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Il buon costume: tra morale ed etica

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 88-152)

costituzionale. – 10. L’ordine pubblico tra dottrina e giurisprudenza. – 11. L’ordine pubblico economico. – 12. Ordine pubblico e analogia.

1. Il paradigma positivista ottocentesco.

A differenza del codice civile del 1942 dove svolge un ruolo chiave, nel vecchio codice civile del 1865, Ferri ritiene la presenza dell’ordine pubblico una presenza sontuosa, non ingombrante, un ospite non invitato ma tollerato e per questo ignorato.191 Barcellona attribuisce alla modestia

191 In questi termini, si esprime G.B.FERRI, voce Ordine pubblico, op. cit., p. 1045:

“Per la dottrina civilistica formatasi sotto il codice civile del 1865, il concetto di ordine pubblico appare, piuttosto, una «presenza», certamente sontuosa, per la forza evocatrice del sostantivo e dell’aggettivo che lo individuano, ma, a ben vedere, non poi così ingombrante; simile, per certi versi, a quella – se è consentito il paragone – di un ospite non invitato, ma tollerato e, per questo, sostanzialmente ignorato”. Cfr. sul punto, F.CAROCCIA, Ordine pubblico, op. cit., p. 89 ss. Scrive l’Autrice che l’ordine pubblico “continua ad essere concepito essenzialmente come limite all’agire autonomo dei privati, nel senso di limite posto a difesa di un determinato modello di società; appare ancora tendenzialmente assimilato, o identificato tout court, con il diritto inderogabile”

(p. 92). Che contrarietà alle leggi fosse fungibile rispetto alla categoria contrarietà all’ordine pubblico viene collegato ad un fattore culturale (l’affezione al modello bipartito della illiceità per contrarietà alla legge o al buon

culturale e alla vocazione avvocatesca della dottrina civilista italiana post-codificazione nonché all’estraneità della società italiana dall’esperienza rivoluzionaria la responsabilità della mancata effettiva comprensione del ruolo dell’ordine pubblico.192 Nell’analisi dei meccanismi giuridici che hanno portato la nozione di ordine pubblico all’interno dell’ordine giuridico, Ferri svolge un’indagine storica ed esegetica che conduce l’Autore a definire ed a ritenere autonomi i tre parametri della illiceità codicistica. Tuttavia, per giungere a tali conclusioni, parte dalla Teoria del negozio illecito di Francesco Ferrara senior per poi criticarla, alla luce (tanto) del vecchio (quanto) del nuovo sistema ritenendo la posizione di quel giurista non coerente né alla luce del codice del 1865 né alla luce di quello del 1942.193 Si dica subito: il Ferrara individuando l’ordine pubblico nell’interesse generale della comunità sociale, nel bene comune, nell’interesse statuale, nell’interesse della collettività non poteva che esprimersi in norme coattive.

costume) e ad uno ideologico (l’imperante positivismo). Sul punto, cfr. A.

GUARNERI, L’ordine pubblico e il sistema, op. cit., p. 54 ss. (in part. p. 73); F.

CAROCCIA, Ordine pubblico, op. cit., p. 93.

192 M. BARCELLONA, Ordine pubblico e diritto privato, op. cit., p. 930. L’Autore ricorda che l’ordine pubblico era accostato alle norme proibitive e discendeva dal dogma legalistico ereditato dalla scuola dell’esegesi francese. Scrive, in particolare, che: “Così, l’ordine pubblico assolveva, senza infamia e senza lode, ai compiti oggettivamente limitati che la sua funzione in quel tempo gli assegnava”, ricordando la distinzione tra ordine pubblico primario (comprendente tutte le disposizioni precettive e proibitive intese direttamente al bene pubblico) e secondario (comprendente i precetti e i divieti rivolti direttamente all’interesse di questo o quell’individuo particolare e solo indirettamente rivolto al bene pubblico), presente nella “pretenziosa” Teoria delle obbligazioni di Giorgio Giorgi. Tuttavia sempre il Barcellona ricorda anche altri giuristi (come Mario Ricca Barberis) che escludevano l’equivalenza tra ordine pubblico e legge perché così facendo si sarebbe trascurato la dizione dell’art. 1122 cod. civ. 1865 che poneva l’ordine pubblico accanto alla legge sì che andava attribuito al primo dei termini un valore ed un contenuto indipendente dalla legge.

193 G.B.FERRI, Ordine pubblico, op. cit., p. 131: “Le posizioni del Ferrara, se non si giustificavano nel momento in cui furono assunte, tanto meno si giustificano oggi”.

Ferrara194 collegava l’ordine pubblico alla legge, nel senso che il primo doveva risultare necessariamente dalla seconda. Ferri, pur non condividendo le posizioni di Ferrara, ritiene lo studio di quest’ultimo “di fondamentale importanza”, rappresentando “lo studio più approfondito dell’argomento» e quello sul quale dottrina e giurisprudenza «sono ancora arroccate [negli anni ’60]”.195 Il pensiero del Ferrara, allora Professore nell’Università degli Studi di Siena, si basava sullo studio di due articoli presenti nel cod. civ. del 1865: l’art. 12 delle disposizioni sulla pubblicazione, interpretazione ed applicazione delle leggi in generale, e l’art. 1122 del codice civile.196 All’ordine pubblico (ed al buon costume) il Ferrara dedicava spazio sia nella parte generale, quella teorica (da qui alcune pagine sul concetto di negozio illecito per contrarietà all’ordine pubblico e di quello offendente i buoni costumi) che in quella speciale, dedicata alle applicazioni pratiche e, dunque, analizzando la casistica tanto dei negozi immorali quanto di quelli illeciti per contrarietà all’ordine pubblico.197

194 F. FERRARA SR., Teoria del negozio illecito, op. cit., p. 56: “Che quando il legislatore usa soltanto l’espressione ordine pubblico, non unita ad altre parole, intende tanto i comandi quanto i divieti d’interesse generale. E valga il vero”.

195 Così, G.B.FERRI, Ordine pubblico, buon costume, op. cit., p. 126 ss.

196 Per M.BARCELLONA, Ordine pubblico e diritto privato, op. cit., p. 932 il raffronto tra le due disposizioni svolto dal Ferrara è “ridondante”.

197 La monografia del Ferrara si compone di tre capitoli: il primo sul ‘Concetto di negozio illecito’, il secondo su ‘Svolgimenti ed applicazioni’ ed il terzo su

‘Effetti del negozio illecito’. In particolare, nel primo capitolo, Ferrara determina il concetto del negozio illecito e, all’interno del paragrafo dedicato alle ‘Fonti dell’illecito’ viene dato autonomo spazio alla violazione di legge, all’offesa ai buoni costumi, all’ordine pubblico. Dopo aver analizzato il negozio illecito in astratto, nel secondo capitolo, poi, Ferrara prende in esame i singoli casi concreti in cui si riscontra una violazione delle leggi e dei buoni costumi, sì da riconoscere un negozio illegale, o immorale o contrario all’ordine pubblico. In questi termini, si analizzano i ‘Negozi illegali’, i ‘Negozi immorali’, i ‘Negozi contrari all’ordine pubblico’. Nel terzo ed ultimo capitolo, poi, studia gli effetti del negozio illecito, ricordando che la reazione dell’ordine giuridico contro la illiceità dei negozi si esercita principalmente mercé la esclusione di effetti giuridici al negozio vietato. Cioè, il negozio contra legem è disconosciuto quale

Ferrara riteneva che l’ordine pubblico dovesse risultare dalle leggi proprio per evitare che esso potesse «cangiare secondo le passioni di coloro che devono applicare la legge», perché per lui l’interprete (spesso il giudice) «non può mettere l’ordine pubblico dove gli piace, e definirlo secondo i suoi interessi e prevenzioni». Nell’edizione del 1914 del suo libro sulla Teoria del negozio illecito si leggeva che l’interesse sociale, perché potesse influire sui rapporti privati, doveva essere stato accolto e sanzionato dalla legge: se esso rimaneva «allo stato di pura aspirazione, contrastato e contrastabile, soggetto alle oscillanze e titubanze delle opinioni, esso [era] effimero e non vale[va] a scuotere la fermezza delle relazioni contrattuali». Insomma, egli si preoccupava di tutelare la libertà contrattuale escludendo così che l’ordine pubblico potesse significare

“interesse della società” perché – scriveva – una tale tesi non era presente nei testi di legge e pericolosa per il commercio ed un tale concetto, elastico ed indeterminato, così interpretato, avrebbe aperto all’arbitrio.

Intendendo ordine pubblico come interesse della società, infatti «domani un giudice annullerà la vendita di un bosco per abbatterlo, o d’una villa che ha un interesse storico, perché l’interesse sociale è danneggiato», giungendo a paragonare l’interesse sociale ad un “fantasma” che, potrebbe manifestarsi da un giorno all’altro, minacciando di nullità le convenzioni. Se l’ordine pubblico non poteva risultare dall’interesse sociale che si manifestava nella società, allora l’ordine pubblico, per Ferrara, era solo «quell’interesse sociale munito di protezione, recepito e consolidato nel diritto positivo». L’ordine pubblico, insomma, doveva risultare dalla legge198 perché era forte il pericolo che attraverso il negozio giuridico, e rimane allo stato di puro fatto, inerte ed incapace di produrre conseguenze civili. Una dichiarazione di volontà illecita non ha valore e significato di fronte alla legge: essa è nulla. Ferrara ritiene che questa nullità abbia un carattere sanzionatorio, costituendo la punizione che il diritto infligge per reprimere la violazione posta in essere.

198 F.FERRARA SR., Teoria del negozio illecito, op. cit., p. 57: “(…) l’ordine pubblico risulta dalle leggi di interesse generale, cioè dal diritto coattivo nel suo complesso (…) l’interesse della società, astratto, non poggiato su un testo positivo di diritto, è senza influenza sulla validità delle convenzioni. Perché vi sia violazione dell’ordine pubblico (in senso specifico) occorre una legge imperativa, una legge che l’ordinamento giuridico ha sanzionata per far valere

grimaldello dell’ordine pubblico – inteso come interesse sociale non recepito dalla legge – potesse essere messa in pericolo «la sicurezza del commercio e la libertà contrattuale, che p[oteva] arbitrariamente venir limitata o sacrificata in omaggio ad un preteso principio d’ordine pubblico malamente inteso e falsamente applicato».199 Secondo una parte della dottrina – il riferimento è a Mario Barcellona – solo apparentemente (o meglio, solo se si ritiene l’ordine pubblico “operare come una sorta di alimentazione meta-positiva dell’ordinamento rimessa alla nuda creatività di giudici e dottori”), la teoria del Ferrara può essere vista come

“cancellazione dell’ordine pubblico e della sua distinta funzione normativa” perché, come ricorda l’Autore, è invece corretta

“l’equiparazione nella categoria dei contratti illegali della violazione di norme imperative e della contrarietà all’ordine pubblico”. Per Barcellona, l’ordine pubblico è, nel codice del 1865, sempre “strumento per stringere le maglie delle norme imperative quando la loro ratio si mostri eccedente le fattispecie in cui è incorporata o per trarre dai principi positivi sanciti dall’ordinamento i divieti che esso avesse mancato di rendere espliciti”.200

In primo luogo, il citato art. 12 delle disposizioni sulla pubblicazione, interpretazione ed applicazione delle leggi in generale cod. civ. 1865, prevedeva che «in nessun caso le leggi, gli atti e le sentenze di un paese straniero, e le private disposizioni e convenzioni» potevano derogare a due categorie di leggi: alle leggi proibitive del regno concernenti beni, persone o atti e alle leggi riguardanti in qualsiasi modo l’ordine pubblico ed il buon costume. In secondo luogo, l’art. 1122, cod.

civ. 1865 prevedeva che la causa – da riferire all’obbligazione – fosse illecita quando contraria alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume.

Ferrara scorgeva una diversità tra le due disposizioni perché la prima – l’art. 12 – faceva riferimento a leggi che riguardassero l’ordine pubblico nel senso che l’ordine pubblico doveva essere recepito dalle leggi; la seconda – l’art. 1122 – faceva riferimento all’ordine pubblico, senza che questo dovesse essere mediato (rectius: recepito) dalle leggi. Nel

gli interessi della generalità di fronte agli interessi singoli, e proteggere i fondamenti morali ed economici della vita comune”.

199 F.FERRARA SR., Teoria del negozio illecito, op. cit., p. 42.

200 M.BARCELLONA, Ordine pubblico e diritto privato, op. cit., p. 932.

ragionamento del Ferrara, l’art. 12 costituiva un principio generale, mentre l’art. 1122 una specificazione del principio generale. Allora la disposizione speciale, quella dettata in materia di contratti (che sembrava elidere il nesso ordine pubblico-legge) non poteva andare a derogare quanto previsto dal principio generale. In questi termini, per entrambi gli articoli l’ordine pubblico doveva risultare dalla legge essendo

«quell’interesse pubblico, che, come essenziale alla vita ed incolumità del corpo sociale, è stato ufficialmente riconosciuto e sanzionato dal diritto positivo».201 Dal punto di vista letterale, secondo Ferrara, la disposizione sui contratti non poteva essere ritenuta speciale rispetto al principio generale, ritenendo così che l’ordine pubblico dovesse risultare dalle leggi, anche perché, in mancanza (non ancorando, cioè, l’ordine pubblico alle leggi) si sarebbe entrati in un «pelago sconosciuto e senza confini».202 L’aver detto nell’art. 1122, cod. civ. 1865 semplicemente ordine pubblico (e buon costume) non significava per Ferrara escludere in tale norma che l’ordine pubblico dovesse risultare dalla legge: anche dove il codice faceva riferimento all’ordine pubblico, ciò andava interpretato nel senso di ordine pubblico recepito dalla legge. Fabrizio Di Marzio ha messo in luce recentemente che Ferrara, tramite questa impostazione, “negò qualsiasi autonomia alla clausola generale dell’ordine pubblico, pur rilevante quale parametro della liceità causale nell’art. 1122 del vecchio codice”.203

Anche Ferri criticava, comunque, il ragionamento di Ferrara già con riferimento alle norme del codice civile del 1865, basandosi su due argomentazioni. La prima è quella per cui se l’art. 12 parlava di leggi riguardanti l’ordine pubblico ed il buon costume, Ferrara riteneva che solo l’ordine pubblico dovesse necessariamente risultare dalle leggi, mentre il buon costume poteva essere desunto sperimentalmente.204

201 F.FERRARA SR., Teoria del negozio illecito, op. cit., p. 59.

202 F.FERRARA SR., Teoria del negozio illecito, op. cit., p. 54: “(…) volendo intendere ordine pubblico fuori del campo della legge, si va incontro ad un pelago sconosciuto e senza confini”.

203 F.DI MARZIO, Contratto illecito, op. cit., p. 47.

204 F.FERRARA SR., Teoria del negozio illecito, op. cit., p. 25 ss.: “Uno dei concetti più vaghi ed elastici del nostro diritto civile è quello del buon costume o dei

Infatti, con riferimento all’offesa ai buoni costumi, secondo il Ferrara, «il giudice si convince che un’azione è permessa o riprovata, e questa sua buoni costumi. (…) La moralità essendo una manifestazione del grado di sviluppo intellettuale ed etico della società, è necessariamente variabile, e quindi diversa secondo i popoli e secondo i tempi. (…) La morale a cui il giudice deve ispirarsi nel suo giudizio deve essere quindi non la morale antica, o romana, o medioevale espressa storicamente nelle fonti o nei trattati, che per continua evoluzione essendosi modificata, non è più applicabile e compatibile coi tempi nuovi, ma deve essere la morale presente, la morale d’oggi. Il giudice deve attingere il suo criterio di giudizio nella vita, non nella storia, e nella vita attuale, palpitante, che con le sue agitazioni, coi suoi slanci, colle sue tempeste ci dà il riflesso della società moderna. Il diritto nella sua funzione di protezione della moralità seconda e deve assecondare il movimento evolutivo della coscienza morale del popolo, e non può essersi arrestato a quel che era duemila anni fa.

D’altra parte la legge non può procedere ad antivenire i tempi e quindi fare adottare come decidente una morale futurista, una morale ideale, vagheggiata da filosofi e da poeti: la morale dell’avvenire. La morale normale non deve essere neanche una morale teorica, quale è quella svolta scientificamente dai moralisti; ma una morale reale, pratica, quale si sente e si mette in opera dalla generalità dei cittadini: non morale sulla carta, ma morale reale, dice Lotmar.

(…) Segue da ciò che per decidere dell’immoralità di un’azione, non deve badarsi alla morale di un culto religioso, così alla morale cristiana o maomettana o buddhista, ma alla morale comune, praticata da tutta la massa del popolo senza distinzione di professione religiosa. (…) la morale protetta dalla legge è la morale locale, non internazionale. (…) Per riassumere, la morale che deve formare il criterio per il giurista e per il magistrato non è la morale passata o futura, ma la morale presente, non la morale teorica, ma la morale pratica, non la morale religiosa, ma la morale civile, non la morale internazionale, ma la morale locale, non la morale individuale, ma la morale obbiettiva e generale.

(…) Il giudizio sulla moralità od immoralità è una quaestio facti. Invero si tratta qui di un apprezzamento, per cui valutate le condizioni della morale sociale, accertata o meno l’esistenza di certi precetti o divieti, se ne fa applicazione al caso singolo e si stabilisce se esso è o non in contraddizione colla moralità pubblica. È un giudizio di paragone. Il giudice si convince che un’azione è permessa o riprovata, e questa sua convinzione egli ricava non dalle leggi o dai principi giuridici ma dall’esame obbiettivo dell’azione in rapporto alla morale generale. Da ciò segue che il giudizio di merito sulla turpitudine o liceità di un dato fatto non è censurabile in Cassazione, la quale è chiamata soltanto a statuire sulla falsa applicazione o violazione di legge”.

Secondo Ferri, dunque, l’opinione del Ferrara – che collegava l’ordine pubblico alla legge – non poteva essere accolta né con riferimento al codice civile del 1865 né, ancor più, con riferimento al codice del 1942.

Nel 1970 Ferri si trova dinanzi al codice civile del 1942 ma soprattutto alla Costituzione: rispetto all’Ottocento l’ordinamento è mutato, l’ordine

205 F.FERRARA SR., Teoria del negozio illecito, op. cit., p. 34.

206 G.B.FERRI, Ordine pubblico, buon costume, op. cit., p. 128: “(…) la posizione del Ferrara non era del tutto coerente; (…) quel ragionamento che egli proponeva per l’ordine pubblico, non veniva ripetuto con riferimento al buon costume, nonostante che, anche per questo, l’art. 12 Disp. gen. parlasse di legge. Secondo il Ferrara, la morale (…) è la morale oggettiva e generale sì che il giudizio sulla moralità o immoralità di un’azione appare semplicemente “una quaetio facti”.

Il buon costume esprimeva, dunque, valori che si affermavano nella coscienza sociale, cioè fuori dell’ordinamento positivo, e che non dovevano essere necessariamente consacrati in leggi. (…) Con ciò si svaluta anche quell’argomento testuale che il Ferrara pretendeva desumere dall’art. 12 delle preleggi perché o il richiamo alle leggi fatto da quell’articolo, sia con riferimento all’ordine pubblico che con riferimento al buon costume, era sempre vincolante o non lo era neppure con riferimento all’ordine pubblico”.

207 G.B.FERRI, Ordine pubblico, buon costume, op. cit., p. 133.

pubblico assume un maggiore spazio nel codice civile, i diritti fondamentali sono riconosciuti e garantiti dalla Costituzione. Così lui ha il merito di proporre una nuova teoria più attuale anche in considerazione della progressiva attuazione dei principi costituzionali e del loro influsso nei rapporti privatistici, prendendo atto di due autentici cambi di prospettiva rispetto al tempo del Ferrara: da un lato, il crescente interesse e l’apprezzamento della dottrina per le clausole generali (quella fuga nelle clausole generali delle quali si è già detto); dall’altro, il superamento delle preoccupazioni sul potere creativo del giudice.208 Il sistema è evidentemente cambiato: al termine utilizzato nell’art. 1122 cod. civ. 1865

‘legge’ è stato sostituito, nell’art. 1343 cod. civ. 1942, quello di ‘norme imperative’; l’art. 31 Preleggi, oggi abrogato, non menziona(va) le ‘norme imperative’, facendo cenno solo ‘all’ordine pubblico e al buon costume’.

Secondo Ferri, come il precedente sistema, l’art. 31 Preleggi detta una norma di diritto internazionale privato; l’art. 1343 cod. civ. detta invece un principio di diritto interno, con una particolare conseguenza: che se nel caso dell’art. 1343 cod. civ. il contratto la cui causa si ponga in contrasto con una norma imperativa è da considerare nullo, nel caso di provvedimento straniero (legge, sentenza, convenzione) del quale si chiede il riconoscimento in Italia, è sufficiente che lo stesso non contrasti con l’ordine pubblico e con il buon costume, ma il provvedimento, per avere efficacia, potrebbe non rispettare le norme cogenti poste nel diritto interno.209 L’esempio riportato da G.B. Ferri è quello del riconoscimento in Italia delle sentenze di divorzio emesse all’estero. Se fino all’introduzione della normativa sul divorzio, (anche) il matrimonio

208 G.B.FERRI, Ordine pubblico, buon costume, op. cit., p. 131 ss.

209 G.B. FERRI, Ordine pubblico, buon costume, op. cit., p. 134: “(…) diversa la posizione assunta dall’ordinamento, quando si tratta di attribuire efficacia a leggi, sentenze o convenzioni regolarmente formatesi all’estero e quando si tratta della validità dei contratti formatisi nel territorio dello Stato. Nel primo caso, l’ordinamento può anche ritenere sufficiente che il contratto non urti con i fondamentali principî che lo ispirano, pur se non risultino rispettate le norme, anche cogenti, che sono espressamente poste con riferimento ad esso, nell’ordine interno; nel secondo invece, il rispetto dell’ordine pubblico e del buon costume non basta, occorre anche l’osservanza delle norme concrete, che abbiano carattere imperativo”.

civile era retto dal dogma dell’indissolubilità,210 la giurisprudenza interna aveva aperto al riconosciuto di sentenze di divorzio emesse all’estero (inizialmente tra cittadini stranieri, poi anche tra cittadini italiani) in quanto ritenute non contrarie all’ordine pubblico, senza prendere in esame la norma imperativa sull’indissolubilità del matrimonio, allora vigente.211 Si consideri che già il Ferrara rappresentava una lettura meno rigida dell’ordine pubblico in caso di riconoscimento della sentenza straniera. L’art. 941, n. 4, cod. proc. civ. 1865 riteneva necessario, per dare forza esecutiva alle sentenze straniere, un giudizio di delibazione emesso dalla Corte d’Appello nella cui giurisdizione esse dovevano essere eseguite. In questo giudizio, la Corte avrebbe dovuto esaminare che la sentenza straniera non contenesse disposizioni contrarie all’ordine pubblico e al diritto pubblico interno. Ferrara riteneva però che la nozione di ordine pubblico, fatta propria da questa disposizione (integrante dunque una norma di diritto internazionale privato), fosse più ristretta perché l’ordinamento, rispetto allo straniero, assumeva un trattamento liberale e nei suoi confronti “non sono vincolanti che soltanto quelle norme che attengono veramente all’organismo, alla vita stessa politico-giuridica dello Stato, e la cui violazione importerebbe un’effettiva lesione dell’esistenza della società”.212 In questi termini, per il Ferrara la Corte

210 Si tratta, come è noto della l. 1° dicembre 1970, n. 898 recante Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio. Il testo della legge fu confermato poi dal referendum del 1974. Scrive G.BONILINI, Manuale di diritto di famiglia, IX ed., Milano, 2020, p.

259: “Dal 1970, però, il nostro ordinamento, come già la maggior parte delle altre legislazioni, ha accolto l’istituto del divorzio, anche ammesso dal diritto romano e contemplato dal Code Napoléon, che ispirò il Codice civile del 1865, altresì in materia matrimoniale, fuorché riguardo al divorzio”. Sulla legge del 1970, si rinvia a G.BONILINI F.TOMMASEO (a cura di), Lo scioglimento del matrimonio, nel Commentario Schlesinger, III ed., Milano, 2010, passim. Si vedano, in particolare, all’interno, i commenti, di G.BONILINI (p. 3 ss.) M.DOSSETTI (p. 39 ss.).

211 La vicenda dottrinale e giurisprudenziale circa il riconoscimento in Italia di sentenze straniere di divorzio prima dell’entrata in vigore della legge sul divorzio viene ripercorsa dal Ferri nella nota n. 11-bis, capitolo III, della monografia del 1970 (p. 134-135) e nel quale menziona la convenzione dell’Aja del 1902. Sul punto si rinvia a quanto si dirà in tema di ripudio unilaterale.

212 F.FERRARA SR., Teoria del negozio illecito, op. cit., p. 57.

d’Appello avrebbe potuto riconoscere la sentenza di divorzio emessa all’estero, tra stranieri, in un Paese in cui il divorzio era ammesso.

Importante notare che per Ferri l’ordine pubblico è un concetto autonomo rispetto alle norme imperative, non confondendosi con esse.213 Per lui, infatti, l’ordine pubblico è un «cardine del sistema», che non deve essere ricavato direttamente o indirettamente da norme espressamente poste perché occorre riferirsi all’ordinarsi del sistema, al suo modo di porsi sì che l’ordine pubblico non può essere ridotto alle sole norme che si ispirano all’ordine pubblico. L’ordine pubblico, come del resto il buon costume, non esprime valori particolari ma valori fondamentali che cementano le norme e gli istituti in un sistema unitario.214 Ferri lo definisce un «criterio ordinante» più che un «principio ordinatore»,215 sintesi delle “grandi” idee che ispirano e vivificano il sistema e nelle quali le norme e gli istituti trovano la loro giustificazione e la loro utilità perché il sistema giuridico si caratterizza, non tanto per norme o istituti ma in funzione dei valori fondamentali che lo ispirano e dei criteri ordinanti su cui esso si basa. È l’idea dell’ordinamento come ordine posto, Ordnungsgedanken per ciò che è e vuole essere, non dovendo necessariamente essere espresso in singole norme.216 In questi termini, il

213 G.B.FERRI, voce Ordine pubblico, op. cit., p. 1049: “L’ordine pubblico sembra, in tal modo, assumere, con una sua maggiore presenza nel codice civile, non soltanto un più prestigioso rilievo, ma per il modo costantemente autonomo in cui viene richiamato (non legandosi, cioè, più alla formula delle leggi riguardanti in qualsiasi modo l’ordine pubblico) la sua stessa fisionomia concettuale è in grado di assumere i contorni, più precisi e sicuri, di principio originario destinato cioè ad operare al di là di ogni disposizione di legge”.

214 G.B.FERRI, Ordine pubblico, buon costume, op. cit., p. 171: “(…) perché ordine pubblico e buon costume non tanto vogliono esprimere valori particolari, quanto vogliono esprimere quei valori fondamentali che, cementando le norme e gli istituti, valgano a comporre queste norme e questi istituti in un sistema unitario”.

215 G.B. FERRI, Ordine pubblico, buon costume, op. cit., p. 171: “Sono i criteri ordinanti, più che i principi ordinatori, quelli che tali formule richiamano”.

216 G.B.FERRI, Ordine pubblico, buon costume, op. cit., p. 171: “Un sistema giuridico si caratterizza non soltanto in funzione delle norme e degli istituti (…); un sistema giuridico si caratterizza anche e soprattutto in funzione dei valori

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