• Non ci sono risultati.

Lo spettacolo infinito. Il Caligola di Albert Camus nella produzione della Compagnia degli Scarti

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Lo spettacolo infinito. Il Caligola di Albert Camus nella produzione della Compagnia degli Scarti"

Copied!
195
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTA’ E FORME DEL SAPERE

ANNO ACCADEMICO 2015/2016

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE

IN STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE,

DELLO SPETTACOLO E DEI NUOVI MEDIA

CLASSE LM-65

TITOLO TESI

Lo spettacolo infinito. Il Caligola di Albert

Camus nella produzione della Compagnia degli

Scarti

IL RELATORE IL CANDIDATO

Prof. Carlo Titomanlio

Davide Faggiani

(2)

Alla mia famiglia. Agli Scarti e a chi non lo è più.

(3)

INDICE

0. INTRODUZIONE...6

1. LE ORIGINI DEL MALE……….11

1.1 Padre Ubu……….12

1.2 Albert Camus e Caligola……….14

1.3 Caligola 1941………18 1.3.1 Note di apertura……….21 1.3.2 Atto Primo……….22 1.3.3 Atto Secondo……….32 1.3.4 Atto Terzo………..48 1.3.5 Atto Quarto………56 2. IL MOSTRO ADOLESCENTE………63 2.1 Il progetto parallelo……….63 2.2 Il primo tentativo……….65

2.2.1 Il primo pezzo: Caligola indifferente……….67

2.2.2 Il secondo pezzo: Cesonia………..68

2.2.3 Un altro primo pezzo: la fuga del Mostro………..69

2.2.4 Il terzo pezzo: Caligola e Cesonia……….71

2.3 Il secondo tentativo………74

2.3.1 Lo spazio scenico………...75

2.3.2 Il testo……….76

2.4 Uno spettacolo interrotto………83

3. GLI ESPERIMENTI “K”……….87

3.1 L’inizio dei lavori……….88

3.1.1 Gianni: da Pergolesi a Caligola………..90

3.1.2 I classici: Svetonio………..91

3.1.3 Svetonio o Camus?...97

3.2 Il primo Esperimento “K”………98

3.2.1 Il bello della diretta……….98

3.2.2 L’attesa del superospite………101

3.2.3 Il dolore……….105

(4)

3.3 Il secondo Esperimento “K”………...108 3.3.1 Il Caligola di Auguet………109 3.3.2 Il laboratorio scientifico………113 3.3.3 Il bunker………115 3.3.4 «Preparate l’amnio!»………117 3.3.5 Il briefing………..120

3.3.6 L’esperimento: primo giorno………122

3.3.7 L’esperimento: secondo giorno………124

3.3.8 L’esperimento: terzo giorno……….125

3.3.9 L’esperimento: dopo qualche giorno………126

3.3.10 L’esperimento: dopo diversi giorni………..127

3.3.11 L’esperimento: dopo l’isolamento………127

3.3.12 Il finale………..130 3.4 Un esperimento riuscito?...131 3.5 Il terzo Esperimento “K”………134 3.5.1 La pista di decollo………135 3.5.2 «Buonasera»……….137 3.5.3 Il gabinetto scientifico………..139

3.5.4 «Questo sono io…»………..140

3.5.5 «Sulle spiagge di mondi senza fine i bambini giocano»………143

3.5.6 L’oggetto transizionale……….145

3.5.7 La prima notte con il “mostro”……….146

3.5.8 La fase psicologica………...147

3.5.9 Precipitare alla fine………...150

4. L’ULTIMO CALIGOLA………153

4.1 Cinque anni dopo………...153

4.1.1 I tempi………..155

4.1.2 Gli obiettivi………..156

4.1.3 Caligola, di Albert Camus. Edizioni Bompiani, Lire 7000……….157

4.1.4 Il laboratorio nuovo………..159

(5)

4.2.1 Il tempo delle mele: il Professore e il suo

Assistente……….160

4.2.2 Il soggetto………163

4.2.3 La recita………...164

4.2.4 L’umiliazione………...166

4.2.5 Caligola: sogno numero uno………167

4.2.6 «Mostro…»………..168

4.2.7 Il vero mostro………...171

4.2.8 Gli incubi……….172

4.2.9 Caligola: sogno numero due………173

4.2.10 La congiura………..174

4.3 Il libro che uccide………...175

5. UNA CONCLUSIONE NON DEFINITIVA……….183

5.1 Comincia lo spettacolo………...183

5.2 «Drusilla, dove sei?»………...185

5.3 Gli attori sono scienziati ignoranti………187

5.4 Alla storia!...190

6. BIBLIOGRAFIA……….193

6.1 Saggi e testi critici………..193

(6)
(7)

0. INTRODUZIONE

Gli attori dello spettacolo L’esperimento K della Compagnia degli Scarti, durante le prove del 2014, ripetevano spesso che «le prove non finiscono la sera della prima». Nel senso che quando si produce uno spettacolo non basta avere un testo, delle scene, un piano luci, degli attori preparati che recitino davanti a un pubblico, per dire “lo spettacolo è pronto”. L’andare in scena, specialmente il debutto, è sempre un’incognita. C’è un pubblico, magari dei critici in sala e non si sa se lo spettacolo piacerà. Ogni incidente è pronto a verificarsi, ogni difetto che si tenta di nascondere sarà svelato. Ecco perché ogni spettacolo è una prova, non tanto per l’attore (non solo), quanto per lo spettacolo in sé. Gli spettacoli vengono spesso aggiustati, modificati, hanno bisogno di un rodaggio come si fa per i motori per capire quando “funzionano”. Occorre completarli. Spesso, è vero, per sopperire allo scarso tempo di prove, ma soprattutto perché occorre vedere che effetto farà al pubblico e, sulla base delle indicazioni, apportare modifiche.

A volte non basta neppure questo. In certi casi occorre che le persone che “fanno lo spettacolo”, gli attori, gli autori, i registi, si convincano che non c’è nient’altro da migliorare, che il motore è collaudato e funziona, il lavoro è finito. Ma anche questo non è sempre sufficiente.

In certi casi si può dire che questo lavoro non finisca mai.

Ma quando uno spettacolo diventa un processo potenzialmente infinito?

A questo proposito la tesi non si occuperà di un singolo spettacolo ma di cinque messe in scena nate dal tentativo della Associazione Scarti della Spezia, di dare corpo a un progetto su Caligola. Un lavoro che ha impegnato la Compagnia dal 2011 e che ad oggi, nel 2016, solo apparentemente si può dire concluso.

Le ragioni della scelta di questo progetto per parlare dello spettacolo infinito sono fondamentalmente tre. In primo luogo la motivazione più banale è senz’altro il progetto stesso con tutto il suo carico di esperienze e delusioni che ho personalmente condiviso con gli altri membri della Compagnia. Aver fatto parte del progetto e aver collaborato, seppur con mansioni e coinvolgimenti diversi, a

(8)

tutti e cinque i tentativi di messa in scena del Caligola degli Scarti rende quasi obbligata la scelta di questo progetto. Senza contare il fatto non trascurabile del ricordo di tutte quelle decisioni e scelte che hanno determinato le alterne fortune degli spettacoli e che sono ancora abbastanza vivide nella mia memoria. La scelta del riferimento concreto a questo progetto mi poneva così nel singolare vantaggio di raccontare prima di tutto un’esperienza “dall’interno”. Allo stesso tempo un simile coinvolgimento avrebbe rappresentato il rischio di cadere facilmente nell’aneddoto e nella parzialità di una cronaca riportata da un solo punto di vista. È per questo che si è scelto di non abusare dei ricordi ricercando, dove possibile, testimonianze da tutte le fonti possibili. A questo punto occorre dire che questo lavoro è incentrato principalmente sulla drammaturgia, pertanto i riferimenti che costituiscono la nostra esposizione sono stati trovati nei copioni degli spettacoli e nelle note di regia, nonché nelle fonti utilizzate per la stesura dei testi, fino alle testimonianze dei singoli membri del cast.

La considerazione della collettività su cui si basa qualsiasi progetto teatrale che anche fosse concentrato sulle sole forze di un singolo attore-mattatore, dovrebbe in ogni caso confrontarsi con la presenza di un pubblico, ci porta alla seconda ragione della scelta dell’argomento. Una ragione anche in questo caso “sentimentale”. Molti degli spettacoli qui descritti non sono mai andati in scena. Non sono diventati pienamente spettacoli proprio perché non sono mai stati visti da nessun’altro all’infuori delle maestranze che li hanno costruiti e poi abbandonati. Molte volte io, Enrico Casale e tanti altri impegnati come noi nel progetto abbiamo detto: «se soltanto ci fosse stato un pubblico», «se qualcuno avesse visto le prove di oggi…» Così come credo sia giusto considerare che uno spettacolo non si concluda con il suo debutto, allo stesso modo sono convinto che non debba essere considerato solo ciò che si vede sulla scena. È anche per restituire quella dignità alle prove e a tutto il lavoro che sta alle spalle della produzione (la documentazione, la scrittura del testo, il disegno delle scene, la stesura del piano luci, ecc.) che si è qui voluto trattare questi spettacoli che, come detto, sono i gran parte perduti, abbandonati e dunque impossibili da conoscere altrimenti.

L’ultima ragione della scelta sta nell’eccesso dell’esempio. Cinque tentativi distribuiti in altrettanti anni di lavoro per un unico progetto sono obiettivamente molti per qualsiasi produzione. Dovendo parlare di spettacolo infinito, ho creduto

(9)

che focalizzarsi su questa sorta di tela di Penelope teatrale, fosse più che mai corretto.

Resta ormai solo da domandarsi il perché di una gestazione così lunga. Il motivo che si vedrà in dettaglio nello svolgimento di questa tesi, sta nel fatto che nel corso del tempo gli obiettivi, i temi, il perché stesso della storia che si voleva raccontare sono cambiati. Stesso progetto, diverso approccio.

Approcci governati di volta in volta da temi diversi, che vanno dalle prime riflessioni sul potere dispotico, anarchico e naturalmente antipatico del primo Caligola adolescente, alle questioni etiche imbevute di psicologia delirante nell’educazione di Caligola della seconda produzione, fino al contesto scientifico e misterioso del L’ultimo Caligola. Ciò significa che ai diversi approcci corrisponde necessariamente una modifica degli elementi del dramma, primo fra tutti il protagonista che è insieme titolo e ragione stessa dello spettacolo: Caligola. Ma innanzitutto di quale Caligola stiamo parlando? Caligola è un personaggio ambiguo.

C’è infatti un Caligola letterario ma anche Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico detto Caligola il terzo imperatore di Roma. Occorrerà parlare di entrambi. Non solo perché il Caligola storico è parzialmente contenuto in ogni

Caligola letterario, ma soprattutto perché gli Scarti nelle varie fasi della loro

produzione hanno guardato ora all’uno e ora all’altro.

Certamente, trattandosi di un progetto teatrale il punto di vista privilegiato è ancorato a quello letterario: il testo di Albert Camus, punto di partenza e parte integrante di tutte le produzioni degli Scarti su Caligola. Pertanto sarà obbligatorio aprire questa discussione proprio con questo testo, che sarà analizzato nella prima parte.

Nella seconda, terza e quarta parte si analizzeranno invece cronologicamente i cinque progetti sviluppatisi nell’arco di cinque anni e che hanno dato vita a cinque personaggi diversi. Ogni progetto sarà anticipato dall’esposizione delle diverse fonti di riferimento che ne hanno ispirato la drammaturgia e dalla descrizione scenografica dell’ambiente in cui ogni versione è stata di volta in volta ambientata.

La quinta e ultima parte mira a tirare qualche breve conclusione alla luce delle tematiche esposte nel corpo della tesi, evidenziando i punti di unione fra le versioni, i caratteri che sono stati mantenuti o abbandonati, le modifiche al testo

(10)

de L’ultimo Caligola apportate nei tempi più recenti. Non sarà pertanto fornita una risposta alla domanda di partenza, ossia: «quando uno spettacolo può considerarsi infinto?» ma sarà giusto chiedersi a questo punto: «quando uno spettacolo può dirsi concluso?»

(11)
(12)

1. LE ORIGINI DEL MALE

Esistono cinque diverse versioni del Caligola degli Scarti. La prima scrittura è del 2011, l’ultima del 2015, con ulteriori adattamenti all’inizio del 2016.

Per cominciare a orientarci all’interno di un percorso che si snoda, fra abbandoni e riprese, per più di cinque anni, occorre sgombrare il campo dalle differenze fra i singoli spettacoli (che verranno affrontati, uno alla volta, nei capitoli successivi) per concentrarci invece su quei punti fermi che rappresentano delle costanti comuni a tutta la produzione del Caligola.

Le costanti che costituiscono il punto di partenza del lavoro degli Scarti sono due: la prima è la presenza di Enrico Casale, il regista della compagnia, che seguirà tutte le versioni come ideatore del progetto e depositario dell’urgenza di uno spettacolo su Caligola, nonché dei turbamenti e delle difficoltà da esso stesso generate.

La seconda caratteristica comune è quella che sta alla base del lavoro e che ne costituisce la fonte primaria, cioè il testo letterario di riferimento: il Caligola di Albert Camus.

A questo proposito Enrico Casale racconta:

Il discorso su Caligola comincia all’epoca della trilogia sul potere. Il primo spettacolo era stato l’Ubu (Ubu Rex, 2011 da A. Jarry, n.d.r.), poi La Serva (La serva padrona, 2011 da Pergolesi, n.d.r.). Caligola era lo spettacolo che doveva concludere questa serie di spettacoli. Però l’idea di fare uno spettacolo da Camus era partita prima del 2011. Si colloca più o meno fra il Big Biggi (Big Biggi One Man Show, 2010, n.d.r.) e La Serva… In quel periodo di Camus io non conoscevo quasi niente. Sì, avevo letto Lo Straniero in classe al liceo ma del teatro di Camus non sapevo nulla. Era stata Marie Eve a farcelo conoscere, durante un laboratorio nel 2010.1

(13)

1.1. Padre Ubu

Marie Eve Gardère, psicologa, presidentessa della LICRA Italia (Lega Internazionale Contro il Razzismo e l’Antisemitismo), da molti anni conduce seminari di psicodramma. Il laboratorio a cui si riferisce Casale ebbe luogo alla Spezia nel 2010, all’interno di un ciclo di stage che avevano per argomento il potere. Questi laboratori erano organizzati dalla Associazione Scarti con il patrocinio di LICRA Italia per preparare Ubu Rex dall’Ubu roi di Alfred Jarry, uno dei primi spettacoli della Compagnia2. Il laboratorio di Marie Eve Gardère si

chiamava “Psicanalisi del potere” e si tenne dal 24 al 26 aprile 2010 presso il Centro Culturale Giovanile “Dialma Ruggiero”, lo stesso centro che diventerà successivamente la sede della residenza artistica della Associazione e che vedrà molte prove degli spettacoli di cui parliamo.

Racconta la stessa Marie Eve in un articolo apparso sul sito «journal-psychoanalysis»:

La Compagnia stava lavorando con Enrico Casale alla messa in scena di Ubu Re di Alfred Jarry. I giovani attori, non professionisti, hanno deciso di prepararsi affrontando, per prima cosa, la conoscenza di sé e delle proprie reazioni nell’ambito dei comportamenti sociali. (…) Per tenere il seminario ho scelto lo psicodramma. (…) Lo psicodramma crea le condizioni per una raffigurazione esterna dei conflitti, rivelandone la vera natura. (…) Ingannarsi sulle intenzioni dell’altro è, con il grottesco, il tema centrale di Ubu Roi.3

La citazione dell’Ubu Roi di Jarry non è solo un mero riferimento al contesto nel quale il discorso su Caligola si è sviluppato nella Compagnia degli Scarti, è se mai la testimonianza di come il ragionamento sul potere dovesse passare necessariamente attraverso le sue varie declinazioni. Perché esistono molte forme, molti ambienti nei quali esso assume forme diverse da indagare a partire da «l’analisi del potere politico e statale dell’Ubu Rex (2011), del potere domestico, intimo e interpersonale de La Serva Padrona (2012), concludendo con L’ultimo

Caligola (2015) sul tema della mostruosità del potere, incarnata dal testo di Albert

Camus.4»

2 Per ulteriori informazioni sul ciclo di laboratori del 2010 si veda:

https://scarti.wordpress.com/category/laboratori/.

3 M. E. Gardère, Un’analisi del potere, collaborazione al testo Giuseppina Valenti, Roma 2016,

www.journal-psychoanalysis.eu/unanalisi-del-potere/.

(14)

Questi sono gli spettacoli che formano la Trilogia del Potere degli Scarti. Spettacoli di indagine del potere nei rapporti fra esseri umani ma in cui, va detto, il potere è sempre presentato da un punto di vista anarchico mostrando il suo eccesso, crudele, maligno. Un punto di vista che se non rifiuta il potere in assoluto, sicuramente lo critica, ridicolizzandolo nella figura di Padre Ubu o ne mostra gli aspetti sclerotici della Serva padrona. E Caligola? Caligola è un imperatore romano. È già per definizione l’immagine di un potere che non si accontenta di regnare ma fa addirittura «portare dalla Grecia i simulacri degli dei», come afferma Svetonio, «e fece sostituire la testa di queste statue con la riproduzione della propria5

In un certo modo uno spettacolo degli Scarti su Caligola all’interno della Trilogia del Potere, va obbligatoriamente a connettersi con Ubu di cui è il superamento, l’estremizzazione del male come a voler dire: Ubu era solo un’invenzione letteraria, Caligola c’è stato davvero!

Ora, una considerazione è d’obbligo: non è questa la sede corretta per discutere su quanto di ciò che ci è stato tramandato su Caligola da Svetonio, Tacito e Cassio Dione sia vero e cosa sia invece frutto di congetture storiche o politiche, qui si intende parlare di uno spettacolo e la sola cosa reale e storica è costituita dal lavoro e dal testo che lo compongono. Naturalmente non si può non considerare la figura tramandataci dagli storici latini, così come dovremo citare gli studi fatti dalla storiografia moderna su Caligola, dal momento che libri di storici antichi (Svetonio) e recenti (come Roland Auguet), sono fra le fonti di alcune riscritture del nostro Caligola. Tuttavia è bene ribadire che qui si parla di uno spettacolo teatrale che ha per titolo Caligola. Che Caligola è per gli Scarti personaggio teatrale e la sua fonte primaria, certe volte di più altre di meno, è pur sempre letteraria. Da ciò consegue che, almeno come fonte letteraria, Caligola è parente prossimo di Padre Ubu.

Sembra logico che, per gli Scarti, l’idea di uno spettacolo su Caligola faccia la sua comparsa subito dopo il loro Ubu Rex: dagli eccessi grotteschi di Padre Ubu e la pretesa divinità di Caligola il passo è breve. Questo passo, il punto di unione fra il testo di Jarry e quello di Camus, si concretizza nell’intervento di Marie Eve che citava Enrico Casale. Il 26 aprile 2010, alla fine del suo laboratorio “Psicanalisi del potere”, Marie Eve Gardère dice:

5 Svetonio, Vita dei Cesari, a cura di Francesco Casorati, Libro IV, par. 22, Roma, Newton

(15)

Jarry ha creato Padre Ubu, un personaggio grottesco, avido di potere, di denaro e di gloria, vile, cinico, brutale e pauroso, sempre attuale del quale parla Albert Camus nel 1946: “In apparenza non c’è niente di tanto inutile quanto la testimonianza di un uomo libero. L’indignazione durerà per sempre. Da anni si sono presentati tanti Padri Ubu che all’inizio abbiamo preso sul ridere, ma che hanno messo al servizio delle proprie mediocri follie certi meccanismi irresistibili. E questi Padri Ubu l’hanno fatta da padroni abbastanza a lungo da lasciare, anche dopo la loro sconfitta, gli uomini accecati. Bisogna pur crederlo, visto che lasciamo che gli ultimi di loro continuino a fare bella mostra di sé. L’unico prodotto che riesce ancora a manifestarsi è il grottesco. E noi, che pure sappiamo quanta forza ha il grottesco quando dispone di una polizia, noi tolleriamo che continuino a tenere imbavagliato il popolo della rivolta e a far girare sopra i paesi silenziosi i mulini a vento della stupidità e della crudeltà.”6

Nelle ultime parole di Camus il discorso sul potere sembra quasi far riferimento a

Caligola. O almeno questo doveva far pensare gli Scarti che nel 2010, lavorando

al loro Ubu hanno cominciato a intravedere, in fondo alla trilogia del potere, l’ombra del tiranno, del mostro.

1.2 Albert Camus e Caligola

Il Caligola di Albert Camus è il capitolo conclusivo di un trittico, completato dallo Straniero e Il Mito di Sisifo, che l’autore definisce ciclo dell’assurdo. In una tesi che ha per argomento lo spettacolo infinito sarebbe confortante poter dire che almeno il principale testo d’ispirazione costituisca una versione univoca, senza rimaneggiamenti, correzioni o che almeno la sua stesura abbia una data di inizio e una di conclusione certe. Purtroppo, anche in questo caso, non è così. Per 21 anni, dal 1937 fino al 1958, Albert Camus lavora a Caligola, la storia del tirannico imperatore la cui follia, esacerbata dalla morte della sorella amante, sfocia in una sequenza di crimini efferati, nell’instaurazione di un governo disumano basato sul terrore e il delirio autodistruttivo che lo porterà alla morte per mano di alcuni congiurati.

(16)

Pur mantenendo la trama grossomodo invariata nel corso delle successive scritture, si possono tuttavia individuare tre versioni distinte del Caligola di Camus.

La prima, del 1938-39, aveva per titolo Caligula ou le joueur. Versione che, secondo Gino Zampieri, «lo stesso Camus considerava immatura7

In questa versione originaria Caligola appare come un eroe dionisiaco. Sfruttando i canoni della tragedia niciana, Camus costruisce un personaggio dallo sfrenato desiderio di vivere, la cui libertà lo spinge verso il male e dunque la morte. Come una sorta di stella cadente, Caligola comincia la sua corsa dall’evento chiave di questa prima versione: la morte dell’amata sorella Drusilla. Dice Gino Zampieri:

Il dramma di Camus si concentra qui su un unico personaggio centrale, Caligola, che vive la sua tragedia attraverso la negazione della società e di tutte le sue istituzioni. Caligola in questa versione non è mai “folle”, anche se la sofferenza lo spinge alla frenesia e esalta il suo delirio. Il suo “suicidio superiore”, come lo definisce Camus non è un semplice gesto di follia ma un sacrificio rituale. Come il Dioniso di Nietzsche, Caligola si libera con la morte dal tormento del divenire per raggiungere la beatitudine del puro Essere indifferenziato in una visione cosmica.8

Nella seconda versione del 1941, Camus pur integrando la prima aggiunge il terzo atto e la figura di Elicone l’amico e schiavo di Caligola. Tuttavia, in questa seconda stesura, è il personaggio di Cherea, il capo dei congiurati che assassinerà Caligola, ad assumere un ruolo più pregnante. Proprio nella quinta scena del nuovo terzo atto, che va ad inserirsi fra il secondo e il terzo della prima versione, Cherea balza alla ribalta con la profondità del filosofo che comprende Caligola, dice di rispettarlo, ma che non può non ribellarsi a quella vita resa impossibile dal suo imperatore. Decisione che lo porterà a congiurare contro Cesare e a ucciderlo. La terza versione, terminata nel 1958, elimina alcuni monologhi di Caligola (quello davanti allo specchio e il successivo monologo-dialogo che evoca la sorella davanti a Cesonia) e cambia la struttura e il significato delle versioni precedenti. Fra la versione del 1941 e le modifiche fino al 1958 è intervenuto un elemento impossibile da ignorare: la guerra, l’occupazione tedesca della Francia e l’esperienza di Camus nella Resistenza. Il Caligola nella parte conclusiva della sua genesi perde definitivamente il suo carattere di tragedia niciana per farsi 7 G. Zampieri, Tre versioni di Caligola, in Caligola di Albert Camus, Milano, Bompiani, 2013, p.

67.

(17)

veicolo di un messaggio più chiaro. Il personaggio di Scipione, che cresce come quello di Elicone in quest’ultima scrittura, diventa il latore di questo messaggio, pronunciando frasi di giudizio moralistico. Perfino Caligola nel monologo finale arriva ad autoaccusarsi.

In questa ultima versione, Camus armonizzò ulteriormente Caligola alle sue idee morali e politiche, sostenendo che avrebbe dovuto essere interpretato come una tragedia greca, un avvertimento. Come una denuncia cioè dei pericoli del nihilismo contemporaneo. Caligola diventò, così, un ritratto dei pericoli insiti nello spingere troppo in là la ribellione contro un mondo considerato privo di valori.9

Queste tre versioni rappresentano così quella tensione di Albert Camus che Franco Cuomo, definisce «inesauribile febbre di “aggiornamento”10» e che passa

attraverso 21 anni di vita e di poetica dell’autore. Ciò che resta invariato è, l’abbiamo detto, la storia. Il nodo drammatico che può essere sciolto considerando due temi fondamentali: il gioco folle del potere e la morte. Due elementi che in

Caligola sono ferocemente connessi. Da essi scaturisce l’intreccio: tutti i

personaggi, nessuno escluso, li subiscono e ne vengono schiacciati. Dall’ascesa di Caligola alla sua caduta assistiamo alla parabola di un personaggio che per certi versi appare talmente inafferrabile che soltanto il suo assassino Cherea (che però sta all’interno del dramma) può permettersi di capire.

Si è detto all’inizio di questo capitolo che Caligola è da considerarsi l’opera conclusiva di un ciclo che Camus chiama “ciclo dell’assurdo”. Il ciclo dell’assurdo, stilisticamente non va confuso con quello che, più o meno nello stesso periodo del XX secolo, viene definito “teatro dell’assurdo”. Per Camus il ciclo dell’assurdo è «l’analisi della dialettica insolubile che vede contrapporre al desiderio di ragione e chiarezza dell’uomo la silenziosa indecifrabilità del mondo.11» Caligola è descritto e si manifesta nel ruolo di un folle. Un folle che,

abbiamo visto, nella prima versione trovava l’origine della sua pazzia nella morte della sorella, e che di versione in versione, fino alla terza ed ultima diventa sempre più sistematica tanto da fargli dichiarare in un dialogo con Cesonia che la morte di Drusilla non ha alcuna relazione con la sua follia. In questi termini, pur mutando forma nel corso delle riscritture, la follia di Caligola è lucida. Caligola 9 Ivi, p. 72.

10 F. Cuomo, Introduzione, in A. Camus, Caligola, Milano, Bompiani, 2013, p. VII.

11 S. Lupini, Il sipario sull’assurdo. Albert Camus e il teatro, in «Dialegesthai», Rivista

(18)

non è pazzo, può essere malato ma allo stesso tempo non finge. Non usa la sua follia come Amleto che si mostra pazzo per conseguire la desiderata vendetta. Anche Caligola desidera? Sì, follemente. Il suo desiderio lo rende sfrenato, diabolico, mostruoso. «La mia libertà è senza più limiti12», afferma ed è questa «la

virtù del potere13». Così arriva a sostituirsi agli dei, si fa adorare dai senatori come

Venere, uccide e fa uccidere prima per cupidigia, poi senza ragione, per gioco. Ma il suo è un gioco d’azzardo. Distrugge le prove che accusano Cherea di un complotto ordito ai suoi danni, vuole la luna, vuole spingere il suo desiderio oltre i limiti della sua stessa libertà per vedere fin dove può arrivare. Raggiunti quei limiti non gli resta che morire. Ne sembra consapevole. Sa in anticipo anche il nome del suo assassino: Cherea e glielo dice in faccia: «allora perché mi vuoi uccidere?14 »

Siamo dunque in un universo reale in cui basta un personaggio (un personaggio di potere) a rovesciarne la realtà e a rovesciare se stesso. Situazione affatto analoga a quella di un altro testo di Camus, Il Malinteso, dove Jean tornato al paese natio dopo anni, decide di nascondere la sua identità dopo aver preso alloggio alla locanda gestita dalla madre e dalla sorella che non lo riconoscono. Questo gioco apparentemente innocente darà vita a una serie di fraintendimenti che porteranno alla morte di Jean, per mano della madre e della sorella. Anche Jean come Caligola avrebbe potuto salvarsi. «Caligola sarà ucciso dai congiurati, è vero, ma è pur sempre lui a dirigere i loro pugnali.15» si rifiuta di denunciare il complotto ai

suoi danni, dà alle fiamme le prove che accusano Cherea. Allo stesso modo Jean ignora i consigli di sua moglie Maria a cessare il gioco e farsi riconoscere.

Entrambi, insomma, cercano la morte e la trovano. Tuttavia si può dire che «Per Camus, Caligola è “la storia di un suicidio superiore”. Il Malinteso quello di un suicidio inferiore?16». Caligola ci viene presentato come un tiranno, un eroe

niciano, una sorta di superuomo che attraverso le sue azioni scellerate trova la libertà del “tutto è consentito” e la morte. In Caligola cioè sono presenti tutti gli elementi dell’assurdo di Camus citati da Silvia Lupini: Caligola è insieme la realtà del potere “la silenziosa indecifrabilità del mondo” e l’incarnazione dell’impotenza, del “desiderio di ragione e chiarezza dell’uomo” che Caligola 12 A. Camus, Caligola, Atto I, scena 8, p. 9. (Tutte le citazioni da Caligola che seguono fanno

riferimento all’edizione Bompiani, 2013).

13 Ibid.

14 A. Camus, Caligola, Atto III, scena 5.

15 P. Castoro, Albert Camus. Il pensiero meridiano, Lecce, Besa, 2001, p. 20. 16 O. Todd, Albert Camus. Una vita, Milano, Bompiani, 1997, p. 340.

(19)

condivide con Cherea, suo degno avversario e quasi alter ego. Nel Malinteso i personaggi sembrano essere immersi in questa condizione assurda, innescata dal gioco di Jean e aggravata da equivoci. Jean, l’uomo che gioca, e le due incarnazioni del “tutto è lecito”, la sorella Marta e sua madre sono tutti trascinati nella tragedia che non risparmierà nessuno. Sia Caligola che Jean, insomma, giocano e spingono il loro gioco alle estreme conseguenze dell’autodistruzione di cui sono entrambi responsabili.

In questo tentativo di evidenziare le tematiche dell’opera di Camus, non si può fare a meno di considerare come un commento moralizzante sul gioco dei protagonisti, ci venga fornito da un altro illustre capitolo del ciclo dell’assurdo. Nello Straniero, infatti, Camus inserisce la vicenda narrata nel Malinteso in un articolo di giornale nascosto nella cella di Meursault. L’articolo riporta sotto forma di cronaca la trama della piéce teatrale. Cosa che fa dire all’étranger: «In ogni modo, trovavo che il viaggiatore se l’era un po’ meritato, e che non si deve mai giocare.17»

1.3 Caligola 1941

Fra le tre versioni di Caligola, gli Scarti si concentrano su quella del 1941, ovvero la seconda. Dice Enrico Casale:

La versione di riferimento è sicuramente quella del ’41. Perché fra le tre è quella che avevo subito preso, informandomi dopo il testo che ci aveva letto Marie Eve Gardère. E poi non c’era molta scelta. Quella del ’37 è introvabile. Quella del ’58 non mi piaceva.

Il Caligola del 1941 diventa così la struttura su cui gli Scarti costruiscono gli spettacoli su Caligola dal 2010 al 2016. È una versione, come abbiamo detto, ancora infusa di tragedia niciana, per certi versi misteriosa, priva com’è di quei commenti moralizzanti inseriti, secondo Zampieri per «“proteggere” il pubblico dalla possibile “tentazione” di Caligola.18» Quello che serviva agli Scarti per una

rilettura della vicenda dell’Imperatore romano all’interno del loro discorso sul 17 A. Camus, Lo Straniero, in Opere, Milano, Bompiani, 2003, p. 160.

(20)

potere, era un testo di riferimento nudo, il più possibile equidistante dalle accuse come dalle giustificazioni che avrebbero potuto essere mosse a un simile personaggio. Era se mai la drammaturgia nuova, sulla base di quella di Camus, che avrebbe dovuto dare la chiave per interpretare il protagonista. Assolverlo, condannarlo, mettere in guardia il pubblico, erano tutte strade possibili al momento in cui abbiamo cominciato a lavorare sul testo.

In quel momento gli Scarti debuttavano con il loro Ubu Rex. Uno spettacolo che raccoglie il grottesco del testo di Jarry e ne esalta il lato oscuro, schizofrenico e crudele attraverso la lezione del Teatro della crudeltà di Artaud19. Come abbiamo

detto, è in questo periodo che si insinua il germe di Caligola all’interno della produzione della Compagnia.

Messi faccia a faccia Padre Ubu e l’Imperatore appaiono distanti: li separa la realtà, l’universo patafisico e grottesco del signore delle fynanze20 e la cruda,

perversa malinconia di Gaio Cesare detto Caligola così come Camus ce lo presenta: folle, disincantato, consapevole della facilità con cui il male si può fare. Entrambi sono personaggi che si autodistruggono. Entrambi saranno rovesciati. Ma rappresentano due facce del potere. Entrambi hanno il gioco alla base. Certo un gioco malato, inflitto e subito ma sempre un gioco, come la tortura che fanno i bambini a formiche e lucertole. La differenza fra Padre Ubu e Caligola, in questo caso, è che il signore delle Fynanze è un pupazzo grottesco che fa cose terribili in un universo di altri pupazzi, ed è governato da desideri ingordi, bassi, dalle trippe, dalla stupidità, da una moglie che è una sorta di Lady Mackbeth non meno squallida e ingorda di lui. Caligola è un principe. Un intellettuale. Un filosofo. Un artista. È difficile farsi ingannare da Padre Ubu. Ubu è la banalità del male svelato che si fa ridicolo. Caligola invece, con le parole di Camus, ci irretisce con il suo fascino perverso. Nel discorso sul potere è un protagonista sicuramente più insidioso: è facile cadere nella trappola della giustificazione. Camus, abbiamo visto, lo sapeva bene, tanto da sentirsi in dovere di chiarire, aggiungere battute moralizzatrici agli altri personaggi nell’ultima versione del 1958. Cose che hanno in qualche modo disinnescato la forza dirompente di questo fascino ambiguo che gli Scarti hanno cercato.

19 A. Artaud, Il Teatro e il suo Doppio, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, 2000, pp. 200-254. 20 A. Jarry, Ubu Re, Torino, Einaudi Collezione di teatro, 1988.

(21)

Caligola è per Camus “un principe relativamente mite” in origine, che alla morte della sorella amante scopre che “il mondo così come va non è soddisfacente”. Ne deriva che “da quel momento Caligola, ossessionato dall’impossibile, avvelenato dal disgusto e dall’orrore, tenta di esercitare, attraverso il delitto e il pervertimento sistematico di tutti i valori, una libertà…” Quale libertà? La libertà di “prendere in parola – spiega Camus – quelli che lo circondano, costringerli alla logica, livellare tutto intorno a sé con la forza del suo rifiuto e la follia di distruzione cui lo trascina la sua passione per la vita…”21

La versione del 1941 restituisce questa ambiguità del personaggio (o almeno quella ambiguità che gli Scarti vi hanno letto) senza i filtri delle versioni successive di Camus. Questa del ’41 costituisce un inedito prima della pubblicazione di Bompiani22, nel senso che il Caligola viene stampato nel 1944,

debutta a teatro nel 1945, presentando già le modifiche apportate al testo da Camus durante il periodo dell’occupazione nazista della Francia. Quello del ’41 è, secondo Franco Cuomo, «un testo nel quale giocano un ruolo determinante elementi per buona parte scomparsi nelle versioni successive, o comunque fortemente ridimensionati, come l’amore ad esempio e la tenerezza.23»

Può un tiranno sanguinario provare sentimenti di questo genere? Camus deve aver deciso che sì, anche un individuo spietato può provare sentimenti ma non è opportuno mostrarli troppo perché il pubblico potrebbe venirne affascinato. Gli Scarti invece, partendo proprio da quella versione non censurata, hanno voluto rivalutare il rischio. Perché provare sentimenti non ci rende il mostro meno spaventoso nelle sue azioni efferate, anzi crea un agghiacciante contrasto fra la dolcezza di un momento e la crudeltà che esplode un attimo dopo. Questa è la sfida: cercare un’ambivalenza capace di sintetizzare il fascino del potere.

In Ubu Rex il re era ridicolmente nudo. In Caligola il potere si veste di dubbi, celandosi spesso all’interpretazione.

1.3.1 Note di apertura

Prima di analizzare il Caligola di Albert Camus nella sua progressione di scene è necessario fare accenno a un particolare. Il testo, dopo l’elenco dei personaggi, si 21 F. Cuomo, Introduzione, in A. Camus, Caligola, cit., p. X.

22 Ivi, p. I. 23 Ibid.

(22)

apre con una nota significativa. (Le note saranno molto importanti nel nostro discorso, come vedremo in seguito) La nota alla scena recita:

SCENA

Non ha importanza. Tutto è consentito, tranne la “romanità”. Il primo, il terzo e il quarto atto si svolgono in una sala del palazzo imperiale.

Bastano uno specchio (altezza d’uomo), un gong e un divanoletto. Il secondo atto si svolge nella sala dei banchetti.24

A parte le indicazioni sceniche più dettagliate degli oggetti necessari, che sarà comunque opportuno ricordare per il confronto con i nostri successivi adattamenti, quello che colpisce è la prima frase: «Non ha importanza. Tutto è consentito…». Oltre a testimoniare la cura e l’abilità letteraria che Camus riversava anche nelle note, quel “tutto è consentito” ci ricorda una delle caratteristiche del protagonista, ovvero la libertà sfrenata, quel “tutto è lecito” che tornerà tante volte come una eco nelle azioni di Caligola come nelle sue battute: «La mia libertà è senza più limiti». Già dalla prima nota, Camus ci fa penetrare nell’universo anarchico dell’imperatore. Come a voler dire che tutto, compresa la scena all’interno della quale si muove, deve essere l’emanazione di questa libertà sfrenata. A limitare questa libertà assoluta segue però la negazione della “romanità”. Perché no? Perché Camus pensava alle rappresentazioni di gusto un po’ romantico, barocche, se non di cattivo gusto dei drammi storici in costume o alle ambientazioni pompose false del melodramma? Forse, e vedremo come anche in questo caso gli Scarti abbiano insistito contravvenendo alla disposizione di Camus almeno in un caso, proprio per ridicolizzare la scelta della ricostruzione storica di certi programmi televisivi.

Appare tuttavia che il rifiuto della romanità sia un’indicazione che focalizza l’attenzione sull’universalità del personaggio. Dice ancora Enrico Casale:

Camus ha scritto un’opera universale. Parla di Caligola ma Caligola è il potere. È l’Imperatore romano del primo secolo dopo Cristo, ma gli intellettuali francesi degli anni ’40 in lui hanno riconosciuto Hitler. Noi pensiamo a Stalin, a Mussolini a tutti i dittatori del novecento e al rischio di quelli che potranno ancora venire. Caligola non ha un tempo. Non deve essere relegato a un’epoca precisa. Noi, a dire la verità, lo abbiamo fatto in qualche versione. Ma per ambientarlo in un futuro non ben definito.

(23)

Il rifiuto della romanità è un’occasione ulteriore per evitare le etichette di una storia passata, obbligando chiunque metta in scena Caligola a considerarlo nella sua essenza di uomo, di amante, di folle, di tiranno e non nell’esteriorità innocua di un’epoca precisa e lontana dallo spettatore.

Detto questo è implicito che Camus non utilizza neanche elementi contrari alla romanità nella sua drammaturgia. Inserire elementi attualizzanti (come ad esempio un’automobile) nella storia vorrebbe dire in egual modo etichettare l’azione all’interno un periodo storico preciso.

In parole povere: la storia si svolge nella Roma del primo secolo dopo Cristo, si sa: Caligola è un imperatore romano! Ma «Non ha importanza.» Potrebbe benissimo verificarsi anche adesso: ciò non aggiungerebbe né toglierebbe nulla alla sostanza della storia.

1.3.2 Atto Primo

Il Primo Atto è chiamato dall’autore “Disperazione di Caligola”. È il momento in cui l’Imperatore, scomparso per alcuni giorni, fa il suo ritorno a palazzo e si manifesta in tutta la sua follia. Le prime battute con cui si apre la prima scena segnano, attraverso la preoccupazione dei senatori che stanno cercando Caligola, una cesura fra un prima soltanto evocato, quello del giovane «principe relativamente mite», e un dopo fatto di abusi di potere e terrore.

Perché Caligola è fuggito? Perché sua sorella Drusilla, la donna che lui amava tanto, è morta. I senatori preoccupati per l’assenza del capo, sottovalutano il suo dolore.

SECONDO SENATORE. È preoccupante.

PRIMO SENATORE. Ma, no tutti i giovani son fatti così. TERZO SENATORE. Ben detto. Il tempo sistema tutto.25

Questo dialogo è il primo vero specchio che appare in Caligola. Ci fornisce un ritratto dell’Imperatore per bocca di chi lo ha conosciuto. Un riflesso del suo carattere, del rapporto che aveva con la sorella, che appare sulla superficie deformata dei discorsi dei senatori. È un’immagine effimera, una descrizione 25 A. Camus, Caligola, Atto I, scena 1.

(24)

falsata perché si riferisce a una conoscenza superficiale del protagonista e comunque precedente ai fatti che ne hanno provocato la fuga dal palazzo. Questa descrizione ci permette però almeno di valutare la considerazione che questi uomini hanno dell’Imperatore. È «giovane» e i giovani si sa: sono impulsivi, eppure hanno il tempo dalla loro parte, le loro ferite si rimargineranno, «gli passerà».

Ma il dialogo crea anche la giusta suspence prima dell’arrivo del protagonista. L’arrivo di Cherea ed Elicone, nella seconda scena, fa nascere un dubbio:

TERZO SENATORE. Dovrà tornare prima o poi.

CHEREA. Ma sarà proprio lui, così com’era, quello che rivedremo?

TERZO SENATORE. Che vuoi dire?

CHEREA. Niente.26

Nonostante le cautele di Cherea, il dubbio è stato lanciato ed è un velo che si deposita sopra i pensieri degli astanti. Un dolore così forte, in un ragazzo, può cambiare il suo carattere. Se si tratta solo di un ragazzo, il cambiamento ha poche conseguenze. Ma se il ragazzo è Imperatore? Cosa è lecito aspettarsi? Tutto. «Tutto è consentito». Ma i timori dei senatori non vanno al di là di un sospetto che al massimo potrà rovinar loro l’appetito, è ora di pranzo, c’è ancora spazio per qualche battuta di spirito. Freddure che adesso ci informano sull’incesto. Qualcosa che si può dire sfruttando proprio l’assenza dell’Imperatore:

SECONDO SENATORE. Certo. La ragione di stato può anche ammettere l’incesto, ma bisogna essere spietati se poi questo danneggia lo stato.

CHEREA. Via, non siamo al Senato. Sappiamo tutti che se tua sorella non fosse così brutta, non avresti una visione tanto elastica della ragione di stato.27

L’arrivo di Scipione, il poeta, nella terza scena ci informa di ciò che è successo a Caligola e ci fornisce una spiegazione del suo dolore che ha tutta l’aria di una nuova sottovalutazione:

TERZO SENATORE. Sono tre giorni ormai che se n’è andato.

SCIPIONE. Già. Di colpo, dopo aver visto il corpo di Drusilla. Io c’ero. Sono sempre stato suo amico. Caligola è venuto avanti e ha 26 A. Camus, Caligola, Atto I, scena 2.

(25)

toccato il cadavere. Ha emesso un gemito ed è fuggito senza voltarsi. Da allora lo stiamo cercando.

CHEREA. Amava troppo la letteratura.

TERZO SENATORE. È l’età.28

Un’altra informazione fondamentale, l’amore per l’arte e la letteratura testimone della sensibilità incontrollabile del giovane imperatore, fa sorgere nuovi sospetti fra i senatori su come potrebbe essere cambiato quando tornerà. Ritorno che non sembra essere scontato. Questa volta però i senatori propongono una soluzione:

TERZO SENATORE. Se non ritorna, lo sostituiremo. Non sono certo gli imperatori che ci mancano.

SECONDO SENATORE. No, sono gli uomini che ci mancano.

CHEREA. E se torna di cattivo umore?

TERZO SENATORE. È ancora giovane. Lo ricondurremo alla ragione.

CHEREA. E se non intende ragioni?

TERZO SENATORE. Niente paura, ho scritto una volta un trattato sul colpo di stato.

CHEREA. Ecco la prima cosa intelligente che ti sento dire da stamattina. Sì, ho bisogno di un imperatore tranquillo. Devo finire di scrivere un romanzo.

SCIPIONE. Scusatemi. (Esce)

CHEREA. Si è innervosito.29

Ecco in questo dialogo svelati i rapporti e i caratteri dei personaggi. Da una parte i senatori con le loro cautele, le loro sicurezze di anziani uomini di potere abituati all’intrigo e alle soluzioni calcolate ma privi di coraggio, dall’altra i giovani: Cherea e Scipione. Il primo da voce al dubbio che aveva espresso senza approfondirlo, nella seconda scena. Appare pronto a tutto, anche a un atto di forza come il colpo di stato, pur di garantirsi la sicurezza personale data da «un imperatore tranquillo». Scipione è un intellettuale, l’amico ancora fedele di Caligola col quale condivide l’amore per le arti, la poesia. Non vuole credere all’eventualità del ritorno di un imperatore folle. In futuro dovrà ricredersi ma per il momento preferisce non ascoltare le soluzioni estreme dei futuri congiurati e se ne va, «innervosito».

La scena si conclude con l’uscita dei personaggi. È arrivato il momento dell’ingresso dell’uomo che tutti (pubblico compreso) stavano aspettando.

28 A. Camus, Caligola, Atto I, scena 3. 29 Ibid.

(26)

Caligola entra in scena ci appare «confuso, sudicio, grondante d’acqua ed infangato». La didascalia di apertura della quarta scena ci mostra un ragazzo ancora sconvolto dalla morte dell’amata sorella, con addosso i segni del delirio che lo ha fatto vagabondare chissà dove per tre giorni. Un uomo instabile che si specchia, si vede riflesso e ride. Di cosa ride? Di sé? Forse. Perché parla da solo. Parla alla sua immagine riflessa. E il riflesso restituito dal monologo che segue è la vera presentazione di Caligola. Non l’immagine filtrata del buono e giovane regnante, ma il presente inquietante che gli uomini appena usciti dovranno fra poco imparare a conoscere e temere. Che cosa vede Caligola nello specchio?

CALIGOLA. Mostro, Caligola. Mostro per avere troppo amato. (Cambiando tono, seriamente) Ho corso tanto lo sai. Sono tanti tre giorni. Nemmeno me l’immaginavo, prima. Ma è colpa mia.

(Con voce improvvisamente addolorata) È ridicolo pensare che l’amore possa rispondere all’amore. La gente ci muore intorno, tutto qui. [Questo mondo così com’è non è sopportabile. Gli uomini muoiono e non sono felici.*]

(Ansima e si comprime il petto) E quando è morta, non c’è più. (Si mette a sedere e si rivolge alla propria immagine) Non era più lei. Ho corso tanto, lo sai. Ritorno da molto lontano. La portavo sulle spalle. Quand’era viva, lontana da quel suo cadavere dall’espressione così assurda. Era pesante. Tiepida e pesante. Era il suo corpo, la sua verità morbida e calda. Mi apparteneva ancora, e su questa terra lei sola mi amava.

(Si alza, improvvisamente indaffarato) Ma ho tanto da fare. Bisogna che la porti via, lontano da qui, nella campagna che amava – dove camminava con tale armonia che l’ondeggiare delle spalle si confondeva per me con il profilo delle colline all’orizzonte.

(…) Mostro, Caligola, mostro. Bisogna andarsene in fretta, subito. Come si può continuare a vivere con le mani vuote quando prima sringevano l’intera speranza del mondo? Come venirne fuori?

(Scoppia in una risata falsa, artificiosa) Fare un contratto con la propria solitudine, no? mettersi d’accordo con la vita. Darsi delle ragioni, scegliersi un’esistenza tranquilla, consolarsi. Non è per Caligola.

(Batte il palmo della mano sullo specchio). Non è per te. Non è vero?

Si sentono delle voci. Caligola si raddrizza e si guarda intorno. Pronuncia il nome di Drusilla, guarda lo specchio e fugge alla vista della propria immagine. (…)30

Questo è il celebre monologo allo specchio che verrà in seguito modificato nella scrittura successiva. La stessa frase indicata fra parentesi quadre è un’aggiunta * Fra parentesi quadra nell’originale. Spiegazione a seguire nel corpo della tesi

(27)

proveniente dalla versione del 1944. Ciò che Caligola vede nello specchio è quello che dice: un mostro. Così chiama se stesso.

Perché? Perché ha amato troppo, dice. E questa considerazione più della figura che traspariva dal dialogo dei senatori all’inizio, ci restituisce la differenza fra ciò che era Caligola e quel che è diventato. Il dolore lo ha cambiato irrimediabilmente e quell’uomo che era, che è convinto di essere guarda un se stesso che si riconosce nel mostro dentro lo specchio. Prende coscienza. Poi cambia tono. E questo cambio, marca ancora la differenza fra l’uomo «Prima», l’uomo che ha «corso tanto» ed ha abbandonato se stesso in tre lunghi giorni e l’uomo che adesso ha di fronte, che sente su di sé tutta la colpa. La colpa di cosa? Di «pensare che l’amore possa rispondere all’amore». Una considerazione accompagnata da un altro cambio di tono. La voce si fa improvvisamente dolorosa di un dolore fisico: «(Ansima e si comprime il petto)». Le note qui si fanno serrate. Segnano ogni inizio di frase e danno indicazioni di emozione veicolate da azioni («Ansima», «si comprime il petto», «si mette a sedere», «si alza»…) che rappresentano anche in modo se vogliamo stilizzato, esteriore, una tensione interna, furiosa, profonda che scuote l’uomo Caligola e malgrado noi lo conosciamo solo attraverso il filtro delle parole dei senatori, lo mostra in tutta la sua mutevole fragilità. È come se il personaggio si trasformasse di fronte ai nostri occhi.

Il riflesso passa attraverso le parole in una strana inversione. C’è una strana freddezza nella descrizione della sorella: è un resoconto quantitativo, materiale, senza trasporto («cadavere dall’espressione assurda», «Era pesante», «Tiepida», «Morbida») e quell’ultima frase «lei sola mi amava» ci sorprende come uno schiaffo in pieno viso. Allo stesso modo la frenesia con cui si scuote dal ricordo («Ma ho tanto da fare») è poetica, evocativa: fatta di associazioni liriche astratte «l’ondeggiare delle spalle» di lei si confonde «con il profilo delle colline all’orizzonte» Tutto a Caligola ricorda Drusilla. «Bisogna che la porti via, lontano da qui». Chi? Cosa? È il ricordo della sorella come fosse realmente lei, lì, invisibile a tutti tranne ai suoi occhi? Oppure è il ricordo di Drusilla morta, quel cadavere toccato prima di fuggire? Caligola entra ed esce dal tempo: un attimo è sé stesso, poi è davanti al corpo della sorella morta, poi diventa il nuovo Caligola, il mostro. Il monologo prosegue. Si sforza a ridere. Si interroga sul da farsi. «Mettersi d’accordo con la vita. Darsi delle ragioni, scegliersi un’esistenza

(28)

tranquilla, consolarsi. Non è per Caligola». Percuote lo specchio, schiaffeggia la sua immagine. Sente che qualcuno sta per venire e fugge dalla sua immagine. Dal mostro.

Senza volere entrare nella più bassa speculazione psicologica. Caligola si incolpa, non per la morte della sorella (non dichiaratamente, almeno, ma questo sì che sarebbe fare della psicologia spicciola!), si incolpa invece di aver creduto che l’amore potesse essere corrisposto, non nel senso di un amore ricambiato ma durevole, eterno. Nulla è eterno. Questo è il brusco risveglio di Caligola dal suo incestuoso sogno d’amore: lei è morta «e quando è morta, non c’è più». È la morte, e ancor più la morte delle persone amate, che rende insopportabile il mondo: «gli uomini muoiono e non sono felici». Questa, lungi dall’essere una semplice considerazione, per quanto dolorosa, costituisce una pietra miliare per i sentimenti umani del nostro mostro. È una battuta, l’abbiamo detto, assente nella versione del 1941 ma per l’umanità che da essa traspare, per la luce che getta sul personaggio irradiandolo di sfaccettature complesse essa verrà mantenuta anche nelle drammaturgie degli Scarti. C’è un’eco in questa battuta anche delle altre umanità sconvolte dalla follia di Caligola che è impossibile non far confluire in questa dichiarazione lapidaria. Il destino degli uomini è accomunato dagli atti sanguinosi dell’Imperatore. Ogni uomo soffre per ciò che perde. Odia. Caligola odia per aver perso Drusilla. Così Scipione odierà Caligola quando farà uccidere suo padre. Il dolore di una perdita vuole essere semplificato attraverso l’odio verso un colpevole. Ma la soluzione rappresenta in sé anche un difetto: è troppo semplice. Caligola dice che è sua la colpa per aver creduto che «l’amore possa rispondere all’amore». Dunque deve morire? Certo, in seguito farà di tutto per farsi uccidere. Ma nessuno ha colpa per la morte di Drusilla. È questa la tragedia. La quinta scena è segnata dall’ingresso di tre personaggi di corsa. Uno è il già noto Scipione, gli altri due sono Elicone, lo schiavo liberato, amico e «spettatore» di Caligola come lui stesso avrà a dire in questa scena e Cesonia, la moglie di Caligola. Sono tre dei fedelissimi dell’Imperatore che hanno saputo del suo ritorno («Una guardia l’ha visto passare» dirà Cesonia31) e sono subito accorsi.

Ma Caligola non c’è.

La delusione allontana il liberto lasciando Cesonia sola, affranta, con Scipione. I due intrattengono un breve dialogo sull’amore che potrebbe contenere un 31 A. Camus, Caligola, Atto I, scena 5.

(29)

retrogusto di gelosia da parte di Cesonia se questa non fosse una donna incondizionatamente innamorata di Caligola. Lei giustifica Caligola. Lo giustificherà sempre arrivando ad essergli complice nelle azioni più spregevoli per pura fedeltà. Eppure lei sa che il suo amore non è da lui ricambiato.

CESONIA. (…) Sì, mi desidera. È vero. Però non m’ama.

SCIPIONE (timidamente). Non capisco.

CESONIA (stanca). Io sì. vuol dire che mi domanda solo il piacere. Ma è desiderio questo? un giorno vedrai che si può amare spesso, ma mai desiderare più d’una volta.32

Cesonia è consapevole che Caligola non la ama. Ma c’è di più sa che Caligola tollera Cesonia per il puro piacere momentaneo che prova nello stare con lei. Un piacere legato alla sessualità, alla bellezza, alla giovinezza di Cesonia. Tutte cose che svaniranno col tempo mentre l’amore di Caligola per Drusilla non svanisce, nemmeno dopo la morte di lei. Ecco la spiegazione della differenza fra il piacere e il desiderio, anche qui affidata ad uno specchio:

CESONIA (va verso lo specchio e si guarda). Non ho avuto altro dio che il mio corpo. Ed è questo dio che vorrei pregare oggi perché Caligola mi sia restituito.33

Ora, sullo sfumare di queste ultime parole di Cesonia, Caligola può fare il suo ingresso. È un ingresso pubblico perché nel precedente era solo. Tragicamente solo. Adesso viene visto dagli altri: da Cesonia, da Sicipione, dai senatori e dall’intendente del palazzo entrati contemporaneamente a lui dall’altro lato con un tempismo quantomeno imbarazzante. Si fermano tutti. Tutti cercavano Cesare. Il mostro li ha trovati.

Nella scena sesta assistiamo ai primi segni di squilibrio di Caligola ad uso e consumo degli astanti, noi ne eravamo in qualche modo stati avvertiti dal monologo allo specchio. Dopo aver rimproverato ai senatori di essere stati in pena per lui senza alcun diritto, i senatori adducono la scusa della loro preoccupazione riguardo certi problemi economici che Cesare dovrebbe sistemare. Cesare coglie la palla al balzo. Nella settima scena, lontano dalle orecchie dei senatori, più per far loro una sgradita sorpresa che per pudore, l’Imperatore espone all’Intendente del palazzo la sua riforma dell’economia.

32 Ibid. 33 Ibid.

(30)

Si tratta di un piano molto semplice che prevede in un primo tempo l’obbligo per tutti i sudditi di fare testamento in favore dell’Imperatore. Dopo di che l’Imperatore metterà «a morte questa gente seguendo l’ordine di una lista buttata giù a caso. Di volta in volta potremo modificare quest’ordine – sempre a caso. Ed erediteremo.34»

Un piano che «nella sua semplicità, è geniale», da eseguire immediatamente. Degno di un Padre Ubu.35

Cesonia è allibita.

L’intendente balbetta qualcosa e viene immediatamente zittito da Caligola con argomentazioni altrettanto semplici:

CALIGOLA (con rabbia). Sentimi bene. Se il Tesoro è fondamentale, la vita umana non lo è. Ho deciso di essere logico. Vedrete quanto vi costerà la logica. Il potere ce l’ho io. Eliminerò chi mi contraddice e anche le contraddizioni. Comincerò da te, se necessario. La tua prima parola per salutare il mio ritorno è stato il Tesoro. Te lo ripeto, non si possono mettere il Tesoro e la vita sullo stesso piano. Incrementare l’uno è svalutare l’altra. Tu hai già fatto la tua scelta. E io accetto il tuo gioco. Gioco con le tue carte.

(Pausa, con calma) Del resto, il mio piano nella sua semplicità è geniale. Hai tre secondi per sparire. Sto contando: uno…

L’intendente sparisce36

Follia? No. Caligola si riferisce a cose precise. Gioca, e gioca con le stesse parole dell’incauto intendente. Lo ha preso alla lettera. Deve governare? Governerà. Poco importa se il suo governo sarà sanguinario. Non si potrà dire che non ci sia logica nelle sue decisioni. Anzi. Ce ne è perfino troppa. È a questa scena evidentemente che Camus pensava definendo la libertà di Caligola «la libertà di prendere in parola quelli che lo circondano, costringerli alla logica…»

E questo fa Caligola. Rovescia la tranquillità del mondo con la sua stessa sicurezza. Combatte la legge con le regole della logica. Vuole controllare l’incontrollabile, governare il caso con l’anarchia delle sue decisioni. Ogni cosa è

34 A. Camus, Caligola, Atto I, scena 7.

35 A. Jarry, Ubu Re, cit., Atto Terzo, scena quarta, p. 28.

STANISLAO. Sire, siamo iscritti sul registro per soli centocinquantadue rixdali che abbiamo già pagati, saranno presto sei settimane, il giorno di San Matteo.

PADRE UBU. È possibilissimo, ma ho cambiato il governo ed ho fatto stampare sul giornale che si pagheranno due volte tutte le tasse e tre volte quelle che saranno precisate in un secondo tempo. Con questo sistema potrò far fortuna in fretta, così dopo vi ucciderò tutti e me ne andrò.

(31)

un azzardo, non ultima e soprattutto, la sua scommessa con la morte. Ma siamo solo all’inizio.

L’uscita dell’Intendente lascia Caligola solo con Cesonia e Scipione. Insieme formano un grottesco quadretto famigliare in cui Caligola trattiene i due fedelissimi in un abbraccio schizofrenico. Dalla rabbia della scena precedente si passa alla dolce spiegazione del suo piano. È la già citata rivelazione della virtù del potere: «È qualcosa che va di pari passo con l’immaginazione. Da questo momento – e per sempre – la mia libertà è senza più limiti.37» Un cambiamento

così repentino nell’umore di Cesare può essere tollerato da Cesonia ma è troppo per Scipione, la cui fedeltà, se ancora non vacilla, è messa a dura prova dall’instabilità dell’amico. Così se ne va Scipione con «le lacrime agli occhi38»

Ma ecco entrare un altro personaggio fondamentale: Cherea. Lo abbiamo già visto nelle scene precedenti ma questo è il primo incontro fra i due nemici. Cherea sembra di gran lunga il personaggio che più si trova a suo agio con Caligola, più ancora di Cesonia che nella complicità nasconde sempre un malessere, la delusione per l’assurdità del suo amore. Lo stesso Caligola in qualche modo preferisce la compagnia di Cherea. Lo rispetta perché è una persona intelligente, come avrà a dire in seguito. Ma nella sua logica estrema, filosofeggiare con il suo futuro assassino è l’occasione di quel giocare d’azzardo che costituisce la vera libertà di Caligola. In questo dialogo l’imperatore marca subito la differenza fra Cherea e Cesonia:

CALIGOLA. (…) Ma dimmi, che ne pensi del potere? CHEREA. Vuoi sapere cosa penso della libertà, Caligola? CALIGOLA. Sì, in effetti – intendo questo.

CHEREA. Penso che sia soltanto ciò che tu le permetti di essere. CALIGOLA. Bella risposta da sofista. E tu, Cesonia, che ne pensi? CESONIA. Penso che dovresti andare a riposare.

CALIGOLA. Bella risposta da idiota. (…)39

Cesonia ha assistito al delirio di Caligola sulla riforma economica, ha visto i suoi cambi d’umore e premurosamente si preoccupa per la salute del suo amante e viene derisa da lui. Cherea invece ha probabilmente origliato prima di entrare. Ha sentito il discorso sul potere e la libertà senza limiti, e astutamente corregge Caligola «Vuoi sapere cosa penso della libertà, Caligola?» L’abbiamo detto, 37 A. Camus, Caligola, Atto I, scena 8.

38 Ibid.

(32)

Cherea è intelligente, ma ha (almeno in questa versione) molti meno scrupoli di Cesonia. È paradossale però Cherea ce lo ha detto all’inizio: ha «bisogno di un imperatore tranquillo40».

Caligola approfitta della risposta sbagliata di Cesonia per continuare il suo delirio filosofico asserendo che «non esiste che una sola libertà, quella del condannato a morte. Perché tutto gli è indifferente al di fuori del colpo che farà scorrere il suo sangue.41» Questa nella logica sfrenata di Caligola è la motivazione per cui

metterà a morte chiunque: per liberarlo.

Dopo l’uscita di Cherea al termine di questa scena, Cesonia è finalmente sola con Caligola. Caligola piange, è un attimo di tenerezza a quale a Cesonia è irrimediabilmente vietato partecipare: Caligola piange per l’altra, piange ricordando Drusilla.

In questo momento di dolcezza in cui Caligola sembra tornare a un qualche sprazzo di lucidità, Cesonia si limita a consolarlo, come una madre gli rimbocca le coperte, lo chiama «Piccolo mio42». Ma quando gli dice che tutto tornerà come

prima che «tornerai presto ad essere l’uomo che tutta Roma ha amato43», il mostro

torna in sé ed esplode: «Non parlarmi di quell’uomo. Mi fa schifo.44» Caligola

torna allo specchio. Disperato, la testa fra le mani. Tutto è inutile, perfino il potere: «Non vale niente al confronto degli sguardi che mi rivolgeva certe sere. (Pausa) Non era lei, era il mondo che rideva attraverso i suoi denti.45»

È questa forse una delle battute più misteriose di Caligola. Ma in qualche modo preannuncia quella recita che avverrà solo nella scena successiva, quando Caligola davanti a Cesonia evoca Drusilla. È un lungo monologo in cui l’Imperatore disperato rievoca il suo amore recitando anche la parte di Drusilla fra il grottesco «nei fatti» come recita la didascalia di Camus, e lo struggente.

CALIGOLA. Io t’amavo, Drusilla, di un amore puro – puro come le stelle più pure. T’amavo, Drusilla, come si può amare il mare o la notte – con un impeto che aveva tutta la disperazione dei naufragi. E ogni volta che sprofondavo in questo amore, mi sottraevo ai clamori del mondo e all’infernale tormento dell’odio.

40 A. Camus, Caligola, Atto I, scena 3. 41 Ivi, Atto I, scena 9.

42 Ivi, Atto I, scena 10. 43 Ibid.

44 Ibid. 45 Ibid.

(33)

Non lasciarmi, Drusilla. Ho paura. Ho paura dell’immensa solitudine dei mostri. (…)46

Certamente deve trattarsi di un’umiliazione per Cesonia. Assistere così al dolore del suo amante per la perdita di un’altra donna è la conferma che di nessun altra potrà mai più innamorarsi. Peggio: Caligola nel suo immenso dolore di mostro, arriva a dire che «vivere è il contrario di amare47». Colto dall’irrefrenabile

desiderio di mettere in pratica questa sua idea suona il gong per chiamare a raccolta il mondo perché partecipi allo spettacolo della sua follia: «Che bello spettacolo, Cesonia. Mi occorre il mondo, e spettatori, vittime e colpevoli.48»

Rende complice Cesonia, la fa giurare di essere «crudele», «spietata», come lui sarà. La coinvolge nella sua lucida follia e Cesonia vi si abbandona dolorosamente «Sì, Caligola. Sto diventando pazza.49»

È questa la scena che appare agli occhi sbigottiti dei personaggi accorsi ai colpi di gong. L’Imperatore e la sua complice stanno davanti allo specchio un’altra volta. Il mostro ride, cancella idealmente l’immagine di Drusilla e con un’espressione delirante ammira ciò che ora restituisce il riflesso: soltanto lui, «CALIGOLA.50»

La trasformazione in mostro è ora completa.

1.3.3 Atto Secondo

Nella scansione narrativa classica dello “inizio, svolgimento e fine” gli atti centrali di un dramma rappresentano generalmente il secondo punto. Il Caligola non fa eccezione. Il Secondo Atto è chiamato «Recita di Caligola» è il momento in cui l’imperatore si mostra per il mostro che è. Egli, recita però, dice Camus: rappresenta cioè la sua follia come una maschera che mette e toglie a piacimento. È il gioco perverso di cui parlavamo. È passato qualche tempo dalla presa di coscienza del mostro. In questo tempo – due giorni, tre giorni, un mese, non sappiamo quanto – Caligola si è divertito, adesso tiene il popolo come un topo fra gli artigli di un gatto, lo illude con una ritrovata magnanimità e mente ostentando buone maniere. Comincia insomma lo svolgimento di quelli che nell’Atto 46 Ivi, Atto I, scena 11.

47 Ibid. 48 Ibid. 49 Ibid. 50 Ibid.

(34)

precedente erano soltanto propositi, filosofie allucinate potenzialmente pericolose ma non ancora tradotte nella realtà dei fatti. Questa realtà ci viene svelata immediatamente.

Siamo nella sala dei banchetti di Cherea. Come ci avvertivano le note alla scena, questo è l’unico atto a non svolgersi nel Palazzo Imperiale. Perché questo cambio di scena? All’inizio assistiamo a una riunione di senatori. È chiaro che Camus vuole farci partecipare a questa assemblea, liberando i personaggi dalla presenza ingombrante di Cesare. Essi stanno infatti parlando di lui. Molto male. In un efficace raddoppio della prima scena del Primo Atto, gli stessi che avevano aperto lo spettacolo con l’ansia per la scomparsa dell’imperatore, se ne stanno adesso a rimuginare sconvolti dal cambiamento dell’uomo «che tutta Roma ha amato51».

Sarebbero molto più contenti se sparisse di nuovo. Loro che lo hanno atteso per tre giorni di ansia (non per l’uomo, sia chiaro, ma per il pericolo di un potere vacante) vengono adesso derisi da Caligola che non si lascia sfuggire l’opportunità di umiliarli ad ogni occasione. La reazione dei senatori è la frustrazione di uomini offesi, che fino a qualche giorno prima si sentivano sicuri del proprio potere e che improvvisamente si ritrovano indifesi, defraudati di quella immunità che li aveva sempre protetti dall’assurdo del mondo. Ma fino a che punto si spinge l’assurda logica di Caligola? Il primo a parlare è il Vecchio Senatore: «Mi strofina il dito nel palmo della mano. Mi chiama bella mia52». Per

le tragicomiche vessazioni a sfondo omoerotico il Vecchio appone un’unica sentenza: «Basta, deve morire53». Nessuno sembra in disaccordo. Anzi, si

prosegue ad elencare le malefatte dell’imperatore: «ci fa correre intorno alla sua lettiga tutte le sere», «ha confiscato tutti i tuoi beni54». Ma a questi che sembrano

solo gli atti di prepotenza di un tiranno, si aggiungono crimini che hanno ormai fatto capire a tutti che razza di mostro stia seduto sul trono: «ha rapito tua moglie, Ottavio, e l’ha messa a lavorare nel suo bordello», «Ha ucciso tuo padre», «Ha ucciso tuo figlio». In questo crescendo di depravazione e sangue quella che sembrava una reazione eccessiva del Vecchio Senatore diventa un proposito che, se ancora non è condiviso, sono tutti legittimati a pensare. I senatori si limitano ad abbaiare lontano dalle orecchie del padrone. Accarezzano l’idea di uccidere Cesare come, all’inizio, ipotizzavano di sostituirlo in caso di un suo mancato 51 A. Camus, Caligola, Atto I, scena 10.

52 Ivi, Atto II, scena 1. 53 Ibid.

Riferimenti

Documenti correlati

The two-dimensional Pauli Hamiltonian for an electron with spin 1/2 in a transverse magnetic field has the following property: addition of any doubly periodic (but not

The nano-ESI-MS data obtained in positive-ion mode for 20 µM AS, in the presence of 80 µM EGCG, were plot as ion intensity versus charge and then fitted by Gaussian functions as

Scopo del presente studio è stato quello di com- parare due diete isoproteiche e isoenergetiche ma contenenti diverse fonti proteiche e diverse per- centuali di carboidrati: la prima

Autism Depression Research and Treatment Hindawi www.hindawi.com Volume 2018 Neurology Research International Hindawi www.hindawi.com Volume 2018 Alzheimer’s Disease

Moreover, a man-in-the-middle (MITM) attack can be performed by sniffing traffic to discover IP addresses on the network, and then perform impersonification of the gateway or victim

5 Jacqueline Lévi-Valensi : Albert Camus où La naissance d’un romancier (1930-1942), Paris, Gallimard, 2006. 6 Paul Viallaneix, Le Premier Camus, suivi de Ecrits de jeunesse

Il righello colorimetrico 10 secondo il presente trovato permette quindi, vantaggiosamente, di contribuire ad uno standard visivo più agevole nella interpretazione delle