• Non ci sono risultati.

San Calogero Una faida per il potere.

4 “Podestà, capibastone e maestri di sgarro” La prima ondata repressiva fascista (1927-32).

4.5. San Calogero Una faida per il potere.

Per quanto non vi sia stata un’azione repressiva coerente, come quella in corso nella corona di paesi aspromontani intorno a Reggio Calabria a partire dal 1927, anche nella provincia di Catanzaro è possibile riscontrare, laddove gli episodi di sangue o l’occupazione del potere erano di una tale evidenza da richiamare l’attenzione delle autorità, un maggiore e più risoluto intervento della polizia contro la criminalità organizzata. Come a Reggio Calabria, anche in alcuni paesi del catanzarese si registrava la medesima condizione di occupazione del potere locale da parte di gruppi clientelari legati alla criminalità organizzata. Il caso di San Calogero, nel

142

circondario dell’odierna Vibo Valentia (allora Monteleone), è emblematico, in quanto la tradizionale lotta municipale per il potere amministrativo si consumava tra due gruppi che facevano capo a due famiglie mafiose.

Nel 1928 venne organizzata a Calimera, frazione di San Calogero, una retata per l’arresto dei più noti pregiudicati. Ce lo rivelano le disposizioni che il questore di Catanzaro comunicava al Comando dei Carabinieri ai fini dell’imminente operazione di polizia. È un documento interessante, sia perché descriveva le operazioni di polizia in occasione dell’arresto di un alto numero d’individui sospettati di appartenere alla malavita locale, sia perché indirettamente il questore dimostrava di conoscere lo stato psicologico della popolazione, subordinata ad un potere territoriale molto forte quale quello mafioso e, dunque, ben poco disposta alla collaborazione e vincolata all’omertà: secondo il questore, era possibile sovvertire tale condizione solo a patto che lo Stato intendesse dare il segno di una propria presenza forte, che offrisse garanzie di sicurezza e protezione a quanti si fossero dimostrati intenzionati a sporgere le denunce indispensabili per raccogliere gli elementi necessari per procedere agli arresti:

prego compiacersi disporre che il Comandante la Stazione dell’Arma di Calimera compili e tenga a disposizione un elenco delle persone pregiudicate e sospette e comunque pericolose per la sicurezza di quel territorio avendo cura di distribuire dette persone in quattro gruppi in modo che i componenti di ciascun gruppo siano per le loro abitazioni vicini e appartenenti ad un determinato quartiere di quello abitato. Prego altresì disporre che alle ore 20 di un giorno a destinarsi, si trovino fuori dell’abitato di Calimera e sulla strada di accesso a tale frazione, partendo da questo Capoluogo, n. 20 militari della Arma, compresi n. 4 sottufficiali, e che intanto siano tenuti pronti in quella stazione n. 4 militari dell’Arma che conoscono topograficamente quell’abitato e siano in grado di indicare le singole abitazioni delle persone indicate nei quattro gruppi predetti. Ho disposto intanto che il Commissario di PS di questo Ufficio, Sig. Toscano Rosario, con agenti di PS in un giorno da determinarsi, si trasferisca in Calimera per concorrere ad un servizio di perquisizioni domiciliari in larga scala e procedere eventualmente e con tutta l’energia a carico di coloro che, in seguito alle perquisizioni stesse, risulteranno responsabili di reati. Ho disposto altresì che tali servizi siano ripetuti saltuariamente in modo di poter dare la sensazio(ne) che l’Autorità intenda provvedere energicamente per stabilire la tranquillità e la sicurezza in quello ambiente e con l’obiettivo specifico di raccogliere elementi circa i gravi delitti ivi consumati e rimasti ad opera di ignoti e la persistente attività criminosa di persone dedite a turbare o comunque a compromettere la sicurezza e l’integrità di quella popolazione351.

351Servizi per la prevenzione e repressione dei reati. Calimera, R. Questura di Catanzaro al Comando divisione

143

Nonostante i propositi del questore di affermare con forza la presenza delle autorità nel territorio, al fine di smuovere l’ambiente omertoso nel quale si muoveva la malavita organizzata, la retata non sembra avere prodotto i risultati sperati: al fermo non doveva essere seguita la convalida degli arresti che, stando alle disposizioni impartite, dovevano essere numerosi. Esattamente un anno dopo le disposizioni del questore, infatti, il 14 settembre del 1929, il prefetto di Catanzaro, denunciava “la continua e pertinace azione criminosa” nelle campagne di San Calogero ed in particolare nella frazione di Calimera; azione criminosa che turbava “fortemente l’azione della giustizia”, la quale non riusciva a “raccogliere gli elementi di colpabilità” a causa degli “ostacoli frapposti dai delinquenti” e della “reticenza abituale dei testimoni”. Ciò che preoccupava il prefetto era il ripetersi di numerosi delitti contro le persone e la proprietà che paralizzavano completamente “il normale sviluppo dell’industria agricola di quel territorio” e “il pacifico normale sviluppodei lavori agricoli a cui il Marchese Toraldo, con fervore di opere degne di lode, ha saputo dare speciale incremento sia bonificando estese zone di terreno sia con la costruzione di numerose case coloniche”352.

Nell’arco dei cinque anni precedenti, in effetti, solo nel territorio di Calimera, piccola frazione del comune di San Calogero, che alla data del 1921 contava complessivamente poco più di tremila abitanti, erano stati denunciati sette omicidi e cinque mancati omicidi, otto lesioni premeditate e qualificate, sette rapine, ventuno incendi dolosi, ottantatré furti qualificati ed aggravati e due associazioni a delinquere353.

Calimera era un borgo isolato e inaccessibile. In una memoria di inizio Novecento del parroco Don Giacomo Pugliese si legge che “la posizione topografica di Calimera” era “delle più infelici, essendo piantato su certi dirupi, che bisognerebbe essere forniti di ali per accedervi”. Lo stesso Don Giacomo, raccontando il proprio ritorno nel paese natio nel 1916, scriveva che per accedere a Calimera “bisognava attraversare certi viottoli che non erano accessibili neppure alle capre”354. L’isolamento geografico era sicuramente un disincentivo per l’amministrazione

della giustizia e, al contrario, un vantaggio per l’imposizione di un potere violento ed extralegale. Non sorprende che, in tali circostanze, l’omertà, imposta con la paura, fosse una prassi consolidata contro la quale spesso si infrangeva l’azione della magistratura.

352 Calimera. Proposte per provvedimenti di polizia, Regia prefettura di Catanzaro al MI, DGPS, 14 settembre 1929,

ACS, MI, aaggrr, ca, 1930-31, Op Catanzaro, b. 314.

353 Legione territoriale dei CCRR di Catanzaro, Tenenza di Vibo Valentia, Prospetto dei reati più gravi verificatisi

nella giurisdizione della Stazione di Calimera, 05 settembre 1929, Ibid.

354 Cit. in Imperio Assisi, Gennaro Antonio Currà, San Calogero e Calimera. Monografia scolastica ed altri studi,

144

Ecco perché il prefetto di Catanzaro riteneva necessario ricorrere alle misure preventive di polizia, come l’ammonizione ed il confino, nei confronti di quelle “persone divenute ormai pericolose contro l’ordine nazionale, avendo esse determinato uno stato generale di preoccupazione, da rendere quasi vana l’azione della Giustizia punitiva”355, tanto più che i

principali autori dei numerosi furti appartenevano, o erano legati da vincoli di varia natura, alle famiglia Pugliese e Massara, che oltre ad esercitare un potere criminale e violento sulla popolazione di Calimera, si contendevano da lungo tempo il controllo del Comune di San Calogero e, negli anni del fascismo, la nomina alla carica di Podestà:

I mandanti, gl’istigatori e spesso anche gli esecutori degli innumerevoli delitti risultano appartenere alle due famiglie Massara e Pugliese, del luogo, le quali, divise da odi tradizionali si contendono da tempo, in forma e con metodi quasi selvaggi, il predominio locale e la supremazia economica. (…) Di fronte a tale gravissima situazione ed al panico generale manifestatosi principalmente tra quelle popolazioni agricole, la locale questura ha raccolto elementi a carico di Massara Amedeo, Contartese Francesco, Pugliese Francesco, Pugliese Giacomo, Massara Francesco, Pugliese Saverio, Massara Orazio, Barone Fortunato, Massara Guglielmo, Pugliese Nicola, Massara Orazio di Orazio, Massara Francesco, Maccarone Carmine, Pugliese Nicola di Saverio, Pugliese Cesare, Guerrisi Francesco356.

Le due famiglie in questione erano essenzialmente le famiglie leader di due gruppi di associati a delinquere che si contendevano il controllo del territorio. Dai fascicoli personali di alcuni degli individui indicati dal prefetto si evince che le autorità si mostravano sicure nell’affermare la presenza di importanti gruppi di malavita nel territorio di Calimera. Francesco Massara, per esempio, iscritto al fascio di Laureana di Borrello fin dal 1921357, era un piccolo

proprietario di beni immobili, per un valore di duecento mila lire, da cui traeva “un cospicuo reddito netto annuo”358; possedeva, inoltre, “trenta tomolate [dieci ettari, nda] circa di oliveto”

e “circa trenta tomolate di terreni pantanosi; parte aratori e parte boscosi”359; egli, nonostante i

certificati di buona condotta rilasciati dai podestà di Candidoni e Laureana di Borrello360, veniva

assegnato al confino di polizia nell’isola di Ventotene dal 1929 al 1934, in quanto “delinquente

355 Calimera. Proposte per provvedimenti di polizia, Regia prefettura di Catanzaro al MI, DGPS, 14 settembre 1929,

cit.

356 Ibid.

357 Certificato del Fascio di combattimento di Laureana di Borrello, 15 ottobre 1929, ACS, MI, DGPS, Dpg, Ccm,

Massara Francesco, b. 93.

358 Massara Francesco fu Orazio, confinato comune, Alto Commissariato per la città e provincia di Napoli al MI,

DGPS, Dp, Sez II, 07 febbraio 1931, Ibid.

359 Massara Francesco fu Orazio, confinato comune, Alto Commissariato per la città e provincia di Napoli al MI,

DGPS, Dp, Sez II, 24 ottobre 1930, Ibid.

145

pericoloso e scaltro, (…) ritenuto uno dei capi della delinquenza di Calimera”361 e “diffamato per

delitti in genere”. Si sosteneva, inoltre, che avesse determinato, “in concorso con altri, uno stato di preoccupazione generale da rendere quasi vana l’azione della giustizia punitiva e da impedire altresì il pacifico normale sviluppo dei lavori agricoli di quel territorio”362.

Di Calimera come “centro di malavita”363 si parlava anche nel fascicolo di Pugliese Cesare,

assegnato al confino di polizia nel 1934. Nel 1929 egli era stato arrestato insieme ai fratelli Gregorio, Francesco, Nicola e Saverio per l’omicidio dei fratelli Paglianiti, guardiani dei fondi del marchese Tranfo di Tropea.

I Pugliese avevano lungamente elaborato il disegno, che diventò ben presto proposito tenace, irremovibile di assumere essi l’amministrazione dei vastissimi fondi del Marchese Tranfo e dell’avv. Toraldo, di allontanarne amministratori e guardiani e specialmente i Paglianiti, che erano le persone di assoluta fiducia dei suddetti proprietari364.

I fratelli Pugliese perseguirono l’obiettivo con vari mezzi: cercarono di persuadere il Tranfo facendo ricorso alla classica sottile intimidazione di carattere mafioso, per mezzo della quale gli associati a delinquere cercavano di fare valere l’autorità acquisita con la violenza e la paura, per proporsi come detentori unici del monopolio della protezione. Per esempio, “il Pugliese Francesco osò anche dire al Tranfo che una volta entrati essi nell’amministrazione dei fondi, non vi era più bisogno di altri, perché le proprietà sarebbero state certamente rispettate.”365

Conquistarsi la posizione di guardiani dei fondi Tranfo-Toraldo avrebbe significato per i Pugliese mettere le mani su una grossissima fetta dell’economia del circondario, tanto più che su quelle terre si stavano conducendo lavori di bonifica ed ingenti flussi di denaro venivano destinati ai lavori di riordino delle acque e di costruzione di case coloniche.

Nel processo per gli omicidi Paglianiti, i giudici descrivevano i Pugliese come “famiglia di delinquenti, strettamente unita, definita da taluni il terrore di Calimera”366. Ma, per quanto

riguarda Cesare Pugliese, di cui abbiamo il fascicolo del confino, la condanna a trent’anni di reclusione, emessa dalla Corte di Assise di Catanzaro nel novembre del 1931, fu revocata per

361 Cartella biografica di Massara Francesco, Ibid.

362 Ricorso alla commissione di appello dell’assegnato al confino di polizia Massara Francesco fu Orazio da

Calimera, Regia Prefettura di Catanzaro al MI, DGPS, 23 novembre 1929, Ibid.

363 Questura di Catanzaro al prefetto, presidente della commissione provinciale per l’ammonizione, 9 gennaio 1934,

ACS, MI, DGPS, Dpg, Ccm, Pugliese Cesare, b. 115.

364 ASCZ, CassCZ, Sentenza Pugliese Francesco + 4, 02 novembre 1931, vol. 62. 365 Ibid.

366 Questura di Catanzaro al prefetto, presidente della commissione provinciale per l’ammonizione, 9 gennaio 1934,

146

vizio di forma e tramutata dalle Assise di Palmi, nell’ottobre del 1933, in proscioglimento per insufficienza di prove. Il fatto stesso che il Pugliese, più volte processato, avesse riportato poche condanne era la riprova, secondo il questore, del timore che incuteva su testimoni e parti lese, che si imponevano “un’assoluta omertà, per sottrarsi da sicura vendetta”367.

In seguito a tale assoluzione e a causa del pericolo rappresentato per la pubblica sicurezza dal suo ritorno a Calimera, si avanzò proposta per il confino: i carabinieri motivavano la loro segnalazione descrivendolo come “individuo pericolosissimo, autore o mandante di tutti i più gravi reati di sangue verificatesi nel comune di S. Calogero”, da “sempre affiliato alla malavita della piana di Rosarno e Palmi”368.

La rivalità tra i Massara e i Pugliese sembra avere lasciato segni profondi nella memoria di San Calogero se è vero che un detto popolare, ancora oggi, recita “Massara e Puglisi, ruvinaru nu paisi”369. Ben oltre il ramo criminale delle due famiglie, vi erano gli esponenti più rispettabili,

professionisti e piccoli proprietari, che portavano avanti con altri mezzi la lotta sul piano politico e amministrativo, non disdegnando però, come vedremo parlando dell’omicidio del brigadiere Spanò, di ricorrere alla violenza mafiosa.

Nel 1926 la contesa avveniva sotto le insegne del partito fascista: podestà del paese era Domenico Massara, mentre il medico condotto di San Calogero, il dott. Rocco Pugliese, era segretario politico del fascio di combattimento. Gli urti tra le due famiglie giunsero a tal punto da costringere il prefetto a chiedere le dimissioni di entrambi:

Da parecchio tempo esisteva contrasto fra il Podestà di S. Calogero, Domenico Massara, ed il Segretario Politico del Fascio, Dottor Rocco Pugliese. Le divergenze assunsero gradatamente tale forma da culminare nel novembre del 1926, in violenze a mano armata, che divisero il Comune in due frazioni, così da destare gravi preoccupazioni nei riguardi dell’ordine pubblico. Per evitare nuovi fatti spiacevoli e normalizzare la incresciosa situazione, dal mio predecessore, Comm. Fusco, d’accordo col segretario Politico della Federazione Provinciale Fascista, fu stabilito, di sostituire nelle loro rispettive cariche tanto il Massara che il Pugliese370.

Ma nuovi fatti spiacevoli dovevano verificarsi. All’odio tra le due famiglie sembra, infatti, essere legato l’omicidio del brigadiere Spanò, avvenuto la sera del 14 ottobre 1927. Da soli

367 Ibid.

368 Tenenza dei Carabinieri Reali di Vibo alla questura di Catanzaro, 29 novembre 1933, ACS, MI, DGPS, Dpg, Ccm,

Pugliese Francesco, cit.

369 Imperio Assisi, Gennaro Antonio Currà, San Calogero e Calimera. Monografia scolastica ed altri studi, cit. p. 240. 370 Regia prefettura di Catanzaro al MI, DGAC, Espresso riservato, 8 aprile 1927, ACS, MI, DGAC, Pcm, Catanzaro,

147

sette giorni erano scaduti i sei mesi del commissario prefettizio, posto alla guida del comune in seguito alle obbligate dimissioni del Massara, ed era stato nominato podestà Francesco Pugliese, fratello del medico condotto e segretario politico Rocco. Questa scelta aveva, con ogni certezza, riacceso gli animi: sembrerebbe che la vendetta dei Massara si sia orientata sul brigadiere Spanó che, vicino alla famiglia Pugliese, aveva in più occasioni osteggiato la loro ambizione di riguadagnare la guida del comune o altre posizioni di rilievo. Ma, mentre i carabinieri seguirono immediatamente questo filone di indagine, il giudice istruttore preferì prosciogliere i Massara orientando i propri sospetti su Francesco Rosello, che alcuni identificavano come il capobastone dell’associazione di San Calogero, il quale sarebbe stato interessato all’eliminazione dello Spanò sia per lo zelo e i metodi energici, a volte anche violenti, con cui questi cercava di combattere la malavita locale, sia per la sua decisa opposizione al matrimonio tra la figlia del Rosello e un pregiudicato della vicina Limbadi, che avrebbe suggellato un legame tra due gruppi di malavita di due paesi contigui.

Sembrava un movente plausibile, ma i giudici della Corte di Assise di Catanzaro reputarono opportuno assolvere il Rosello per insufficienza di prove e, contestualmente, ravvisavano che “anche nei rapporti dei Massara, sussistevano ragioni di non minore gravità che avrebbero potuto indurli alla soppressione dello Spanò”, rivalutando così ampiamente la prima intuizione dei carabinieri. Tanto più che furono proprio i Massara, per mezzo di un biglietto originariamente anonimo, a cercare di orientare le indagini sul Rosello, forse proprio per la fondatezza della vicenda matrimoniale che rendeva plausibile far ricadere i sospetti su di lui, e probabilmente (ma è solo un’ipotesi) perché il Rosello stesso era vicino ai Pugliese, visto che nel 1925 venne denunciato per associazione a delinquere insieme alla famiglia di Saverio Pugliese, i cui cinque figli, come già abbiamo visto, puntavano al controllo dei fondi Tranfo-Toraldo371.

Quale fosse la parentela tra questi Pugliese, identificati con certezza come associati alla malavita di Palmi e Rosarno, e i fratelli Rocco e Francesco Pugliese, rispettivamente segretario politico e podestà, non era chiaramente specificato, tuttavia, nella ricostruzione dei giudici di Catanzaro, la lotta amministrativa tra i Massara e i Pugliese era strettamente e fin dall’inizio messa in relazione con la natura criminale dei gruppi che facevano capo alle due famiglie. Ovviamente, in questo caso l’accento ricadeva maggiormente sui Massara, in quanto sospettati di essere mandanti ed esecutori dell’omicidio Spanò, mentre, come vedremo, sarebbero state alcune denunce contro l’amministrazione di San Calogero a puntare il dito contro l’innata

148

“prepotenza e criminalità” di Rocco Pugliese e contro la delinquenza che si annidava nella sua “famiglia e vastissima parentela”. Le parole dei giudici erano abbastanza emblematiche del clima nel quale si svolgeva la lotta amministrativa:

Era notissimo che , da oltre mezzo secolo, un odio implacabile divideva in Calimera le famiglie Pugliese e Massara che, contendendosi il primato in quella frazione, si combattevano nel modo più aspro e violento; e quest’odio, tramandandosi di generazione in generazione e dando luogo ad una serie di episodi di sangue, aveva reso più fosco quell’ambiente, in cui imperversava, da anni, la peggiore delinquenza. Il brigadiere Spanò che godeva fama di sott’ufficiale zelante, attivo ed energico, e che, all’epoca della sua tragica fine, da oltre un anno, e mezzo, era al comando di quella stazione, iniziò subito contro la malavita locale una lotta implacabile e senza quartiere; e mentre non nascondeva le sue simpatie per la famiglia Pugliese, due componenti della quale coprivano allora rispettivamente le cariche di podestà e di segretario politico, d’altra parte, nell’esplicazione delle sue mansioni, spesso aveva dovuto colpire qualche torbido elemento della famiglia Massara. Si sapeva ch’egli aveva avversato le mire di Domenico Massara, tendenti ad essere reintegrato nella carica di podestà, da lui un giorno occupata; che aveva impedito la nomina di un fratello del Domenico, Amedeo, a reggente di quell’ufficio postale, e dato cattive informazioni sul conto di Maccarone Francesco, che, futuro suocero dell’Amedeo Massara, avrebbe dovuto garantire la relativa cauzione; che aveva denunciato pel ratto di una giovane contadina, l’altro fratello Orazio, tentando di impedire poi che la famiglia della rapita, come sembra che ne avesse intenzione, desistesse dalla sporta querela; che Maccarone Carmine, figlio del detto Francesco, era stato proposto per l’ammonizione, e costretto, poi, a munirsi della carta di identità obbligatoria pei pregiudicati. Fu, per queste ed altre ragioni, che i primi sospetti dell’Arma caddero immediatamente sui Massara ed i Maccarone, come coloro che indubbiamente dovevano nutrire forti rancori contro l’energico sottufficiale ed essere animati dalle più ostili intenzioni verso di lui372.

In un ambiente come questo, la scelta di Francesco Pugliese, costantemente coadiuvato dal fratello Rocco, quale podestà di San Calogero – scelta riconfermata fino al 1943 – non si mostrava particolarmente felice per pacificare gli animi. Lo dimostrava sia la già citata proposta di inviare al confino i più pericolosi esponenti delle due famiglie avanzata dal prefetto nel 1929, sia la lotta sordida contro l’amministrazione, fatta oggetto di diverse lamentele.

Proteste contro la permanenza dei Pugliese al potere giungevano persino dagli Stati Uniti. Veniva chiesto, infatti, al console di Filadelfia Armando Salati di farsi interprete presso il