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Ricostruzione, picciotteria, normalizzazione a Reggio Calabria.

3. Il Fascismo in Calabria Le ambiguità della politica totalitaria lasciano via libera all’infiltrazione mafiosa.

3.1 Ricostruzione, picciotteria, normalizzazione a Reggio Calabria.

L’argomento forte sul quale si fondavano le prime preoccupazioni relativamente al consolidamento della presenza e del potere fascista a Reggio Calabria ruotava intorno al problema dei lavori pubblici e dei finanziamenti per la ricostruzione in seguito al terremoto del 1908. La capacità del fascismo di soddisfare le aspettative della cittadinanza di veder riedificata una “bella e ricca Città” e di ottenere un aiuto statale, tanto per le opere pubbliche quanto per le case private, era centrale per la creazione di un solido seguito nella punta estrema della Calabria201.I mancati stanziamenti erano, in questo senso, oggetto di preoccupazione per il

prefetto Bodo, in quanto offrivano il destro agli oppositori per attaccare il nuovo governo fascista. Tuttavia, il suo suggerimento non era quello di cedere alle pressioni, ma quello di continuare l’opera di costruzione dei fasci, “per imperniare la situazione locale e provinciale sui fasci stessi”, colpire i vecchi interessi dei politici liberali, che avevano sfruttato a proprio vantaggio la massiccia erogazione di denaro pubblico, e fissare in maniera chiara i termini dell’intervento statale, per arginare la convinzione, alimentata dai precedenti amministratori, che lo Stato dovesse provvedere a tutto202.

Il piemontese Paolo Bodo non era prefetto di nomina fascista; dopo una lunga carriera cominciata nel 1891, ottenne la nomina nel 1920 e fu inviato a Reggio Calabria all’indomani

200 Cfr. Vittorio Cappelli, Il fascismo in periferia, cit. pp. 25-37.

201 Situazione politica in città e provincia, Il prefetto di Reggio Calabria a S.E. il Ministro dell’Interno (Gabinetto), 3

aprile 1923,ACS, MI, GSF, Op, Reggio Calabria, 1923, b. 8.

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della marcia su Roma203; egli, tuttavia, cercava di rispettare la lettera dell’originario programma

fascista: intendeva, infatti, colpire i gruppi di interesse che assicuravano un grande seguito agli esponenti liberali più in vista, ed in particolare, in provincia di Reggio, all’onorevole Giuseppe De Nava, principale artefice dei progetti di ricostruzione di Reggio, tra cui la legge sui mutui che stabiliva i termini dell’aiuto statale204. Il seguito di De Nava si mostrava molto forte sia in città

che in provincia, annoverando al suo interno i “maggiori cittadini di Reggio”; perciò, nonostante il consiglio comunale guidato dal sindaco Valentino, uomo di De Nava, noto come il “sindaco della ricostruzione”205, fosse stato sciolto nel maggio del 1923206, il prefetto reputava

opportuno spingere oltre l’azione di contrasto alla base politico-clientelare di De Nava, “colpendone gli interessi più o meno leciti”:

era stato sciolto il Consiglio Comunale e stavo intaccando gli istituti che si occupano della ricostruzione della Città per mozzare le unghie dei molti interessati e far vedere come i consorti avendo speso assai e non bene per farsi delle clientele, avevano omesso di far le cose utili ed essenzialmente costruire case per gli umili ecc: contro l’amministrazione comunale, pertanto, e il Piano Regolatore si era specialmente svolta l’opera mia, con qualche punto all’Unione Edilizia, all’Ente Edilizio, all’Istituto dei mutui privati, dove avevo principiato con sopprimere abusi inqualificabili207.

Tuttavia, i propositi del prefetto vennero rapidamente sconfessati. Rispetto a questa linea di azione, infatti, l’originario accordo con la federazione reggina guidata dai fratelli Marcianò, si spezzò con l’arrivo del console generale Giuseppe Minniti, inviato da Roma a dirigere la federazione provinciale di Reggio, dilaniata da una crisi interna208, e a costruire le basi del

consenso al regime. La preoccupazione del console Minniti era quella di evitare l’impressione che il governo Mussolini osteggiasse la ricostruzione di Reggio e ciò finì per ostacolare l’azione del prefetto e per favorire tutti gli interessi che si erano annidati intorno ai flussi economici che dal governo centrale giungevano a Reggio Calabria. Il fascismo reggino si trovava, nella situazione paradossale di non essere stato capace, quanto a consenso, di sostituirsi ancora al

203 Cfr. Alberto Cifelli, I prefetti del regno nel ventennio fascista, Pubblicazioni della scuola superiore

dell’amministrazione dell’Interno, Roma, 1999, p. 48.

204 Su Giuseppe De Nava cfr. Italo Falcomatà, Giuseppe De Nava, un conservatore riformista meridionale,

introduzione di Gaetano Cingari, Editori Meridionali Riuniti, Reggio Calabria 1977.

205 Cingari, Reggio Calabria, cit. pp. 261-271. 206 Su questo si veda Ivi., pp. 280-281.

207 Il prefetto di Reggio C. a S.E. Finzi Sottosegretario al Ministero dell’Interno, 1 luglio 1923, ACS, MI, GSF, Op,

Reggio Calabria, 1923, cit.

208 Cfr. Italo Falcomatà, La crisi politica del PNF di Reggio Calabria e l’azione unitaria dell’ammiraglio Giuseppe

Genoese Zerbi, Primo segretario della Federazione provinciale, «Historica. Rivista trimestrale di cultura», n. 4, 1988, pp. 183-195.

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blocco Denaviano e, nello stesso tempo, di non essere in grado di portare avanti un’azione moralizzatrice per colpirne gli interessi, né di assorbirne e cooptarne gli uomini al fine di rafforzare le proprie fila. Il prefetto Bodo concludeva, perciò, polemicamente, che a Reggio Calabria, il Pnf, nel 1923, offriva esclusivamente il fianco scoperto alle opposizioni: il disaccordo col console Minniti rispetto all’azione moralizzatrice contro quelli che il prefetto definiva “abusi inqualificabili” e, nello stesso tempo, i tagli dei fondi per la ricostruzione, creavano una situazione di immobilismo, incertezza e debolezza che dava buon gioco ai denaviani “di mostrarsi pro o contro il Governo” come loro conveniva, “gridando contro” il prefetto, o “osannando a Minniti”.

Il fascismo a Reggio si mostrava, dunque, dilaniato tra una volontà di rinnovamento della pratica politica, impersonata, nello specifico della ricostruzione, dal prefetto Bodo, i cui propositi erano esplicitati nella citata lettera del primo luglio al sottosegretario agli interni Aldo Finzi, ed un’azione, coordinata da Minniti, finalizzata alla creazione di una solidabase attraverso una politica di normalizzazione e cooptazione dei vecchi blocchi politici, compreso quel magma di interessi che, strumentalmente o meno, affioravano nelle comunicazioni prefettizie. Il fascismo si trovava di fronte alla questione se contare sulle proprie forze di partito nuovo, intenzionato a fare piazza pulita dei vecchi sistemi liberali, o se tollerare l’appoggio dei tradizionali notabili con le loro basi clientelari.

La scelta si fece chiara nel luglio del 1923, quando, proprio in relazione al conflitto col Minniti, il prefetto Bodo venne trasferito, dopo meno di un anno di permanenza a Reggio Calabria: veniva, così, liquidato definitivamente il proposito di affondare il colpo contro la base di potere, lecita o illecita, dei vecchi politici liberali, che si preferì, invece, vedere come potenziali fiancheggiatori del fascismo. Era il preludio alla scelta che il fascismo avrebbe operato in vista delle elezioni del 1924, ovvero quella di legare a sé gli uomini forti del liberalismo calabrese: venne cooptato nella lista fascista lo stesso De Nava, il quale era in origine considerato espressione del pernicioso parlamentarismo dei vecchi uomini politici che elargivano favori ed aggregavano clientele.

Che intorno alla ricostruzione si fossero addensati degli interessi che mettevano in comunicazione la società locale con il potere centrale attraverso il lavorio costante di aggregazione e riaggregazione di clientele è in più passaggi sottolineato anche da Cingari, che afferma che, in seguito al terremoto, si instaurò un meccanismo di dipendenza dal potere centrale, sfruttato da “sacche di intermediazione parassitaria”; ci si aspettava un intervento

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risolutivo da parte dello Stato e questo suscitava attese e rabbia che, ove possibile, venivano soddisfatte per l’aggregazione di clientele o cavalcate per la creazione di un seguito politico. In questo sistema, l’erogazione di flussi metteva in moto meccanismi di dispersione del denaro pubblico per interessi di natura privata o politico-elettorale209.

Trovava spazio anche un inserimento parassitario della criminalità; alcune tracce almeno ci autorizzano a trarre questa conclusione. Negli anni del primo dopoguerra, per esempio, troviamo il solito Michele Campolo quale gestore di “una specie di agenzia, insieme al pregiudicato Polimeni Giuseppe ed al Morabito (Carmelo), per la compravendita di mutui in seguito alle leggi sul terremoto”210. Purtroppo le fonti non aiutano a capire quale fosse la

natura di questa agenzia, ma sappiamo per certo che Campolo era un analfabeta, proveniente dai bassifondi cittadini, disoccupato e nullatenente, ed è facile immaginare, dunque, che la possibilità di svolgere questo lavoro derivasse dalla disponibilità di denaro proveniente dalle attività illecite,211 nonché dall’autorevolezza criminale che si era decisamente creato in città.

Sembra ci siano gli elementi per ipotizzare un intervento speculativo della picciotteria nella ricostruzione di Reggio a seguito del terremoto del 1908. L’intervento governativo, rapido in una prima fase, si era inceppato per vari motivi e varie responsabilità nella fase della ricostruzione: le leggi sui mutui erano state applicate tardi (per la guerra in Libia e la I Guerra Mondiale); il piano regolatore era stato approvato solo nel 1914 favorendo, fino a quel momento, costruzioni abusive e occupazioni abusive di terreno pubblico. I consorzi bancari ponevano delle restrizioni di carattere economico alla concessione dei mutui. Infine, il ministro De Stefani, nel dopoguerra, ridusse i finanziamenti statali212. Molte persone probabilmente

erano tagliate fuori dalla possibilità di chiedere il mutuo per il fatto di non possedere una cifra iniziale pari ad un quarto dell’investimento necessario per una ristrutturazione o per una nuova costruzione. È lecito chiedersi, dunque, se la picciotteria facesse da intermediaria per la richiesta dei mutui o se anticipasse soldi ad usura, per poi rifarsi sia sul finanziamento statale, sia sugli interessi imposti sul prestito, e ciò soprattutto in una fase di riduzione dell’aiuto statale voluta dal nuovo governo a guida Mussolini.

209 Gaetano Cingari, Reggio Calabria, cit. pp. 228-229.

210 Profilo Biografico Campolo, ACS, MI, Dgps, Ccm, Campolo Michelangelo, cit.

211 “Da circa 22 anni or sono non esercita alcun mestiere. Riuscito ad imporsi ai pregiudicati locali trae lauti fonti di

lucro dai delitti altrui (…). Campolo da anni possiede cavalli e carrozzino e simula di essere negoziante e domatore di cavalli”. Ibid.

212 Cfr. Gaetano Cingari, Reggio Calabria, cit. pp. 193-271 per la vita sociale e politica a Reggio dopo il terremoto e

per le fasi della ricostruzione, e pp. 278-283 per la caduta dei finanziamenti, in relazione anche alla polemica sul bilancio cittadino.

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Da una lettera del 1910 si evince che lo stesso De Nava, artefice della legge sui mutui, si mostrava preoccupato e cosciente del fatto che le procedure per le richieste di mutui fossero piuttosto complicate, sia sul piano finanziario che su quello tecnico. Rifletteva perciò sul modo migliore “per agevolare il processo di ricostruzione della città e per sottrarre nello stesso tempo la parte più ignorante e sprovveduta della popolazione reggina (che era poi numerosissima) alla speculazione di intermediari e tecnici poco scrupolosi, che si sarebbero fatta pagare molto cara la loro consulenza in mancanza di ogni concorrenza.” Immaginava a questo proposito la costituzione di una cooperativa comunale per la gestione delle domande di mutuo:

La preparazione legale e tecnica della domanda rappresenterà per molti un lavoro faticoso. Se questo lavoro si dovesse lasciare alle cure personali di ciascun contraente temo che parecchi non troverebbero via d’uscita. È incontestabile, perciò, il vantaggio che arrecherebbe la formazione di cooperative con appositi uffici o anche soltanto con la creazione di uffici tecnico-legali specializzati per le costruzioni da eseguire. Il Comune con la sua autorità prenderebbe l’iniziativa di costituire un ufficio che resterebbe di indole privata, ma che opererebbe in base ad una tariffa di prezzi determinata e approvata dal Comune, e che darebbe garanzia di serietà e di diligenza tecnica… e che agirebbe, se mi è lecito il paragone, quasi come calmiere contro eventuali abusi”213.

La cooperativa denaviana non trovò realizzazione. L’agenzia di Campolo potrebbe aver svolto questo ruolo, anticipando denaro e smuovendo le pratiche: la contropartita ovviamente doveva risiedere presumibilmente sia nel controllo e gestione dei lavori, oltre che in un ritorno di natura direttamente economica.

Stando alla ricostruzione di Gaetano Cingari, il legame Picciotteria-Terremoto era rapidamente messo in luce, negli anni successivi al sisma, anche da alcuni giornali locali, secondo i quali, per il vuoto amministrativo che si era creato e per le particolari condizioni sociali di “turbolenza e disagio della classi popolari”, era aumentata la propensione camorristica, soprattutto tra i tanti lavoratori addetti alle opere pubbliche: si dava conto, infatti, del fatto che “elementi cittadini” e “pseudo operai” si riunissero nelle bettole per l’organizzazione di vari reati214. La criminalità, dunque, sembrerebbe essersi annidata nei

cantieri e negli enti predisposti per la ricostruzione – troviamo, per esempio, l’affiliato Giuseppe Barone, uomo vicino allo stesso Campolo, in qualità di impiegato all’Ente Edilizio di Reggio215

213 Una lettera e una proposta dell’on. De Nava, «Reggio Nuova», 17-10.1910, cit . in Italo Falcomatà, Giuseppe De

Nava, cit. p. 176.

214 Gaetano Cingari, Reggio Calabria, cit. p. 233.

215 Reggio Calabria. Condizioni della PS, R. Prefettura di Reggio Calabria al MI, DGPS, Roma, 03 ottobre 1923, ACS,

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ed è facile immaginare che sfruttasse a proprio vantaggio l’ingente mole di lavori pubblici e privati.

Che, d’altronde, ci fosse un inserimento e controllo criminale nella gestione della mano d’opera e che questa fosse tollerata e facilitata anche dagli esponenti politici locali è facile da immaginare perché la mafia si poneva come elemento di mediazione tra le classi dirigenti e i ceti popolari. Da questa posizione la criminalità poteva controllare le dinamiche sociali ed economiche, distribuire lavoro, imporre i propri uomini, e condizionare le scelte individuali. Svolgeva dunque un ruolo di mediazione e direzione. Su questo meccanismo si basavano spesso i fenomeni della compra del voto e della pressione mafiosa a livello elettorale in cambio di favori di natura economica e protezione, tanto più in uno scenario come quello della ricostruzione di Reggio dove i rapporti con la deputazione nazionale dovevano essere ancora più stretti per via della grandi opportunità che si aprivano con i flussi economici provenienti dal governo centrale.

Infine, seppur è difficile far assurgere questa testimonianza a valore di fonte certa sull’inserimento criminale nelle ricostruzione di Reggio e delle altre città colpite del terremoto, anche lo scrittore Leonida Repaci, in un racconto del 1954 su Santo Scidone, leggendario boss di Palmi, parlava a suo modo del ruolo svolto dalla picciotteria a seguito del sisma:

Una bella pagina di vita scrisse Santazzo, in occasione del tremendo terremoto che stampò al suolo Palma [sic]una mattina del novecento-otto. Caso strano, al momento del terremoto, Santazzo era in carcere. Intuita la gravità del disastro, egli, dal capoguardia inebetito, reclamò la liberazione immediata di tutti i detenuti, sotto la sua personale responsabilità e garanzia.. “E chi mi garantisce per voi”?, avrebbe potuto obiettare il pover’uomo, se la paura delle prossime scosse, e quella del Tempesta, non lo avessero sconcertato. Invece egli aprì immediatamente i cancelli, raccomandandosi a Dio. Naturalmente, dei detenuti, nessuno a terremoto cessato, tornò al fresco. Tuttavia essi furono di utilità nel disastro. Santazzo, ordinatili per squadre, a capo delle quali mise i più anziani, li assegnò ai diversi rioni della cittadina distrutta, con compiti precisi ai quali non dovevano trasgredire, pena la riconsegna immediata alla “Casa Grande”, e la giunta delle nerbate per conto suo. Lo stesso fece coi camorristi a piede libero, che radunò nella pizza Garibaldi, e divise per plotoni, assegnando a ciascuno il compito di sorvegliare e integrare l’azione dei detenuti.Detenuti e Camorra si comportarono bravamente, specialmente nelle prime giornate del disastro. Estrassero dalle macerie parecchie centinaia di persone, fiancheggiarono le truppe regolari nella costruzione dei primi baraccamenti, provvidero a trasportare i morti al camposanto, a calarli in una gran fossa comune che empivano di calcina, tra strato e strato, per affrettarne la decomposizione, cooperarono alla distribuzione dei viveri e delle coperte, s’improvvisavano infermieri, cucinieri, spazzini, falegnami, becchini, secondo la necessità del momento. Più tardi, col normalizzarsi della situazione, essi agirono molto

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bene, fecero, insomma, rimpiangere l’entusiasmo e il disinteresse delle prime giornate. Ma, uscire dalla propria pelle, è più facile a dirlo che non farlo216.

Era una visione romantica, ma indice in qualche modo di una memoria popolare sul ruolo svolto dalla criminalità nei lavori di ricostruzione, memoria condizionata anche probabilmente dalla retorica auto-rappresentativa della criminalità stessa, cristallizzatasi in racconto eroico e folcloristico, in vulgata epica sulla prima mafia in Calabria217.

Il quadro appena descritto ricostruisce una situazione in cui, a livello politico, si tollerava la sopravvivenza di tutti i gruppi di interesse che avevano approfittato dei flussi economici legati alla ricostruzione di Reggio, i quali, anzi, riuscivano a mantenere forte il livello di attenzione sul problema dei lavori pubblici incidendo negativamente sull’iniziale adesione al fascismo218. Ad

un livello più basso si registrava l’inserimento criminale nello sfruttamento delle opportunità economiche aperte dalla ricostruzione, nell’ente edilizio e, dunque, nei cantieri pubblici. Il legame tra i due aspetti non è immediato e diretto, tuttavia il fallimento del progetto del prefetto Bodo di colpire gli interessi leciti e illeciti che si annidavano dietro l’insistente richiesta di un massiccio intervento statale e di chiarire i termini della ricostruzione sotto il nuovo corso fascista, e la scelta di lasciare intatti i gruppi di pressione poi cooptati nella lista nazionale attraverso l’inserimento di fiancheggiatori liberali, allontanavano la prospettiva di un’opera di trasformazione, rinnovamento e moralizzazione della vita politica e sociale locale.

Se dal capoluogo ci si sposta in provincia lo scenario non cambia: furono svariati i casi in cui al primo isolato, ma combattivo e determinato fascismo, si sostituirono nuove sezioni composte da uomini dal passato non propriamente in linea con l’impostazione intransigente dell’originaria ideologia nazional combattentistica delle prime manifestazioni fasciste calabresi. Come ci fa sapere il solito prefetto Bodo:

216 Leonida Repaci, Santazzo il Tempesta, in id. Racconti calabresi, a cura di Pasquino Crupi, Rubettino, Soveria

Mannelli 2002, pp. 119-142, cit. pp. 136-137.

217 La memoria reggina parla dello Stesso Campolo come di un mafioso d’ordine contrapposto alla nuova mafia

degli interessi. Gaetano Cingari, Reggio Calabria, cit. pp. 233-34.

218 “Disgraziatamente è venuto in malpunto la crisi nel fascismo locale: pel momento i vecchi capoccia guatano

questa crisi, che è crisi di crescenza (e che sarà presto sorpassata con indubbio vantaggio) sperando invece sia crisi di impotenza; pensano di sfruttare il malcontento per il mancato finanziamento della ricostruzione; e sui giornali cominciano le critiche. Non mi stupirei che nell’animo di alcuni cominci a rinascere quella velleità che pareva morta.” Situazione politica in Città e provincia, Il prefetto di Reggio Calabria a S. E. il Ministro dell’Interno, 03 aprile 1923, cit.

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appena il Governo fascista assunse la direzione della cosa pubblica, tutti diventarono fascisti: pochi per spirito veramente fascista, molti per quel consenso generale che il nuovo Governo ebbe in tutta Italia, parecchi semplicemente per conservare o conquistare il potere. (…) Attorno alle sezioni, in genere non molto numerose di soci, rimasero tutti gli altri, favorevoli sì, al governo fascista, disposti anzi lieti di allearsi ai fascisti della sezione, ma esclusivamente per conservare o conquistare il potere, e non credo di ingannarmi, i più senza, però ripudiare i vecchi uomini politici219.

In questa situazione l’obiettivo che si proponeva il prefetto era quello di permettere ai fasci di concorrere con i gruppi clientelari tradizionali, che pure si mostravano interessati a confluire nel PNF, cercando di rafforzarne l’originaria costituzione attraverso l’immissione, tra le loro fila, “di persone che uniscono alle idealità più pure anche larga base di aderenze e interessi”220.

Siamo di fronte alle cautele retoriche del prefetto Bodo, il quale intendeva coniugare le esigenze di rafforzamento del fascismo in Calabria con la volontà di evitare una eccessiva compromissione con i tradizionali gruppi di interesse locali che si legavano ai politici liberali. Era una linea destinata a fallire, sia perché anche gli uomini nuovi nello scenario politico locale non erano estranei alle pratiche clientelari che sfruttavano a proprio vantaggio il carro fascista, sia perché il prefetto Bodo sarebbe stato di lì a poco sconfessato.

D’altronde, lo stesso prefetto Bodo, spinto dal contrasto col console Minniti e subodorato il proprio trasferimento dalla sede di Reggio Calabria, mise presto da parte le cautele linguistiche abbandonando l’ottimismo che nel maggio del 1923 gli aveva fatto affermare che i fasci andavano “rafforzandosi sempre più in Provincia” e che, “conquistando varie amministrazioni,