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La concretizzazione dell’ordine pubblico attraverso i principi

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 152-171)

Nel pensiero di Ferri appare fondamentale – si è detto – il rapporto tra ordine pubblico e principi generali dell’ordinamento.334 L’Autore

332 G.B.FERRI, Illiceità di convenzioni elettorali, cit., p. 26.

333 S.RODOTÀ, Ordine pubblico o buon costume?, op. cit., p. 105.

334 G.B. Ferri dedica al rapporto tra ordine pubblico e principi generali i par. 28 (“Ordine pubblico e buon costume e i principî generali del diritto: elementi comuni ed elementi caratterizzanti”), 29 (“Il passaggio dai principî generali del diritto ai principî generali dell’ordinamento dello Stato: le discussioni che hanno preceduto la codificazione del 1942”) e 30 (“I principî generali dell’ordinamento dello Stato: principî espressi o principî inespressi”), all’interno del capitolo III su “Ordine pubblico e buon costume nel sistema del diritto privato attuale”. Si considerino i tre grandi Convegni dedicati ai principi generali: quello organizzato dalla Regia Università degli Studi di Pisa nel 1940 (AA.VV., Studi sui principi generali dell’ordinamento giuridico fascista, Pisa, 1943, passim), quello organizzato dall’Accademia dei Lincei nel 1991 (AA.VV., I principi generali del diritto, Atti del Convegno organizzato dall’Accademia Nazionale dei Lincei svolto a Roma nei giorni 27 – 29 maggio 1991, Roma, 1992, passim) e, infine, quello organizzato dall’Università di Roma La Sapienza nel 2014 (in Rivista italiana per le scienze giuridiche, 2014, numero speciale, passim). Sul rapporto tra i due Convegni del ‘900 si veda S.BARTOLE, I princìpi generali fra due convegni (1940-1991), dall’ordinamento statutario-fascista all’ordinamento repubblicano ed alle sue aperture sovranazionali, in AA. VV., I principi generali del diritto, Atti del

vede più di un “punto di contatto” – che non significa, tuttavia “perfetta coincidenza” – tra l’ordine pubblico e i principi generali dell’ordinamento dello Stato,335 intesi non solo come insieme di norme ed istituti ma anche delle basi politiche che lo improntano. È stata proprio l’introduzione nel codice civile del 1942 dei principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato a determinare una “svolta chiarificatrice” nell’individuazione del concetto, “misterioso e insolubile”, dell’ordine pubblico.

Convegno organizzato dall’Accademia Nazionale dei Lincei, op. cit., p. 3 ss.).

Con riferimento al terzo Convegno, si vedano i contributi diA.JANNARELLI, I princìpi nell’elaborazione del diritto privato moderno: un approccio storico (p. 33 ss.), G. ALPA, I princìpi generali. Una lettura giusrealistica (p. 77 ss.), U. BRECCIA, Princìpi: luci e ombre nel diritto contemporaneo (p. 121 ss.), A.CERRI, Riflessioni aperte sulle origini e sul ruolo dei princìpi nell’esperienza giuridica (p. 193 ss.), A.

GAMBARO, La dinamica dei princìpi: due esempi ed una ipotesi (p. 209 ss.); E. DEL

PRATO, I princìpi nell’esperienza civilistica: una panoramica (p. 265 ss.); G.

SANTORO-PASSARELLI, Autonomia privata individuale e collettiva e norma inderogabile (p. 335 ss.), G.TOSATO, I princìpi generali di diritto e l’integrazione europea. Brevi riflessioni sistemiche (p. 401 ss.).

335 Sui principi generali, cfr. N.BOBBIO, voce Principi generali di diritto, in Noviss.

dig. it., 1966, vol. XIII, p. 887 ss.; V.CRISAFULLI, A proposito dei principi generali del diritto e di una loro enunciazione legislativa, in Jus, 1940, p. 193 ss.; G.DEL VECCHIO, Sui principî generali del diritto, in Arch. giur., 1921, p. 33 ss. Più di recente, cfr. P.

PERLINGIERI, L’interpretazione della legge come sistematica ed assiologica. Il broccardo in claris non fit interpretatio, il ruolo dell’art. 12 disp. prel. c.c. e la nuova scuola dell’esegesi, in Rass. dir. civ., 1985, p. 990 ss.; F. MODUGNO, Principi generali dell’ordinamento, in Enc. giur., XXIV, Roma, 1991, p. 1 ss.; G. ALPA, I principi generali, in G.IUDICA P.ZATTI (a cura di), Trattato di diritto privato, Milano, 2006, passim; N.IRTI, Un diritto incalcolabile, Torino, 2016, p. 57 ss. Si veda altresì, P.

RESCIGNO S.PATTI, La genesi della sentenza, Bologna, 2017, passim (ma in part., cfr. P.RESCIGNO, Principi generali, p. 117 ss. e S.PATTI, Principi, clausole generali e norme specifiche nell'applicazione giurisprudenziale, p. 171 ss.); R.GUASTINI, Principi di diritto, in Digesto dis. civ., XIV, Torino, 1996, p. 341 ss. Ancora: G.ALPA, CESL, diritti fondamentali, principi generali, disciplina del contratto, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2014, II, p. 147 ss.; ID., I principi generali nella cultura giuridica tradizionale e nelle pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in Ars interpretandi, 2015, p. 77 ss.; G.BARILE, I principi fondamentali della comunità statale ed il coordinamento fra sistemi. L’ordine pubblico internazionale, Padova, 1969, passim.

Ferri parte sempre dall’evoluzione storica,336 in questo caso da quella dei principî generali, già presenti nella codificazione ottocentesca dove l’art. 3 delle disposizioni sulla pubblicazione, interpretazione ed applicazione delle leggi in generale del codice civile del 1865 che parlava di principii generali di diritto. Nel colmare l’eventuale lacuna, il comma 2 dell’art. 3 prevedeva – come ancora oggi – tanto l’analogia legis che quella iuris. Laddove una controversia non potesse essere decisa attraverso una specifica disposizione di legge, si avrebbe avuto riguardo alle disposizioni che regolavano casi simili o materie analoghe e, solo se il caso fosse ancora rimasto “dubbio”, si sarebbe deciso “secondo i principii generali di diritto”. Nell’interpretazione del concetto di principi generali di diritto, la dottrina superò, pressoché unanimemente, la riconduzione di questi al diritto romano, proponendo allora due diverse soluzioni: da un lato, la tesi giusnaturalistica – sostenuta, tra gli altri, da Giorgio Del Vecchio337 – che, riconducendo i principî generali al diritto naturale, scontava il possibile rischio di una commistione tra norme giuridiche e quelle morali; dall’altro, la tesi positivistica – sostenuta, ad esempio, da Emilio Betti338 – che individuava i principî generali di diritto in norme inespresse, ricavabili tramite un’attività di astrazione dalle norme particolari.

La vera novità, per Ferri, veniva invece dal nuovo codice civile nel 1942, quando i principî generali mutarono veste. Se è vero, infatti, che essi mantennero l’originaria funzione di strumento per colmare le lacune, la diversa formulazione utilizzata dal legislatore (i principî generali di diritto diventarono i principî generali dell’ordinamento giuridico dello Stato) determinò un cambio di paradigma, assumendo ora una funzione tipicamente etico-politica più che una funzione tecnica. Questa nuova (e diversa) formulazione significava per Ferri che i principî generali possono essere desunti non solo dal diritto codificato, dal ius conditum ma

336 G.B. FERRI, Ordine pubblico, buon costume, op. cit., p. 174 ss. ove amplia bibliografia.

337 G.DEL VECCHIO, Sui principi generali, op. cit.,

338 E.BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1949, passim (in part. p. 50 ss.).

semplicemente dal “ius che è possibile dedurre dagli indirizzi della politica del legislatore”,339 associando i principî generali non già allo Stato quale ordinamento giuridico ma allo Stato come potere e regime politico:

una eterointegrazione dell’ordinamento giuridico nella quale gli elementi estranei al sistema giuridico non sono i principi etici ma sono le esigenze politiche dello Stato, unico interprete della coscienza sociale collettiva come sostenuto da Emilio Betti.340 In tal modo, secondo Ferri, dietro una maschera formalmente positivistica, i principi generali celavano una forma di giusnaturalismo più pericolosa, rappresentata dalle finalità dello Stato come regime politico, dalle esigenze politiche (basti pensare che per il giurista Carlo Alberto Biggini i principi generali costituivano lo strumento per l’attuazione storica dello Stato che, prim’ancora di esercitare le tre funzioni fondamentali, è potere politico).341 La politicizzazione342 dei principi generali ha conferito una nuova e diversa

339 G.B.FERRI, Ordine pubblico, buon costume, op. cit., p. 180-181.

340 E.BETTI, Sui principi generali del nuovo ordine giuridico, in Riv. dir. comm., 1940, p. 219 ss.

341 C.A.BIGGINI, Dei principî generali dell’ordinamento giuridico fascista (contributo alla loro determinazione), in AA. VV., Studi sui principi generali dell’ordinamento giuridico fascista, op. cit., p. 381 ss. (e in part. p. 397). In termini analoghi, S.

PANUNZIO, Principî generali del diritto fascista (contributo alla loro determinazione), in AA.VV., Studi sui principi generali dell’ordinamento giuridico fascista, op. cit., p.

1 ss. Più in generale si vedano tutte le relazioni tenute durante il Convegno pisano del ’40.

342 Si consideri che nei lavori preparatori all’introduzione del nuovo codice civile del 1942, gran parte dei giuristi erano ben convinti nel mantenere il modello tripartito dell’illiceità (contrarietà a norme imperative, all’ordine pubblico, al buon costume). C’erano, tuttavia, anche giuristi ortodossi e politici che proposero la politicizzazione dei limiti all’autonomia negoziale, con l’introduzione di clausole generali quali ordinamento corporativo, gli interessi economici della produzione, l’ordine politico nazionale, ecc. Tali proposte non vennero accolte perché si disse nella Relazione ministeriale al progetto che queste nozioni facevano già parte del concetto di ordine pubblico. Nella Relazione, a proposito dell’ordine pubblico si legge: “Essa è una di quelle formule flessibili che la tradizione giuridica ha saputo forgiare per l’adeguamento delle leggi alle variazioni ideologiche dei tempi e all’evoluzione della coscienza nazionale. È una di quelle formule che consente di affermare che la tradizione non si oppone alla rivoluzione; e così l’interprete trova già nella

funzione ai principi generali che permette una attività creatrice della norma trasformandosi in uno strumento di governo ed allontanandosi dalla interpretazione estensiva. Così, attraverso i principî generali si valorizzò – anche se l’operazione non fu portata completamente a termine – come fosse legge costituzionale la Carta del Lavoro343 e gli indirizzi politici che si incardinano in chiave normativa all’interno del sistema.

Inutile ripetere che i principî generali costituiscono, per Ferri

“imperativi che si pongono su un piano diverso da quello proprio delle norme”.344 Sono principi immanenti all’ordinamento giuridico, sui quali è costituita la coscienza giuridica di una società, concreti e determinati e che rappresentano un prius rispetto alle norme – in quanto anteriori ad esse – e dai quali il legislatore attinge per l’esercizio del potere legislativo.

elasticità del concetto di ordine pubblico la base per una resistenza a quelle tendenze contrattuali che urtano contro l’orientamento sociale, politico ed economico del Fascismo e che mirano a violarlo”. I tentativi di informare la disciplina dei limiti negoziali all’ideologia totalitaria rimasero lettera morta. Cfr.

A.GUARNERI, L’ordine pubblico e il sistema, op. cit., p. 99 ss.

343 I due testi legislativi fondamentali sulle corporazioni sono: a) la l. 3 aprile 1926, n. 563 (sulla Disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro); b) il Regio Decreto 1° luglio 1926, n. 1130, che contiene le norme attuative della legge stessa. Nel 1926 fu istituito il Ministero delle Corporazioni (Regio Decreto 2 luglio 1926, n. 1131) e, successivamente, nel 1930, vennero estesi i poteri del detto Ministero e del Consiglio Nazionale delle Corporazioni (Legge 20 marzo 1930, n. 206). Sul tema del corporativismo, cfr. A.ROCCO, La trasformazione dello Stato.

Dallo Stato liberale allo Stato fascista, Roma 1927; G. BOTTAI, Esperienza corporativa [1926-1928], Roma, 1929; ID., Esperienza corporativa [1929-1934], Firenze 1934; ID., Le corporazioni, Milano, 1935; ID., Il Consiglio Nazionale delle Corporazioni, Milano 1935; A.TURATI G.BOTTAI, La Carta del Lavoro illustrata e commentata, Roma, 1929; C.COSTAMAGNA, Diritto corporativo italiano secondo la Carta del lavoro, la legislazione e la dottrina a tutto l’anno 1927, Torino, 1928; ID., Elementi di diritto costituzionale corporativo fascista, Firenze, 1930; U.SPIRITO, Il corporativismo. Dall’economia liberale al corporativismo. I fondamenti dell’economia corporativa. Capitalismo e corporativismo, Firenze, 1970.

344 G.B.FERRI, Ordine pubblico, buon costume, op. cit., p. 185.

Su essi sono sorte varie questioni. Ad esempio, quella se essi siano desumibili per astrazione da norme positive, o, viceversa, siano solo quelli inespressi, non desumibili per astrazione. Ancora, se i principî generali volti a colmare le lacune ex art. 12 disp. prel. siano diversi da quelli generali informatori e condizionanti l’ordinamento giuridico.

Bobbio riteneva che i principi generali fossero solo quelli inespressi e la giustificazione del loro inserimento sarebbe appunto data dal richiamo nell’art. 12.345 Per V. Crisafulli ci sono tre categorie di principi: quelli inespressi desumibili dalle norme subordinate; quelli che hanno dato luogo alla posizione di norme subordinate; quelli non ancora tradotti in norme determinate. Se, nell’ultima delle categoria, i principi hanno una funzione programmatica, nelle prime due hanno già esplicato la loro funzione costruttiva e integrativa-interpretativa. Ferri sembra aderire alla tesi secondo cui i principi possono essere anche quelli inespressi quando afferma che: “Vi sono quindi principî generali presenti ed operanti nel sistema che forse non sorgono da norme espresse dal sistema stesso; principi cioè, che pur non essendo espressi direttamente o indirettamente, appartengono alla civiltà giuridica, dalla quale il sistema giuridico positivo ha preso consistenza e che

345 N.BOBBIO, Principi generali di diritto, op. cit., p. 892: “(…) se i principi generali inespressi, cui può fare appello il giudice in caso di lacuna, sono soltanto quelli desumibili attraverso un procedimento di generalizzazione delle norme legislative espresse e quindi sono già contenuti, implicitamente, nel sistema legislativo, il procedimento per giungere alla loro scoperta è meramente interpretativo; ergo la fonte dei principi generali è lo stesso legislatore. Per coloro poi che non accettando la communis opinio considerano i principi come norme desumibili anche al di fuori del sistema, il richiamo espresso ai principi da parte del legislatore negli art. 3 (1865) e 12 (1942) delle Preleggi ha servito egregiamente a giustificare l’inserimento dei principi nel sistema senza bisogno di allargare il quadro delle fonti tradizionali e di smentire la supremazia della legge come fonte di qualificazione. (…) Solo oggi, nell’ambito di una dottrina sempre più attenta, anche nei paesi di diritto codificato, alla funzione insopprimibile della giurisprudenza nella trasformazione e nella evoluzione di un sistema giuridico, si va facendo strada l’idea che i principi generali siano il prodotto specifico dell’opera innovativa del giudice, il mezzo precipuo attraverso cui si apre un varco, in paese tradizionalmente ostile, la giurisprudenza come fonte autonoma di diritto”.

rappresentano il tessuto connettivo del sistema stesso”.346 Ferri ritiene che si tratti, più che di principi inespressi, di categorie generalissime di valori, spesso comuni a più esperienze giuridiche. Tali principi non solo si dirigono al legislatore per legiferare e all’interprete per colmare le lacune, ma costituiscono i cardini dell’ordinamento positivo e anche se il principio viene trasfuso nella norma non per questo si confonde con essa anche perché norma e principio sono entità diverse.

Per la concreta individuazione dei principi, non ritiene sufficiente utilizzare le conosciutissime formule di alterum non laedere, honeste vivere, suum cuique tribuere, pacta sunt servanda. Nonostante ritenga principi anche quelli inespressi, cioè le categorie generalissime di valori, è convinto che i principî generali possono essere ricavati dalle norme positive, ricordando che proprio per un bisogno di concretezza dei principî generali, durante i lavori di un Convegno tenuto a Pisa nel 1940 si parlò dell’opportunità di codificarli.

L’evoluzione della funzione dei principi generali emerse chiaramente durante i lavori preparatori del codice civile e le diverse posizioni in proposito vennero enucleate durante il richiamato Convegno tenuto a Pisa nel maggio del 1940, organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza e dalla Scuola di Perfezionamento nelle discipline corporative.347 Si consideri, peraltro, che qualche mese prima, nel gennaio 1940, il Ministro Guardasigilli, Dino Grandi, nel corso della riunione dei giuristi chiamati a riformare i codici affermò che sarebbe stato necessario, dopo la loro approvazione, codificare i principi generali dell’ordinamento giuridico fascista. Occorreva cioè indirizzare e plasmare “il diritto privato nella nuova civiltà fascista e nello Stato fascista. Per farlo sarebbe necessitata una approvazione da parte del Gran Consiglio di tali principi, che “inquadrando in un sistema gerarchico le fonti del diritto, quali sono ormai fissate nella dottrina fascista e nella politica legislativa del Regime, dovranno servire di guida all’interpretazione da parte della giurisprudenza e della scienza

346 G.B.FERRI, Ordine pubblico, buon costume, op. cit., p. 188.

347 Come già detto, gli Atti del Convegno possono leggersi inAA.VV., Studi sui principî dell’ordinamento giuridico fascista, Pisa, 1943, passim.

giuridica, ed a chiarire la natura e le finalità dei diversi istituti nei codici mussoliniani, la loro posizione storica, la loro ragione politica e le linee del loro sviluppo futuro”.348 Su questo aspetto, sembra opportuno richiamare una vicenda che mostra la crisi del sillogismo giudiziale conseguenza del logicismo e dell’importanza del momento politico nell’attività giudiziaria. Proprio nell’atteggiamento assunto dalla dottrina e dalla giurisprudenza durante l’epoca fascista emergono considerazioni esplicitamente politiche negli svolgimenti argomentativi dei giudici.349 Il collegamento tra la clausola generale dell’ordine pubblico e la nuova veste dei principî generali si ha con riferimento alla vicenda della cd.

clausola oro durante il periodo fascista ed in particolare, con riferimento alla questione della validità o invalidità per illiceità della causa dell’obbligazione – contraria all’ordine pubblico – ai sensi dell’art. 1122 cod. civ. 1865. La clausola oro, come noto, è quel particolare meccanismo contrattuale che, per tutelare il creditore, indicizza le obbligazioni pecuniarie, adeguando l’importo nominale del debito in ragione del prezzo dell’oro. In questi termini, Andrioli350 scriveva che proprio la nozione di ordine pubblico avrebbe permesso “all’interprete di adeguare le norme scritte alla realtà sociale e comporle in sistema” componendole in sistema ed inserire le norme positive “nel mutevole fluttuare della legislazione vivente”. Secondo Federico Roselli la giurisprudenza che si attestava sulla nullità della clausola-oro rappresentava “una più chiara inclinazione dei magistrati ad assecondare gli indirizzi della politica governativa”.351 La giurisprudenza, durante il regime fascista, stabilì in alcune sentenze la nullità per contrarietà all’ordine pubblico delle clausole oro per favorire i pagamenti in moneta nazionale cartacea, così perseguendo l’obiettivo di stabilizzare il valore della lira, che era peraltro entrato in discussione per motivi di propaganda. Venne così data

348 V.ANDRIOLI, Intorno ai principii generali del nuovo ordine giuridico, in Riv. dir.

proc. civ., 1940, p. 254 ss.

349 Sul punto, sono illuminanti le pagine di F.ROSELLI, Il controllo della Cassazione, op. cit., p. 99 ss.

350 V.ANDRIOLI, Sulla invalidità delle clausole oro, stipulate prima e attuabili dopo il 5 ottobre 1936 (nota a Cass. Regno, 11 maggio 1939, n. 1601), in Foro it., 1939, I, c.

799 ss.

351 F.ROSELLI, Il controllo della Cassazione, op. cit., p. 102.

rilevanza giuridica al discorso di Pesaro del 18 agosto 1926 nel quale Mussolini annunciò di voler difendere la lira “fino all’ultimo respiro, fino all’ultimo sangue”.352 Roselli cita quale esempio di tale atteggiamento una sentenza del Tribunale di Roma del 1930 che ammise che il rimborso dei titoli azionari da effettuare per contratto in oro potesse avvenire in moneta cartacea. È vero, tuttavia, come ricorda Di Majo, che nonostante alcuni provvedimenti volti a stabilizzare il valore della lira, la giurisprudenza nel periodo fascista volendo tutelare anche l’equilibrio economico delle parti ritenne valide, in alcuni casi, le clausole oro sì da poter parlare di un atteggiamento di indirizzo liberale della giurisprudenza353. Roselli ricorda, poi, che una ancor più autentica adesione ideologica alle scelte governative si ha nella disciplina autoritativa dei prezzi – e dunque le decisioni non discendono solo dai valori espressi dalla legge ma sono coartate dagli indirizzi politici – quando la giurisprudenza ritenne che il contratto contrastante la disciplina autoritativa dei prezzi violasse il buon costume. Attilio Guarneri scrive che si tratta di un ordine pubblico preterlegale, non rintracciandosi un divieto delle clausole oro e la fonte “è squisitamente metapositiva, politica, ispirata come è alle direttive politiche del regime nel campo economico quali emergono dalle relazioni e discussioni parlamentari relative ai provvedimenti legislativi in materia monetaria, dai discorsi del Capo del Governo, etc.”.354

Ad ogni buon conto, il rapporto tra ordine pubblico e principi generali dell’ordinamento è presente in molti Autori. Si consideri, ad esempio, che Ferri non identifica completamente i due concetti ma vede numerosi punti di contatto. Vi è anche chi, come Nicola Palaia, sovrappone i concetti. Scrive, infatti, a proposito della nozione di ordine pubblico che: “(…) poiché l’ordine pubblico non può essere riscontrato

352 Sulla politica economica fascista e, più in particolare, con riferimento a quota novanta, cfr. G.TONIOLO, Economia dell’Italia fascista, Bari, 1980, passim. Nel libro Toniolo ricorda, ad esempio, che “quota novata” non ebbe effetto sulle esportazioni ma sulle importazioni.

353 A.DI MAJO, voce Obbligazioni pecuniarie, in Enc. dir., vol. XXIX, Milano, 1979, p. 253 ss.

354 A.GUARNERI, L’ordine pubblico nel sistema, op. cit., p. 63.

effettivamente in nessuna norma particolare, esso, per poter assumere uno specifico rilievo, deve essere identificato con i principi generali che si desumono da tutto il complesso della legislazione statale”,355 così permettendo di raggiungere due risultati: da un lato quello di distinguere tra norme imperative e ordine pubblico mantenendo la distinzione prevista nell’art. 1343 cod. civ. che mette sullo stesso piano tre concetti (norme imperative, ordine pubblico, buon costume), dall’altro evitare di attribuire un significato meramente politico alla nozione di ordine pubblico. Scrive, ancora, che il concetto di ordine pubblico richiamato dal codice civile: “non rappresenta altro che una particolare esplicazione di quei principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato, ai quali fa esplicito riferimento l’art. 12 delle Disposizioni preliminari per stabilire la disciplina di una controversia che non può essere decisa con una precisa disposizione né con riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe”, mutando però la funzione, divenendo essa antitetica rispetto a quella propria dei principi ex art. 12 che è una funzione integrativa: qui ha la funzione di impedire l’inserimento il riconoscimento all’interno dell’ordinamento statale di atti che si presentano in contrasto con i principi generali dell’ordinamento stesso.356

Argomentando più in generale, Ferri afferma che il diritto si arricchisce di valori che si affermano nell’esperienza sociale,

“[formandosi] nella coscienza umana, che è coscienza storica di un popolo e di una società organizzati”. In conclusione, per lui esistono principî generali che non sorgono da norme espresse dal sistema ma che

“appartengono alla civiltà giuridica”.357 Essi vengono visti come

“categorie di valori”, esprimenti il modo d’intendere di una esperienza giuridica storicamente determinata nell’organizzazione e nelle finalità. I principî generali vengono indicati in categorie generalissime di valori che possono essere comuni a più sistemi giuridici o a tutti i sistemi giuridici in quanto espressione del diritto come ordine razionale e non arbitrario.

Questi principî non solo si indirizzano all’interprete per colmare le lacune e al legislatore per legiferare ma costituiscono i cardini dell’ordinamento

355 N.PALAIA, L’ordine pubblico, op. cit., p. 81 ss.

356 N.PALAIA, L’ordine pubblico, op. cit., p. 83.

357 G.B.FERRI, Ordine pubblico, buon costume, op. cit., p. 188.

positivo. I principi generali costituiscono imperativi che operano ad un livello diverso da quello delle norme avendo una funzione ed una posizione diversa. I principi sono imperativi immanenti all’ordinamento giuridico e tale ordinamento postula un ordine che lo informi fin dall’origine. Di tali imperativi è costituita la coscienza giuridica di una società, sono concreti e costituiscono un prius poiché anteriori alle norme e dai quali il legislatore attinge per la codificazione.

È indispensabile, però, che venga data una maggiore concretezza a questi principi generali, tanto ciò è vero che nello stesso Convegno pisano venne proposta una loro codificazione. Sempre appellandosi alla storia, Ferri nota che la codificazione dei principi generali è avvenuta con la Costituzione, la legge delle leggi, i cui principi prevalgono su quelli delle altre leggi ordinarie imponendosi al legislatore, all’interprete e al giudice.358 Dunque: il problema dell’identificazione dei principi generali,

358 G.B.FERRI, voce Ordine pubblico, op. cit, p. 1053-1054.: “(…) i valori e i principi portanti del nostro ordinamento giuridico sono in parte diversi da quelli che caratterizzavano il sistema per il quale l’ordine pubblico fu, per la prima volta, elaborato e introdotto nel codice civile. Come nel sistema fascista queste scelte e questi valori trovarono la loro formulazione ed espressione nell’ordinamento corporativo e nella Carta del Lavoro che lo esprimeva (per cui si sarebbe dovuto in questa legge, considerata (…) di portata costituzionale, individuare i valori che l’ordine pubblico avrebbe avuto la funzione di conservare, nei rapporti tra privati e privati), nel nostro sistema attuale è alla Costituzione repubblicana che dobbiamo far capo per trovare i valori e i principi oggi fondamentali nel nostro ordinamento giuridico. Valori e principi che, sia espressi in norme precettive, sia desumibili da norme soltanto programmatiche, chiaramente si caratterizzano come espressioni di quegli ideali di libertà e di democrazia che consentono alla sfera degli interessi individuali di coesistere e coordinarsi (senza esserne sopraffatta) con la sfera degli interessi sociali e dove anzi, proprio in tale coesistenza e coordinamento, interessi individuali e interessi sociali trovano ragioni e strumenti per un reciproco rafforzamento. La tutela della persona umana, l’ideale di eguaglianza, di solidarietà, il diritto al lavoro (art. 2, 3, 4 Cost.); l’affermazione e la tutela della libertà religiosa, della libertà dell’insegnamento; la solenne dichiarazione che l’arte e la scienza sono libere; la tutela e l’affermazione delle libertà civili, non meno che di quelle politiche ed economiche (in sostanza tutte le norme contenute nella pt. I, tit. IV Cost.), questi

la cui codificazione venne proposta già durante il convegno pisano degli anni ’40, sarebbe stato superato proprio con l’entrata in vigore della Costituzione, che racchiude in sé proprio i principi generali. Per lui, infatti, “il nucleo fondamentale dei principî generali [è] rappresentato dalle disposizioni di principio della Carta costituzionale”.359 Tra i principî generali, include non solo le disposizioni precettive, ma anche quelle programmatiche, a cui riconosce alcuni effetti immediati (in particolare, quello di determinare l’illegittimità costituzionale delle norme preesistenti o successive che si pongono in contrasto con esse e la rilevanza delle norme programmatiche sulle norme individuali, cioè quelle poste tramite atti di autonomia privata) 360. Peraltro, tali principî costituzionali si impongono al legislatore, al giudice e all’interprete e, proprio perché costituzionali, prevalgono su quelli ricavabili da altre leggi dello Stato.

Con riferimento all’individuo, la Costituzione enuclea lo statuto della personalità361 che si fonda sul riconoscimento e sulla garanzia dei diritti fondamentali dell’uomo come singolo e nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità, nei doveri inderogabili della solidarietà politica economica e sociale, nella pari dignità morale tra cittadini, nella uguaglianza formale e sostanziale tra essi, nel riconoscimento del lavoro quale diritto e dovere. Se tale statuto si trova condensato nei principi fondamentali della Carta, esso si specifica poi nella parte sui diritti e dunque i valori, caratterizzanti il nostro ordinamento giuridico, che i principi generali e l’ordine pubblico si trovano ad affermare”.

359 G.B.FERRI, Ordine pubblico, buon costume, op. cit., p. 191.

360 Si tratta dei casi della legislazione che si ponga in contrasto con la norma programmatica ed il caso in cui non sussista una disciplina specifica della materia e la regola si ponga in contrasto con l’atto di autonomia privata. Ferri fa l’esempio del recesso ad nutum del datore di lavoro previsto dall’art. 118 cod.

civ. che, nella versione originaria, si poneva in contrasto con i principi costituzionali espressi in disposizioni programmatiche. Cfr. G.B.FERRI, Ordine pubblico, buon costume, op. cit., p. 194-195.

361 In particolare, nella parte dedicata ai principi fondamentali (art. 1-12) e in quella sui diritti e doveri del cittadino (art. 13-54). Sulla tutela della personalità umana, cfr. la ricostruzione di P. PERLINGIERI, La personalità umana, op. cit., passim.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 152-171)