• Non ci sono risultati.

Il termine δαιμόνιον mantiene generalmente una funzione aggettivale all’interno della tradizione greca di età classica ed ellenistica: proprio questo rende così interessante la sua storia, in quanto l’evidenza della traduzione dei Settanta, con cui il concetto greco di δαίμων entra in contatto con l’ambiente giudaico, mostra una sua netta prevalenza sul più comune δαίμων, che vi compare infatti un’unica volta413, contro le sei occorrenze di δαιμόνιον, tanto al singolare quanto al plurale, che si possono leggere in Deuteronomio, Salmi, Isaia, Baruc e Tobia. 414

410 GIUSEPPE,Contro Apione II, 263: τίνος γὰρ ἑτέρου χάριν Σωκράτης ἀπέθανεν; οὐ γὰρ δὴ προεδίδου τὴν πόλιν τοῖς πολεμίοις οὐδὲ τῶν ἱερῶν ἐσύλησεν οὐδέν, ἀλλ᾽ ὅτι καινοὺς ὅρκους ὤμνυεν καί τι δαιμόνιον αὐτῷ σημαίνειν ἔφασκεν ἢ διαπαίζων, ὡς ἔνιοι λέγουσι, διὰ ταῦτα κατεγνώσθη κώνειον πιὼν ἀποθανεῖν.

411 In Antichità Giudaiche XIII 300 e in Guerra Giudaica I, 69.

412 Ne è un esempio il vento inviato da Dio per garantire ai Romani la conclusione vittoriosa dell’assedio di Masada ne La Guerra Giudaica, VII, 318. Si veda Smith 1987 pp. 242–43, che intende con δαιμόνιον un diminutivo di δαίμων.

413 In Is. 65, 11.

414 Si veda, per esempio, Sal. 95,5: Tutti gli dei delle genti sono vani demòni. Sal. 106, 37: E

immolarono i loro figli e le loro figlie ai demòni. Is. 65, 3: questo popolo che mi esaspera contraddicendomi in tutto, poiché essi sacrificano nei campi e presso i piccoli altari dei demòni.

Le occorrenze bibliche, oltre a proporre due significati del termine ben distinti, da una parte l’equiparazione con gli ‘dei delle nazioni’ e gli idoli, dall’altra con spiriti malvagi che si impossessano degli esseri umani, sono anche testimonianze di momenti diversi del contatto tra il mondo ebraico e la grecità, essendo esito di diversi tempi della traduzione dei libri biblici.415 Soltanto il Deuteronomio, infatti, appartiene all’antica traduzione alessandrina. La traduzione di Isaia è comunque piuttosto antica, databile circa all’inizio del II secolo a.C., e più antica ancora sarebbe la resa greca di Salmi, che potrebbe risalire anche alla fine del III sec. a.C., mentre Tobia sarebbe di composizione e traduzione di poco più tarda rispetto agli altri libri.416

Sarebbe dunque molto interessante capire perché proprio questo vocabolo sia stato impiegato nella traduzione dei Settanta, dato che, apparentemente, nella tradizione greca a noi rimasta, το δαιμόνιον non indica necessariamente un intervento malevolo, anche se generalmente si può intendere che anche il το δαιμόνιον, come il δαίμων sia qualcosa che si oppone, come Fato o come Potenza superiore, al volere dell’uomo, e visto che questa particolare forma è utilizzata quasi esclusivamente con valore collettivo. Inoltre, proprio per la dilatazione cronologica di questa impresa di traduzione, essa consente di analizzare lo sviluppo della nozione nei secoli che passano da Aristotele alla cristianità, pur essendo necessario considerare le differenti mani che hanno partecipato, con diverse modalità operative, alla resa greca del testo biblico.417

sacrificando ai demòni e non a Dio; Tob. 6, 8: diceva che era necessario bruciare il cuore e il fegato di un pesce davanti al volto dell’uomo o della donna tormentati da un demonio o da uno spirito malvagio. Per quanto riguarda, invece, il ‘demone del meriggio’ citato in Sal. 91, 6, si veda

Caillois 1999, pp. 53–64. Caillois, nell’analizzare i motivi della traduzione greca dell’originale ebraico, osserva che il termine δαιμόνιον nella versione greca della Bibbia traduce cinque diversi termini ebraici; di questi, il termine utilizzato in Deut. 32, 17 e Ps. 106, 37 è divenuto, nell’Ebraico rabbinico e moderno, il termine generico per indicare i demoni. Le sfumature che distinguono i vari termini sono tuttora di difficile riconoscimento. Cfr. Alexander 1999, p. 335.

415 Cfr. Harl 1988, spec. pp. 98–125. 416 Cfr. Harl 1988, pp. 82–125.

417 Harl 1988, pp. 83–110, evidenzia i differenti approcci dei primi traduttori della Settanta, interessati alla resa del concetto espresso dal testo originale, anche a discapito di una più rigorosa resa dei singoli termini, una modalità ben differente dai traduttori

Il termine adoperato è, in prevalenza, δαιμόνιον, non δαίμων e con ogni probabilità la scelta dell’aggettivo neutro sostantivato ha un preciso intento lessicale: ciò che si vuole indicare nella resa greca è infatti l’appartenenza generica a ciò che è pertinente all’ambito demonico, concetto che, come accennato in precedenza, è ben attestato in ambito vicino orientale, che gli Ebrei conoscono per esperienza diretta e a cui si fa riferimento nel testo biblico. Nel Deuteronomio, infatti, si parla di δαιμόνια in relazione alla totalità delle divinità pagane e degli idoli, così come accade, peraltro, a tutte le testimonianze bibliche, databili grosso modo dal terzo secolo a metà del secondo: se dunque il mondo greco in qualche modo subisce, nell’identificazione tarda del δαίμων, l’influenza del mondo assiro e babilonese, non deve stupire che gli Ebrei si siano impossessati del medesimo termine per indicare lo stesso concetto.

L’unica eccezione a questo uso è data dal più tardo tra i libri biblici citati, Tobia,418 in cui il termine appare con una valenza straordinaria, che nella letteratura greca ha un solo precedente nella citata tragedia euripidea:419 si tratta infatti dell’ingresso in scena del demonio, dell’entità che prende possesso per malvagità di un essere umano, concetto presente in Giuseppe, che riprende questa idea, la cui diffusione però è testimoniata con ben maggior forza dal Nuovo Testamento. Non è certamente facile spiegare il motivo per cui questo concetto, che si sviluppa nel mondo giudaico, sia stato interpretato con il termine δαιμόνιον, ma la storia della demonologia ebraica può spiegare quali fenomeni siano avvenuti nel periodo storico in cui tale concetto si genera.

Se i demoni biblici possono essere immaginati come spiriti dei morti che ritornano per danneggiare i vivi, non si può prescindere dalla concezione antichissima che vede nei δαίμονες le anime dei defunti, già riconosciuta da Giuseppe; anche l’immagine dei demoni apportatori di malattie potrebbe aver influito su questa

successivi, che preferiscono porre la loro attenzione sui singoli termini, anche a discapito della comprensione generale del testo.

418 Per la storia della composizione di Tobia, si rimanda a Harl 1988, che ricordano che, per la sua recenziorità, il libro non è accettato nel canone ebraico.

419 Nelle Fenicie, infatti, gli ἀλάστορες si legano ai figli di Edipo e a Edipo stesso in conseguenza delle loro azioni (vv. 1593 e 1556). Si veda cap. I.

equiparazione, perché nella tradizione greca i δαίμονες possono, tra le altre cose, inviare malattie, come i demoni della letteratura qumranica e il demone meridiano di

Salmi 91,6.420 Si viene dunque ad affiancare la tradizione dei δαίμονες greci con una rappresentazione popolare esterna alla mentalità greca, come quella babilonese o iranica,421 da cui nascerebbe anche la più tradizionale iconografia dei δαίμονες che, fino a questo momento, sono rimasti apparentemente esclusi dalla rappresentazione grafica.

Non si deve dunque dimenticare la profondissima influenza che il mondo assiro– babilonese ha esercitato sulla cultura ebraica, un mondo popolato fittamente da creature che hanno un loro definito status demonico: la figura del demone, infatti, ha una sua peculiare caratterizzazione all’interno del mondo babilonese, che distingue nettamente tra dio e demone.422 Distinzione, peraltro, presente anche al Socrate dell’Apologia platonica e al versetto di Salmi 106,5. Proprio in questa distinzione potrebbe trovarsi il collegamento tra le tre culture che riflettono sul mondo demonico.423

Si può considerare, infine, un’altra caratteristica che potrebbe aver indotto all’assimilazione: come si è visto, ai δαίμονεs sono associati i figli degli angeli caduti, cioè i Giganti, in particolare dopo la loro morte, elemento che già, di per sé, è notevole, in quanto potrebbe suggerire un parallelismo con il mito delle ere del mondo, in cui sono considerati δαίμονεs non solo i morti dell’età dell’oro, ma anche

420 Caillois 1999, p. 55, nota le somiglianze tra il demone meridiano e simili entità nel mondo orientale, suggerisce che i traduttori greci del Salmo pur forzando la lettera del testo

non sembrano aver mancato di perspicacia, essendo tuttavia forse meno influenzati dai fatti semitici che dalla tradizione popolare greca dell’epoca, in cui il mezzogiorno era l’ora di apparizione dei demoni per eccellenza.

421 Anche Alexander 1999, p. 335, propende per una derivazione babilonica o sumerica di alcuni gruppi di demoni attestati nei Rotoli del Mar Morto.

422 Sulla distinzione tra dio e demone nel mondo babilonese, si veda l’intervento di Sibbings al convegno Demons and Illness tenutosi a Exeter nell’aprile 2013, i cui atti sono in corso di pubblicazione. Sull’influenza della demonologia vicino–orientale sul mondo greco, si veda Lucarelli 2011, pp. 111–112.

423 E, come osserva Lucarelli 2011, p. 110, anche il mondo moderno si serve di questa differenziazione in modo improprio, applicandola in ambiti in cui originariamente essa non era presente, come quella egizia.

quelli dell’età dell’argento, che avevano sfidato il volere degli dèi, così come i Giganti, e i Titani loro genitori, avrebbero sfidato la volontà di Dio. Non solo: i Giganti condividono con i δαίμονεs greci una certa natura intermedia, in quanto figli degli angeli caduti e delle figlie degli uomini, in parte di origine divina, in parte umana (uno dei Giganti è Gilgamesh, nel Libro dei Giganti, la cui natura mediana è ben nota);424 questa loro appartenenza a una realtà ‘di mezzo’ sarebbe evidente anche nelle loro caratteristiche fisiche, in parte di uomo, in parte di animale. Come si è visto, però, nella tradizione biblica canonica il termine è quasi sempre collegato all’idolatria, con un ipotetico collegamento all’identificazione dei δαίμονες con le divinità minori o con gli dei del mito: i δαίμονες sono intesi come gli dèi degli altri popoli, in base a una funzione che può accordarsi con quella ricoperta dal termine nella Grecia ellenistica, rafforzata dalla nozione, di origine vicino–orientale, dell’esistenza di due livelli di divinità riconosciuti anche dagli altri popoli.

L’accostamento terminologico, dunque, sembra derivare da una serie di circostanze favorevoli, connesse con i concetti veicolati dal termine nel corso dell’età ellenistica per tramite del mondo assiro–babilonese: dèi minori del mito, ma anche spiriti dei morti, portatori di malattie, fisiche e mentali, di natura intermedia tra quella umana e quella divina. In età ellenistica, il δαίμων raccoglie in sé, in vari modi, tutte queste valenze, e ben si adatta, dunque, a essere recepito nella tradizione ebraica di età ellenistica, i cui demoni, che cercano di indurre all’idolatria il popolo di Israele e tormentano gli uomini con le malattie, sono spiriti fuoriusciti dai cadaveri dei giganti morti, figli di angeli e di donne mortali.

424 Stuckenbruck 2003, pp., sottolinea con forza, al termine di una puntuale analisi linguistica dei nomi dei Giganti attestati dai frammenti del Libro dei Giganti, l’origine mesopotamica di almeno una parte dell’opera, che si sarebbe mantenuta, in forma orale o scritta, nel Giudaismo di età ellenistica.

CAPITOLO III:

LA RIFLESSIONE DEMONOLOGICA CRISTIANA DEL II SECOLO

Affrontare le diverse strutture in cui la demonologia compare all’interno del Secondo Secolo non è semplice, poiché le tipologie testuali e le forme che il pensiero cristiano assume in questo periodo sono di fisionomia troppo varia per permettere una riduzione all’unità. Dunque nell’analizzare le forme che il concetto di demone e i termini stessi utilizzati per veicolare questo concetto assumono nel tempo si deve tenere conto che le fonti contemporanee offrono aspetti differenti della realtà cristiana in formazione: la diversità delle dottrine proposte non varia soltanto a livello diacronico, con l’evidente ellenizzazione del pensiero cristiano nella seconda metà del secolo, ad opera principalmente, ma non solo, degli apologisti, ma anche a livello diatopico, come dimostrano le differenze geografiche tra le diverse forme di pensiero.

Eppure, se la produzione della prima metà del secolo può apparire da un lato più chiusa e riduttiva, rispetto alla riflessione più accurata e argomentata del periodo successivo, essa offre una base conoscitiva che fa parte dello sfondo culturale in cui gli autori successivi si sono mossi e permette dunque di spiegare, almeno in parte, i mutamenti della tradizione, o le sopravvivenze di dottrine che nell’ambito canonico spariscono per un determinato periodo di tempo.

L’idea dominante che i Vangeli presentano dell’azione demonica sull’uomo, la possessione, perde apparentemente di importanza nelle opere degli apologisti, che si trovano in condizione di dover spiegare come una tale possessione possa avere luogo, ma permane con forza nella tradizione pseudo–evangelica degli atti apocrifi, che sono i più evidenti eredi della demonologia evangelica.

Gli apologisti, infatti, sembrano più concentrati nel difficile problema di collegare il pensiero cristiano e giudaico con la filosofia greca, anche nel momento in cui ne sottolineano l’inferiorità. Giustino, il suo ipotizzato allievo Taziano e Atenagora sono, tra gli apologisti, i più impegnati a inquadrare la demonologia nel crocevia del

pensiero orientale ed ellenistico, e specialmente gli ultimi due dedicano un’ampia parte delle rispettive trattazioni a questo argomento: la figura del demone, che è nota a entrambe le culture, in cui peraltro assume sfumature paragonabili, è utilizzata per presentare argomenti che i pagani possano comprendere, come la religione politeistica, le difficoltà che i cristiani affrontano nel rapportarsi al mondo politico dell’impero, ma anche gli scismi e le differenze di pensiero che separano i cristiani tra di loro.425

In tutti questi casi, il rapporto tra il demone e la deviazione che esso porta è connesso al centrale tema della conoscenza, che, come si è visto, è legato alla nozione stessa di demone nel mondo giudaico: il demone, dunque, produce nell’uomo una falsa sapienza ed è a sua volta caratterizzato dall’ignoranza, poiché, come osserva per esempio Ireneo, i demoni sanno chi è Dio e quale sia la sua potenza, pur senza averlo mai direttamente visto.426

Dunque, nonostante i mutamenti e i fraintendimenti che la demonologia giudaica subisce nel corso del secolo, alcuni elementi tipici della tradizione rimangono invariati o quasi: il demone degli apologisti, infatti, rimane il frutto della caduta angelica, secondo una tradizione che non è scindibile ormai dal pensiero cristiano. Infatti, testi profondamente differenti tra loro, come l’Ascensione di Isaia, il Secondo

Libro di Enoch, ma anche l’Esposizione della Predicazione Apostolica di Ireneo,

inequivocabilmente si rifanno alla tradizione enochica, nonostante le diversità, anche nette, che presentano. E proprio le differenze rivelano quali siano gli elementi più contestati, e dunque su cui la riflessione del singolo si è maggiormente concentrata, offrendo risultati peculiari e tipici di ogni autore: in primo luogo, la motivazione della caduta angelica, argomento che non è collegato alla sola riflessione cristiana

425 Per una presentazione di questi tre argomenti tra i tre apologisti citati, si veda Monaci Castagno 1995, pp. 59–82, che dedica un paragrafo a ciascuno dei temi. Quanto agli altri apologisti, nelle opere che ci sono pervenuti essi non trattano del tema del demone in modo sistematico e gli accenni presenti sono riconducibili al quadro generale presentato dai tre autori che saranno esaminati più avanti.

ortodossa, ma anche al coevo pensiero gnostico, cui Ireneo accenna spesso nel suo

Contro le Eresie.

Le risposte che il Secondo Secolo offre a questo proposito sono fondamentalmente due: gli angeli sono caduti o per orgoglio o per il loro desiderio di materialità. La questione non è di poco conto, poiché essa è connessa al problema della teodicea, che affanna gli apologisti nel loro desiderio di rispondere alla filosofia greca, ma, come si vedrà, diventerà anche motivo di opposizione ai diversi elementi gnostici.

La connessione della caduta all’orgoglio angelico è elemento che si sviluppa in maniera significativa a partire dal I secolo a.C., quando il concetto sembra apparire per la prima volta all’interno del libro di Sap. 2, 24, per poi riapparire nella Vita di

Adamo ed Eva e nel Secondo Libro di Enoch:427 come si è visto in precedenza, le parti più recenti del Primo Libro di Enoch e il Libro dei Giubilei non forniscono una spiegazione per la caduta, ad eccezione di un breve accenno, contenuto nel Libro dei Sogni, in cui si fa riferimento alla volontà delle stelle di stabilire indipendentemente da Dio la modalità del loro movimento.

La teoria ha una sua diffusione però solo in un momento successivo, ed è probabilmente legata ad un’apparente difficoltà del testo biblico, in cui, se appare chiara la superiorità dell’angelo sull’uomo, è comunque chiaramente affermato che l’uomo, e non l’angelo, è stato creato a immagine e somiglianza di Dio.

A questa questione è strettamente collegato un secondo interrogativo: la caduta angelica è stata avviata da un primo caduto, che mantiene una posizione fondamentale nel cosmo, oppure la gerarchia militare che si legge nel Vangelo ha smesso di essere valida? Nel Secondo Secolo, infatti, si assiste a una graduale semplificazione della terminologia demonologica, che sottintende una riflessione interessante: il διάβολος, come figura indipendente e di statuto ontologico a sé stante si indebolisce, per essere sostituito da un generico δαίμων, semplicemente un primus

inter pares, che condivide l’origine e la sorte dei suoi compagni di caduta. Va dunque

scomparendo, con il passare del tempo, quell’immagine di un primo caduto, necessario all’avviamento del progetto divino, che non può essere considerato

responsabile, proprio per la necessità della sua condotta: il pensiero che eredita questa dottrina, infatti, non è l’ortodossia cristiana, ma l’eresia gnostica. E d’altra parte lo gnosticismo sembra recuperare il vero senso della caduta angelica nell’ammissione del peccato per desiderio di materialità, e non per orgoglio, che caratterizza il Libro dei Vigilanti: il rischio di sminuire l’elemento materiale è forte e chi, come Taziano, condivide questa posizione è collegato proprio all’ambito gnostico.428

È interessante, a questo proposito, l’interpretazione di Ireneo, che si dedica ampiamente alla questione nel suo trattato Dimostrazione della predicazione apostolica, noto solo in traduzione armena.429 Qui, Ireneo asserisce che gli angeli sarebbero stati creati prima del primo uomo e preposti al controllo del mondo, secondo una tradizione ben diffusa nel II secolo: ogni schiera angelica, preposta a uno dei sette cieli, avrebbe avuto compiti differenti. Tra tutti gli angeli, vi sarebbe stato un personaggio dotato di particolare rilevanza, l’arcangelo, comandante e sovrintendente delle schiere celesti.430 Una volta creato l’uomo, ancora bambino, Dio lo avrebbe reso non solo padrone della terra e di ogni cosa in essa, ma l’avrebbe anche segretamente nominato come signore delle schiere angeliche.431 Un passo molto interessante, e di cui si avverte acutamente la mancanza del testo originale, informa che proprio l’assenza di giudizio di Adamo (in quanto bambino) lo avrebbe

428 Si veda, ad esempio, IRENEO,Contro le eresie I, 5, 71, in cui si espone il pensiero di Tolomeo, secondo cui chiaramente sono distinti il diabolus, i daemonia e ogni altra

substantia materialis.

429 Si è scelto di utilizzare, come edizione di riferimento e come traduzione, l’edizione SC 62, che contiene il testo tradotto in francese. Il pensiero demonologico di Ireneo è difficilmente comprensibile a partire dall’Contro le Eresie, poiché i riferimenti ivi presenti sono sempre connessi al pensiero eretico condannato dall’autore.

430 In traduzione francese, questo personaggio è denominato chiliarque–intendant,

l’archange. Cfr. IRENEO, Dimostrazione, 11.

431 Cfr. IRENEO, Dimostrazione, 12. Per la creazione di Adamo bambino, cfr. IRENEO,

Contro le eresie IV, 62 e 63, 1. Cfr. Monaci Castagno 1995, p. 204: il segreto sarebbe stato

mantenuto non solo verso gli angeli, ma anche verso l’uomo; per quanto riguarda la natura di Adamo creato, l’autrice osserva che l’immaturità di Adamo è tale non riguardo allo

sviluppo fisico e intellettuale (infatti, il Verbo si intrattiene con lui nel Giardino; inoltre, Adamo è in grado di dare il nome a tutti gli animali), ma riguardo al fine a cui l’uomo deve tendere:

reso esposto agli attacchi dell’ingannatore: pur in assenza dell’originale greco, la ripresa del termine σατανάς sembra evidente, sebbene ancora una volta si possa notare che la primitiva valenza di tentatore è stata sostituita da quella ormai molto diffusa di ingannatore. L’equivalenza tra il capo delle schiere angeliche e questo principio del male, però, non è in alcun modo esplicitata.

Il peccato angelico è in qualche modo annunciato nel timore espresso da Dio riguardo ad Adamo e alle precauzioni prese affinché l’uomo non avesse pensieri

superbi e non inorgoglisse, come se non avesse un Signore, a causa dell’autorità che gli era