3. GLI ESPERIMENTI “K”
3.1 L’inizio dei lavori
3.1.2 I classici: Svetonio
Fra le fonti obbligatorie per costruire il personaggio di Caligola, quella principale è senza dubbio Svetonio. Lo storico romano del I secolo d.C. ci fornisce un’immagine dell’imperatore contenuta all’interno della sua opera Vita dei
Cesari. Un ritratto a tinte fosche dal quale traspare la figura di un uomo instabile,
che per circa sei mesi governò con rettitudine per poi diventare improvvisamente violento, sadico, in una parola: folle. È una considerazione per molti versi condivisa anche da altri due storici dell’epoca antica: Cassio Dione e Tacito che non fanno mistero delle azioni sconsiderate, oppure lucidamente mostruose del
princeps.
Svetonio nel suo libro quarto della Vita dei Cesari ci informa che Caligola «nacque il 31 agosto136» del 12 d.C. ad Anzio, con il nome di Gaio, figlio di
Germanico e Agrippina Maggiore. Il padre, che «fu adottato dallo zio paterno Tiberio137», fu prima questore e poi console «inviato in Germania presso
136 Svetonio, Vita dei Cesari, Roma, Newton Compton Editori, 2010, p. 247. 137 Ivi, p. 243.
l’esercito138». Comandante valoroso «sconfisse il re dell’Armenia e ridusse a
provincia Cappadocia139» guadagnandosi l’ammirazione dei suoi soldati e il
rispetto dei suoi nemici tanto che è sempre Svetonio a dirci che quando morì «a 34 anni140», i barbari «indissero la tregua, come per un lutto patrio della comunità.
Alcuni principi si tagliarono la barba e fecero radere il capo alle loro mogli in segno di gravissimo lutto.141»
I primi anni della vita del giovane Gaio passarono pertanto nei campi militari presso i quali serviva il padre. Il suo stesso soprannome “Caligola” gli derivò «da uno scherzo di caserma, poiché era allevato in mezzo ai soldati con la divisa di gregario.142» Caligola è dunque diminutivo di caliga, il nome latino del calzare
militare.
In seguito alla morte del padre, però Caligola si trasferì a Capri, presso la corte dell’imperatore Tiberio. Di quel periodo, Svetonio fa qualche accenno per ravvisare i primi segni dell’indole crudele del futuro imperatore:
Lasciava correre con sorprendente dissimulazione anche le ingiustizie che egli stesso doveva sopportare e mostrava una tale riverenza verso il nonno e chi gli stava intorno che a buon titolo si disse che non vi fu servo migliore né padrone peggiore di lui.
11. Tuttavia non poteva neanche allora frenare la sua indole crudele e dissoluta dal partecipare con grande piacere alle torture e alle esecuzioni dei condannati a morte o dall’andare in giro di notte camuffato con una parrucca e una veste lunga alla ricerca di gozzoviglie e adulteri e dal dilettarsi con gran passione nelle arti sceniche della danza e del canto.143
A ciò si aggiunge poi l’accusa più grave che pende sul capo del giovanissimo Caligola:
(…) avvelenò Tiberio, come alcuni ritengono, e gli ordinò di togliersi l’anello mentre ancora agonizzava. Poiché gli sembrava però che Tiberio facesse resistenza, gli fece premere addosso un cuscino e lo strozzò con le sue stesse mani (…)144
138 Ibid. 139 Ibid. 140 Ibid.
141 Svetonio, Vita dei Cesari, cit., p., 245. 142 Ivi, p. 249.
143 Ivi, pp. 249-251. 144 Ivi, p. 251.
fig. 6 Studi per Mirmillone (bozzetti di Davide Faggiani)
Eliminato in questo modo brutale l’imperatore, Caligola ottiene il potere imperiale il 18 marzo del 37 d.C. col nome di Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico, «principe desideratissimo dalla maggior parte dei provinciali e dei soldati145» ma amato anche «da tutta la plebe urbana memore del padre
Germanico.146»
Svetonio ci svela la ragione di tanta iniziale popolarità asserendo che «del resto anch’egli alimentava il favore delle genti con ogni forma di popolarità.147» Fra i
suoi atti finalizzati ad accattivarsi la benevolenza del popolo si citano la grazia concessa ai condannati e ai confinati, nonché l’indulgenza «a tutte le imputazioni che fossero rimaste in sospeso dal periodo precedente.148» Rese inoltre «pubblici i
conti dello Stato149», «cercò anche di restituire al popolo il diritto di voto
ripristinando l’uso dei comizi150», «fece allestire assai spesso spettacoli teatrali di
vario genere e in vari luoghi, a volte anche di notte, con la città tutta illuminata. Lanciava anche doni di vario genere alla folla.151» Non mancano tuttavia strane
decisioni o verdetti come quando, a una gara di eloquenza greca e latina «i vinti dovettero consegnare i premi ai vincitori e tesserne gli elogi.152» Non contento
obbligò i perdenti a «cancellare i loro scritti con una spugna o con la lingua se non volevano altrimenti essere frustati con le verghe o essere immersi nel fiume vicino.153» Ma al di là di queste manifestazioni di un’ironia quantomeno poco
ortodossa nell’elargire ugualmente premi e punizioni, il ritratto fatto fin qui da Svetonio testimonia di un principe amatissimo che cercava in ogni modo di accontentare i propri sudditi.
È a questo punto che la narrazione prende una piega totalmente diversa, a partire dall’incipit del ventiduesimo paragrafo in cui lo storico esordisce con una frase inquietante: «Finora ho parlato più o meno del principe; mi resta ora di parlare del mostro.154»
Da questo punto in poi Svetonio ci offre la lunga lista di aberrazioni ed altri segni di squilibrio di cui l’imperatore si sarebbe macchiato, a partire dalla sua pretesa 145 Ibid.
146 Ibid.
147 Svetonio, Vita dei Cesari, cit., p. 253. 148 Ivi, p. 255.
149 Ibid. 150 Ibid.
151 Svetonio, Vita dei Cesari, cit., p. 257. 152 Ivi, p. 259.
153 Ibid. 154 Ibid.
attribuzione della «maestà divina155» con la sostituzione della testa di alcune
statue degli dei con la propria e l’abitudine ad invitare «la luna piena e luminosa, con preghiere assidue, a far l’amore e a giacere con lui.156»
«Aveva abitualmente rapporti incestuosi con tutte le sue sorelle.157» Ma in
particolare si sottolinea come fra tutte preferisse Drusilla, da lui sedotta «ancora vergine, quando ancora indossava la pretesta158» e che «dopo averla data in sposa
a Lucio Cassio Longino (…) gliela portò via e la tenne con sé, pubblicamente, come una moglie legittima.159» Quando lei morì ne fu talmente disperato da
divinizzare la sua figura e «non sopportando tuttavia il dolore, partì all’improvviso di notte da Roma, andò in Campania.160»
Amò e sposò Cesonia, una donna non più giovane, dalla quale ebbe una figlia che chiamò Giulia Drusilla. Bambina che Svetonio descrive come una creatura infettata dal seme della crudeltà del padre «che in lei era già fin da allora tale da spingerla a graffiare e ficcare le dita negli occhi dei bambini che giocavano con lei.161»
Fra i suoi stessi parenti e amici le vittime furono numerose: suo fratello Tiberio, che sospettava temesse di essere avvelenato da lui, Silone suo suocero, obbligato a togliersi la vita, suo cugino Tolomeo, Macrone ed Ennia che lo avevano aiutato a prendere il potere.
Ma fra tutti i bersagli del sadico potere di Caligola, il preferito era certamente il Senato:
(…) Ad alcuni che avevano rivestito altissime cariche fece la concessione di correre in toga presso il suo cocchio per molte miglia e di stare ai suoi piedi o alla spalliera con un tovagliolo alla cintola, mentre egli cenava; altri dopo averli fatti ammazzare di nascosto, continuò a farli convocare come se fossero vivi e dopo alcuni giorni, dichiarò, mentendo, che si erano suicidati.162
La sua sete di violenza non risparmiò neppure il popolo dal quale era all’inizio venerato. Si susseguono resoconti di minacce di ridurre il popolo alla fame, condanne ai lavori forzati, alla prigionia in gabbie da animali, fino ai supplizi più 155 Svetonio, Vita dei Cesari, cit., p. 261.
156 Ibid.
157 Svetonio, Vita dei Cesari, cit., p. 263. 158 Ibid.
159 Ibid. 160 Ibid.
161 Svetonio, Vita dei Cesari, cit., p. 265. 162 Ibid.
truculenti. Svetonio indugia specialmente sull’aspetto gratuito delle punizioni e della sadica ironia ad esse applicata come il costringere i genitori ad assistere alla tortura dei figli oppure il caso di un padre che dopo aver assistito al supplizio, invitò a pranzo mentre l’imperatore «lo provocava a ridere e scherzare163».
Ma a queste crudeltà sanguinarie si aggiunge anche il dissanguamento operato da Cesare attraverso le tasse e le manovre finanziarie fra cui trovano posto anche qui operazioni immotivate se non dal puro gusto della cattiveria: aste in cui obbligava i partecipanti ad alzare enormemente le loro offerte finché questi «costretti a comprare ad un prezzo altissimo e avendo perso così tutti i loro beni, si tagliavano le vene.164»
In tutto questo spreco di sangue e dolori non trova sorprendentemente spazio la guerra. Svetonio ci racconta che si occupò di questioni militari soltanto una volta. Deciso a inaugurare una nuova spedizione contro i Germani, cambiò idea e si diresse verso le coste della Gran Bretagna ma prima di cominciare l’invasione e schierate le truppe lungo le spiagge dell’Oceano «improvvisamente ordinò loro di raccogliere conchiglie e riempirne gli elmi e i mantelli, dicendo “sono le spoglie dell’Oceano che spettano al Campidoglio e al Palazzo”.165»
Aggiungendo qualche informazione sull’aspetto fisico, Svetonio ci fornisce anche una spiegazione per la follia dell’imperatore accusando l’epilessia della quale era affetto fin dall’infanzia, oppure un filtro d’amore propinato glia da Cesonia «che lo aveva reso folle.166» A queste patologie mentali sono legati dallo storico i suoi
due vizi contraddittori: l’arroganza e la vigliaccheria. La più classica però delle manifestazioni della sua malattia, diventata in seguito proverbiale, è quella relativa al suo cavallo Incitato per il quale nutriva un amore così profondo da volerlo «persino candidarlo al consolato.167»
Da un’assurdità a una sentenza sanguinaria si arriva dunque all’epilogo del mostro. «Il giorno prima di morire, sognò di trovarsi in cielo, accanto al trono di Giove il quale, spingendolo con l’alluce del piede destro, lo faceva precipitare sulla terra.168» Caligola morirà il 25 Gennaio del 41 d.C. all’età di 29 anni, per
mano di alcuni congiurati, capeggiati dal tribuno della corte pretoria Cassio Cherea. Analoga sorte toccherà alla moglie Cesonia e alla figlioletta Drusilla. La 163 Svetonio, Vita dei Cesari, cit., p. 267.
164 Ivi, p. 277. 165 Ivi, p. 283. 166 Ivi, p. 287. 167 Ivi, p. 291. 168 Ivi, p. 293.
narrazione di Svetonio si conclude così non senza osservare come «tutti i Cesari di nome Gaio erano morti uccisi169».