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Segnali di svolta.

3. Il Fascismo in Calabria Le ambiguità della politica totalitaria lasciano via libera all’infiltrazione mafiosa.

3.5 Segnali di svolta.

A Reggio Calabria non si registra nulla di simile alla proposta del sottoprefetto di Nicastro. Alla data del 1924 il fascismo provinciale era attraversato da un coacervo di interessi che ne facevano un contenitore riempito alla bell’e meglio senza alcuna coerenza di carattere ideologico. Ed a livello dei quadri dirigenti continuavano le lotte furibonde tra gruppi antagonisti all’interno della federazione provinciale e si susseguivano commissari straordinari coll’obiettivo di pacificare gli animi e ridurre a disciplina l’anarchia che regnava dentro il partito. L’obiettivo dell’adesione sostanziale al nuovo corso della politica italiana era stato raggiunto, ma il prezzo era stato il tradimento delle posizioni originarie che volevano fare del fascismo il fulcro di un profondo rinnovamento della vita politica meridionale.

Un tentativo di svolta rispetto a questa situazione ebbe avvio a Reggio città tra il 1926 e il 1927 e nel resto della provincia a partire dal 1927. Nel 1926 il marchese generale Genoese Zerbi venne nominato commissario prefettizio e poi primo podestà di Reggio. Alla sua figura è legato

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il progetto di costituire la Grande Reggio, un’area metropolitana che annettesse al comune capoluogo altri quattordici comuni limitrofi252. Le divisioni all’interno del fascismo reggino si

spensero intorno al progetto di rilancio della città dello Stretto. In questo contesto, quanto meno nell’ambito cittadino, si tentò di colpire gli abusi piccoli e grandi che si annidavano nei più svariati settori economici della città. Negli anni precedenti Reggio era stata governata da commissari prefettizi in seguito allo scioglimento del consiglio comunale nel 1923; in quel periodo la città era stata colpita da una crisi annonaria, relativa all’approvvigionamento dei generi alimentari, legata alla crisi dei mutui e alla scarsitàdelle risorse comunali, che non potevano supplire ai finanziamenti governativi venuti a mancare in seguito ai tagli del ministro De Stefani. Bagarinaggio, speculazione e mercato nero dei generi alimentari erano cresciuti a dismisura e il commissario Zerbi cercò di colpirli, emettendo ordinanze con le quali si imponevano, a commercianti e speculatori di ogni genere, le regole da rispettare. Il quotidiano “il Risveglio”, in una rubrica in dialetto dal titolo “Tra cumpari”, così ricordava quel periodo: “Ncivuliva nu pocu d’ordini e di regulapiogni cosa, pirchiognunufaciva a modusoi, non si capiva nenti (…). I putiari sudunu friddu, bucceri e marinari divintaru senza sangu, sunnu tutti ca cira”253. E ancora, a proposito dell’ammiraglio Zerbi: “Non è di fissa chistu chi vinni. Dinnu chi è

tremendu e chi su schiantunu tutti. Nci vinni pi ddaveru u castigu i Diu, e si viditi comu tremunu!”254.

Siamo di fronte ad una stretta moralizzatrice della vita sociale ed economica reggina, che ancora, però, non contemplava un’opera di repressione della malavita; tuttavia, ci offre l’idea di come vi fosse a Reggio un malcostume diffuso e ampiamente tollerato. Il progetto della grande Reggio, però, si spense velocemente e con esso la permanenza di Genoese Zerbi alla guida della città. L’ingente quantità di spesa che condusse il comune quasi alla bancarotta, le difficoltà di realizzazione, le proteste di molti comuni che dovevano essere accorpati alla Grande Reggio, affossarono ogni sogno metropolitano. Nel 1928 era già tutto finito e il podestà Genoese Zerbi sostituito.

I riflettori si spensero a Reggio e di lì a poco sarebbe emersa la prova che la stessa stretta moralizzatrice si sarebbe dovuta spingere molto più a fondo e utilizzare ben altri strumenti.

252 Italo Falcomatà, La " Grande Reggio " di Genoese-Zerbi, in "Historica", n. 1, 1993, pp. 3 sgg. Sul primo podestà di

Reggio e sul progetto dell’area metropolitana cfr. anche Ferdinando Cordova, Il fascismo nel Mezzogiorno: le Calabrie, cit. pp. 203-239 e Vittorio Cappelli, Il fascismo in periferia, cit. pp. 95-104.

253Tra cumpari, «Il risveglio», 01 ottobre 1926, cit. in Italo Falcomatà, L’ammiraglio Genoese Zerbi Commissario

Prefettizio, «Historica», n. 1, 1989, pp. 10-25, cit. pp. 15 e 17.

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Solo negli anni ’30, come vedremo, infatti, un’azione repressiva avrebbe dimostrato la vitalità e capillarità della criminalità organizzata nelle pieghe sociali della società reggina.

Anche per quanto riguardava più in generale la provincia, rispetto all’approssimazione con cui erano stati costituiti i quadri fascisti nel periodo precedente, si registravano, a partire dal 1928, dei cambiamenti sul piano della gestione politica locale per quanto riguardava le sezioni del PNF e le amministrazioni comunali. A segnare il passaggio verso un’impostazione meno tollerante nei confronti di quel variegato universo sociale che, sotto le insegne del fascismo, si era attestato al potere locale negli anni precedenti, giungevano due comunicazioni ufficiali. La prima era del nuovo commissario straordinario presso la Federazione di Reggio, Giovanni Vaselli, che nell’agosto 1928 sostituì l’ammiraglio Zerbi. Il Vaselli si presentò alle autorità locali con questo discorso:

Non ho un programma da esporvi, né un discorso da farvi. Soltanto vi dico che a Reggio mi trovo benone, e non ho alcuna fretta di andarmene. Il mio programma si riassume in una sola parola, che è parola d’ordine: fascismo e fascismo di primissima qualità, di quello sordo, duro, ben sagomato, inflessibile, intransigente, che non conosce viltà né patteggiamenti (…) che stronca inesorabilmente il parassitismo ed il beghismo che smaschera i profittatori, che sveglia gli addormentati, che frusta i recalcitranti…”255.

Si profilava, dunque, la volontà di ripulire dall’interno il fascismo reggino. Poco più di un mese dopo, il prefetto Carini, il 26 settembre 1928, attraverso una circolare, così ammoniva e metteva in guardia i podestà della provincia:

Troppo spesso l’attività delle Amministrazioni … viene irretita da beghe e personalismi, che si ripercuotono dannosamente sugli interessi delle popolazioni amministrate. (…) Perché ciascuno nell’esercizio delle proprie attribuzioni non vede che un complesso di diritti e di prerogative da esercitare, non un complesso di doveri, talvolta penosi, da adempiere a servizio delle popolazioni. Ora questa mentalità passatista, ammalata di assoluta incomprensione dello spirito informatore di tutte le organizzazioni del Regime, deve cessare ad ogni costo, e cesserà in un modo o nell’altro. Il Governo Nazionale, con l’abolizione delle amministrazioni comunale collegiali, ha voluto, invero, creare nei Podestà degli organi personalmente ed incondizionatamente responsabili dell’andamento dei Comuni: le SS.LL., come tutti i pubblici amministratori, devono, pertanto, persuadersi che la carica non costituisce un appannaggio né della propria famiglia né del proprio gruppo; che presto o tardi coloro che non prendono sul serio i doveri inerenti alla carica o ne esercitino le funzioni con spirito di partigianeria o di prepotenza, saranno inesorabilmente revocati. Ed altre sanzioni potranno seguire tale revoca, perché in pieno accordo con l’Illustre commissario

255 Discorso del Commissario straordinario presso la Federazione di Reggio Calabria, avv. Giovanni Vaselli, 2 agosto

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Straordinario presso questa federazione Provinciale Fascista si è stabilito che coloro che nell’anno VI e successivi non prendono sul serio le pubbliche funzioni, siano passibili anche d’espulsione dal Partito per incomprensione; il Partito, infatti, che si rinsangua con la pura linfa proveniente dalle leve fasciste non ha bisogno di ferri vecchi256.

Queste dichiarazioni non erano puri esercizi retorici. Segnavano una svolta già in corso nella politica del regime rispetto alle variegate situazioni locali, dove era stato utilizzato il carro fascista per rianimare le tradizionali lotte politiche per l’occupazione del potere municipale. Era una fase in cui il regime aveva già avviato l’organizzazione dello Stato fascista. Il 1927 era stato l’anno del discorso dell’Ascensione (26 maggio 1927)257 e, ancor prima, della lettera ai prefetti

del 5 gennaio 1927, nella quale Mussolini, designando i prefetti quali massime autorità provinciali e principali rappresentanti del governo nelle province – gerarchicamente superiori anche alle autorità locali del PNF258 – li investiva del compito di fascistizzare lo Stato secondo le

linee mussoliniane e di difendere il regime contro tutti coloro intendessero insidiarlo o indebolirlo, dall’interno e dall’esterno. Il riferimento più diretto ed esplicito era contro lo squadrismo e l’ala intransigente dello stesso fascismo, il che autorizzava i prefetti a vigilare anche sulle dinamiche interne al PNF, ma anche contro i residui delle vecchie pratiche politico- clientelari proprie del vecchio ed abborrito regime liberale:

Soprattutto nell’Italia meridionale, il prefetto del regime fascista deve instaurare l’epoca dell’assoluta moralità amministrativa, spezzando risolutamente le sopravvivenze camorristiche ed elettoralistiche dei vecchi regimi. Similmente all’azione di controllo, secondo le leggi istituzionali del regime, il prefetto fascista deve procedere alle epurazioni che si rendano necessarie nella burocrazia minore, e indicare al partito e alle organizzazioni responsabili del regime elementi nocivi. Il prefetto fascista deve imporre che siano allontanati e banditi da qualunque organizzazione o forza del regime tutti gli affaristi, i profittatori, gli esibizionisti, i venditori di fumo, i pusillanimi, gli infetti di lue politicantista, i vanesi, i seminatori di pettegolezzi e discordie, e tutti coloro che vivono senza una chiara e pubblica attività259.

Se nei primi anni ‘20, insomma, erano state disattese le aspettative palingenetiche dei primi gruppi fascisti, dal 1927 in poi si tentò di porre un argine alla crisi morale ed ideologica del

256 Funzioni podestarili e situazioni locali, R. Prefettura di Reggio Calabria ai Sigg. Podestà della provincia, 26

settembre 1928, Ivi, cit. pp. 70-72.

257 In questo famoso discorso Mussolini parla dei successi delle repressioni contro la malavita in Sicilia ed in

Campania, ma non nomina minimamente la Calabria. Cfr. John Dickie, Blood brotherhoods, cit. p. 311.

258 Cfr. Renzo De Felice, Mussolini il fascista. II, L’organizzazione dello Stato fascista. 1925-1929, Torino, Einaudi,

1995, p. 298.

259 Benito Mussolini, Circolare ai prefetti, in Id., Opera omnia, vol. 22, Dall’attentato Zaniboni al discorso

dell’Ascensione. 5 novembre 1925-26 maggio 1927, a cura di Edoardo e Duilio Susmel, Firenze, 1957, pp. 467-470, cit. p. 469.

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fascismo locale.Questo quadro, tutto sommato già noto ed intuibile, si completa focalizzando l’attenzione sull’opera di repressione contro la criminalità organizzata, che aveva avuto avvio nella metà del 1927: l’analisi di una serie di documenti giudiziari e politici, che vedremo nel dettaglio nel prossimo capitolo, lascia intravedere, infatti, come fino a quel momento, nella periferia calabrese, gli organi periferici del regime non solo si fossero appoggiati ai classici gruppi politico clientelari, ma che questi, in tutta la zona sud-aspromontana, si legavano e spesso coincidevano col vasto potere mafioso. Sia sindaci e amministratori di età liberale che nuovi gruppi clientelari erano i protagonisti di questa storia. Su questo fronte, gli scrupoli e le preoccupazioni del fascismo cominciarono solo nel 1927, a regime consolidato, quando, in concomitanza con le prime indagini volute dal regime, i prefetti, di fronte alle indicazioni di polizia e carabinieri, diedero avvio ad un difficile, lento e parziale lavoro di bonifica delle amministrazioni locali.

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4. “Podestà, capibastone e maestri di sgarro”. La prima ondata repressiva