’altra praticabile per accedere all’interno della bottega. Tale fu il tipo rimasto, con poche varianti, inalterato attraverso i secoli nel Rinascimento ed in età Barocca, di cui restano nei piccoli centri ed in qualche via secondaria di città maggiori, numerosi esempi353.

Non di rado accadeva che l’abitazione e la bottega di un pittore coincidessero354; una testimonianza davvero unica di conservazione di un ambiente di lavoro, risalente agli anni settanta del XV secolo, proviene da Foligno: è la casa-bottega del pittore Niccolò di Liberatore detto l’Alunno355 che, inglobata nella seconda metà del Cinquecento dal complesso monastico di Sant’Anna o “delle Contesse”, si è conservata quasi integralmente nella sua originaria conformazione architettonica, soprattutto per quanto riguarda la porzione abitativa destinata alla bottega356.

I recenti restauri di questi locali, che sono un vero e proprio unicum nel campo della ricerca storico-artistica, hanno rivelato numerose e consistenti tracce delle originali decorazioni parietali ad affresco eseguite all’interno della propria bottega dall’Alunno stesso e dai suoi collaboratori, insieme ad un gran numero di incisioni e graffiti da loro praticati sui muri, dai contenuti più disparati357. Una testimonianza visiva tanto rara e preziosa ci permette di aggiungere ulteriori elementi al quadro della ricostruzione delle attività quotidiane praticate all’interno di una bottega pittorica della seconda metà del XV secolo: i muri della bottega dell’Alunno erano, per chi vi abitava, praticamente come un

353 Per avere un’idea della forma delle botteghe fiorentine, con le loro caratteristiche mostre all’esterno, basta

guardare: “le botteghe tuttora esistenti su Ponte Vecchio o in Borgo San Jacopo, oppure, fuori Firenze, nella

Piazza Grande di Arezzo”. Cfr.. A. Guidotti, Bottega, in: Lorenzo Ghiberti… (op. cit.), p. 274, n. 15.

354 E’ il caso, ad esempio, di Filippino Lippi, che possedeva una casa-bottega nell’odierna via degli Alfani,

l’allora “via degli Agnoli”, cfr.: D. Carl, op. cit., 1987, pp. 373-383. Anche Giusto d’Andrea, per un certo periodo, esercitò l’attività in casa, cfr.: in questa sede, cap. I, p. ?, n. 36.

355 Cfr.: G. Benazzi, L’Alunno a bottega, in: Pittura a Foligno: 1439-1502, a cura di B. Toscano, Foligno, 2002,

pp. 229-252.

356 Purtroppo la porzione dell’edificio che contiene gli ambienti della casa dell’Alunno è stata ceduta dal

monastero di Sant’Anna a quello adiacente di S. Caterina, che ha a sua volta ceduto quei vani ad una famiglia di privati, rendendo quindi impossibile un’ispezione dei locali ed eventuali restauri. Cfr.: G. Benazzi, op. cit., p. 237 e n. 32.

357 Come, ad esempio, conti della spesa, nomi di donna, firme, acconti di denaro, la ricetta di un impiastro (“Per

inpiasto da vermi: aloe patico e mirra, de sopra garofani”), schizzi di volti, motivi fitoformi, stemmi, preghiere,

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grande ‘taccuino murale’ sempre a portata di mano, dove si potevano fissare con grande disinvoltura brevi immagini, schizzi e pensieri, ma dove trovavano posto anche decorazioni a fresco di soggetto sia religioso che profano, del tutto simili a quelle che si eseguivano per i propri clienti.