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C’era una volta …

Nel documento Circuiti elettrici in evoluzione dinamica (pagine 86-89)

C) La funzione che descrive la caratteristica statica non esiste, e non può quindi essere rappresentata da alcun grafico

A.4 Qualche utile relazione

7.1.2 C’era una volta …

Bene: da un punto di vista circuitale, possiamo pensare che una presa di questo genere sia equivalente, con buona approssimazione (pari a ± 5%) a un generatore indipendente di tensione, la cui d.d.p. sia la seguente funzione sinusoidale del tempo:

e(t) = 220 2 sen(2π 50 t + α) ≅ 220 2 sen(314 t + α) . (7.14) Si vede così che:

• è più corretto considerarla come ‘presa di tensione’, che non ‘di corrente’ (non trattandosi di un generatore di corrente, bensì - semmai - di tensione);

• che la frequenza di questa tensione è 50 Hz (e cioè 50 oscillazioni complete in un secondo); il periodo è quindi di 20 ms (millisecondi), mentre la pulsazione è circa 314 radianti/secondo;

• che il valore efficace di questa d.d.p. è pari a 220 V, mentre l’ampiezza (e cioè il valore massimo) è circa 311 V.

Siamo ora giunti al punto di poter dare piena e completa risposta alla prima domanda che ci eravamo posti nella premessa, e cioè cosa debba intendersi esattamente per regime sinusoidale quando ciascuna delle grandezze fondamentali della rete, e cioè ciascuna corrente e ciascuna tensione varia nel tempo come una funzione sinusoidale la cui pulsazione sia assegnata una volta per tutte nell’intera rete. Così, in Italia (e nel resto della Comunità europea), il regime sinusoidale, per i comuni impianti domestici e industriali, ha la frequenza di 50 Hz. Ciò vuol dire -lo ripetiamo - che ogni corrente e ogni tensione, in Italia, in Francia, e così via, variano nel tempo sinusoidalmente alla frequenza di 50 Hz (negli USA, invece, il regime sinusoidale ha una frequenza di 60 Hz).

Si osservi, infine, che, nel definire il regime sinusoidale di una rete, si è fatta attenzione a specificare che le grandezze che variano sinusoidalmente sono soltanto quelle fondamentali, e cioè le correnti e le tensioni: non così per le grandezze derivate. Vedremo, infatti, che, in particolare, le potenze elettriche assorbite (ed erogate) dai diversi componenti non variano, in generale, con legge sinusoidale, bensì in modi diversi (che a suo tempo specificheremo caso per caso).

portato a fare prevalere il regime sinusoidale su quello stazionario nel funzionamento delle reti di distribuzioni dell’energia elettrica.

Inquadriamo innanzitutto l’epoca: siamo negli ultimi decenni dell’Ottocento, e dobbiamo immaginare che soltanto da pochi anni i fenomeni fondamentali dell’Elettromagnetismo sono stati scoperti, insieme con le grandi leggi della fisica che li governano, (ad opera di scienziati della levatura di Volta, Oersted, Faraday, Maxwell e altri). Le prime applicazioni di questa ‘nuova’ branca della Fisica cominciano a diffondersi: basta pensare al telegrafo, ai primi generatori elettromeccanici (le cosiddette ‘dinamo’ di Pacinotti e di Siemens), ai primi motori elettrici, alle prime lampade per l’illuminazione, e così via.

C’è da dire che questi primi dispositivi funzionano in ‘corrente continua’ (e cioè in regime stazionario), e che soltanto ora cominciano a fare la loro comparsa i primi generatori elettromeccanici tempo varianti che presentano ai loro morsetti una d.d.p. variabile sinusoidalmente nel tempo (sono i cosiddetti alternatori), e che -specie all’inizio - non sembrano offrire opportunità migliori rispetto a quelle offerte dalle ‘dinamo’, né dal punto di vista tecnico, né economico.

Poi, all’improvviso - siamo intorno agli anni ’80 dell’Ottocento - compare un dispositivo nuovo, il cosiddetto Generatore secondario, a opera di due ‘praticoni’

(uno, francese, di nome Gaulard, e l’altro, inglese, Gibbs), che permette di fare, operando in ‘corrente alternata’ (e cioè in regime sinusoidale), una cosa molto importante che in ‘continua’ non può essere fatta in alcun modo. Si tratta, in ultima analisi, di riuscire a cambiare a piacimento (almeno entro certi limiti) il valore della tensione prodotta ai morsetti di un generatore, sia innalzandola che abbassandola. Di qui, il nome di generatore secondario, poiché il dispositivo opera, dal punto di vista logico, come se fosse un secondo generatore funzionante

‘in cascata’ a un generatore ‘primario’.

Il dispositivo offre certamente opportunità - specie in termini di flessibilità di funzionamento che sono di grande interesse tecnicoeconomico, anche se -occorre riconoscerlo apertamente - neppure gli stessi inventori ne avevano capito fino in fondo il funzionamento. Al punto che, specie all’inizio, si ‘sospettava’ che il generatore secondario fosse in grado di erogare una potenza elettrica addirittura maggiore della potenza elettrica assorbita! A chiarire questo aspetto fondamentale della questione, rimettendo le cose al loro giusto posto, nel contesto del teorema generale di conservazione delle potenze elettriche, ci pensò il nostro grande Galileo Ferraris, professore di Elettrotecnica a Torino, che, in un lavoro scientifico esemplare sia sotto il profilo della ‘pulizia’ logica che sotto quello della abilità e precisione sperimentale, spiegò in maniera del tutto soddisfacente il funzionamento del nuovo dispositivo, e ne indicò anche in maniera limpida e originale i criteri-guida per progettarlo e costruirlo ‘a regola d’arte’.

Le enormi possibilità offerte dal nuovo dispositivo (che ormai è indicato come trasformatore, e non più generatore secondario) si delineano rapidamente: specie nei confronti della possibilità di riuscire a innalzare la tensione delle linee di distribuzione dell’energia elettrica, in modo da poterne ridurre i costi di realizzazione.

Nasce, così, di qua e di là dell’Atlantico, una grande disputa fra le aziende che, all’epoca, dominavano l’allora nascente mercato elettrico, come la Westhinghouse, la General Electric, la Siemens e poche altre, circa l’opportunità di prevedere per il futuro lo sviluppo dell’energia elettrica nel quadro di una generale distribuzione della stessa in regime stazionario, oppure in regime sinusoidale. A favore dell’alternata, oltre alla possibilità di impiego del trasformatore, ci sono anche altre opportunità alle quali faremo cenno fra un attimo. Per contro, a vantaggio della ‘continua’ non va sottovalutata la facilità di risoluzione delle reti in regime stazionario che, in ultima analisi, si traduce in semplicità di progettazione e quindi anche di realizzazione. Non dimentichiamo, infatti, che la risoluzione di una rete in condizioni variabili nel tempo richiede quegli strumenti matematici, le equazioni differenziali di cui si è parlato al temine del Capitolo 6, e che, all’epoca di cui stiamo parlando, non potevano essere considerate patrimonio comune dei tecnici che progettavano e realizzavano apparati elettrici.

La disputa ebbe toni accesi, e durò più di un decennio, con alti e bassi da una parte e dall’altra.

Come sempre accade in casi simili, alla fine la scelta non fu presa in un solo, ben preciso momento, né per una sola e precisa ragione: avvenne, invece, gradualmente, e per l’effetto concomitante di molte cause.

Molto influirono certamente due fatti, che videro la luce grosso modo contemporaneamente:

a) l’intuizione avuta dal giovanissimo ingegnere tedesco Brown circa la possibilità di distribuire l’energia elettrica per mezzo di linee trifase e non soltanto monofase (di qui a poco, chiariremo bene il senso di questa intuizione);

b) l’invenzione da parte ancora del nostro Galileo Ferraris e di un ‘geniaccio’

euro-americano, Nikola Tesla, del cosiddetto motore asincrono, che letteralmente rivoluzionò le opportunità di applicazione dell’energia elettrica in campo meccanico.

La conclusione fu, per farla breve, che già ai primi del Novecento, il regime sinusoidale l’aveva avuta vinta, sia al di qua che al di là dell’Atlantico, e che, sia pure a malincuore, occorreva adattarsi ai problemi che nascevano dalla difficoltà

di risoluzione delle reti in queste condizioni di funzionamento variabile nel tempo.

Ma questa è … un’altra storia, di cui parleremo nei paragrafi che seguono.

Nel documento Circuiti elettrici in evoluzione dinamica (pagine 86-89)