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4. L’ULTIMO CALIGOLA

4.2 La drammaturgia scenica

4.2.5 Caligola: sogno numero uno

Forse svegliato dall’urlo dell’assistente, o più probabilmente continuando a dormire e sognare, Caligola si slega dal lettino, si alza e guadagnando uno spazio sagomato nel buio che gli si chiude attorno, recita il suo primo monologo.

CALIGOLA. Drusilla, dove sei? Drusilla, lo so che ci sei fra tutto questo mare di occhi, tu sei l’unica che può guardarmi senza arrossire, la sola fra questi fantasmi, morti con gli occhi aperti, che non mi da la colpa di averti uccisa. Tu sei buona, Drusilla. Buona come io non sono stato mai. Come la cosa che mi ha fatto innamorare di te. Come puoi essere così crudele adesso? Forse è così che si diventa quando si muore. Per questo i fantasmi fanno tanta paura. Forse sono già morto. Forse è per questo che sono così. C’è un mare, davanti a me. Un mare di occhi spalancati e fissi. Mi guardano con lo sguardo dei morti. E io potrei morire, affogare in quel mare…. Ma ti vorrei. Lo stesso. Non un minuto, non un’ora o un giorno, sarebbe come ritrovare una moneta che avevi dimenticato. Ma non c’è niente di guadagnato. Niente che io possa comprare per provare pietà del mondo, per me… Potrei farne ciò che voglio, schiacciare il mondo sotto la sofferenza di quella moneta, trasformarla in un anello da poterla portare al dito, tagliarla in due come falci di luna e bucarmi i lobi delle orecchie, oppure appenderla al collo e farmi trascinare giù, affogare in quel mare che mi giudica senza appello, senza una spiaggia dove andare a perdermi a cercare conchiglie e pesarle sulla bilancia per quanti

peccati, quanta morte, grande come il mare, per sapere quante conchiglie devo mettere sul piatto per misurare il peso della mia anima.

È un monologo misterioso, oscuro come sono certi sogni, denso di figure retoriche e domande dirette in cui Caligola cerca Drusilla fra gli occhi degli spettatori che lo fissano «come un mare» di «fantasmi, morti con gli occhi aperti.» Anche Caligola sembra dare la colpa a qualcuno che non può difendersi: incolpa Drusilla per essere morta ma non c’è rabbia nelle sue parole, solo abbandono a una tristezza inconsolabile che gli fa credere di essere «già morto» o, almeno, glielo fa desiderare.

Ad avvalorare la dimensione onirica di questa scena contribuisce il passaggio del Professore che compare sullo sfondo ad appendere alla parete le foto di parti anatomiche di Caligola. Sono le foto scattate subito dopo la nascita che adesso riempiono il muro senza che l’assenza del soggetto dal lettino venga minimamente notata dallo scienziato.

Al termine del sogno Caligola torna al suo posto legandosi al lettino in un passaggio drammaturgico di luci che dall’intimità calda del sogno torna lentamente all’illuminazione diffusa e fredda del laboratorio scientifico.

4.2.6. «Mostro…»

L’ambiente ritorna a popolarsi, l’Assistente gira la barella verso il pubblico, il Professore entra ascoltando da un registratore portatile la sua voce che ripete gli «appunti per il capitolo 3» del suo libro.

È a questo punto che Caligola si sveglia. La sua prima parola è «Mostro». La motivazione per cui pronuncia proprio questa parola invece di un’altra è abbastanza evidente e passa attraverso due livelli di senso. Il primo livello è quello simbolico: «Mostro» è l’incipit del monologo pronunciato da Caligola nel testo di Camus. Il secondo livello è drammatico e si riferisce allo sviluppo narrativo interno alla storia: «Mostro» è l’incipit del monologo letto dal Professore durante la raccolta dei campioni di sangue e sperma e che Caligola ha udito nel dormiveglia e che ora ripete.

La ripetizione di Caligola si riflette perciò nelle altre ripetizioni presenti nel testo, e in particolar modo in questa scena iniziata proprio con l’ascolto da parte del Professore dei suoi appunti registrati. Il Professore, quindi ripete per ricordare. L’Assistente, come si è visto, ripete perché non ha argomenti personali. Caligola infine ripete a pappagallo: egli si è appena svegliato da un sonno lungo 2000 anni in un futuro sconosciuto, popolato da estranei che parlano una lingua incomprensibile. Nella scena seguente, infatti, il Professore comunicherà con lui in latino. Ci sia consentito sottolineare come tutti e tre i personaggi ripetano quasi esclusivamente frasi pronunciate dal Professore, colui che detiene un potere esercitato attraverso le parole.

Se quindi da una parte il nostro Caligola sembra aver interiorizzato la lezione letteraria almeno a un livello subliminale, dall’altra appare evidente come egli ignori il significato della parola e la ripeta quasi come una formula magica che gli permette di instaurare una comunicazione con il mondo che lo circonda.

Caligola dice «Mostro» e la comunicazione si allaccia. A questo punto occorre notare come si inserisca un nuovo livello fra quello simbolico e quello drammatico, si tratta del livello del senso. Il Professore è sorpreso unicamente dal fatto che il soggetto sia sveglio e abbia parlato. Si sarebbe eccitato ugualmente sentendogli pronunciare qualunque altra parola ma Caligola ha detto proprio «Mostro», il cui significato può benissimo essere ignorato dall’imperatore e sottovalutato dal Professore, ma non può evitare di trasmettere il suo senso a chi ascolta, come il pubblico e l’Assistente. Per gli spettatori e per il subordinato questa parola diventa quasi un doppio senso: è un insulto o almeno lo diventerà col tempo.

Il soggetto parlante viene portato fuori per essere preparato per «il primo contatto verbale» con il Professore. La preparazione consiste fondamentalmente nel farlo scendere dal lettino e condurlo a sedersi sulla sedia di ferro posta ora al centro del laboratorio.

Nel dialogo che segue il Professore dimostra di sapere perfettamente che il ragazzo che gli sta davanti non capisce la lingua, così pretende di essere tradotto dall’Assistente:

PROFESSORE (a Caligola). Come sta Imperatore? (All’Assistente) Traduca.

CALIGOLA. Mostro.

PROFESSORE. Bene. Riprovi. Come sta? ASSISTENTE. “Ut valètis, Princheps”?

CALIGOLA. Mi volevi?

PROFESSORE (dopo una piccola pausa). Ancora, diglielo. ASSISTENTE. “Ut valètis, Princh…”?

CALIGOLA (lo interrompe). Mi volevi? PROFESSORE (timidamente). Sì.

CALIGOLA. Volevi dirmi qualcosa?

ASSISTENTE. Ma sei sicuro che la mia presenza sia necessaria? PROFESSORE. Shhh! Non credo che capisca. Sta ripetendo quello che

dicevamo prima.

CALIGOLA (con un'altra intonazione). Ma sei sicuro che la mia presenza sia necessaria?

PROFESSORE. Interessante molto interessante. Stiamo al suo gioco. (Esce e rientra con il libro di Camus) Tu sei Caligola…

Il dialogo è naturalmente un’assurdità a partire dai convenevoli, ripetuti ossessivamente in italiano e poi in latino e a cui Caligola ostinatamente non risponde. Forse non capisce neppure il latino dell’Assistente, oppure non ne ha voglia, quel che è certo è il fatto che il soggetto continua ostinatamente a ripetere prima «Mostro» e poi frasi sempre più lunghe tratte da quell’Atto terzo, scena quinta, fatto recitare in precedenza all’Assistente. È interessante come fin qui le battute ripetute siano solo quelle pronunciate da Caligola nel testo di Camus. L’Assistente è il primo ad accorgersi di questo gioco e risponde alle provocazioni di Caligola, completando la battuta lanciata dall’imperatore con quella pronunciata da Cherea: «ma sei sicuro che la mia presenza sia necessaria?» L’intuizione adesso appare chiara anche al Professore il quale se ne appropria, zittendo il povero Assistente. Lo scienziato decide di stare «al suo gioco» ed esce per andare a prendere il libro.

Rimasto solo con l’Assistente, Caligola comincia a urlargli in crescendo «Mostro. Mostro!» Ecco che il suono è ormai diventato per lui, almeno nel tono, un vero insulto. L’Assistente lo capisce, tappa la bocca all’imperatore baciandolo contemporaneamente sulla fronte. Una reazione schizofrenica che vuole trattenerne altre più violente mostrando l’ambivalenza del personaggio sempre indeciso fra amore e odio.

Il Professore rientra velocissimo e propone: «tu sei Caligola». L’imperatore risponde prontamente: «Tu sei Caligola, tu sei Cherea». Questa volta Camus non centra: è l’ordine registico del Professore imposto all’Assistente costretto a recitare entrambi i personaggi dell’Atto terzo, scena quinta.

Ora, anche qui Caligola ripete senza conoscere il senso di ciò che dice, ma le implicazioni a livello simbolico sono fondamentali. Sembra che Caligola non sappia precisamente dire chi sia. Sicuramente questo è ciò che pensa il Professore che intima all’Assistente di portargli uno specchio.

Entra così in scena un elemento che ha molto peso nel Caligola di Camus, e che in questo testo diventa una delle chiavi del senso della storia. Da qui infatti non sarà solo il Professore, come in questa scena, a domandarsi chi sia effettivamente il soggetto che ha davanti, ma l’intero spettacolo da adesso oscilla nel dubbio che quello che ci viene mostrato sia effettivamente qualcun altro. È quella stessa perplessità che abbiamo trovato nella riscrittura de L’esperimento”K” che faceva dire all’Assistente «poteva essere chiunque». Qui il gioco viene portato alle estreme conseguenze.

Ciò è possibile in quanto viene sfruttata l’indeterminatezza del personaggio che finora è stato addormentato. Nei pochi momenti di veglia è stato soltanto dispettoso, mai arrogante, né folle, e nella parentesi onirica dimostra un’innocenza, una tenerezza indifesa che legittima tutti i nostri dubbi.

Le domande ossessive del Professore «Chi sei? Tu, chi sei??» si risolvono con lo sparo di un raggio paralizzante che immobilizza il soggetto mentre sta per avventarsi contro il Professore il quale adesso dubita, come dirà nella telefonata che segue, dopo aver sfogato la sua frustrazione sul povero Assistente.

PROFESSORE. Non è lui. Non è lui… è un finto imperatore del cazzo… (All’Assistente) E tu sei una merda! Non servi a niente!

Picchia l’Assistente salvato dal suono del telefono.

Ad avvalorare l’ipotesi dello scambio di persona contribuisce il testo della telefonata in cui ci vengono svelati i risultati delle analisi sui campioni raccolti: «Non c’è niente. Niente! Neanche la più piccola traccia di ciò che stiamo cercando». Dunque, chi è Caligola?

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