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Rivolta sociale e aggregazione politico-(mafiosa) a S Ilario dello Ionio nel primo dopoguerra.

2. Criminalità organizzata, politica e società in Calabria prima e dopo la Grande guerra.

2.2 Rivolta sociale e aggregazione politico-(mafiosa) a S Ilario dello Ionio nel primo dopoguerra.

Nel primo dopoguerra la situazione cambia poco. La crisi del sistema liberale, legata tanto alle riforme elettorali del 1913 e del 1919 quanto all’esperienza della guerra, si esprimeva attraverso una sfiducia diretta nei confronti dell’Italia giolittiana e del sistema politico corrotto che non si mostrava in grado di guidare la spinta verso il cambiamento della società. Emergeva un radicalismo meridionale, erede della polemica vociana e salveminiana contro i metodi giolittiani utilizzati nella contesa politica al Sud, che esprimeva un impulso al cambiamento. In particolare i ceti medi e piccolo borghesi, studenti ed intellettuali, spingevano per un affrancamento dalla leadership politica dei politici tradizionali e confluivano prevalentemente nel combattentismo che si poneva obiettivi sociali, come la lotta per la terra, e parlava di nuove forme di partecipazione popolare che dovevano superare la mediazione dei vecchi uomini politici corrotti176.

176 Sul combattentismo il lavoro di riferimento è Giovanni Sabbatucci, I combattenti nel primo dopoguerra, Laterza,

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Questi stessi elementi, confusi e populistici, confluirono nel linguaggio politico del primo fascismo intransigente senza produrre un reale cambiamento. La novità stava nel fatto, semmai, che la questione sociale, nel mutato scenario nazionale, offriva nuove occasioni, nuovi linguaggi e nuovi canali per l’accesso al potere, e ciò era vero in particolar modo nelle lotte municipali dove lo spazio politico si apriva a nuovi soggetti in grado di orientare e capitalizzare le sollecitazioni di quel periodo, senza che questo cambiasse la natura verticale delle aggregazioni politiche meridionali177.

Il fenomeno più importante che interessò il sud nel primo dopoguerra fu l’occupazione delle terre: veniva messa in discussione la proprietà attraverso delle azioni energiche, coordinate da cooperative di contadini. Non bisogna immaginare, però, che questo movimento fosse basato su posizione di classe: in realtà, la mobilizzazione del mercato fondiario faceva gola a quanti speravano di avere un accesso alle risorse da capitalizzare ai fini della propria scalata sociale e politica. Spesso alla testa dei movimenti contadini si ponevano uomini che, attraverso l’organizzazione delle cooperative, finivano per svolger la stessa funzione di mediazione degli affittuari, raccogliendone la funzione di patronage: sostanzialmente, infatti, erogavano il credito, distribuivano quote di terra e lavoro e contestualmente controllavano il voto dei contadini. Intorno a questi organismi si addensavano, perciò, gli interessi di vecchi gruppi clientelari in lotta tra loro per perpetuare il potere municipale e il controllo della terra o per accedervi ex-novo, cavalcando l’onda delle rivendicazioni. In questo scenario di rivendicazioni sociali, insomma, si spezzava il tradizionale monopolio economico e politico delle vecchie possidenze o dei gabellotti ed affittuari che, in virtù del controllo di ampie porzioni di terra, disponevano di un controllo sociale non indifferente. Le occasioni della contesa politica si allargavano: le organizzazioni contadine si inserivano nello spaccato verticale dei partiti personali e, come scrive Salvatore Lupo per la Sicilia, chi riusciva “a controllare questo movimento ne ricavava prestigio, e anche redditi, trovandosi nella posizione strategica del

broker su cui insiste la letteratura socio-antropologica”178.

I movimenti di massa che si sviluppavano nel latifondo venivano organizzati, dunque, da mediatori che così strutturavano nuove clientele e nuovi rapporti verticali, utilizzando uno strumento nato per favorire la lotta sociale, ma intorno al quale si addensava un opportunismo

177 Si veda l’analisi di Salvatore Lupo sulla Sicilia del primo dopoguerra. Salvatore Lupo, L’utopia totalitaria del

fascismo (1918-1942), in M. Aymard e G. Giarrizzo (a cura di), Storia d'Italia. Le regioni dall'Unità a oggi. La Sicilia, Einaudi, Torino 1987, pp. 373-381.

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politico che si ammantava di una fraseologia democratica.Per la Calabria è rimasta celebre l’occupazione di Casignana del 1922, finita in tragedia. Due famiglie, i Nicita e i Naim, si erano per anni conteso l’affitto delle terre di Casa Roccella, cui era inestricabilmente legata la possibilità di offrire lavoro e, conseguentemente, quella di ottenere il potere amministrativo. Nel primo dopoguerra questa dinamica si spezzò: i Nicita ottennero, infatti, l’affitto delle terre e i Naim, cavalcando l’onda della rivendicazione, si posero alla guida della cooperativa combattente “Garibaldi”. Il classico conflitto politico tra due aggregazioni clientelari si intrecciò, in maniera inedita, con lo scontro sociale, ma la subalternità contadina rimase evidente per il fatto di trovare sui fronti opposti gli stessi attori dei vecchi scontri politici179.

Come nelle contese elettorali, dove alla mafia veniva appaltata, in cambio di protezione, la raccolta dei voti, così, allo stesso modo, non sorprende il fatto di ritrovare tracce di criminalità organizzata nelle contese sociali del primo dopoguerra. La ricostruzione di quanto avvenne a Sant’Ilario dello Ionio dal 1920 a tutto il 1926, pur con le dovute cautele, che saranno di volta in volta evidenziate, offre spunti interessanti sul modo in cui le sollecitazioni politiche, in fase di rapido mutamento nel corso dei primi anni ’20, avessero orientato l’agire politico della malavita e dei gruppi locali contrapposti. Non è possibile offrire un’evidenza chiara ed incontrovertibile della penetrazione mafiosa nei conflitti sociali del paese ionico e, attraverso questi, nel potere municipale, tuttavia, in relazione alla contesa politica dei primi anni ’20, che prendeva spunto dai moti di occupazione delle terre, si registra un riferimento costante alla malavita. Questo riferimento, se non accertava sul piano giudiziario la presenza mafiosa nell’azione di mediazione tra classi dirigenti e ceti subalterni, tradiva, tuttavia, l’utilizzo di un’argomentazione polemica, possibile solo in un ambiente in cui una qualche presenza criminale doveva pur esserci – tanto più se si considera il silenzio sulla picciotteria nel dibattito pubblico – e pure abbastanza forte da essere utilizzata strumentalmente.

Nell’ottobre del 1920 contadini e braccianti di Sant’Ilario tentarono di occupare le terre del Principe di Roccella. Il sindaco di allora, BrunoPrincipato, si trovò coinvolto nell’azione rivendicativa. Un’inchiesta del 1926, voluta dal Commissario Straordinario della federazione fascista di Reggio Calabria, cercò di ricostruire in che modo si arrivò a tale occupazione: fu un

179 Cfr. Gaetano Cingari, La strage di Casignana (21 settembre 1922), Reggio Calabria, 1972, Ferdinando Cordova, I

fatti di Casignana del 1922 e l’attentato all’on Bottai, in Id., Momenti di storia calabrese e altri saggi, Chiaravalle Centrale, Frama, 1971, pp. 137-162 e Enzo Misefari, Le lotte contadine in Calabria nel periodo 1914-1922, Milano, 1972.

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atto spontaneo o, cosa più probabile, fu egemonizzato da alcuni esponenti dell’amministrazione comunale a fini politici? L’inchiesta indirettamente offriva uno spaccato sulla natura della contesa per la gestione del potere municipale e sulla qualità della vita politica ed amministrativa del paese nei primi anni venti180. Veniva fuori abbastanza chiaramente come

a Sant’Ilario si confrontassero due fazioni avverse, due gruppi di galantuomini provenienti dal mondo delle professioni e della possidenza, che solo con le dovute precauzioni possiamo chiamare “partiti”. Questi si contendevano la conquista del potere amministrativo sfruttando le più ampie dinamiche di politica nazionale e le sollecitazioni sociali a propri fini, ovvero per disgregare e riaggregare in senso verticale dei gruppi politico-clientelari che assicurassero loro il controllo del municipio.

Come ha ben messo in evidenza Salvatore Lupo, analizzando la natura dell’aggregazione politica nel Meridione d’Italia tra ‘800 e ‘900, elemento essenziale per gli obiettivi di questi gruppi dirigenti locali, spesso composti da proprietari terrieri, ma anche da professionisti che cercavano di svincolarsi dalla subalternità assoluta al patronage della grande proprietà, era la possibilità di controllare, muovere e distribuire risorse. La questione demaniale, per esempio, rispondeva per lo più a queste logiche. Nel primo dopoguerra, inoltre, in virtù della particolare congiuntura storica, il latifondo diventava bersaglio delle rivendicazioni popolari e contemporaneamente aumentava potenzialmente la quantità di risorse da controllare e redistribuire a disposizione dei ceti dirigenti181.Esattamente con questo filtro va letta la vicenda

di Sant’Ilario e dei fondi Roccella. Quello che ci interessa sottolineare è come questa lettura delle dinamiche politiche di Sant’Ilario si rafforzi ulteriormente attraverso l’identificazione della possibile presenza di aggregazioni mafiose all’interno delle fazioni di galantuomini in lotta tra di loro. Nel caso di Sant’Ilario, in connessione con i conflitti politici locali, la mafia veniva tirata costantemente in ballo nelle accuse reciproche dei “partiti” che si contendevano il controllo del comune.

Le accuse contro l’amministrazione di Bruno Principato prendevano le mosse dall’occupazione, promossa dall’associazione combattenti, delle terre del Principe di Roccella, accusato a sua volta di aver usurpato indebitamente i demani comunali. Bruno Principato prese parte all’episodio, anche se non è chiaro con quale ruolo e con quale finalità. I suo avversari lo

180 Copia della relazione d’inchiesta è conservata in ACS, MI, Dgac, Pcm, Reggio Calabria, Sant’Ilario dello ionio, b.

244 (d’ora in poi Inchiesta Sant’Ilario).

181 Salvatore Lupo, Tra centro e periferia. Sui modi dell’aggregazione politica nel Mezzogiorno contemporaneo,

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additavano come portatore di idee social-comuniste182 e si comprende bene che nel 1926, data

in cui veniva avanzato l’esposto contro l’amministrazione comunale, una tale accusa poteva costare l’impossibilità di continuare alcuna carriera politica all’interno del PNF. Sembrava, dunque, un attacco con chiari intenti strumentali: era imminente, infatti, la scelta del podestà e l’obiettivo degli addebiti contro il sindaco Principato potrebbe essere stato quello di evitare che la scelta ricadesse su di lui, cosa d’altronde probabile considerato che egli era segretario politico del Fascio locale. Bruno Principato obiettava, invece, di essere intervenuto con il fine di contenere le possibili derive violente e di tutelare sia i diritti del comune di fronte ad un’occupazione indiscriminata, sia i diritti della rendita183. Considerando la successiva

evoluzione della vicenda politica di Bruno Principato e dei suoi sodali non sembra in alcun modo reggere l’accusa di social-comunismo: egli, infatti, aveva dimostrato simpatie fasciste già nel 1923, in occasione della visita di Michele Bianchi, come egli stesso ricordava, e si era iscritto al fascismo nel 1925; aveva ricostituito addirittura il fascio locale in seguito allo scioglimento di quello esistente, composto dagli oppositori alla sua amministrazione, guadagnandosi così la carica di segretario politico184. Ma non sembrava reggere nemmeno l’idea di un intervento nel

momento dell’occupazione delle terre Roccella finalizzato solo a tutelare gli interessi comunali in virtù di un’accorta amministrazione della cosa pubblica. È plausibile, invece, credere ad un tentativo di cavalcare l’onda rivendicativa per costituire un circuito politico diverso da quello degli altri maggiorenti locali, i quali, invece, in quanto affittuari delle stesse terre demaniali, non si ponevano in contrasto con il casato Roccella, prediligendo lo status quo esistente. Per i gruppi contrapposti era la scalata alla conquista del potere municipale ad essere determinante; l’adesione ad un orientamento politico-ideologico diventava esclusivamente il mezzo transitorio per questo obiettivo. In questo senso, come la presunta pregiudiziale socialista mossa come addebito al Principato appare decisamente infondata, così, allo stesso modo, la successiva adesione al fascismo sembra essere totalmente strumentale. Essa appare solo come il nuovo scenario di azione delle controversie locali che continuavano sostanzialmente con gli stessi attori e con le stesse logiche.

È piuttosto verosimile che in questo contesto le associazioni criminali non rimanessero in disparte, e ciò sia perché interessate ad accaparrarsi il controllo delle terre e dell’amministrazione comunale, sia in virtù del loro forte ruolo sociale, in grado di mobilitare in

182 Inchiesta Sant’Ilario. 183 Ivi.

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un senso o nell’altro la componente popolare. Per la malavita si trattava di un’occasione di arricchimento e di rafforzamento del proprio prestigio e non appare perciò improbabile che si facesse mediatrice delle dinamiche clientelari185.In questi termini, infatti, emergeva il suo ruolo

nelle varie dichiarazioni rese all’Ispettore della Federazione provinciale fascista, inviato per indagare sull’occupazione delle terre e sulla situazione politica di Sant’Ilario in vista della scelta del podestà nel 1926. Giuseppe Attisani, nel 1920 presidente della sezione locale dell’Associazione combattenti, chiamava in causa il Segretario comunale Domenico Chianese come promotore delle occupazioni e descriveva il Principato come totalmente soggiogato al potere di quest’ultimo. Sulla stessa linea le dichiarazioni degli altri detrattori dell’amministrazione Principato. Sempre Attisani affermava che il Principato godesse del “seguito di tutto il popolo, (...) perché trascinato questo dalla malavita locale”. Anche il medico condotto Filippo Murdaca protestava “contro l’invadenza della malavita locale”. Il dottor Filippo Speziale, segretario del precedente fascio di combattimento sciolto dall’Ammiraglio Accinni e poi ricostituito dal Principato nel 1925, accusava il segretario Chianese di essere responsabile dell’occupazione delle terre e, senza fare riferimento a presunte posizioni ideologiche social- comuniste, aggiungeva “che ora il Principato svolge la sua opera per mantenere il potere in S. Ilario e tutta la malavita lo appoggia per poter fare il proprio comodo”. Domenico Speziale- Carbone, riportando l’argomento sull’occupazione delle terre, sosteneva, inoltre, che “a guardiani delle terre occupate furono messe delle persone che oggi hanno una posizione finanziaria che prima non avevano e i quali sono in stretta relazione col Segretario Comunale”, ovvero il già citato Domenico Chianese, il quale era accusato dal chirurgo Vitale di aver ricostituito il fascio facendovi entrare molti affiliati alla malavita186.Questo imprecisato

riferimento ai guardiani appare di un certo interesse, considerando che questa era una mansione spesso svolta da mafiosi, i quali in questo modo si assicuravano un controllo di fatto dei terreni posti sotto la loro “sorveglianza-protezione”.

A seguito dell’inchiesta del 1926, della possibile presenza di un’associazione a delinquere attiva fin dal 1919 nel territorio di Ciminà, Sant’Ilario e Condojanni, in effetti, parlava anche il verbale dei carabinieri (purtroppo non pervenutoci) del 25 febbraio 1928, con il quale venivano

185 Per quanto riguarda in Sicilia l’inserimento mafioso nella mobilitazione contadina del primo dopoguerra, al fine

di imporre la propria mediazione (anche attraverso il controllo delle cooperative combattenti) tra proprietari e contadini, detenere la distribuzione degli affitti e il monopolio del mercato della terra, cfr. Francesco Di Bartolo, Imbrigliare il conflitto sociale. Mafiosi, contadini, latifondisti, «Meridiana»,Mafia e fascismo, cit. pp. 33-52. Per la Calabria niente di simile è stato ancora indagato.

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denunciati 44 individui, dei quali si descrivevano “prepotenze, angherie, estorsioni, danneggiamenti, lesioni e furti”. Quale capo dell’associazione veniva indicato proprio il sindaco Bruno Principato, il quale era stato nominato, nel frattempo, podestà del paese. I giudici del Tribunale di Gerace, tuttavia, ritennero di non dover prestare fede ai Carabinieri, il cui verbale, sostenevano, offriva “elementi di scarsa credibilità”: condannarono, perciò, alcuni imputati per reati specifici, ma assolsero tutti dall’imputazione di associazione a delinquere per insufficienza di prove o per non aver commesso il fatto. Le motivazioni di tale sentenza appaiono, tuttavia, piuttosto discutibili. I giudici decisero, per esempio, di non dare credito alla testimonianza di Caterina Stefanelli, la quale, amante dell’affiliato Giuseppe Sgambellone, sarebbe stata in possesso di un libro mastro con lo statuto della criminalità e i nomi dei componenti. Con tono sprezzante la Stefanelli veniva definita “volgare prostituta”; inoltre, non solo non si volle credere alla sua testimonianza, ma, a seguito di una denuncia anonima, venne anche condannata dal tribunale di Gerace per estorsione continuata ai danni degli individui da lei indicati nella sua testimonianza187. La corte di Appello di Catanzaro, tuttavia, avrebbe di lì a

poco riabilitato la posizione della Stefanelli riconoscendo l’attacco strumentale nei suoi confronti, avvenuto proprio in seguito alla scarcerazione degli imputati per decorrenza dei termini e ad opera di testimoni compiacenti a loro molto vicini. I giudici di Catanzaro accennavano anche alla verosimiglianza delle sue dichiarazioni, suffragate da altre testimonianze, in seguito ritrattate, di presunti associati188.Tuttavia, non cambiava l’assoluzione

degli imputati per il reato di associazione a delinquere, e nei confronti di Bruno Principato si ritornava sulle solite motivazioni: i giudici parlavano, infatti, di lotte di partito e soprattutto facevano leva su motivazioni classiste, ritenendo impossibile che un uomo benestante potesse essere parte attiva di una banda di criminali dediti all’estorsione, contribuendo, in tal modo, ad occultare la vocazione interclassista della criminalità e la contiguità delle classi dirigenti, e a rafforzare l’immagine della picciotteria come delinquenza esclusivamente popolare, frutto del sottosviluppo e delle resistenze culturali della società tradizionale.

Alla luce delle denunce dei carabinieri, per quanto non accertate come verità giudiziaria in fase processuale, assume un nuovo valore anche l’inchiesta del 1926. La presenza quanto meno di un condizionamento mafioso nelle lotte politiche e sociali di Sant’Ilario sembra verosimile. Nelle parole dell’estensore dell’inchiesta nei confronti del Fascio di Combattimento di

187 ASRC, Tg, Sentenza Mollica Vincenzo + 41 , 30 aprile 1930, b. 261.

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Sant’Ilario e della situazione politica del comune si intravede già, infatti, la plausibilità della costituzione di aggregati politico-clientelari in cui faceva capolino la criminalità organizzata. Nello specifico del fascio locale si legge:

Ho preso visione quindi dell’elenco degli iscritti (…) e rivedendone i certificati penali ho dovuto constatare come di esso facciano parte moltissime persone che per condanne scontate e se anche inflitte non scontate per amnistia od altro non possono far parte di un partito pieno di fede e di pura idealità. (…) Come rilevasi vi sono moltissime condanne per pene infamanti o per diserzioni o renitenza di leva che assolutamente non dovrebbero far parte in un partito che è stato l’unico valorizzatore della Vittoria di Vittorio Veneto. (…) Per tali motivi giudico necessario ed indispensabile lo scioglimento della sezione fascista nella quale nonostante le tassative disposizioni emanate dalla direzione del partito regnano in maggioranza elementi a cui si può imputare manifesta immoralità189.

L’estensore del rapporto, dunque, rilevava la presenza di elementi di non comprovata fede fascista ed indirettamente lo sfruttamento della sezione locale del fascio di combattimento ai fini della costruzione di un preciso e strutturato gruppo politico clientelare. Non faceva alcun accenno alla criminalità organizzata, ma solo a individui con la fedina penale sporca; e non avrebbe potuto fare altrimenti considerando che la possibile presenza di una malavita organizzata sarebbe spuntata fuori in maniera consistente solo col verbale del 25 febbraio del 1928, quindi due anni più tardi, nel periodo più caldo della repressione fascista.

Ad ogni modo, nel 1926, nonostante il suggerimento dell’estensore della relazione d’inchiesta ed i fondati dubbi sulla presenza criminale nella contesa politica, Bruno Principato, come si è detto, ottenne la carica di podestà. Solo la notizia dell’apertura di un procedimento contro di lui, segnalata dal Procuratore di Locri al prefetto, e da questi trasmessa al Ministero dell’Interno, spinse verso la rimozione del Principato dalla carica di podestà all’indomani della denuncia dei carabinieri.190 Si trattava di un provvedimento tutto interno alle dinamiche di

partito, il quale, tuttavia, appare in aperta controtendenza rispetto alla facilità con la quale, tra il 1924 e il 1926, a Sant’Ilario, come in altre situazioni analoghe che saranno analizzate, era stata cooptata la vecchia classe dirigente a livello locale.

Questo di Sant’Ilario, oltre ad offrire uno spaccato della possibile presenza criminale nei conflitti sociali del primo dopoguerra, ci porta direttamente nel cuore della questione relativa

189Inchiesta Sant’Ilario.

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all’atteggiamento fascista dei primi anni ’20 nella selezione della classe dirigente locale in ambienti inquinati dalla presenza della criminalità organizzata. Il caso di Bruno Principato, infatti, è emblematico della decisione di appoggiarsi a gruppi locali già strutturati nella prima fase di consolidamento del regime. Non si spiega altrimenti la scelta del Principato quale podestà, nonostante le segnalazioni dell’inchiesta del 1926 sulla formazione del fascio locale e le ripetute accuse rivolte contro l’ex sindaco. Questo atteggiamento conduceva il nascente regime ad ignorare quasi completamente gli allarmi sulla presenza della criminalità organizzata in Calabria, favorendo, colpevolmente, la penetrazione di molti affiliati tra le file del PNF. Solo a regime consolidato la risoluzione del problema mafioso in Calabria venne sollecitata dagli organi periferici; ciò avrebbe spinto a fare pulizia anche nelle stesse municipalità compromesse