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a. L’INTERPRETAZIONE PSICOLOGICA DELL’AZIONE DEMONICA

Il Pastore di Erma è un buon esempio della poliedricità del concetto di demone e di spirito maligno nella prima metà del II secolo, in cui questa figura evangelica è ancora ben poco analizzata e dunque sfugge a una caratterizzazione precisa. Anche la riflessione demonologica contenuta in questo testo, che non gode di grande

440 Non è ad esempio un caso che il termine prediletto per indicare la possessione demoniaca in Teodoto sia πνεῦμα, di origine evangelica e attestato in testi di inizio II secolo, come nel Pastore di Erma. L’attenzione di questo autore per il testo evangelico è più forte del tentativo di accordare la visione cristiana con la coeva riflessione in lingua greca. D’altra parte, nella traduzione greca del Primo Libro di Enoch, i discendenti disincarnati di angeli e donne sono indicati proprio come πνευμάτα in En. 15,8: si veda Frölich 1994, p. 66.

fortuna nel periodo immediatamente successivo, è tuttavia degna di nota per le ripercussioni che avrà su una fase ulteriore del pensiero cristiano.

Nel Pastore di Erma, il termine δαίμων non è in realtà presente, ma compare il suo equivalente neotestamentario πόνερος πνεῦμα. Il significato di questa espressione non sembra in realtà sovrapponibile a quanto accade in particolare nei Vangeli Sinottici, poiché nell’opera il valore prevalente coinvolge l’interpretazione psicologica della possessione demoniaca: il buon cristiano è normalmente abitato dallo Spirito Santo, che lo induce alle buone azioni e a una condotta di vita santa. Questo protegge il buon fedele dall’attacco degli spiriti malvagi, che nulla possono fare per modificare questa condizione. Se, però, il fedele apre in qualche modo la strada agli spiriti malvagi, ciascuno dei quali rappresenta un’inclinazione negativa della personalità umana, essi penetrano nell’animo umano e allontanano lo Spirito Santo che in lui risiede, poiché le due tipologie spiritiche, secondo Erma, non possono convivere all’interno del medesimo luogo, benché entrambe si trovino accanto ad ogni uomo.441

Come si è osservato a proposito dell’evangelico episodio di Maria di Magdala, non è improbabile che qui sia presente una concezione psicologica del male, già attestata all’interno dei Testamenti dei Dodici Patriarchi, ma anche in alcuni libri dell’Antico Testamento e presso gli autori neotestamentari. Quel che è curioso è l’identità tra il lessico demonico dei sinottici e il lessico psicologico di Erma: si ha l’impressione che gli spiriti malvagi che non possono ottenebrare l’anima del cristiano giusto siano esattamente i demoni malvagi che si impossessano delle anime degli indemoniati evangelici.

Erma, dunque, presenta una ricetta utile non tanto per guarire gli indemoniati, come da mandato apostolico, quanto, piuttosto, per evitare che al buon cristiano si presenti una tale sventura: la salvezza dai demoni, dunque, è effettivamente presente e non deve essere posta in dubbio. Chi ancora è assoggettato al potere dei demoni,

441 Cfr. ERMA,Pastore V, 1, 1–4 e VI 2, 1–4. Tale idea è comune anche alla Lettera di

Barnaba, 18, 1, in cui il tema dell’esistenza di angeli della luce e di angeli di Satana,

nonostante apparentemente ne debba essere al sicuro, soffre per un suo errore morale, che lo ha esposto ad un tale attacco, e per l’incapacità di riconoscere il suo errore, cioè l’azione dello spirito malvagio al suo interno, rifiutando il pentimento che Dio concede.

Ma, anche nel caso della possessione demoniaca, al fedele che sinceramente si pente è concesso di accedere alla salvezza fornita dallo spirito divino, che permane presso gli uomini. Nel mondo di Erma, dunque, non è necessario il mandato apostolico per allontanare gli spiriti maligni, poiché la battaglia cosmica tra bene e male si svolge completamente all’interno dell’individuo, solo in base alla sua propria volontà.

La possessione demoniaca si manifesta sia come malattia sia in quanto ispirazione di pensieri malevoli, in una forma apparentemente simile a quella del Pastore di Erma, anche negli Atti di Giovanni, ma l’importante differenza tra i due testi risiede nell’impossibilità dell’indemoniato di reagire al male che si è impossessato di lui senza l’aiuto dell’intervento salvifico di Giovanni.442 I capitoli 48–54 degli Atti di

Giovanni mostrano certamente alcuni elementi peculiari nell’economia del testo: oltre

a rappresentare una testimonianza, piuttosto rara, di un’interpretazione psicologica del ruolo del demone, essi mostrano inequivocabilmente traccia dell’apertura della comunità cristiana che ha prodotto questo testo alla cultura greca. Nell’episodio narrato, infatti, l’intervento demonico sembra avere valore di possessione, ma rivela l’influenza evidente di un coevo romanzo in lingua greca, il Romanzo di Chaireas e

Callirhoè.443 Non solo la vicenda narrata è sovrapponibile a quella del romanzo, ma anche spie linguistiche sembrano confermare la parentela tra i due testi e alcune di queste sono proprio connesse all’ambito demonologico: per esempio, l’appellativo con cui Giovanni si rivolge al giovane parricida, δαίμων ἀναιδέστατε, potrebbe avere una relazione con questo romanzo:444 infatti, Chaireas, i cui atti sono

442 Atti di Giovanni, 48–54.

443 Per la parentela tra i capitoli 48–54 degli Atti di Giovanni e il romanzo, si veda CC SA 2, p. 516–20.

444 L’aggettivo, però, accompagna il sostantivo δαίμων con una discreta frequenza anche in altri atti apocrifi. Si vedano per esempio gli Atti di Andrea e gli Atti di Tommaso.

paragonabili a quelli del protagonista dell’episodio, ammette di essere tormentato da un malvagio δαίμων, che gli impedisce di gioire del suo matrimonio ispirandogli un sentimento di gelosia.445

L’episodio è certamente peculiare, come dimostra l’assenza di un vero esorcismo, pratica che è testimoniata altrove negli Atti di Giovanni, ma che qui non è utilizzata: solo le parole dell’apostolo, e il miracolo della risurrezione del padre ucciso, servono ad allontanare dal giovane la cattiva disposizione d’animo che lo ha tormentato fino a quel momento, disposizione che è equiparata a possessione in modo, apparentemente, solo metaforico. Giovanni, infatti, si rivolge al giovane come demone, e non a un demone residente nel corpo del giovane: il parricida, dunque, non è indemoniato, in quanto non è abitato da un δαιμόνιον, ma è δαίμων in quanto in preda a una follia derivante da un violento stato d’animo, che lo avvicina a un personaggio di una tragedia euripidea, piuttosto che a una vittima degli spiriti impuri di evangelica memoria.

Certamente, anche in questo caso, come nel Pastore di Erma, i pensieri malvagi che affollano la mente del giovane sono prodotti da Satana (τέχνας τοῦ Σατανᾶ): il male non sta nelle azioni, quanto nei pensieri. La salvezza non giunge dall’esterno, ma dalla buona disposizione d’animo e dal pentimento. Questo male che si impossessa dello spirito degli uomini non è ‘demonico’ in senso stretto, poiché non sono solo i demoni ad ispirarlo: i cattivi pensieri che inducono l’uomo alla tentazione sono infatti definiti negli Atti di Giovanni tramite la metafora del serpente che si insinua nella mente dell’uomo o anche come l’azione diretta di Satana sull’uomo.446 La brama della lussuria che induce l’innamorato Callimaco a cercare di violare la salma della cristiana Drusiana è ψυχικὴ παρῆν ἄνοια, ἀκατάσχετος νόσος: una malattia, dunque, che abita all’interno dell’uomo. Questa follia viene definita da Giovanni come un δαίμων annidato nel giovane, ma ancora una volta non è necessario un

445 Cfr. CARITONE, Il romanzo di Chairéas e Callirhoé I, 16 e VI, 1. Si noti però che nel testo il termine δαίμων assume un’ampia gamma di significati.

esorcismo per liberarlo, bensì un miracolo che induce la mente stessa del giovane Callimaco alla conversione e al pentimento.

b. LA TESTIMONIANZA DEGLI ATTI APOCRIFI

L’interpretazione psicologica dell’attività demonica, seppure attestata, rappresenta all’interno del pensiero di secondo secolo una rarità: il mondo dei primi cristiani, come anche quello giudaico e quello greco–romano, si mantiene assolutamente affollato di δαίμονες, la cui abbondante presenza è ampiamente attestata anche dalla letteratura in lingua greca. Non solo testi di riflessione filosofica, ma anche romanzi, come la citata opera di Caritone, o diversi scritti di Luciano, o biografie, come la Vita di Apollonio di Tiana, dimostrano che nel panorama dell’intero Mediterraneo antico la credenza in entità spiritiche, generalmente prive di una corporeità e maliziose nell’intento, sia diffusa quanto mai in passato.

In ambito cristiano, importanti elementi della demonologia si riconoscono anche all’interno della varia messe di testi apocrifi che sono stati composti nel medesimo periodo e che offrono vari punti di vista sul modus operandi, più che sulla natura in sé, dei demoni. A differenza delle opere degli apologisti, infatti, che si preoccupano di spiegare non solo come agiscono i demoni, ma anche per quale motivo esistono e perché sono ostili all’uomo, i testi apocrifi generalmente si limitano ad accettare la loro esistenza e a mostrare in che modo possono essere sconfitti, normalmente dagli apostoli: sono soprattutto gli Atti apocrifi che apparentemente raccolgono l’eredità della demonologia evangelica.

La continuità rispetto agli scritti neotestamentari è evidente sopratutto nella modalità di operare degli spiriti demonici, che si impossessano delle loro vittime causando loro follia o malattia; la continuità lessicale, invece, sembra mostrare una netta prevalenza del termine δαίμων sull’evangelico δαιμόνιον e la progressiva scomparsa dell’utilizzo di πνεῦμα, che compare di prevalenza in relazione all’uomo, come vox media, o in valore assolutamente positiva, in quanto persona divina.

L’analisi lessicale, però, non può essere particolarmente specifica, nel caso degli Atti apocrifi, a causa della complessa vicenda testuale di questi testi, di cui spesso

l’originale permane solo in frammenti, laddove ampie parti sono conservate in varie traduzioni.

Un classico esempio di possessione demoniaca è presentato ancora una volta negli

Atti di Giovanni, nell’episodio dei capitoli 56–57, in cui Giovanni guarisce, tramite

esorcismo, i due figli di Antipatro di Smirne: i due, indemoniati dalla nascita, presentano sintomi tipici della possessione, di cui sono vittime in occasioni pubbliche e private e che dimostrano anche per il loro aspetto malato e sofferente. Su richiesta di Antipatro, disposto ad uccidere i figli pur di liberare loro dal male e se stesso e la famiglia dall’ignominia del comportamento dei figli, Giovanni manda via gli spiriti con una preghiera tipica, in cui si rivolge al Signore per ottenerne l’aiuto. L’unico elemento caratteristico degli esorcismi e qui assente è la rivolta dello spirito impuro contro chi lo allontana, poiché nessun dialogo tra l’esorcista e il demone è testimoniato, ma non è improbabile che l’intero episodio sia stato oggetto di cesure che ne potrebbero aver notevolmente ridotto l’ampiezza.447

Un’altra peculiarità è che gli spiriti sono respinti ‘a distanza’, poiché non presenti presso Giovanni al momento della supplica da parte del padre. Anche la preghiera di Giovanni, che invoca Cristo per chiedere la resurrezione della buona Drusiana, pur presentando tratti tipici di un’aretalogia pagana, si inserisce in una cornice tipicamente evangelica, in cui tra le azioni salvifiche nei confronti dell’umanità esercitate da Gesù si trova anche la capacità di cacciare i demoni.448

Gli Atti di Giovanni, però, nel loro complesso, mostrano l’ampia varietà dell’eredità della demonologia di Secondo Secolo: ad esempio, la curiosa espressione πρέμνον τὸν λὸγον δαὶμονα ἔχον, sembra contenere un riferimento alla natura alterata del male e di tutto ciò che lo riguarda.449 Il tronco ha una natura demonica in quanto deviata, corrotta, esattamente come è corrotta la natura dei demoni.

Il passo di maggior interesse dell’opera, tuttavia, si trova nel capitolo 114, in cui Giovanni, in punto di morte, esorcizza le forze del male che potrebbero interrompere

447 Cfr. Norelli 1995, p. 527. 448 Atti di Giovanni, 79, 12. 449 Atti di Giovanni, 84, 5.

l’ascesa verso Dio della sua anima, che si immagina compia un tragitto in salita, si trova a confrontarsi con ogni sorta di avversario malefico. Dunque, i suoi nemici sono il fuoco e le tenebre, l’abisso e la stessa geenna, ma soprattutto gli angeli (malvagi), i demoni, gli arconti, il diavolo, Satana e la sua progenie. Ad ognuno di questi elementi è accostata un’azione in grado di fermarlo, secondo una logica piuttosto evidente: Satana, che generalmente deride gli uomini, dovrà essere deriso, privato del motore delle sue nefaste azioni, cioè il furore, la rabbia e la vendetta; i demoni, secondo una tradizione evangelica, saranno spaventati, come sempre accade loro davanti a Cristo e ai suoi apostoli. Rimane, come unico punto di dubbio, l’azione che consegue agli angeli, che devono essere confusi, e agli arconti.450

Il testo è interessante perché suggerisce la possibilità di un incontro dell’anima dei defunti con gli angeli caduti, i demoni e Satana stesso durante l’ascesa in cielo, concordemente con l’Ascensione di Isaia e il Secondo Libro di Enoch, secondo cui il carcere in cui sono chiusi gli angeli caduti si trova nel secondo cielo e non nelle profondità della terra, come invece attestano i Vangeli e il Libro dei Giubilei.451 Questa idea, che mostra come le anime impure siano indegne di ascendere ai più alti livelli del cielo, mostra una certa assonanza con la tesi proposta di Filone, secondo cui le anime che non sono in grado di dimenticare il mondo terreno non possono tornare al mondo spirituale da cui provengono.452

450 Cfr. Atti di Giovanni 114: e durante il viaggio che mi porta presso di te, che il fuoco si ritiri,

che le tenebre siano vinte, che l’abisso perda la sua forza, che la fornace si spenga, che la geenna si estingua, che gli angeli siano confusi, che i demoni siano spaventati, che gli arconti si lascino persuadere, che i luoghi che si trovano a destra siano chiusi, che non rimangano quelli a sinistra, che il diavolo sia ridotto al silenzio, che Satana sia deriso, che il suo furore sia consumato, la sua rabbia ridotta a calma, che la sua vendetta torni a sua vergogna, che il suo ardore sia torturato, che i suoi figli soffrano e che tutta la sua razza sia proscritta. Donami la grazia di percorrere fino alla fine il cammino verso di te al riparo dall’insulto e dall’oltraggio [...].

451 Cfr. Giubilei 5, 6. Per la datazione dell’Ascensione di Isaia, Norelli 1995, p. 65, propone la fine del I sec per i capp. 6–11 in Antiochia e l’inizio del II secolo, sempre in Antiochia, per i capp. 1–5.