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3. Sostituzione nelle attività dirigenziali (vice capo-cosca, vice quando tutti i responsabili sono detenuti);

4.5. Brevi riflession

Le analisi statistiche sugli attributi degli affiliati – in particolare sull’affiliazione, sullo status mafioso e sulle attività illecite svolte – suggeriscono un’ulteriore riflessione sul capitale sociale mafioso e sulla fiducia reciproca ad esso collegata, elementi imprescindibili delle dinamiche associative mafiose.

La consorteria mafiosa, come detto più volte, si configura come una società segreta illegale che agisce in un contesto di rischio permanente e, in quanto tale, necessita di un certo grado di fiducia reciproca tra gli affiliati. Dal canto loro, gli affiliati rimangono fedeli alla famiglia fintanto che l’affiliazione continua ad essere una scelta conveniente, sia da un punto di vista simbolico che materiale, e fintanto che permane il senso di fiducia nei confronti dell’organizzazione. Le organizzazioni mafiose, inoltre, per essere efficienti hanno bisogno di riprodurre costantemente capitale sociale al proprio interno (il riferimento, in questo caso, è al capitale sociale bonding) e di assicurare ai suoi affiliati il sostegno che ne deriva – dal momento che il capitale sociale più essere

definito come «un investimento nelle relazioni sociali con aspettative di guadagno» (Lin 2001 e 2005, p. 27), per certi versi, per il singolo affiliato la convenienza nell’affiliazione sta proprio nella garanzia di questo sostegno e nell’accumulazione di capitale sociale individuale.

Abbiamo detto in precedenza (paragrafo 1.7.) che, sulla scia di Putnam, il capitale sociale mafioso può essere di due tipi: bonding social capital, che prende forma sulla base delle relazioni familiari e associative, e bridging social capital, formato sulla base di legami-ponte con soggetti esterni all’organizzazione. Similmente, Pizzorno distingue tra capitale sociale di reciprocità e di solidarietà (2001, p. 27):

In alcuni casi, infatti, il capitale sociale sembra costituirsi grazie all’intervento di un terzo – un gruppo sociale, un’agenzia, un’istituzione – che assicura che il rapporto tra due parti avvenga senza sfruttamento o frode od opportunismo di una parte nei confronti dell’altra. In altri casi, il capitale sociale si costituisce nella relazione tra due parti, in cui l’una anticipa l’aiuto dell’altra nel perseguire i suoi fini, in quanto ipotizza che si costituisca un rapporto diadico di mutuo appoggio. Per semplicità chiamerò il primo di questi due tipi «capitale sociale di solidarietà»; il secondo «capitale sociale di reciprocità».

Il capitale sociale di reciprocità nasce prevalentemente da relazioni formate da legami deboli – nel senso di Granovetter – che presuppongono un reciproco scambio di aiuto e/o informazioni tra le due parti, immediato o dilazionato nel tempo – in questo ultimo caso, una persona aiuta un’altra senza ricevere nulla in cambio, ma nell’ipotesi che lo scambio si completerà in futuro, secondo una sorta di «reciprocità dilazionata»; nella relazione, sarà colui che ha dato a controllare il processo e, potenzialmente, definire il riconoscimento dovutogli (ivi, pp. 29-31).

In questo capitolo abbiamo affrontato il discorso sul sotto-campione degli affiliati, per questo motivo, ci soffermeremo maggiormente sul concetto di capitale sociale di solidarietà, quello che possiamo supporre si crei nelle relazioni tra gli affiliati. Questo tipo di capitale sociale, a differenza del primo, si forma dalle relazioni presenti nei gruppi coesi e duraturi, i cui membri agiscono secondo principi di solidarietà di gruppo. In tale contesto, spiega Pizzorno, le relazioni favoriscono la formazione di capitale sociale per due motivi: o perché i membri appartengono al medesimo gruppo e agiscono secondo obblighi di solidarietà, fondando le relazioni sulla «fiducia interna»; o perché uno dei due soggetti che formano la relazione sa che l’altro, essendo parte di un gruppo coeso, può premiarlo se soddisfa le aspettative che ripone in lui o, viceversa, punirlo se

non le soddisfa – in questo caso, la relazione si baserà sulla «fiducia esterna» (ivi, pp. 27-29). «I meccanismi della fiducia interna, ma soprattutto quelli della fiducia esterna – continua l’autore – saranno più o meno efficaci in funzione dello spessore, per così dire, dei confini che separano il gruppo dalla società circostante» (ivi, p. 29): nel caso, ad esempio, delle associazioni illegali – come le cosche mafiose, gruppi dai confini notoriamente spessi, quindi, difficili da varcare per gli estranei – «mentre nei rapporti tra i membri esse assicurano ferree certezze di fiducia interna, offrono invece poche occasioni a forme di fiducia esterna, anche per l’incerta riconoscibilità con cui sono costrette a presentarsi. Ma una volta assicurata la loro riconoscibilità, è possibile che la fiducia esterna crei con successo capitale sociale» (ibidem).

La distinzione tra fiducia interna ed esterna proposta dall’autore, in un certo senso, può essere utile per spiegare la diversa condizione di affiliazione dei membri con discendenze mafiose – quelli che abbiamo definito affiliati doc – e dei membri senza legami parentali all’interno dell’organizzazione – gli affiliati acquisiti. Gli affiliati doc fanno parte del nucleo originario – per sua stessa natura tendente ad una forte coesione interna – determinato dai legami familiari e, per questo motivo, possiamo supporre che le relazioni che si instaurano tra questi membri – fortemente influenzate da “naturali” obblighi di solidarietà – siano fondate sulla «fiducia interna». Gli affiliati acquisiti, al contrario, essendo inizialmente soggetti esterni all’organizzazione, entrano a far parte della cosca instaurando relazioni determinate dalla «fiducia esterna». La convenienza di questi soggetti nell’ingresso tra le file mafiose – elemento associativo, per certi versi, più difficile da comprendere date le rigide condizioni che gli vengono imposte al momento dell’affiliazione – potrebbe consistere proprio nella prospettiva di acquisire i vantaggi e le risorse offerte dal capitale sociale mafioso.

Se si accetta questa distinzione, è possibile approfondire ulteriormente la nostra riflessione sulla base di alcuni dati emersi dalle analisi finora presentate. Innanzitutto, la sostanziale differenza numerica tra affilati doc (il 70% del campione) e affiliati acquisiti (il restante 30%) conferma la maggiore difficoltà si instaurare relazioni basate sulla fiducia esterna nei gruppi dai “confini spessi” e difficilmente valicabili.

La fiducia che si instaura partendo da una valutazione dell’individuo – o dalla valutazione dei vantaggi generati dall’affiliazione – però, non è sufficiente per mantenere gli elevati livelli di sicurezza indispensabili alla protezione dell’organizzazione; è necessario, quindi, per la cosca – ma anche per l’affiliato – che vengano adottate delle strategie che incentivino la lealtà, al fine di tutelare la cosca e

mantenere viva per il consociato la convenienza dell’affiliazione. La prospettiva di progressione della carriera proposta agli affiliati e il rafforzamento del sentimento associativo sacralizzato attraverso i rituali – due elementi particolarmente incisivi nella ‘Ndrangheta come dimostrato più volte in letteratura – sono utili a questo scopo. Ciò trova conferma nell’analisi incrociata delle variabili affiliazione e status mafioso: la possibilità di far carriera per gli affiliati acquisiti, infatti, è evidente nella percentuale, seppur scarsa, di affiliati acquisiti con uno status mafioso medio-alto (quasi il 10%) – e, in generale, troviamo conferma nella distribuzione della categoria su quasi tutti i livelli di status (non sono presenti solo tra i vertici).

Altra strategia di tutela consiste nel coinvolgimento degli affiliati nelle attività criminali. Sono, infatti, pochi gli affiliati non attivi dal punto di vista associativo- criminale all’interno della cosca – è presente solo il 17,8% dei soggetti con nessuno status mafioso e di questi la maggior parte sono affiliati doc, la cui lealtà è

tendenzialmente mossa da obblighi di solidarietà. Il coinvolgimento nelle attività

criminali, però, è utile a suggellare la lealtà in un duplice senso: da una parte, come già supposto, incentiva gli affiliati a rimanere nel gruppo concretizzando lo scambio reciproco – più un individuo è attivo dal punto di vista criminale, maggiori sono le sue possibilità di guadagno individuale, sia materiale (perlopiù economico) che simbolico (senso di appartenenza, riconoscimento e prestigio); per altro verso, vincolano il soggetto al gruppo creando uno svantaggio nella decisione di abbandonarlo – come già accennato in precedenza, esemplificativo in tal senso è il caso del primo omicidio compiuto dall’affiliato, (in certi casi parte della prassi di affiliazione), che, se implicato in certe attività criminali, è più difficile che testimoni contro se stesso o contro i compartecipi al delitto.

Concludiamo queste riflessioni preliminari sottolineando che la fiducia è un elemento imprescindibile nelle dinamiche relazionali delle cosche, anche se, per certi versi, sembrerebbe sia proprio l’impossibilità di fidarsi a spingere la cosca a tutelarsi con molteplici strategie – dalla persuasione alla minaccia – dai propri associati.