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l’ordinamento comunale

2.2. Le arti maggior

La vita economica fiorentina dipendeva direttamente da queste prime sette Arti, che erano inserite in una rete commerciale di portata internazionale, e gestivano direttamente il denaro pubblico.

L’ordine di importanza fra le sette Arti Maggiori era il seguente: al primo posto era l’Arte dei Giudici e Notai, che rappresentava gli esponenti del ceto intellettuale e dirigenziale della città, quell’oligarchia che aveva la diretta gestione del potere giudiziario e legislativo; essi svolgevano una attività analoga a quella odierna. Fra i suoi membri veniva designato il Proconsolo, la massima autorità riconosciuta da tutte le Arti cittadine.

Al secondo posto vi era quella dei Mercatanti o di Calimala187, che rappresentava la ricca ed influente categoria dei banchieri legati alle attività economiche extra-nazionali, ma anche i grandi commercianti di stoffe che importavano la lana, di massima provenienza inglese, e la tingevano con accuratissimi procedimenti mantenuti segreti, per poi riesportarla sul mercato europeo dopo le operazioni di rifinitura. Questa categoria professionale fu, nel corso di ben tre secoli, il vero e proprio motore dell’economia fiorentina.

Al terzo posto era l’Arte del Cambio, che rappresentava la categoria dei

cambiatori; essi, oltre a prestare denaro ricavandone interessi, effettuavano il

cambio di monete straniere e trasferivano valute fra i vari stati europei.

Al quarto posto si trovava l’Arte della Lana, la più importante numericamente ed economicamente, che rappresentava la categoria dei lanaioli, che comprendevano un terzo della popolazione cittadina; essi si occupavano della lavorazione della lana indigena e del lino. Sotto il nome generico di lanaioli si indicavano più di undici diverse categorie di lavoratori, poiché tante erano le

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Quest’Arte raccoglieva i cosiddetti maestri di pietra, che erano i fornaciai, i mattonai, i lastraioli, i muratori, gli scalpellini ed i manovali, ed i maestri di legname, ovvero gli scultori, i falegnami, i costruttori di mobili e gli intarsiatori.

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Per questa corporazione si vedano: G. Gandi, L’Arte dei Fornai a Firenze con “Lo Statuto inedito dell’Arte”, Firenze, 1930; F. Morandini, Statuti delle Arti dei Fornai e dei Vinattieri di Firenze (1337-1339 ) - Con

appendice di documenti relativi alle Arti dei Farsettai e dei Tintori, Firenze, 1956.

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Questa antica denominazione trae origine dal nome della strada in cui era concentrato il maggior numero di botteghe, la via di Calimala. L’etimologia del nome risulta controversa: la prima spiegazione potrebbe derivare da “callis malus”, con il senso di strada malfamata, per l’antica presenza di bordelli; la seconda dall’arabo “kàli”, relativa ad una sostanza usata come colorante per la lana; la terza dal greco “kalòs màllos”, ossia “bella lana”. Cfr.: D. Guccerelli, Stradario storico-bibliografico della città di Firenze, Firenze, 1929, pp. 78-79.

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diverse fasi di lavorazione che richiedeva la materia prima per la trasformazione nel prodotto finito188.

Al quinto posto veniva l’Arte della Seta, anche detta “di Por Santa Maria” dal nome della porta cittadina in cui era originariamente presente con una prima bottega; ebbe un ruolo direzionale all’interno dell’economia comunale poiché Firenze, già dalla fine del XIII secolo, aveva iniziato ad imporsi sul mercato internazionale come una delle maggiori esportatrici di tessuti pregiati, ed in particolare dei broccati d’oro e d’argento. All’inizio del XIV secolo, l’industria tessile fiorentina tendeva a diventare un’industria di lusso, ed in particolare quella della seta avrebbe accresciuto in modo rilevante il suo peso economico nel corso del secolo successivo, affermandosi come: “un’industria “nuova”,

quella dei drappi serici, i cui rapidi progressi compensarono almeno parzialmente la perdita d’importanza della manifattura della lana nel complesso dell’economia fiorentina: nel 1427 il rapporto fra gli occupati nelle due branche produttive può essere stabilito intorno a 4 a 1”189.

Dalla prima metà del XV secolo, dopo aver battuto la produzione di altri centri rinomati su scala europea come le Fiandre o Parigi, Firenze impose la propria egemonia sul mercato dei drappi auro-serici, con una rete commerciale che si estendeva fino all’Oriente e si rivolgeva principalmente agli ambienti delle corti europee190, con tessuti che andavano dai semplici drappi di seta monocromatici ai taffetà, retani, damaschi e velluti figurati. I numerosi, pregevoli prodotti dell’industria serica testimoniavano l’esistenza di una forza-lavoro altamente qualificata, capace di produrre: “drappi de auro et siricho pulchris et

perfectionis quam in toto orbe terrarum”, come affermavano orgogliosamente

gli Statuti dell’Arte del 1416. Inoltre si associavano all’industria altri artigiani che lavoravano fuori dall’ambito dei setaioli: i battiloro che producevano i fili d’oro e d’argento utilizzati nelle trame dei broccati, gli artisti che fornivano i disegni delle varie stoffe191, i ricamatori che ornavano i tessuti finiti, i sarti che li

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Per la descrizione particolareggiata del processo di lavorazione che subiva una balla di lana per essere trasformata in pezze di stoffa, rimando al contributo di M. G. Brogi, Mestieri e produzione artistica: stoffe, in:

Lorenzo Ghiberti: ‘Materia e Ragionamenti’, a cura di L. Bellosi, catalogo della mostra (Firenze, Museo

dell’Accademia e Museo di S. Marco, 18 Ottobre 1978-31 Gennaio 1979), Firenze, 1978, pp. 309-312; si veda inoltre: H. Hoshino, La tintura dei panni di lana a Firenze nel basso Medioevo: tipologia e costi di lavorazione, in: Tecnica e società nell’Italia dei secoli XII-XVI (atti del XI Convegno Internazionale del Centro Italiano di Studi di Storia e d’Arte di Pistoia, Pistoia, 28-31 Ottobre 1984) Pistoia, 1987.

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Cfr.: F. Franceschi, Intervento del potere centrale e ruolo delle Arti nel governo dell’economia fiorentina del

Trecento e del primo Quattrocento. Linee generali, in: “Archivio Storico Italiano”, CLI, (1993), vol. IV, p. 892.

190 Sulla preziosità delle stoffe di lusso fiorentine e sulla loro complessa lavorazione, che chiamava in causa

decine di diverse categorie di lavoratori specializzati, rimando nuovamente al contributo di M. G. Brogi, op. cit., con particolare riferimento a p. 309.

191 Cfr.: M. C. Improta ed A. Padoa Rizzo, Paolo Schiavo fornitore di disegni per ricami, in: “Rivista d’Arte”,

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trasformavano in una grande varietà di capi di abbigliamento e di vestimenti liturgici, che appartenevano alla categoria dei prodotti di lusso, per i quali la seta si prestava meglio della lana192.

L’Arte della Seta rappresentava dunque gli interessi degli imprenditori e dei commercianti del settore, ma anche di tutti i lavoratori della materia prima. Il primo posto per importanza, fra i membri appartenenti a questa corporazione, spettava agli imprenditori, che erano noti col nome di setaiuoli maggiori.

Al secondo posto venivano i setaiuoli semplici, cioè tutti coloro i quali erano responsabili della produzione e del commercio, sia all’ingrosso che al minuto, delle stoffe di seta. A questo gruppo di lavoratori si aggiungevano naturalmente tutti quegli artigiani che impiegavano la seta come materia prima per i loro manufatti, quindi: i sarti, i calzolai, i farsettai, i ricamatori ed i coltriciai, ovvero i fabbricanti di coperte.

Inoltre quest’Arte accoglieva in sé anche la categoria degli orafi e quella degli armaiuoli. L’avvicinamento di queste ultime due categorie professionali con i commercianti ed i lavoratori di seta potrà apparirà in un primo momento alquanto illogica; per comprenderla meglio dobbiamo spiegare che l’inserimento di classi lavorative artigiane, anche molto diverse tra di loro, all’interno di una stessa Arte era determinato dalla semplice comunanza di impiego della materia prima da parte di queste classi lavoratrici, oppure dai rapporti commerciali che si venivano a stabilire fra di esse, soprattutto per quanto concerneva la compravendita di materie prime, o la reciproca fornitura di manufatti semi- lavorati. Gli orafi erano pertanto iscritti all’Arte della Seta per via dei fili d’oro e d’argento che venivano impiegati anche nella produzione dei panni serici.

Alcuni mestieri si trovavano perciò ad essere inseriti nella medesima corporazione anche se lavoravano lo stesso materiale, ma lo impiegavano in ambiti differenti e lo trasformavano in prodotti che, una volta raggiunto il grado di finitura, erano totalmente diversi fra loro. E’ il caso degli orafi e degli armaiuoli, che lavorano entrambi i metalli nobili, ottenendo però dei manufatti estremamente differenti.

Un rappresentante illustre di questa categoria professionale é Lorenzo Ghiberti, il quale praticò come prima attività quella di orafo, probabilmente istradatovi dal padre adottivo Bartolo di Michele, che fu un orafo egli stesso ed un personaggio in vista all’interno dell’Arte della Seta, avendo ricoperto a lungo la carica di camarlingo193.

192 Cfr.: F. Franceschi, Un’industria “nuova” e prestigiosa: la seta, in: La grande storia dell’artigianato. Vol. II:

il ‘400., a cura di F. Franceschi e G. Fossi, Firenze, 1999, pp. 167-189.

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Per una ricostruzione filologica delle vicende biografiche di Lorenzo Ghiberti e del patrigno Bartolo, rimando alla monografia di R. Krautheimer, op. cit.. Per gli studi successivi, rimando al già citato catalogo della mostra:

Lorenzo Ghiberti: ‘Materia e Ragionamenti’, con particolare riferimento al contributo di A. Guidotti a p. 265 ed

alla nota 18 a p. 266. Ricordo inoltre il più recente contributo di A. Galli, op. cit., con particolare riferimento a p.89 e relativa nota 6.

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Gli orafi erano uno dei principali membri appartenenti all’Arte della Seta, ma erano i setaiuoli a costituire il gruppo più numeroso e potente fra gli altri.

Le altre attività da loro praticate, quali la produzione di gioielli o di oggettistica di lusso, restavano in secondo piano all’interno del più vasto quadro dell’economia fiorentina, poiché non avevano peso sul piano dell’economia extra-nazionale: proprio questa importanza parziale non aveva giustificato la formazione di un’autonoma corporazione degli orefici a Firenze, come era invece avvenuto in altri Comuni.

All’Arte della Seta appartenevano inoltre i battiloro ed i filatori d’oro, essendovi chiaramente accomunati dalla materia prima che lavoravano.

Entrando nello specifico, i filatori d’oro lavoravano i metalli nobili in generale, essendo preposti all’inserimento dei fili d’oro e d’argento nella trama delle stoffe preziose al momento della tessitura: per questo si trovavano ad essere una sorta di “anello di congiunzione” fra l’attività di oreficeria e quella di sartoria. I battiloro, invece, battevano le verghe d’argento in foglie sottilissime, a cui si aggiungevano foglie ancora più sottili di oro194. Dalle foglie d’argento dorato che si ottenevano con questo procedimento, si ricavavano delle minuscole striscioline di materiale dorato, che venivano poi avvolte intorno ad un filo di seta. Il normale filo di seta si trasformava quindi in filo d’oro o d’argento, a seconda del tipo di materiale che vi si avvolgeva intorno. Questa lunga e faticosa operazione veniva generalmente compiuta dalle monache all’interno dei numerosi conventi urbani ed extra-urbani. Una volta ottenuti i filati preziosi, questi venivano tessuti insieme con la seta per formare le complesse trame dei pregiati drappi fiorentini, oppure venivano impiegati nella manifattura di arazzi. Al sesto posto si trovava l’Arte dei Medici e Speziali, a cui appartenevano coloro che esercitavano la Medicina e coloro che commerciavano erbe medicinali, ‘droghe’, spezie, colori e sostanze chimiche naturali in genere, ovvero gli speziali, che furono gli antesignani degli odierni farmacisti. Inoltre facevano parte di questa corporazione, ma ricoprendo la posizione di membri

minori, i pittori, i miniatori, i cuoiai, i cartolai, i borsai, i cinturai ed i sellai: tutte

queste categorie artigiane erano accomunate dall’impiego dei colori nella produzione dei loro manufatti.

L’ultima delle sette arti maggiori era l’Arte dei Pellicciai e Vaiai, che curava gli interessi sia dei commercianti che importavano, lavoravano ed esportavano pelli pregiate per il mercato estero impiegando forti capitali, che dei lavoratori di pelli e pellicce che invece confezionavano e vendevano per il consumo cittadino per lo più pelli comuni, come il gatto, il coniglio ed il diffusissimo vaio, cioè una

194 Sull’argomento si veda: A. Mascaro, L’arte del battiloro. Cenni storici, tecnici, statistici, Venezia, 1928; B.

Dini, Una manifattura di battiloro nel Quattrocento, in: Tecnica e società nell’Italia dei secoli XII-XVI (Atti del XI Congresso Internazionale di studi di Storia e di Arte di Pistoia, Pistoia, 28-31 Ottobre 1984), Pistoia, 1987, pp. 83-111.

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varietà di scoiattolo proveniente dall’Europa settentrionale, dalla caratteristica pelliccia bianca e grigia.

Questi artigiani ricavavano, attraverso la concia e le successive fasi di lavorazione dei pellami, raffinati capi di abbigliamento ed accessori. Talvolta le botteghe servivano sia per la lavorazione che per la vendita, ma più di frequente nella via cittadina detta dei Pellicciai si trovavano soltanto le sedi commerciali, mentre l’attività artigianale, essendo legata alla disponibilità di acqua e risultando inquinante, era invece dislocata in zone periferiche e lungo l’Arno. I galigai ed i conciatori avevano infatti tutte le loro sedi sul fiume195.

Trascinate dal loro spirito protezionistico e capitalistico, le Arti non seppero salvaguardare le libertà politiche del Comune e concorsero a preparare l’avvento della Signoria. Nel XV secolo, si giunse alla centralizzazione dell’autorità statale nelle mani della cripto-monarchia medicea; all’aprirsi dell’epoca Laurenziana, la trasformazione della Repubblica fiorentina in uno Stato regionale portò ad un cambiamento sostanziale nella fisionomia della politica cittadina e le Arti subirono un drastico processo di ridimensionamento196, venendo gradualmente esautorate dal ruolo politico ed istituzionale e dalla guida dell’economia fiorentina che avevano ricoperto nei due secoli precedenti, e furono ridotte a mere organizzazioni professionali.

A partire dal 1532, con l’avvento del Granducato, le Arti iniziarono un inevitabile declino, tanto che nel corso del XVI secolo decadde l’obbligo legale di appartenervi197.