• Non ci sono risultati.

a. LA DEMONOLOGIA NELL’ECONOMIA DELLA SUPPLICA DI

ATENAGORA562

A differenza di quanto accade per Giustino, nella Supplica di Atenagora la demonologia occupa uno spazio ben definito: i riferimenti a questa materia, infatti, sono concentrati nei capitoli da 23 a 27 e rispondono a una precisa necessità compositiva. I capitoli, infatti, sono contenuti nella prima parte della Supplica, in cui Atenagora intende dimostrare che l’accusa di ateismo nei confronti dei cristiani è

559 GIUSTINO,Seconda Apologia, 10, 5.

560 Cfr. Monaci Castagno 1995, pp. 115–16, Bianchi 1990 pp. 51–62, Donini 1990, pp. 37– 50.

561 GIUSTINO,Prima Apologia, 18, 4; Seconda Apologia 1, 2 e 6, 5–6.

562 Per la natura del testo della Supplica, si rimanda a Schoedel 1972, Pouderon 1992 e Lorraine Buck 1996. Per la struttura della Supplica, si rimanda a Malherbe 1969.

fondamentalmente sbagliata, in quanto i cristiani non sono teoreticamente atei.563 Infatti, essi adorano un Dio (e quindi non possono ovviamente essere atei) e, nella tradizione letteraria del mondo ellenistico, non sono i soli ad aver professato un culto strettamente monoteistico, ma sono gli unici ad essere stati accusati per questo motivo di ateismo:564 nelle parole di Atenagora, in realtà, diventa evidente che i cristiani devono essere considerati filosofi a tutti gli effetti.565 A differenza dei filosofi, inoltre, i cristiani hanno una conoscenza dell’unico Dio che deriva dalla volontà stessa di quel Dio che i filosofi ipotizzano solo per congettura, e di cui dunque questi ultimi possono avere una conoscenza legata alla sensibilità della loro specifica anima, come dimostrano i differenti punti di vista che ognuno ha mostrato a questo proposito.566 Nonostante l’insistenza sul ruolo conoscitivo dell’opera dei profeti ispirati, dunque, già nella primissima parte della Supplica Atenagora mostra di volersi confrontare con la filosofia ellenistica, cui rinvia continuamente.567

Per dimostrare che i cristiani non sono atei, Atenagora procede anche a una seconda argomentazione, mostrando che il contrario non è valido, e cioè che gli altri

563 Cfr. Schoedel 1973, p. 311.

564 ATENAGORA, Supplica, 4–6. Si veda, in particolare, 5 1: καὶ ποιηταὶ µὲν καὶ ϕιλόσοϕοι οὐκ ἔδοξαν ἄθεοι ἐπιστήσαντες περὶ θεοῦ. L’esempio citato da Atenagora in questa occasione è Euripide, di cui sono riportati due frammenti, di cui uno altrimenti non noto alla tradizione. Cfr. Malherbe 1969, p. 10.

565 Cfr. Malherbe 1969, pp. 5–7: lo scontro sul valore delle affermazioni cristiane deve essere condotto sul campo della filosofia.

566 ATENAGORA,Supplica, 7, 2.

567 Coerentemente con il carattere generale della Supplica, che, infatti, occupa uno spazio particolare all’interno dell’apologetica di II secolo. Cfr. Schoedel 1972, p. XIII: [...]

the peculiar mark of the Plea among the Apologies of the second century is its controlled apologetic aim. Exposition of Christian teaching occurs only to rebut false charges [...]. Atenagora, then, seems not to be writing for himself and other Christians. [...] The Plea looks like an ‘open letter’ to the emperors destined for the general public. Cfr. Scivoletto 1960, p. 244: Era forse Atenagora un maestro di scuola, un γραμματικός che aveva ancora fiducia nella cultura pagana, ma che sentiva il bisogno di un nuovo ideale religioso, e a quella ricorreva per trovare le prove che rafforzassero, appunto, il suo ideale. Per raggiungere lo scopo egli rispettò i canoni, divenuti ormai classici, della polemica antipoliteista, ma seguì al tempo stesso una via in certo qual modo diversa da quella degli altri apologeti, e con ciò dette prova di una cultura vasta, minuta, preziosa, anche se non sempre, o mai, raffinata. Sulla conoscenza della filosofia platonica e medioplatonica

di Atenagora, si veda in particolare Malherbe 1969, che analizza il rapporto tra la Supplica e alcune sillogi medioplatoniche che l’apologista potrebbe aver conosciuto, tra cui soprattutto l’opera di Albino.

dei adorati dalle nazioni non hanno effettivamente il potere che viene loro attribuito, e questo necessariamente comporta che non sono davvero dei. L’accusa di ateismo, in questo modo, viene rigettata e, in fondo, rivolta agli stessi destinatari: sono i pagani ignoranti a essere i veri atei poiché gli dei che adorano non sono davvero dei.568

L’argomento è importante, perché una delle accuse principalmente rivolte ai cristiani, e che comportava l’accusa di ateismo, riguarda il rifiuto di compiere sacrifici: intento di Atenagora, dunque, è dimostrare l’inutilità dei sacrifici stessi, legittimando in questo modo il rifiuto cristiano.

La connessione di questo argomento con la demonologia è molto stretta e, seppur anticipata nella prima parte del trattato, sarà più ampiamente ripresa nella sezione demonologica: l’idea che Atenagora presenta è la medesima proposta da Giustino. I sacrifici sono inutili poiché Dio non ne ha in alcun modo bisogno, in quanto, essendo Dio, è ἀνενδεής e ἀπροσδεής; inoltre, i culti ellenistici sembrano incapaci di dimostrare ciò che anche agli occhi dei filosofi pagani deve apparire ovvio: la distinzione tra Dio, che è totalmente altro rispetto alla materia, e gli idoli, che al contrario sono materiali.569 Il cristiano, dunque, che è in grado di discernere il creato dall’increato, l’essere dal non–essere, l’intelligibile dal sensibile e che correttamente chiama ognuno di questi concetti con il suo nome, non può approcciarsi ad un culto divino basato sulla materialità.570 Allo stesso modo, anche tutto ciò che appartiene al mondo materiale non può essere adorato, poiché, essendo tutto creato da Dio, è necessario adorare il creatore e non il creato.571

Atenagora, dunque, vuole asserire la falsità dell’accusa di ateismo ancora una volta attraverso le parole dei filosofi, la cui autorità è ampiamente citata, come dimostrano i numerosi rimandi a Platone e alla sua tradizione e alla scuola

568 Cfr. Schoedel 1972, p. XX, che sottolinea la somiglianza dell’argomento portato da Atenagora con quelli prodotti in ambito scettico ed epicureo (l’esempio sottolineato da Schoedel è il rifiuto della difesa stoica del politeismo basata sull’allegoria fisica).

569 Cfr. ARISTIDE,Apologia, 13, 1. 570 ATENAGORA,Supplica, 15, 1. 571 ATENAGORA,Supplica, 16, 1.

peripatetica. L’apologista, infatti, cerca di dimostrare l’identità tra il Dio dei cristiani e il Dio dei filosofi:572 quanto ai culti tradizionali, sono rigettati completamente e in maniera molto violenta, in base a elementi tanto cristiani quanto pagani, come i racconti talora ridicoli del mito, l’incongruenza di un’esistenza divina e contemporaneamente materiale, la generazione per nascita degli dèi olimpi e la loro passionalità.573

Con maggiore attenzione Atenagora si dedica invece alla confutazione della tesi che intende investigare attraverso la metodologia allegorica il mito tradizionale:574 giunto ancora una volta al confronto con la filosofia pagana, l’apologista ribatte usando le medesime armi, osservando che in questo caso gli dei, essendo per struttura (σύστασις) e per origine (γένεσις) derivati dalla materia, non possono essere considerati come dei, in quanto la materia stessa subisce l’azione del Dio.575 La materia, corruttibile (ϕθαρτή), incostante (ῥευστή) e soggetta a cambiamenti (μεταβλητή) non può infatti essere equiparata (ἰσότιμος) al dio increato (ἀγένητος), eterno (ἀίδιος) e sempre armonico (σύμϕωνος διὰ πάντος).576

L’ultima dimostrazione che Atenagora sente di dover offrire ai suoi augusti lettori riguarda la presunta efficacia dell’azione degli dei, resa evidente attraverso il ruolo dei loro idoli: se si nega l’esistenza delle divinità pagane, infatti, non è verisimile pensare che le loro statue, prive di anima e di movimento, abbiano una loro forza pur senza essere spinte da un movimento.577 Proprio questa riflessione apre la sezione dedicata alla demonologia, dominata dall’idea che tali manifestazioni di un potere

572 Cfr. Schoedel 1972, pp. XXI–XXIII.

573 ATENAGORA,Supplica, 18–21. Per un’analisi delle citazioni letterarie in Atenagora, si veda Schoedel 1972, pp. XIX–XXIII.

574 Cfr. Malherbe 1969, p. 19. 575 ATENAGORA,Supplica, 22, 2. 576 ATENAGORA,Supplica, 22, 3. 577 ATENAGORA,Supplica, 23, 1.

sovraumano esistano e si realizzino effettivamente nel mondo, senza che siano però in alcun modo coinvolte le divinità.578

b. FONTI DELLA DEMONOLOGIA DI ATENAGORA: MONDO ELLENISTICO E GIUDAICO

Anche nell’ambito della demonologia, il discorso di Atenagora si collega in apertura alla filosofia di lingua greca, a seguito di un’indagine non banale sull’efficacia degli idoli in ogni parte del mondo conosciuto.579 Prima di ricorrere alla fede, l’apologista sceglie dunque di utilizzare la voce dei filosofi, attraverso cui introduce la figura del demone che ancora non ha citato, nemmeno in relazione agli idoli. La prima autorità di cui si serve è quella di Talete:

Per primo Talete ha introdotto la distinzione tra dio, demone ed eroe, come ben sanno gli esperti di questo argomento. Da una parte, egli ritiene che il Dio sia l’intelligenza del mondo, che i demoni siano le essenze psichiche e che gli eroi siano le anime separate degli uomini, buone se gli uomini erano buoni, malvagie se gli uomini erano malvagi.580

Atenagora riprende dunque l’antica riflessione di lingua greca sui differenti ordini divini che, come si è visto, traeva la sua origine già da Esiodo e dalla tradizione pitagorica, prima ancora che da Talete.

La citazione di Talete è problematica, poiché la testimonianza di Aristotele e di Clemente Alessandrino suggeriscono che tale concetto sarebbe appartenuto solo ad Anassagora, ma è interessante un suo confronto con Aezio, in cui si ripete che proprio per Talete νοῦν τοῦ κόσμοῦ τὸν θεὸν:581 se la citazione da Aezio è stata

578 Cfr. Malherbe 1969, p. 15, secondo cui la posizione della sezione demonologica nell’opera di Atenagora è strettamente dipendente dal modello offerto dal Didaskalikos di Albino. 579 ATENAGORA,Supplica, 23, 2. 580 ATENAGORA,Supplica, 23 4: Πρῶτος Θαλῆς διαιρεῖ ὡς οἱ τὰ ἐκείνου ἀκριβοῦντες µνημονεύοσιν εἰς θεὸν εἰς δαίμονας εἰς ἥροας. Ἀλλὰ θεὸν µὲν τὸν νοῦν τοῦ κόσμου ἄγει, δαίμονας δὲ οὐσίας νοεῖ ψυχικὰς καὶ ἥρωας τὰς κεχωρισμένας ψυχὰς τῶν ἀνθρώπων, ἀγαθοὺς µὲν ἀγαθάς, κακοὺς δὲ τὰς ϕαύλους. 581 AEZIO I, 7, 11.

accettata dal Diels,582 necessariamente si deve accettare anche la tradizione tramandata da Atenagora, che è quasi del tutto sovrapponibile, e una simile citazione di Plutarco e di Diogene Laerzio.583

D’altra parte, una tradizione molto vicina a questa è nota anche a Cicerone: Thales

enim Milesius qui primus de talibus rebus quaesivit, aquam dixit esse initium rerum, deum autem eam mentem, quae ex aqua cuncta fingeret.584 La citazione che Atenagora attribuisce a Talete, dunque, gode di una discreta fortuna, nonostante la sua apparente distanza da quello che noi sappiamo di Talete.585

Si può dunque ritenere che Atenagora sia qui in errore nell’attribuire a Talete la distinzione tra dei, demoni ed eroi e che la fonte di questo errore sia dovuta a un’erronea lettura dello stesso passo citato anche da Cicerone.586 Il discorso del trattato ciceroniano, che in effetti è legato alla riflessione sulla natura della divinità, non cita però la figura del demone. Si può dunque supporre l’esistenza di una fonte comune, conosciuta ad Atenagora, Cicerone e Aezio, che testimonia una tradizione secondo cui per Talete Dio sarebbe la mente del mondo.587

Il motivo per cui Atenagora sceglie di servirsi dell’autorità di Talete al posto di quella di Esiodo è duplice: da un lato, la poesia epica ha uno statuto apparentemente inferiore rispetto alla filosofia e alla tragedia nell’opera di Atenagora. Che la poesia come arte sia considerata dannosa da Atenagora, come anche dagli altri apologisti, è evidente da intere sezioni della sua opera, in cui i poeti sono etichettati come

582 TALETE, F301D.

583 Cfr. PLUTARCO, Opinioni dei Filosofi I, 7 e DIOGENE LAERZIO I, 27. Particolarmente importante è il riferimento plutarcheo, che sarebbe una delle fonti accertate della conoscenza della filosofia platonica di Atenagora: cfr. Malherbe 1969 p. 1. Cfr. Grant 1949, p. 42.

584 CICERONE,La natura degli dei I, 10, 25. Probabilmente con riferimento a Cicerone, la medesima idea è presente anche in MINUCIO FELICE: cfr. Ottavio, 19, 4: Milesius Thales rerum initium aquam dixit, deum eam mentem, quae ex aqua cuncta formaverit.

585 Cfr. Kirk 1962, p. 96, secondo cui l’espressione attribuita a Talete è evidentemente anacronistica e probabilmente dovuta a un’interpretazione stoica.

586 Cfr. Pouderon 1992. Cfr. Grant 1958 per l’analisi di alcuni errori simili ascrivibili ad Atenagora.

587 Ubaldi 1920, p. 105 ritiene che Atenagora esprima chiaramente il suo ricorso ad un testo antologico e non al testo di Talete nell’affermare ὡς οἱ τὰ ἐκἐίνου ἀκριβοῦντες µνημονεύουσιν.

mistificatori, come dimostra per esempio il capitolo 21 della Supplica. Il testo di Esiodo, peraltro, è almeno in parte noto all’autore, che cita la Teogonia in 24, 6 e le

Opere in 34, 3, ma questo dato non implica che Atenagora fosse a conoscenza del

passo di Teogonia sull’Età dell’Oro e delle sue implicazioni demonologiche, considerata la natura antologica dell’istruzione letteraria dell’autore. Inoltre Atenagora potrebbe essere stato indotto a preferire la tradizione di Talete dalla natura stessa del testo esiodeo, in cui la scala gerarchica dio/demone/eroe non è ancora chiaramente delineata, ma accennata nel dipanarsi del mito delle ere.

Nel testo riportato, il legame tra δαίμονες e ψυχαί è evidenziato dall’interpretazione dei δαίμονες come οὐσίαι ψυχικαί, cui si sovrappone, però la figura dell’ἣρως. In Atenagora, la distinzione tra i due elementi è chiara: da una parte, i δαίμονες sono essenze puramente spirituali, che non hanno mai avuto alcun contatto con la materia; dall’altra, l’ἣρως rappresenta l’anima disincarnata che, in un momento del tempo specifico, ha avuto un prolungato contatto ‘corporeo’ con una natura umana. Si tratta, dunque, del riferimento a una concezione demonica apparentemente distinta da quella di Filone, per cui il δαίμων rappresenta un’anima che, nel momento considerato, è priva di contatto con un corpo.

Atenagora introduce questa citazione da Talete per un interesse puramente funzionale: ciò che gli serve è stabilire una differenza tra idoli e dei e il primo passo è stabilire la differenza tra demone e dio, cui poi seguirà l’attestazione, di origine veterotestamentaria, della coincidenza tra demone e idolo.

L’altra autorità filosofica su cui poggia il ragionamento di Atenagora è Platone, di cui si cita Timeo 40 d–e, in un testo che, peraltro, presenta le medesime varianti di quello proposto da Clemente Alessandrino e che, dunque, proviene dalla medesima fonte comune.588

Nel ridurre la demonologia platonica alle sole lezioni del Timeo e dell’Epinomide, Atenagora prende parte a una posizione chiaramente delineata e tendente a sminuire il ruolo dei demoni nella riflessione antica:

Platone, sospendendo il giudizio sulle altre cose, separa completamente l’unico Dio, ingenerato, e ciò che deriva dall’ingenerato nell’ordinamento del cosmo, i pianeti e le stelle fisse, e i demoni; egli stesso rifiuta con sdegno di parlare di questi demoni, riguardo ai quali ritiene corretto riferirsi a chi ne ha parlato in precedenza.589

Il riferimento all’Epinomide è chiaramente riconoscibile dall’accenno agli dei–astri, ma la precisa gerarchia cui fa qui riferimento Atenagora è di derivazione medio – platonica, poiché in nessun testo platonico e nello stesso Epinomide non si fa riferimento a una dignità maggiore degli dei–astri rispetto ai demoni generici. Peraltro, nonostante il rifiuto di Platone di affrontare ampiamente il discorso demonico nel Timeo, non si può prescindere dalle numerose e ben diversificate attestazioni dell’uso nelle altre opere, che Atenagora non cita, nonostante egli conosca anche altre opere di Platone, tra cui il Politico, in cui il riferimento ai δαίμονες è peraltro molto ampio e importante.

Atenagora dunque qui sembra utilizzare la lezione platonica in maniera limitata: infatti, dimostra di sapere che nei discorsi platonici gli dei sono indicati come demoni e che si rifiuta ciò che di loro dice il mito. Platone avrebbe scelto di non parlare di demoni per non abbassarsi alla religiosità del volgo, una forma di religione talmente irrazionale da non essere concepibile per il filosofo.590 Allo stesso modo, nell’analizzare un problematico passo dal Fedro, in cui Zeus guida un carro alato, seguito dalle schiere di dei e demoni, Atenagora elimina, volutamente o no, la difficoltà più evidente, concernente la figura di Zeus, ma dimentica, o evita, di spiegare la differenza tra dei e demoni accennata subito dopo: lo Zeus platonico, dunque, diventa per l’apologista il grande Zeus, cioè lo Zeus celeste, nome che, per amor di chiarezza, Platone avrebbe usato per distinguere il vero Dio, increato, dallo Zeus terreno.591 Anche senza una spiegazione della natura divina del seguito di Zeus, 589 ATENAGORA, Supplica, 23, 5: Πλάτων δὲ τὰ ἄλλα ἐπέχων καὶ αὐτὸς εἴς τε τὸν ἀγέννητον θεὸν καὶ τοὺς ὑπὸ τοῦ ἀγεννήτου εἰς κόσμον τοῦ οὐρανοῦ γεγονότας, τούς τε πλανήτας καὶ τοὺς ἀπλανεῖς ἀστέρας, καὶ εἰς δαίμονας τέµνει ∙ περὶ ὧν δαιμόνων αὐτὸς ἀπαξιῶν λέγειν, τοῖς περὶ αὐτῶν εἰρηκόσιν προσέχειν ἀξιοῖ. 590 ATENAGORA,Supplica, 23, 8. 591 ATENAGORA,Supplica, 23, 10.

però, è chiaro lo scopo che Atenagora vuole ottenere: i demoni occupano il ruolo inferiore nella gerarchia celeste. Solo dopo aver stabilito che anche secondo i filosofi i demoni rivestono un ruolo marginale, Atenagora può affrontare il discorso da un punto di vista cristiano.

D’altra parte, non si può confermare con certezza che Atenagora si serva di Platone in forma limitata solo per convenienza: nonostante i suoi tentativi di mostrare la sua erudizione, evidenti nelle abbondanti citazioni, appare infatti molto probabile che la sua conoscenza della letteratura precedente fosse fondata su raccolte parziali e non sulla lettura diretta dei testi.592 Questo spiegherebbe l’assenza di una riflessione sul concetto di δαίμων inteso come fato in Platone, elemento che, come si vedrà, ha una notevole rilevanza nella riflessione dell’autore e che altrimenti sarebbe difficilmente spiegabile: se la demonologia platonica, infatti, è a tal punto importante da essere presentata autonomamente e se Platone appare come una fonte affidabile per Atenagora, l’assenza di un riferimento a questa particolare valenza del termine nel momento in cui l’autore intende dimostrare la provenienza demoniaca del destino è quanto meno peculiare.

Ancora una volta, per dimostrare la falsità delle accuse nei confronti dei cristiani, Atenagora sente la necessità di dimostrare la vicinanza delle loro tesi a quelle della religiosità ellenistica: come i filosofi distinguono Dio dalla materia e prevedono una categoria di spiriti inferiori collegata alla materia, allo stesso modo secondo le dottrine cristiane esistono un oppositore del disegno divino e un gruppo di esseri che sono collegati al mondo materiale e che hanno il compito di amministrarlo.

Noi ammettiamo che esistono delle altre potenze e che risiedono attorno alla materia e al suo interno, di cui una è l’antidio, che non deve essere interpretato come qualcosa di contrario a Dio, come la Discordia rispetto all’Accordo in Empedocle, o come la notte rispetto al giorno tra i fenomeni del mondo, poiché se fosse il contrario di Dio, il suo essere sarebbe venuto meno, in quanto la potenza di Dio e la forza del conflitto lo avrebbero disfatto; [...] attorno alla materia sta lo spirito, che deriva da Dio, come gli altri angeli generati da Lui, e che hanno

il compito di amministrare ciò che riguarda la materia e le forme della materia.593

Nell’affrontare l’argomento della demonologia cristiana, Atenagora ha innanzitutto due obiettivi fondamentali: in primo luogo, mostrare che nonostante l’esistenza di un capo diabolico non è possibile introdurre una concezione dualistica nel pensiero cristiano, idea che, come si è visto, è di forte rilievo nel discorso sull’origine del male e sulla teodicea. Inoltre l’autore potrebbe indicare la vicinanza al concetto di demone della filosofia pagana in una ben precisa branca della riflessione cristiana.594 Infatti, gli angeli cui si riferisce qui Atenagora, e che ancora non sono apertamente identificati con i demoni, sono i Vigilanti del mito di Enoch, come dimostra il particolare, assente in Gen. 6, 1–4, dell’identificazione dei Giganti come progenie angelica: il racconto offerto da Atenagora a proposito di questo mito ebraico è estremamente conciso ed evidentemente poco chiaro a un pagano, per quanto dotto, che ne ignorasse il contenuto. L’autore, infatti, mette in scena i Giganti e successivamente le loro anime, senza offrire una spiegazione del passaggio, peraltro molto problematico anche per i coevi cristiani.595

La costituzione di questi angeli è stata creata da Dio in modo che mantenessero la provvidenza divina sulle cose da Lui stesso create, affinché Dio stesso mantenesse il controllo della provvidenza perfetta e universale di ogni cosa, mentre gli angeli preposti alle singole parti mantenessero il controllo di quelle. Inoltre, essendo dotati come gli uomini di libero arbitrio e distinguendo il bene dal male, poiché non si onorerebbero i 593 ATENAGORA,Supplica, 24, 2: ἑτέρας εἶναι δυνάμεις κατειλήμμεθα περὶ τὴν ὕλην ἐχούσας καὶ δι’αὐτῆς, μίαν μὲν τὴν ἀντίθεον, οὐχ ὅτι ἀντιδοξοῦν τί ἐστι τῷ θεῷ ὡς τῇ ϕιλίᾳ τὸ νεῖκος, κατὰ τὸν Ἐμπεδοκλέα καὶ τῇ ἡµέρᾳ νὺξ κατὰ τὰ ϕαινόμενα – ἐπεὶ κἂν εἰ ἀνθειστήκει τι τῷ θεῷ ἐπαύατο τοῦ εἶναι, λυθείσης αὐτοῦ τῇ τοῦ θεοῦ δυνάμει καὶ ἰσχύι τῆς συστάσεως [...] ἐναντίον ἐστὶ τὸ περὶ ὕλην ἔχον πνεῦμα γενόμενον µὲν ὑπὸ τοῦ θεοῦ καθὸ ‹καὶ› οἱ λοιποὶ ὑπ′ αὐτοῦ γεγόνασιν ἄγγελοι καὶ τὴν ἐπὶ τῇ ὕλῇ καὶ τοῖς τῆς ὕλης εἴδεσι πεπιστευμένον διοίκησιν.

594 Pagels 1985, pp. 316–17 suggerisce che anche Atenagora, come Giustino, utilizzi in senso politico il mito degli angeli caduti, per mostrare agli imperatori che il vero dominio della terra appartiene solo al Dio cristiano: per questo motivo il riferimento al dominio angelico sul mondo sarebbe più marcato di quanto si trova nelle fonti di cui Atenagora avrebbe fatto uso.

buoni e non si punirebbero i malvagi se non fossero presenti in loro i concetti di bene e di male, alcuni si occupano delle cose su cui voi confidate in loro, mentre altri non appaiono degni di fiducia, presso gli angeli come anche presso gli uomini. Infatti, alcuni, creati da Dio dotati di libero arbitrio, sono rimasti fedeli ai compiti per cui Dio li aveva creati e a cui erano stati assegnati; gli altri oltraggiarono perfino la loro stessa natura, nel suo stesso fondamento: si tratta del signore della materia e delle sue forme e degli altri, tra cui quelli attorno a questo