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La malavita e le elezioni politiche del 1913 a Reggio Calabria.

2. Criminalità organizzata, politica e società in Calabria prima e dopo la Grande guerra.

2.1 La malavita e le elezioni politiche del 1913 a Reggio Calabria.

Le elezioni politiche del 1913, le prime a suffragio universale maschile, piuttosto che aprire alla partecipazione politica, hanno condotto in Calabria ad una stretta dei rapporti clientelari. Gaetano Cingari ha ipotizzato, e con ragione, basandosi sui pochi accenni presenti sulle cronache giornalistiche del tempo, che quelle elezioni vedessero, a Reggio Calabria, un maggiore protagonismo della criminalità166. La scoperta di una vasta associazione a delinquere

negli anni immediatamente precedenti il primo conflitto mondiale e il relativo processo contro

163 Francesco Arcà, Calabria vera, cit. pp. 161-162.

164 Oreste Dito, Il problema educativo e la questione sociale in Calabria, Cosenza 1909, cit. in Gaetano Cingari,

Storia della Calabria dall’unità a oggi, Laterza, Roma-Bari, 1982, cit. p. 199.

165 Vittorio Cappelli, Politica e politici, cit. p. 532.

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Paolo Mafrica e altri 72 imputati, conclusosi nel 1914 presso il Tribunale di Reggio Calabria167,

offrono interessanti spunti al riguardo ed una conferma di queste ipotesi.

In quell’occasione, tra le altre, spiccava la figura di Michele Campolo, condannato a oltre quattro anni di carcere, nullatenente e semianalfabeta, capo supremo della malavita reggina, a cui dovevano rispondere i capi delle singole sezioni di cui si componeva l’associazione a delinquere della città dello stretto. Egli non prendeva parte alle classiche azioni estorsive: i giudici di Reggio scrivevano nella sentenza, a proposito dell’altro capo Pietro Fortugno, che “i capi supremi non si abbassa[va]no mai ad agire, ma il «dovere»168 e la camorra” venivano loro

“portati fino in casa”. Ma se la figura di Fortugno nella vicenda, a parte la sua identificazione come boss dell’associazione di Reggio, rimase abbastanza nell’ombra, quella di Campolo, al contrario, emerse con un rilievo particolare. Sembra che a lui in particolare competesse la funzione di collegamento con la classe politica, cosa che gettava luce sulla profondità delle pratiche politiche-mafiose a Reggio Calabria, che si dispiegavano anche in occasione delle elezioni parlamentari. Si affermava nella sentenza, infatti, che Campolo appoggiasse fuori Reggio la candidatura del liberale Caminiti, mentre a Reggio sembrerebbe avere appoggiato la candidatura del giolittiano Biagio Camagna169, lo stesso avvocato Biagio Camagna che circa

quindici anni prima aveva difeso, con scarso successo, il Brigante Musolino, e che già allora era sospettato di godere dell’appoggio della picciotteria170.

La magistratura reggina, purtroppo, in occasione del processo del 1913-15, non intese approfondire i rapporti politica/picciotteria: i giudici si affrettarono, infatti, a parlare di tentativi estorsivi ai danni dei candidati e non assolutamente di "locazione d'opera" in loro favore. Alcune risultanze processuali suggeriscono, tuttavia, che l’intreccio politico-mafioso fosse molto più complesso: Campolo venne arrestato dal delegato di PS Gregorio Cavatore il 26 ottobre del 1913, proprio durante una manifestazione pro-Camagna, ma, nel giro di poco tempo, egli fu visto nuovamente a piede libero; fu lo stesso Cavatore ad incontrarlo per le strade di Reggio Calabria, insieme a tal Modafferi, noto come Mimì il Prete, proprio “nei giorni delle elezioni”. Il processo era allora già cominciato, precisava Cavatore, e lui aveva dato seguito ai primi arresti, salvo sopraggiungere una pausa nelle indagini per l’assenza del giudice istruttore. Non viene

167Processo penale contro Mafrica Paolo + 72, Sentenza penale del 30 luglio 1914, cit.

168 Come emerge dal processo il “dovere” era il nome con il quale veniva identificato quanto commercianti e

produttori erano tenuti a pagare alla criminalità organizzata. Era cioè il frutto dell’attività estorsiva.

169 Sulla figura politica di Biagio Camagna si veda Federico Smidile, Biagio Camagna, deputato di Reggio Calabria

(1892-1919), «Archivio storico per la Calabria e la Lucania», a. LXV, 1998, pp. 31-56.

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detto esplicitamente, ma è probabile che fu in questo periodo che Campolo ebbe modo di uscire di galera, forse perché non fu emessa alcuna misura di prevenzione; è interessante, infatti, leggere le parole del delegato di PS Cavatore, il quale, durante il dibattimento, affermava:

La ricomparizione [sic] di Campolo Michele e Mimì u prete nel periodo elettorale me la spiego con le dicerie che si dicevano e che correvano nel pubblico: e cioè che ancora il Prefetto non aveva fatto il decreto per provvedere all’associazione, e un’altra che ancora non era venuto il decreto del Ministro, e l’altra che le carceri erano ormai aperte e che i detenuti uscivano per votare171.

Non sembrano affermazioni leggere. Gregorio Cavatore, infatti, richiamando le “dicerie” che circolavano a Reggio Calabria, se da un lato lasciava intendere di non saper dare una spiegazione per l’accaduto, dall’altro finiva per avvalorare la stessa “voxpopuli” che faceva ricadere un sinistro sospetto sul prefetto e sul Ministero dell’Interno in relazione ad un loro presunto ruolo attivo nella contesa elettorale: nel riferimento alla mancata emissione di “alcun decreto per provvedere all’associazione” è lecito, per esempio, intravedere una strumentale volontà di non emettere misure restrittive contro quanti erano sospettati di appartenere alla criminalità organizzata, i quali avrebbero potuto, in virtù di ciò, influenzare la tornata elettorale.Che poi addirittura le carceri fossero aperte nei giorni delle elezioni è arduo da verificare. Tuttavia, sul fatto che vi fosse un interessamento del prefetto per Biagio Camagna, fuga ogni dubbio Gaetano Cingari, il quale rileva l’esistenza di un triumvirato giolittiano a Reggio, composto dal Prefetto, dal Commissario al comune e dallo stesso Camagna. Tale sistema di potere si sarebbe presto allargato: la Curia, infatti, che aveva inizialmente espresso un proprio candidato, il cattolico-conservatore Antonio Trapani Lombardi, finì per appoggiare la linea giolittiana172. Non dovrebbe sorprendere allora, stante il sostegno elettorale per Biagio

Camagna da parte del boss della malavita, l’ipotesi che ci possa essere stato uno scarso intervento repressivo da parte dell’autorità prefettizia contro la picciotteria – al di là di quello perseguito dalla magistratura ai fini del processo.

Lo stesso Campolo, per difendersi dall’accusa di essere affiliato alla picciotteria, affermava indirettamente il proprio ruolo proCamagna. Asseriva, infatti, che Gregorio Cavatore, presumendolo capo della malavita – cosa che Campolo si affrettava ovviamente a negare – lo

171 Verbali di dibattimento del Processo Mafrica, cit. 172 Gaetano Cingari, Reggio Calabria cit. pp. 241-45.

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avesse condotto in macchina in giro per Reggio per fare propaganda a favore del candidato giolittiano. Sulla questione elettorale non si dice altro nel processo Mafrica, tuttavia è interessante il fatto che Campolo contrattaccasse sulla questione della raccolta di voti tirando in ballo la Pubblica Sicurezza nella persona di Cavatore, e che questi, rigettando da un lato queste accuse, facesse riferimento, dall’altro, alle presunte responsabilità del prefetto. Le due versioni di Campolo e Cavatore, infatti, pur entrambi interessati a negare la propria responsabilità ed il proprio ruolo nell’intreccio politico-mafioso, possono in linea di massima essere complementari e rimandare ad una pratica elettorale molto diffusa nel Mezzogiorno d’Italia e che a Reggio ed in Calabria vedeva, evidentemente, l’intervento attivo della malavita organizzata. Né sembra di poco interesse che proprio il deputato Biagio Camagna fosse l’avvocato difensore di alcuni associati durante il processo, per quanto spesso assente per questioni elettorali, e che un altro deputato giolittiano, l’on. Bruno Larizza, fosse presente nel processo come avvocato dello stesso Campolo173.

A proposito delle collusioni tra delinquenza e politica nel Mezzogiorno d’Italia, queste erano state evidenziate, pochi anni prima, da Gaetano Salvemini. Salvemini non parlava direttamente della Calabria, né, come giustamente evidenzia Salvatore Lupo, è facile comprendere se la mala vita di cui scriveva fosse propriamente mafia o più ampio clientelismo174, pur tuttavia metteva

in luce un metodo molto diffuso nell’Italia giolittiana, metodo che vedeva – è questo il punto che si vuole evidenziare – un certo protagonismo sia delle prefetture che delle questure nel favorire una delle parti della contesa elettorale ed eventualmente attivare o tollerare appunto la “mala vita”175.

173Il ruolo degli avvocati per la mafia Sicilana è messo in luce da Antonino Blando, L’avvocato del diavolo, in

«Meridiana», Mafia e fascismo, cit., pp. 53-72. Purtroppo i documenti, per quanto riguarda l’interessante figura di Camagna, non permettono, per ora, di compiere un adeguato approfondimento.

174 Salvatore Lupo, Storia della mafia, cit. p. 184.

175 E’ nota la polemica di Gaetano Salvemini che denuncia come i grossi problemi del Mezzogiorno siano

apertamente e consapevolmente sfruttati per fare del Sud una terra di conquista dal punto di vista elettorale. Nelle conclusioni de Il ministro della mala vita, Salvemini attacca Giolitti, “il quale”, scrive, lega “a sé la massa dei deputati meridionali: dà a costoro “carta bianca” nelle amministrazioni locali; mette, nelle elezioni, al loro servizio la mala vita e la questura”. Gaetano Salvemini, Il ministro della malavita e altri scritti sull’Italia giolittiana, Feltrinelli, Milano, 1966, cit. p.137. Cfr. inoltre Francesco Barbagallo, Stato, parlamento, e lotte politico-sociali nel Mezzogiorno, Guida Editori, Napoli 1980, pp. 324-331, che, partendo dallo scenario campano ed in particolar modo napoletano, mette in luce le collusioni camorristiche della classe politica giolittiana. Senza che possa assurgere a valore di fonte, ma nello stesso tempo indicativo dell’assenza di fonti adeguate per lo studio delle pratiche politico- mafiose del periodo giolittiano, per quanto riguarda la Calabria, Pasquino Crupi scrive: “Nel decennio giolittiano la relazione mafia-politica si fa più forte, anche se, come è naturale, nulla emerge di questa commistione nelle relazioni dei prefetti, che per primi agganciano la malavita a sostegno dei partiti favorevoli al governo e ai candidati governativi. La stampa … non è in proposito meno silenziosa delle fonti prefettizie. Uno studio specifico, comunque, su Giolitti e la malavita calabrese manca.” Pasquino Crupi, L’anomalia selvaggia, cit. p. 30.

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Purtroppo la relazione mafia-politica, in relazione al processo Mafrica del 1913, non sembra suscettibile di più approfondite analisi per mancanza di fonti, ma è abbastanza chiaro che la Picciotteria aveva capito che, per esercitare un reale controllo del territorio ed inserirsi nelle pieghe delle attività economiche locali, doveva creare legami con il potere politico, o controllarlo, soprattutto in una situazione nella quale il notabilato locale emergeva grazie ai rapporti clientelari instaurati con i propri elettori ed in funzione dei quali la mafia si rivelava un formidabile strumento di mediazione. Il processo Mafrica (come il precedente relativo al brigante Musolino) mette in luce, dunque, pur con qualche incertezza, un intreccio politico mafioso che si spingeva fino ad investire la deputazione nazionale, ma il controllo sulla sfera politico-amministrativa doveva, evidentemente, essere più stretto ed efficace al livello della politica locale, come si cercherà di evidenziare analizzando i primi risultati della repressione fascista contro la malavita, dai quali emergerà con chiarezza la penetrazione criminale nelle amministrazioni municipali nel corso dei primi anni ’20.

2.2 Rivolta sociale e aggregazione politico-(mafiosa) a S. Ilario dello Ionio nel primo