1475) ed il Libro segnato A di Bernardo di Stefano Rosselli (1475-1500)
4.2. I rapporti tra maestro e discepol
In precedenza è stato esaminato il rapporto tra maestro e discepoli sotto il profilo legale ed amministrativo affrontando il caso specifico delle Matricole313, da cui emerge l’organizzazione della bottega con un assetto gerarchico, che ricalcava la struttura di tipo familiare, con la figura dominante del “maestro”, capo della bottega, assimilabile a quella del pater familias. Questa organizzazione di tipo familiare veniva a regolare i quotidiani rapporti tra il maestro di bottega e i suoi sottoposti, che potevano essere semplici garzoni, o veri e propri collaboratori aventi mansioni sostanzialmente paritetiche a quelle del capo-bottega.
Nella bottega di Neri, negli anni compresi fra il 1453 ed il 1475, passarono ben 22 ragazzi, il cui numero cospicuo ci permette di comprendere, ancora una volta, le grandi dimensioni dell’azienda del pittore e la mole di lavoro a cui egli doveva far fronte.
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I quattro apprendisti i cui nomi ci sono più noti e di cui sappiamo che avrebbero avuto in seguito un’attività autonoma di pittori e decoratori sono Cosimo Rosselli314, Giusto d’Andrea315, Francesco Botticini316 e Bernardo di Stefano Rosselli317.
Le personalità degli altri diciotto giovani che troviamo menzionati nel Libro D continuano ad essere per noi oscure; essi sono: Giuliano d’Andrea318, il non meglio identificato Maso319, Antonio di Benedetto320, Giovanni d’Antonio321, Benedetto di Domenico322, Stagio di Taddeo323, Lorenzo di Domenico324, Lorenzo di Giovanni Pace325, Pier Antonio di Bartolommeo326, Giosuè di Santi327, Dionigi d’Andrea328, Francesco di Leonardo del Bene329, Ippolito di Francesco330, Luca d’Agostino331, Girolamo di Giovanni332, Tommaso di Giovanni Soletti333, Pancrazio di Nofri334 e Francesco di Benedetto de’ Calici335.
314 Cosimo figura nei ricordi nn.: 5, 8, 17, 33, 46, 68, 78, 86, 102, 103, 115, 128. 315
Giusto figura nei ricordi nn.: 196, 244, 250, 252, 283, 310, 311, 316.
316 Francesco figura nel ricordo n° 246. 317
Bernardo figura nel ricordo n° 302.
318 Giuliano figura nel ricordo n° 88. 319
Maso figura nel ricordo n° 158.
320 Antonio figura nei ricordi nn.: 191, 240, 242, 253, 304, 333, 304, 333, 343, 345, 349, 355, 356, 381, 387,
390, 529.
321 Giovanni figura nei ricordi nn.: 301, 320, 361, 386, 413, 417, 426, 500, 539, 559, 608, 622, 670. 322 Benedetto figura nei ricordi nn.: 412, 440, 441, 459, 637, 638, 644, 646.
323 Stagio figura nei ricordi nn.: 440, 477, 517, 718, 719. 324 Lorenzo figura nel ricordo n° 447.
325 Lorenzo figura nei ricordi nn.: 476, 514, 519. 326 Pier Antonio figura nel ricordo n° 496. 327
Giosuè figura nel ricordo n° 497.
328 Dionigi figura nei ricordi nn.: 505, 535, 536, 602, 670.
329 Francesco figura nel ricordo n° 527.
330 Ippolito figura nei ricordi nn.: 621, 640, 709.
331 Luca figura nel ricordo n° 636. 332 Girolamo figura nel ricordo n° 639. 333
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L’avvicendamento dei ventidue giovani alle dipendenze di Neri è ben documentato dalle sue Ricordanze soprattutto per quanto riguarda le annotazioni relative ai contratti di apprendistato che i genitori dei ragazzi, o i ragazzi personalmente, stipulavano con Neri.
Con poche varianti, il contenuto del giuramento era più o meno lo stesso, come è suggerito dalle annotazioni presenti nel libro contabile di Neri, che prendevano il posto, a tutti gli effetti, del publicum instrumentum:
“A dì primo di Marzo 1455. Richordo chome el sopradetto dì io Neri di Bicci
dipintore ò tolto per discepolo al’arte del dipigniere Chosimo di Lorenzo (…) per 1° anno prosimo, chominc[i]ando a detto e finire a detto dì 1456, chon questi patti e modo: ch’el detto Chosimo ne de’ venire a botegha a ogni ora tenpo a me paressi o piacesse, chosì di notte chome di dì e dì di festa quando bisogniassi, solecitamente lavorare senza alchuno isc[i]operio pigliare e se alchuno isc[i]operio pigliassi sia tenuto a rist[or]are ed io Neri sopradetto debo dare al detto Chosimo per prezo e suo salario in detto anno f.[iorini] 18 di l.[ire] 4, dàndogli di tre mesi in tre mesi el detto salare e chosì fatto d’achordo chol detto Chosimo il detto dì in chasa mia”336.
A quella data il quindicenne Cosimo si trovava nelle bottega di Neri già da tre anni; come possiamo ricavare da un altro ricordo, il testo del rinnovo del contratto di Cosimo non differiva poi molto da quello iniziale stipulato da Neri con Andrea di Lore, il padre di Giuliano d’Andrea, un giovane ch’era invece alle primissime armi:
“Richordo che detto dì io Neri di Bicci dipintore ò tolto D’Andrea di Lore
tessitore di drapi al’arte del dipigniere Giuliano suo figliuolo d’ettà […] per 1° anno prossimo, chominc[i]ando a detto dì e finire chome seghuita in questo modo, c[i]oè ch’el detto Giuliano de’ venire a llavorare alla mia botegha o in qualunche altro luogho a me paressi solecitamente, senza alchuno isc[i]operio pigliare, a uso di buono discepolo; e quando alchuno isc[i]operio pigliassi, sia tenuto a ristorarmi e chosì fatto chon A[n]drea suo padre il sopradetto dì ed io gli debo dare in detto anno l. sedici (…) per prezo e suo salare di dua mesi in dua mesi l. 16 chome meriterà”337.
I due contratti differiscono solamente in un punto: quello relativo alla paga percepita da Cosimo e Giuliano: 18 fiorini il primo, 16 il secondo. Tra il 1465 ed il 1473 le paghe minime degli assistenti di Neri di Bicci si erano attestate su
334 Pancrazio figura nel ricordo n° 733.
335 Francesco figura nel ricordo n° 782.
336 Cfr.: Neri di Bicci, op. cit., ricordo n° 102, pp. 51-52.
337 Cfr.: Neri di Bicci, op. cit., ricordo n° 88, p. 45. Sull’età di Giuliano, che al momento del suo ingresso nella
bottega di Neri doveva presumibilmente avere tra i 10 ed i 13 anni, si veda: G. Vasari, op. cit., a cura di G. Milanesi, II, p. 87.
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valori che oscillavano dalle 12 alle 18 lire; nel caso dei discepoli con maggior numero di esperienza, primi fra tutti Giusto d’Andrea e Cosimo Rosselli, la paga poteva superare le venti lire. E’ evidente che un salario di 12 lire all’anno, com’era quello corrisposto a ragazzi d’età compresa fra i 10 ed i 13/14 anni che svolgevano mansioni più semplici (quelle dei garzoni erano solitamente macinare i colori, rassettare la bottega, fare commissioni per il maestro) o anche di poco superiore come quello percepito da Cosimo nel 1456, non fosse sufficiente e neppure inteso a procurare ai propri giovani dipendenti una fonte di sostentamento vera e propria. Nel caso di un dipendente d’età inferiore agli 11 anni, la paga non era neppure prevista ed il maestro si limitava a fornire il vitto e l’alloggio, come nel caso del piccolo Dionigi d’Andrea, che entra a bottega poco più che bambino: “a dì 20 di genaio 1465. Richordo ch’el sopradetto dì io Neri
di Bicci ò tolto per discepolo al’arte del dipigniere Dionigi figliuolo d’Andrea di Bernardo di Lottino d’ettà d’anni […]. Òllo tolto per llo primo anno sanza salaro chome uso tòre gli altri e dipoi a mia discrezione e chosì a me l’à dato detto Andrea suo padre e Bernardo suo avolo.”338
Come si ricava dai contratti succitati, i pagamenti non avvenivano con scadenze regolari ma sporadiche: ogni tre mesi a Cosimo, ogni due mesi a Giuliano; i pagamenti erano spesso motivati dalle esigenze che, di volta in volta, gli apprendisti avevano. Nel Libro D di Neri sono numerosi i riferimenti a somme sborsate dal maestro ai propri apprendisti, con la specifica del tipo di acquisto per cui il denaro occorreva loro: le spese si riferiscono in massima parte a capi di vestiario, come panni per cappe, calze, scarpe, berrette. In realtà, soprattutto in questi casi, più che di rate salariali si trattava di anticipi di salario o della garanzia di pagamento richiesti dal discepolo a Neri, come accadde a Giusto, che si trovò ad aver bisogno di cuscino, lenzuola e soprattutto di una coperta nuova per affrontare i rigidi mesi invernali: “Mercholedì a dì 7 di novembre
1459. Richordo chome a d’ sopradetto io entrai malevadore a Giusto d’Andrea dipintore istà mecho per discepolo di l. ventisei a ‘Ntonio di Ronbolo Cechi linaiuolo e chonpagni in Merchato Vechio per questa chag[i]one che qui diremo: chome el sopradetto (…) Giusto levò e chonperò da detto Antonio (…) una choltrice di bracc[i]a 4, federa nostrale e nuova e penna grossa di pollo e 1° pannetto rosso a uso e grandezza di detta choltrice e uno primacc[i]o a uso di detta choltrice per preg[i]o di l. quarantauna d’achordo tute le sopradette chose; delle quali l. 41 el detto Giusto ne dètte loro chontanti detto dì l. quindici e de[l] resto insino in l. 41, che sono l. 26, ne gli fec[i]ono tempo tuto marzo
338 Cfr.: Neri di Bicci, op. cit., ricordo n° 505, p. 262. Il Milanesi (op. cit., II, pp. 88-89) afferma che Dionigi
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1460 e in chaso l. 26 ch’el detto Giusto nò paghasi a’ detti la soma di l. 26 al detto tenpo, gli promissi paghare per lui ”339.
Nella Firenze del XV secolo, avveniva di frequente che il nome del maestro si trasmettesse ad un discepolo, non solo come una forma di “debito di riconoscenza” del discepolo nei confronti del maestro, ma anche come un’evidente attestazione della formazione professionale di un giovane pittore340. Ciò non avvenne per nessuno dei discepoli di Neri, ma questo tipo di assimilazione del nome proprio del maestro da parte di un discepolo, in qualità di patronimico, era comunque d’uso frequente a Firenze, insieme alla consuetudine di acquisire a volte, in luogo del cognome, il nome della cittadina da cui l’artigiano proveniva, in modo da poterlo riconoscere più facilmente o distinguere da altri artigiani omonimi. Naturalmente la continuità del mestiere sussisteva più spesso e più facilmente nei confronti dei figli e, come di consueto accadeva nelle famiglie numerose, veniva privilegiato il figlio primogenito341. Questo rituale di trasmissione ereditaria, per mezzo del quale si tramandava il sapere pratico e teorico, rimase sempre un aspetto caratteristico della tradizione artigiana: i “figli d’arte” erano esentati dal pagamento della tassa d’immatricolazione342 ed erano avvantaggiati non solo da un precoce apprendistato familiare, ma anche dalla possibilità di lavorare fin dall’inizio in una bottega già avviata, con una propria affezionata clientela.
I “figli d’arte” potevano inoltre avvalersi fin dall’inizio di un importante patrimonio di disegni, cartoni e modelli343 che erano parte integrante dei beni
339 Cfr.: Neri di Bicci, op. cit., ricordo n° 250, pp. 128-129. Da sottolineare che nel 1459 Giusto aveva 19 anni e
possedeva già la qualifica di “dipintore”, ma era al contempo discepolo di Neri, da cui percepiva la discreta somma di 26 lire di salario. Sappiamo che Giusto avrebbe lasciato la bottega di Neri tre anni dopo ed avrebbe iniziato un’attività autonoma nella propria abitazione. Cfr.: Cap. I, par. III, n. 35, p. ?????.
340 Questo fu, ad esempio, il caso di Piero di Lorenzo, più noto come Piero di Cosimo in quanto allievo del
pittore Cosimo Rosselli, oppure di Domenico di Francesco, detto di Michelino perché in gioventù era stato garzone presso la bottega di un certo Michelino, il quale svolgeva l’attività di forzerinaio, ovvero dipintore di cassoni. Cfr.: A. Bernacchioni, Documenti e precisazioni sull’attività tarda di Domenico di Michelino: la sua
bottega in via delle Terme, in: “Antichità Viva”, XXIX, n° 6, 199 pp. 5-14.
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Lo stesso Neri subentrò al padre Bicci nella gestione dell’avviata bottega di pittura paterna; Bicci era a sua volta subentrato al padre Lorenzo. Per la ricostruzione dei passaggi di gestione della bottega da Lorenzo, a Bicci, fino a Neri, cfr.: C. Frosinini, Il passaggio di gestione di una bottega pittorica fiorentina del primo
Rinascimento: Lorenzo di Bicci e Bicci di Lorenzo, in: “Antichità Viva”, XXV, n° 1, 1986, pp. 5-15; id., Il passaggio di gestione di una bottega pittorica fiorentina del ‘400: Bicci di Lorenzo e Neri di Bicci (2), in:
“Antichità Viva”, XXVI, n° 1, 1987, pp. 5-14.
342 Cfr.: in questa sede, pp. 30-31.
343 Per l’importanza dei modelli e del repertorio di disegni interno ad ogni bottega, si veda.: Il disegno fiorentino
del tempo di Lorenzo il Magnifico, a cura di A. Petrioli Tofani, Milano 1992. Un’ulteriore testimonianza
dell’importanza del repertorio di modelli e del loro valore intrinseco come ‘manufatti’ artistici, sono le liti che si verificarono in seno alla famiglia di Maso Finiguerra quando, alla morte di questi, i discendenti si disputarono i 14 libri di modelli che gli erano appartenuti. Cfr.: D. Carl, op. cit., 1983, pp. 518-519.
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della bottega, essendo il disegno lo strumento alla base dell’abituale attività esecutiva di numerose attività artigianali.
La continuità stilistica all’interno di una bottega era l’elemento indispensabile per un’attività artigianale ben avviata e di successo, poiché rappresentava per la maggior parte del pubblico committente un vero e proprio “marchio di fabbrica”, con la sua immediata riconoscibilità, e quindi la garanzia di una stabile qualità di produzione344.