I successori di Platone non sembrano intuire la profondità del concetto di δαίμων, intendendolo, forse per influenza del senso comune del termine, come una
126 PLATONE, Leggi 729e–730a: ὁ δυνάμενος οὖν τιμωρεῖν µᾶλλον βοηθεῖ προθυμότερον, δύναται δὲ διαφερόντως ὁ ξένιος ἑκάστων δαίμων καὶ θεὸς τῷ ξενίῳ συνεπόμενοι Διί. 127 PLATONE, Leggi 848d: δώδεκα κώμας εἶναι χρή, κατὰ μέσον τὸ δωδεκατημόριον ἕκαστον μίαν, ἐν τῇ κώμῃ δὲ ἑκάστῃ πρῶτον µὲν ἱερὰ καὶ ἀγορὰν ἐξῃρῆσθαι θεῶν τε καὶ τῶν ἑπομένων θεοῖς δαιμόνων, εἴτε τινὲς ἔντοποι Μαγνήτων εἴτ᾽ ἄλλων ἱδρύματα παλαιῶν μνήμῃ διασεσωμένων εἰσίν […].
128 Come nota correttamente Timotin 2012, p. 83: Le type de discours qui met en
circulation cette gamme variée de figures du daimon est le mythe (ou un récit ayant un rôle analogue) et ce détail n’est pas fortuit. Le mythe platonicien est un genre de discours intermédiaire entre l’opinion et la science véritable, portant sur des réalités qui échappent au domaine de l’expérience, et qui a la capacité de figurer, de manière confuse, l’objet intelligible dont il ne donne qu’une image imparfaite. Si veda anche Albinus 2003, p. 430.
manifestazione personale del divino.129 Questo processo di individualizzazione o personificazione dei δαίμονες non è un’invenzione dei successori di Platone, ma è un dato attestato all’interno della tradizione greca: i δαίμονες di Empedocle sono colpevoli di omicidio o di spergiuro e per questo condannati a scontare lunghissime pene incarnati nel mondo umano e coincidono con gli stessi uomini:130 pur essendo ‘schegge di divinità’, non sono divinità, ma hanno uno statuto particolare, in quanto vivono e possono morire.131 Proprio questa caratteristica dei δαίμονες è non solo recuperata, ma diviene anche centrale nell’Antica Accademia prima, fino al medio– platonismo poi:132 con l’autore di Epinomide e con Senocrate, il δαίμων diventa un
essere, o meglio una categoria di esseri, che mediano tra divino e umano.133
129 Petersen parla, per spiegare questo fenomeno, dell’ontologizzazione di un concetto che in origine era totalmente generico e astratto.
130 Montevecchi 2010, p. 98.
131 Montevecchi 2010, p. 99: Che il daimon non sia propriamente un dio risulta dal
frammento 115D dove Empedocle distingue gli dei, artefici del decreto che sigilla l’ordine del tutto, dai daimones che tale decreto hanno violato: questi ultimi, rispetto ai primi, sono mancanti di qualcosa, caratterizzati a recuperare una perduta purezza, fatto che li può far collocare a metà strada tra l’imperfezione terrena e la perfezione divina, in uno schema che potrebbe avere
anche valenza etico–religiosa.
132 Si veda Timotin 2012, p. 86: l’auteur de l’Épinomis – probablement Philippe d’Oponte –
n’a pas élaboré, au sens propre du terme, une ‘démonologie’, mais il est le premier à avoir assigné aux daimones une place et une fonction définies dans le cadre de sa cosmologie. La doctrine de l’Épinomis est fondée essentiellement sur une interprétation théologique de la cosmologie du Timée, notamment de la partie consacrée aux dieux–astres (39e–40b), qui a intégré le passage du Banquet (202e) concernant la nature et les fonctions du daimôn.
133 Epinomide, 984d–985b: θεοὺς δὲ δὴ τοὺς ὁρατούς, μεγίστους καὶ τιμιωτάτους καὶ ὀξύτατον ὁρῶντας πάντῃ, τοὺς πρώτους τὴν τῶν ἄστρων φύσιν λεκτέον καὶ ὅσα μετὰ τούτων αἰσθανόμεθα γεγονότα, μετὰ δὲ τούτους καὶ ὑπὸ τούτοις ἑξῆς δαίμονας, ἀέριον δὲ γένος, ἔχον ἕδραν τρίτην καὶ μέσην, τῆς ἑρμηνείας αἴτιον, εὐχαῖς τιμᾶν μάλα χρεὼν χάριν τῆς εὐφήμου διαπορείας. τῶν δὲ δύο τούτων ζῴων, τοῦ τ᾽ ἐξ αἰθέρος ἐφεξῆς τε ἀέρος ὄν, διορώμενον ὅλον αὐτῶν ἑκάτερον εἶναι—παρὸν δὴ πλησίον οὐ κατάδηλον ἡµῖν γίγνεσθαι—μετέχοντα δὲ φρονήσεως θαυμαστῆς, ἅτε γένους ὄντα εὐμαθοῦς τε καὶ μνήμονος, γιγνώσκειν µὲν σύμπασαν τὴν ἡμετέραν αὐτὰ διάνοιαν λέγωμεν, καὶ τόν τε καλὸν ἡµῶν καὶ ἀγαθὸν ἅμα θαυμαστῶς ἀσπάζεσθαι καὶ τὸν σφόδρα κακὸν μισεῖν, ἅτε λύπης μετέχοντα ἤδη—θεὸν µὲν γὰρ δὴ τὸν τέλος ἔχοντα τῆς θείας µοίρας ἔξω τούτων εἶναι, λύπης τε καὶ ἡδονῆς, τοῦ δὲ φρονεῖν καὶ τοῦ γιγνώσκειν κατὰ πάντα μετειληφέναι— καὶ συμπλήρους δὴ ζῴων οὐρανοῦ γεγονότος, ἑρμηνεύεσθαι πρὸς ἀλλήλους τε καὶ τοὺς ἀκροτάτους θεοὺς πάντας τε καὶ πάντα, διὰ τὸ φέρεσθαι τὰ μέσα τῶν ζῴων ἐπί τε γῆν καὶ ἐπὶ τὸν ὅλον οὐρανὸν ἐλαφρᾷ φερόμενα ῥύμῃ.
Come osserva Leonardo Taràn,134 l’Epinomide mostra chiaramente l’influenza della concezione del δαίμων presente in Simposio, non solo a livello concettuale, ma anche a livello linguistico;135 la scala gerarchica degli esseri viventi, però, avrebbe origine non platonica. In primo luogo, in Epinomide gli elementi sarebbero cinque e i δαίμονες sarebbero i viventi propri del secondo elemento, l’etere,136 mediano tra il fuoco e l’aria, elemento che costituisce la novità introdotta dall’autore di questo trattato, la cui dottrina, su questo punto, non è però in accordo con quanto presente in Timeo, in cui gli elementi sono quattro a causa dell’assenza dell’etere:137 la
134 Taràn 1975, p. 283.
135 Si veda per esempio Taràn 1975, p. 284.
136 In Epinomide, in effetti, sono chiamati propriamente δαίμονες soltanto gli esseri viventi propri dell’elemento etere. Immediatamente dopo, nel testo, sono chiamati in causa gli esseri viventi dell’aria, che però non coincidono assolutamente con i δαίμονες, come mostra chiaramente il testo. Già Calcidio, però, confonde le due categorie, indicandole entrambe come δαίμονες, includendo, anzi, all’interno di questa stirpe anche gli esseri propri dell’acqua. Per una breve discussione a questo proposito, comunque, si rimanda a Taràn 1975, pp. 159–163 e 283, e a Timotin 2012, pp. 88–89, secondo cui l’innovazione dell’Epinomide sarebbe legata alla volontà di simmetria del suo autore, nello sforzo di far coincidere i cinque elementi alle cinque figure elementari di Timeo 40a. Taràn 1975, p. 284, ritiene che i δαίμονες e gli spiriti dell’aria abbiano le stesse funzioni a causa dell’inserimento del quinto elemento da parte dell’autore di Epinomide, che avrebbe indotto la necessità dell’introduzione di una corrispondente quinta stirpe di viventi, le cui funzioni restano però come sospese.
137 L’etere, la parte più pura dell’aria per Platone, che non lo rende un elemento a sé stante, ha in Epinomide un ruolo diverso da quanto ad essa attribuito in Aristotele, Il Cielo, 270b 1ss: per quest’ultimo, infatti, l’etere, come è noto, è l’elemento assolutamente privilegiato, mentre per l’autore del trattato in questione esso mantiene il ruolo che aveva in Platone pur divenendo elemento a tutti gli effetti; secondo Timotin 2012, p. 89, è possibile che l’autore di Epinomide abbia inserito questo elemento leggendo il Timeo alla luce di Aristotele; anche Senocrate sarebbe giunto a una conclusione simile, ma non coincidente, motivo per cui Taràn 1975, pp. 38–40, può escludere che egli sia l’autore del trattato. Il fuoco è, in questo trattato, l’elemento cosmico in cui risiedono gli dei, l’etere appartiene ai δαίμονες, mentre all’aria, come si è detto, appartiene una razza di esseri non meglio identificata; all’acqua le ninfe e gli spiriti acquatici, e non i pesci, alla terra gli animali e l’uomo. Lo schema ripropone quanto osservabile in Timeo 41b, con notevoli differenze, in quanto nel trattato platonico aria, acqua e terra sono abitati da, rispettivamente, uccelli, pesci e animali terrestri. Timotin 2012, p. 86, osserva che l’autore del trattato è probabilmente il primo a stabilire che gli uccelli non sono i reali abitanti dell’aria: per l’autore di Epinomide, infatti, come anche successivamente in Aristotele, pesci e uccelli sono considerati animali terrestri e ogni zona dell’universo è abitata da
classificazione di Timeo ne risulta stravolta, in quanto tre categorie, cioè uccelli, pesci e animali terrestri, sono compattati in un unico elemento e sono aggiunte tre serie di esseri intermedi.138 Lo stesso ordinamento degli esseri viventi ha un diverso presupposto, in Timeo e in Epinomide, in quanto la gerarchia platonica non è legata alla classificazione degli elementi stessi, quanto piuttosto all’anima che costituisce il fondamento della loro costituzione.139 D’altra parte, è possibile, come suggerisce Timotin, che in questa nuova sistematizzazione abbia svolto un ruolo fondamentale la sovrapposizione tra questa gerarchia e quella, ben presente in Platone, che comprende dei, δαίμονες e eroi. Secondo Taràn, in placing between the firy and the
earthy creatures three intermediate kinds of divine or semi–divine living beings, the author of the Epinomis puts forward, perhaps for the first time in Greek thought the notion of a scale of living beings which dwell in different regions of the universe in ascending order of perfection,140 anche se si potrebbe obiettare che una tale scala gerarchica, seppur non di esseri viventi, ben corrisponderebbe alla scala gerarchica di ambito religioso cui si è accennato prima. Potrebbe forse aver agito sull’autore di Epinomide l’esigenza di fondere non solo le differenti valenze del termine δαίμων all’interno dell’opera platonica, ma anche il modo in cui questo concetto è considerato all’interno delle altre tradizioni a lui note, in primis la scala gerarchica pitagorica, che comunque anche in Platone, come si è visto, è ben presente.141
esseri ad essa propri, in un ordine discendente di dignità, dagli dei agli uomini. Cfr. Dillon 2003, pp. 193 ss.
138 Timotin 2012, p. 89. 139 Timotin 2012, pp. 86–93. 140 Taràn 1975, p. 46.
141 Si veda, a questo proposito, Einarson 1958, pp. 91–97 e in particolare p. 93, in cui l’autore nota: setting up three intermediate elements, ether, air, and water, and thus abandoning
the two mean proportional of Plato, as well as introducing another element […] he imports into these the gods, daemons and heroes of popular religion, whose worship is recommended at Laws 717a–b. That the three intermediate elements were intended to provide these divinities with bodies is evident from the description of the scheme as a theogony (908c). […] the next two elements, air and water, are respectively reserved to daemons and heroes. Anche Taràn 1975, pp. 287–8,
conferma che l’autore di Epinomide ritiene che i tre esseri intermedi siano all’origine della scala gerarchica religiosa. A questo proposito, si veda anche Timotin 2012, pp. 91–93, secondo cui la figura dei δαίμονες sarebbe fondamentale per lo sviluppo della riforma religiosa a suo parere propugnata dall’autore di Epinomide: l’auteur de l’Épinomis semble,
Ma l’argomentazione che colpisce maggiormente e che fa propendere per una derivazione non del tutto platonica di questa dottrina è l’assenza, in Platone, di δαίμονες chiaramente corporei, che invece prendono il sopravvento nell’età post– platonica.142
I δαίμονες di Epinomide, invisibili, sono particolarmente saggi, in grado di imparare e di ricordare e di provare sentimenti, particolare quest’ultimo che mal si accorda con la natura divina, e che sarà estremamente sottolineato in tutta la tradizione successiva.143
D’altra parte, l’autore di Epinomide non è il solo a cercare di ‘ontologizzare’ i δαίμονες. Sembra, infatti, che anche Aristotele, in alcuni scritti giovanili, si fosse interessato della questione, come dimostrerebbero alcuni frammenti del perduto scritto La Filosofia, secondo cui lo Stagirita avrebbe ipotizzato l’esistenza di due δαίμονες, uno buono e l’altro malvagio, di cui il primo corrisponde a Zeus e l’altro a Ade.144
Questo testo, però, non ci permette di sciogliere il dubbio che spesso l’utilizzo del termine impone, se cioè vi sia una differenza tra il suo utilizzo e quello di θεός: secondo Untersteiner, qui Aristotele usa la parola δαίμων nell’antico senso greco,
esprimibile con numen.145 Più interessante, invece, perché più vicino alla tradizione platonica, l’utilizzo che, secondo Clemente Alessandrino, ne avrebbe fatto nel perduto
implicitement, mettre un signe d’équivalence entre les dieux traditionnels – qu’il laisse, du reste, à chacun la liberté de ranger à sa guise – et les espèces d’êtres divins inférieurs aux dieux–astres. À peine suggérée, cette équivalence ne semble avoir d’autre rôle que de permettre l’introduction d’une catégorie d’êtres divins (les dieux astres) supérieure aux dieux traditionnels et, corrélativement, d’un culte civique dont l’importance dépasserait celle des cultes établis. La
conseguenza sarebbe che les dieux traditionnels restent en place, mais ils tendent petit à petit à
devenir des daimones (Timotin 2012, p. 93).
142 Taràn 1975, p. 45.
143 Taràn 1975, pp. 161–2 e 284–5.
144 ARISTOTELE, FR. 6 U. (=R28, R36), apud DIOGENE LAERZIO, I, Proem. 8 (6): Ἀριστοτέλης δ᾽ ἐν πρώτῳ Περὶ φιλοσοφίας καὶ πρεσβυτέρους εἶναι τῶν Αἰγυπτίων: καὶ δύο κατ᾽ αὐτοὺς εἶναι ἀρχάς, ἀγαθὸν δαίμονα καὶ κακὸν δαίμονα: καὶ τῷ µὲν ὄνομα εἶναι Ζεὺς καὶ Ὠρομάσδης, τῷ δὲ ᾍδης καὶ Ἀρειμάνιος.
trattato I Pitagorici,146 in cui Aristotele parla di un δαίμων che accompagna gli uomini durante la loro vita.
Un articolo piuttosto datato di William Lameere cerca di entrare più a fondo nella questione e mettere in luce, secondo le parole dell’autore, alcuni aspetti poco noti del pensiero giovanile dello Stagirita.147 Lameere concentra la sua attenzione su una particolare espressione aristotelica: […] quanto al quarto genere [di animali], non bisogna
cercarlo qui in basso: tuttavia ne deve esistere uno che corrisponda alla posizione del fuoco. […] Bisogna cercare questo quarto genere sulla Luna […].148 La notizia è particolarmente interessante, osserva Lameere, perché in effetti nella tradizione greca esistono diversi riferimenti a una stirpe di esseri che avrebbero la loro dimora sull’astro, non solo a livello letterario, ma anche nell’arte funeraria, con particolare riferimento ad un’origine orfico–pitagorica di questa credenza: tuttavia, nulla nel testo indica con certezza che lo Stagirita stia effettivamente parlando di demoni, benché l’ipotesi avanzata da Lameere sia suggestiva poiché l’ipotesi di una sede demonica sulla Luna non è un unicum aristotelico.149
Per Aristotele l’idea che la luna possa essere abitata è di origine analogica: inoltre, poiché essa si trova presso la sfera del fuoco e ogni elemento ha i suoi propri abitanti, è necessario che anche la luna abbia una propria categoria di viventi, così come è necessario che anche l’elemento fuoco ne abbia, parimenti, una.150 Gli abitanti della luna dovrebbero avere dei caratteri estremamente peculiari, tenendo conto che pur
146 ARISTOTELE, Fr. R2188, R3193, apud CLEMENTE ALESSANDRINO, Stromata, VI, 6, 53, 2– 3.
147 Cfr. Lameere 1949.
148 ARISTOTELE, La generazione degli animali III, 11, 761 b 8–23: Τὸ δὲ τέταρτον γένος οὐκ ἐπὶ τούτων τῶν τόπων δεῖ ζητεῖν· καίτοι βούλεταί γέ τι κατὰ τὴν τοῦ πυρὸς εἶναι τάξιν· τοῦτο γὰρ τέταρτον ἀριθμεῖται τῶν σωμάτων. Ἀλλὰ τὸ µὲν πῦρ ἀεὶ φαίνεται τὴν μορφὴν οὐκ ἰδίαν ἔχον, ἀλλ´ ἐν ἑτέρῳ τῶν σωμάτων· ἢ γὰρ ἀὴρ ἢ καπνὸς ἢ γῆ φαίνεται τὸ πεπυρωμένον. Ἀλλὰ δεῖ τὸ τοιοῦτον γένος ζητεῖν ἐπὶ τῆς σελήνης· αὕτη γὰρ φαίνεται κοινωνοῦσα τῆς τετάρτης ἀποστάσεως.
149 Si rimanda per un approfondimento della questione a Lameere 1949.
150 In effetti, Aristotele ritiene che esistano degli animali che nascono, vivono e muoiono nel fuoco e che sarebbero osservabili in Macedonia, come detto nella Stora degli
Animali V, 19. Ma, secondo Lameere 1949, p. 300: ce seul type d’être vivant pour la région du feu ne peut avoir correspondu dans son esprit à toute une catégorie d’êtres vivants adaptés au genre de vie que conditionnera le lieu naturel du feu […].
appartenendo al mondo sublunare ed essendo quindi sottomessi alle leggi del divenire e della corruzione, sarebbero a stretto contatto con il cielo, che è la dimora degli esseri immortali. Conclude dunque Lameere che il n’est pas téméraire de
conjecturer que les animaux de la région du feu seront des êtres semi–divins, semi–mortels, c’est à dire des démons, suivant le sens que l’on donnait au mot démon à l’époque du Stagirite, et qui est son acception platonicienne par excellence.151 A sostegno di questa ipotesi, Lameere si serve di una tardissima notizia, risalente a Michele di Efeso che citerebbe un frammento del perduto commento di Giovanni Filopono a La generazione degli
animali:152
gli esseri viventi che sono nati e nascono [nel fuoco] risiedono nella sfera della luna. Esistono, in effetti, e nascono esseri viventi dotati di ragione, eterei, che non mangiano e non bevono, e la cui unica occupazione è di ordine visivo e contemplativo: hanno sede nell’aria e nell’etere. E benché ciascuno di essi possa vivere per oltre tremila anni, sono comunque soggetti alla morte.
Lameere ritiene, anche se ancora una volta il termine δαίμων non è citato nel testo greco, che Michele di Efeso non solo si stia riferendo ai δαίμονες, ma che stia utilizzando una fonte decisamente antica, che mostra una considerazione di questi esseri non legata alla tradizione cristiana o al paganesimo ad essa contemporaneo. Se la residenza sulla luna è evidentemente di origine aristotelica, essendo questo dettaglio presente nel testo dello Stagirita, è però opportuno chiedersi da dove derivino gli altri dettagli testimoniati, che ricostruiscono il modus vivendi di questo gruppo di esseri, ed in particolare il dato riguardante il loro essere, benché longevi, comunque mortali: situés aux confins du ciel et de la terre, non loin de cette atmosphère
épurée qui s’apparente à la lumière du soleil, démons lunaires que n’assujettit pas tout à fait l’inexorable loi du changement qui transforme incessamment les êtres et les choses du monde sublunaire, presque voisins des dieux, mais encore assez près de nous pour êtres menacés dans
151 Lameere 1949, p. 302.
152 GIOVANNI FILOPONO (apud MICHAELIS EPHESI), Commento ai libri Sulla generazione degli animali.
leur existence et leur félicité (ils meurent après trois mille ans), ces êtres surnaturels auront sans doute étés l’objet, de la part d’Aristote, d’une estimation qui avait pour but de fixer le nombre de leurs années entre les cas extrêmes d’une vie éphémère et d’une vie sans fin […].153 L’interesse scientifico di Aristotele, dunque, sarebbe stato diretto anche a questa categoria di viventi, di cui sarebbe stato necessario individuare le abitudini, in un intento che potremmo definire classificatorio. L’accostamento tra questi esseri lunari e i δαίμονες è stimolante, non solo per il confronto con i contemporanei eredi di Platone, che effettivamente, a loro volta, individuano caratteristiche comportamentali o fisiche dei δαίμονες, ma anche perché un qualche legame tra i δαίμονες e la Luna era emerso già in precedenza: Pitagora, come si è visto, è considerato come uno dei δαίμονες buoni che abitano la Luna, una caratteristica che, probabilmente, è legata allo spostamento ideale su di essa delle Isole dei Beati, cui i δαίμονες in quanto ‘morti buoni’ appartengono.
La teoria di Lameere, dunque, è molto suggestiva e certamente indica che una certa riflessione sulla figura dei δαίμονες deve essere stata presente, almeno a livello giovanile, nel pensiero di Aristotele, dimostrata chiaramente dalla testimonianza di Clemente; ma le fonti di cui Lameere si serve sono molto tarde e i documenti stessi non appaiono così certi da permettere di sottoscrivere la sua tesi di fondo, che, cioè, l’influsso della demonologia aristotelica sia stato determinante per il futuro sviluppo della questione, anche se Plutarco riprenderà l’idea che la sede di alcuni δαίμονες sia la luna e l’ipotesi di un’appartenenza della stirpe demonica all’elemento aereo, prossimo all’etere ma non con esso coincidente, sarà presente in età ellenistica ed imperiale.
Certamente, la frammentarietà delle testimonianze aristoteliche impedisce di chiarire con esattezza la questione, così come accade per l’altro discepolo di Platone, Senocrate, cui la testimonianza di Plutarco in particolare riconosce una funzione fondamentale nella definizione dello statuto dei δαίμονες nella filosofia dell’Antica Accademia e del Medio Platonismo. Il ruolo di Senocrate è stato talora sottolineato con forza, talora negato veementemente, in particolare nella datata opera di Heinze,
che ritiene Senocrate il vero inventore della demonologia post–platonica, e in Detienne, secondo cui al contrario nulla di originale traspare nella riflessione senocratea, che attingerebbe ampiamente a opere di ispirazione pitagorica pre– esistenti ma perdute:154 nella visione della prima età imperiale, tuttavia, Senocrate doveva essere considerato un’auctoritas a riguardo, come testimoniano le numerose citazioni plutarchee. Per Plutarco, inoltre, Senocrate avrebbe avuto il merito di introdurre una nuova categoria di δαίμονες: nel Declino degli Oracoli, infatti, si legge che di δαίμονες malvagi ne ha lasciati in giro non solo Empedocle, […] ma anche Platone,
Senocrate e Crisippo.155 La notizia è estremamente interessante, non tanto per il riferimento in sé a Senocrate, in cui peraltro, come si vedrà, sono effettivamente presenti δαίμονες malvagi, quanto per le altre indicazioni: la citazione di Empedocle, ad esempio, non appare problematica, in quanto, come si è detto, i suoi δαίμονες si sono macchiati di colpe terribili e per questo sono condannati all’esilio nel mondo materiale; la curiosità è rappresentata dalla ripresa di Platone, perché è molto rara, quasi extraordinaria, la presenza di δαίμονες malvagi e generalmente collegata all’avvertimento di questo concetto da parte dei suoi contemporanei. Solo nella
Lettera VII e in un passo del Liside156 compare in accenno questa idea.157
Esisterebbero, per Senocrate, due tipi di δαίμονες, buoni e malvagi, di cui questi ultimi sarebbero inferiori ai primi nella scala cosmica,158 ed è ancora Plutarco a darci
154 È possibile ricostruire gran parte del pensiero demonico senocrateo, grazie all’ampia quantità di frammenti riportati da autori successivi, benché la tradizione indiretta spesso lasci adito a dubbi su quanto l’autore citato volesse effettivamente intendere: non è Senocrate quello che noi leggiamo, ma Plutarco che riporta Senocrate nei passaggi per Plutarco più rilevanti.
155 PLUTARCO, Il declino degli oracoli, 419 a: πρὸς ταῦτα τοῦ Ἡρακλέωνος σιωπῇ διανοουμένου τι πρὸς αὑτὸν ‘ἀλλὰ φαύλους μέν’ ἔφη ‘δαίμονας οὐκ Ἐμπεδοκλῆς μόνον, ὦ Ἡρακλέων, ἀπέλιπεν, ἀλλὰ καὶ Πλάτων καὶ Ξενοκράτης καὶ Χρύσιππος.
156 PLATONE, Liside 223a: κᾆτα, ὥσπερ δαίμονές τινες, προσελθόντες οἱ παιδαγωγοί. 157 Timotin 2012, p. 98: dans l’Épinomis, comme chez Platon, il n’est jamais question des
daimones mauvais, tandis che Xénocrate est crédité de la conception selon laquelle la participation au πάθος humain peut corrompre la nature des daimones.
questa informazione, in Iside et Osiride, informazione che potrebbe forse essere collegata alla presenza di due gerarchie divine in Senocrate, in un’ottica dualistica, testimoniata da Tertulliano;159 ma questa ipotesi, in riferimento alla demonologia senocratea, appare molto dubbia in quanto non è attestata in nessuno dei frammenti a noi rimasti.
Si ha in realtà l’impressione che la figura dei δαίμονες segua uno sviluppo funzionale parallelo a quanto presente nell’Epinomide, dovuto in parte all’esigenza di accordare e spiegare le numerose attestazioni del termine in Platone, e in particolare i passi maggiori di Simposio e Timeo, e dall’altra di fornire una base di spiegazione per la religione tradizionale: in questo senso, infatti, vanno numerosi frammenti, tutti trasmessi, in varie opere, da Plutarco.160
L’intento di Senocrate appare piuttosto evidente: nel demandare ai δαίμονες ogni particolare imbarazzante o malvagio presente nella religione tradizionale, si vuole salvare la dignità della religione tradizionale, le cui vere divinità non avrebbero potuto compiere atti come quelli che spesso sono loro attribuiti o chiedere riti e
159 TERTULLIANO, Alle nazioni II, 2. PLUTARCO, Iside e Osiride, 360 d, fr. IP 225.
160 PLUTARCO, Il declino degli oracoli, 417 e–f, fr. IP 228: καὶ µὴν ὅσας ἔν τε μύθοις καὶ ὕμνοις λέγουσι καὶ ᾄδουσι, τοῦτο µὲν ἁρπαγὰς τοῦτο δὲ πλάνας θεῶν κρύψεις τε καὶ φυγὰς καὶ λατρείας, οὐ θεῶν εἰσιν ἀλλὰ δαιμόνων παθήματα καὶ τύχαι μνημονευόμεναι δι᾽ ἀρετὴν καὶ δύναμιν αὐτῶν. Ibidem, 417 c–e, fr IP 230: ἑορτὰς δὲ καὶ θυσίας, ὥσπερ ἡμέρας ἀποφράδας καὶ σκυθρωπάς, ἐν αἷς ὠμοφαγίαι καὶ διασπασμοὶ νηστεῖαί τε καὶ κοπετοί, πολλαχοῦ δὲ πάλιν αἰσχρολογίαι πρὸς ἱεροῖς μανίαι τ᾽ ἀλαλαὶ τ᾽ ὀρινόμεναι ῥιψαύχενι σὺν κλόνῳ, θεῶν µὲν οὐδενὶ δαιμόνων δὲ φαύλων ἀποτροπῆς ἕνεκα φήσαιμ᾽ ἂν τελεῖσθαι μειλίχια καὶ παραμύθια. καὶ τὰς πάλαι ποιουμένας ἀνθρωποθυσίας οὔτε θεοὺς ‘ ἀπαιτεῖν ἢ προσδέχεσθαι πιθανόν ἐστιν, οὔτε μάτην ἂν ἐδέχοντο βασιλεῖς καὶ στρατηγοὶ παῖδας αὑτῶν ἐπιδιδόντες καὶ καταρχόμενοι καὶ σφάττοντες, ἀλλὰ χαλεπῶν καὶ δυστρόπων ὀργὰς καὶ βαρυθυμίας ἀφοσιούμενοι καὶ ἀποπιμπλάντες ἀλαστόρων ἐνίων δὲ μανικοὺς καὶ τυραννικοὺς ἔρωτας, οὐ δυναμένων οὐδὲ βουλομένων σώμασι καὶ διὰ σωμάτων ὁμιλεῖν. ἀλλ᾽ ὥσπερ Ἡρακλῆς Οἰχαλίαν ἐπολιόρκει διὰ παρθένον, οὕτως ἰσχυροὶ καὶ βίαιοι δαίμονες ἐξαιτούμενοι ψυχὴν ἀνθρωπίνην περιεχομένην σώματι λοιμούς τε πόλεσι καὶ γῆς ἀφορίας ἐπάγουσι καὶ πολέμους καὶ στάσεις ταράττουσιν, ἄχρι οὗ λάβωσι καὶ τύχωσιν οὖ ἐρῶσιν. Iside e Osiride, 26, 361 b, fr IP 229 : ὁ δὲ Ξενοκράτης καὶ τῶν ἡμερῶν τὰς ἀποφράδας καὶ τῶν ἑορτῶν, ὅσαι πληγάς τινας ἢ κοπετοὺς ἢ νηστείας ἢ δυσφημίας: ἢ αἰσχρολογίαν ἔχουσιν, οὔτε θεῶν τιμαῖς οὔτε δαιμόνων οἴεται προσήκειν χρηστῶν, ἀλλ᾽ εἶναι φύσεις ἐν τῷ περιέχοντι μεγάλας µὲν καὶ ἰσχυράς, δυστρόπους δὲ καὶ σκυθρωπάς, αἳ χαίρουσι τοῖς τοιούτοις, καὶ τυγχάνουσαι πρὸς οὐθὲν ἄλλο χεῖρον τρέπονται.
venerazioni indegne di un dio. I δαίμονες malvagi sono dunque responsabili di tutto quanto di meschino e malvagio si possa individuare nella mitologia; la distinzione tra δαίμονες buoni e malvagi, sarebbe dovuta alla differente e individuale reazione alle passioni, di cui essi, a differenza degli dèi, non sono immuni.
Sembra però che un discorso a parte vada fatto su alcune testimonianze, in cui il