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San Roberto I costi della protezione mafiosa.

4 “Podestà, capibastone e maestri di sgarro” La prima ondata repressiva fascista (1927-32).

4.4. San Roberto I costi della protezione mafiosa.

A San Roberto, secondo i giudici di Reggio Calabria, una sezione della Famiglia Montalbano “esisteva fin dal 1870”. Per circa 40 anni fu capo Rocco Cambareri, sostituito poi, già prima della grande guerra, da Giuseppe Oliveri. Una formidabile continuità, nonostante la presenza costante in Calabria, ed in particolare nella provincia di Reggio, di una attività repressiva a partire dagli anni ’80 dell’800.

338 Sentenza Francesco Filastò + 11, cit.

339 Santo Stefano d’Aspromonte. Nomina del podestà, Prefettura di Reggio Calabria al MI, DGAC, 17 novembre

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Giuseppe Oliveriera il guardiano dei fondi dei fratelli De Salvo, ricchi proprietari terrieri attivi nella vita politica locale. Vincenzo De Salvo, avvocato, in virtù dell’appoggio garantitogli dal proprio fattore, fu eletto sindaco nel 1921. La riconoscenza nei confronti della malavita non tardò a manifestarsi: nello stesso 1921, infatti, in occasione di indagini contro l’associazione a delinquere di San Roberto, “l’autorità giudiziaria richiese i certificati di rito di una quarantina di imputati, fra cui lo stesso Oliveri, ed il Sindaco Sig. De Salvo li rilasciò attestando, contrariamente al vero, che erano tutti di incensurata condotta”340.

Nei documenti a nostra disposizione non sono spiegati i motivi, ma ci si limita a registrare, nel luglio 1924, un tentativo di rottura dei rapporti con il capobastone Oliveri da parte dei fratelli De Salvo, i quali tentarono, senza successo, di sostituirlo nel lavoro di fattore presso i propri fondi. Si può immaginare, in maniera del tutto ipotetica, che influisse, in questa decisione, il nuovo corso della vita politica e l’avvento del fascismo, oppure che si volesse favorire un altro gruppo di malavita, considerando che al suo posto fu scelto un altro affiliato, Carlo Antonino, successivamente costretto a licenziarsi e ad emigrare in America341. In ogni

caso, la reazione dello stesso Oliveri rivelava il forte potere dell’élite violenta nei confronti delle classi elevate, le quali, una volta prestato il fianco, difficilmente riuscivano a sottrarsi al controllo della malavita, in nessun modo intenzionata a perdere le posizioni di prestigio che le permettevano un forte condizionamento sull’amministrazione comunale. L’Oliveri, infatti,

un mattino, non potuto precisare, del citato mese di luglio, si recò in quel Municipio e, in presenza del Segretario Comunale, Sig. Cotronei Giuseppe (…), e Fiorentino Domenico (…), impiegato, battendo i pugni sul tavolo del Sindaco lo apostrofò con la seguente frase: “Io vi ho messo a quel posto, adesso dimettetevi”. Il De Salvo fu costretto subire l’imposizione e rassegnò le dimissioni unitamente a tutto il Consiglio. Verso la fine del novembre 1924, i fratelli De Salvo riassunsero l’Oliveri come fattore: nel successivo dicembre vennero nuovamente indette le elezioni amministrative e l’Avv. De Salvo, mercé l’appoggio del proprio fattore e conseguentemente della delinquenza, venne nuovamente eletto Sindaco342.

Alle parole minacciose dell’Oliveri erano seguiti i fatti: i fratelli De Salvo, infatti, subirono due incendi343, in seguito ai quali decisero di riassumere il vecchio fattore, capo di malavita, cui

340 Commissario di PS di Villa S. Giovanni. Amministrazione comunale di S. Roberto, Prefettura di Reggio Calabria al

MI, Dgac, 5 gennaio 1929, ACS, MI, Dgac, Pcm, Reggio C., S. Roberto, b. 244. Le stessa relazione si trova anche in ACS, MI, Dgps, aaggrr, ca, 1929, Op RC, b. 162.

341 Corte di Appello di Messina, Sentenza della sezione di accusa del 10 febbraio 1931, a. IX, contro Oliveri

Giuseppe, cit.

342 Commissario di PS di Villa S. Giovanni. Amministrazione comunale di S. Roberto, Prefettura di Reggio Calabria al

MI, Dgac, 5 gennaio 1929, cit.

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seguì, come si è visto, la possibilità di insediarsi nuovamente al Municipio. Eppure, i rapporti tra la famiglia De Salvo e la criminalità organizzata di San Roberto erano destinati ad incrinarsi nuovamente per l’incapacità dei De Salvo di difendere la malavita dalla repressione fascista e per la loro successiva collaborazione con l’autorità inquirente. Si trattava, comunque, di una collaborazione tardiva.

Nel 1926, il solito Vincenzo De Salvo ottenne la carica di podestà di San Roberto permettendo, ancora una volta, la continuità dei circuiti politico-mafiosi al potere nei piccoli comuni calabresi tra età liberale e avvento del regime fascista, almeno fino ad una fase di forte consolidamento dello Stato totalitario. Fino alla scoperta dell’associazione a delinquere ed agli arresti su larga scala, compiuti nel 1929344, il podestà De Salvo si premurò di difendere la

criminalità organizzata: in occasione di un furto ai danni di Giuseppe Cimino, per esempio, i fratelli De Salvo consigliarono di non denunciare il fatto alle autorità e si interessarono per la restituzione della refurtiva345. Ancora più evidente l’atteggiamento assunto nei confronti della

guardia municipale Filippo D’agostino, il quale, su richiesta del brigadiere a piedi Vito Pedone, aiutò “l’Arma nelle indagini dirette ad identificare gli autori dell’omicidio del catturando Reitano Antonino”, in seguito alle quali furono fermati proprio Oliveri Giuseppe e altri tre coloni del De Salvo. Questi perseguitò la propria guardia municipale minacciandola di licenziamento e, “per dare una soddisfazione alla delinquenza locale”, inviò “al Comando della Legione di Catanzaro un rapporto ufficiale contenente gravi ed infondate accuse contro il Brigadiere, reo di avere osato di arrestare l’Oliveri e i suoi accoliti”346.

Tali fatti, descritti dal commissario di PS di Villa S. Giovanni, condussero, nel febbraio del 1929, alla revoca del De Salvo dalla carica di podestà. A differenza di quanto era accaduto a Calanna e a Villa S. Giuseppe, però, il podestà non venne incriminato per il reato di complicità. Ciò gli permise di accreditarsi come autorevole testimone a carico nel corso del procedimento di associazione a delinquere; la quale cosa era evidentemente funzionale a svincolare la propria figura dalla vicinanza alla criminalità organizzata, tanto più che Vincenzo De Salvo aveva modo di presentarsi come una vittima, piuttosto che come un amministratore e possidente sospetto di contiguità con la malavita. La collaborazione del De Salvo con la giustizia scatenò la violenta reazione della criminalità organizzata. Non tutti gli affiliati, infatti, erano stati arrestati e

344 Brillante operazione di polizia nelle campagne di San Roberto, «Cronaca di Calabria», a. XXXV, n. 44, 26 maggio

1929.

345 Commissario di PS di Villa S. Giovanni. Amministrazione comunale di S. Roberto, Prefettura di Reggio Calabria al

MI, Dgac, 5 gennaio, cit.

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quelli che vivevano ai margini di tale associazione per rapporti di parentela, di affinità, di sentimento e di educazione, quelli stessi che poterono sfuggire alle indagini di quel grave e complesso procedimento penale sentivano il bisogno di esplicare i loro istinti perversi, di perpetuare il retaggio di sangue e di violenza, ed ancora di vendicare i consoci nel delitto, già assicurati alla Giustizia, sugli artefici ed ispiratori della nobile campagna contro l’organizzazione del delitto rappresentati da coraggiosi elementi locali di S. Roberto, uomini d’ordine, benestanti, dirigenti delle organizzazioni del Regime347.

L’atto più clamoroso di questa volontà di vendetta fu l’incendio appiccato la notte del 30 agosto 1930 al bosco di proprietà di Giuseppe De Salvo. Pervenne, inoltre, un anonimo presso la stazione dei carabinieri di San Roberto con il quale si denunciava “che la malavita avrebbe in seguito adottato gravi provvedimenti contro Cimino, De Salvo, e il caposquadra della Milizia Volontaria”348.

Nella stessa sentenza del luglio del 1931 (contro De Gaetano Domenico + 20), con la quale veniva condannato questo secondo gruppo di malavita, si faceva riferimento ad una forte opposizione nei confronti delle organizzazioni del fascismo. Testualmente i giudici scrivevano che “gruppi di giovinastri si aggiravano in ora tarda della notte in località deserte in atteggiamenti sospetti, mentre si tentava di allontanare la sana gioventù dalle organizzazioni fasciste, usando lo scherno e la denigrazione”349. Come si è già rilevato e tentato di dimostrare,

non è il caso di trarre conclusioni generali da questo atteggiamento nei confronti del fascismo: nel caso di San Roberto questo si spiegava perché la presenza paramilitare del regime rappresentava una minaccia concreta nei confronti della criminalità organizzata, ma in circostanze diverse la picciotteria non faceva questioni di pregiudiziale politica nel perseguire l’obiettivo del controllo del territorio e del potere locale. Si può concludere che in occasione della repressione, a San Roberto, la malavita sentisse il bisogno di riaffermare il proprio potere violento contro l’azione repressiva condotta dal regime; e questa volontà fu perseguita attraverso un’opera di dissuasione dall’aderire alle organizzazioni del fascismo, condotta soprattutto nel milieu popolare e nel momento in cui sembrava incrinarsi il ruolo di élite dirigente violenta della picciotteria. Tuttavia, come era già avvenuto in altre località, anche a San Roberto, in momenti più tranquilli, la malavita non disdegnava di sfruttare le varie realtà associative e politiche, comprese quelle fasciste, o quanto meno i loro esponenti, per entrare prepotentemente nell’agone politico.

347 ASRC, Trc, Sentenza De Gaetano Domenico + 20, 16 luglio 1931, b. 239. 348 Ibid.

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Dopo la parentesi rappresentata dal Podestà Cimino, succeduto a De Salvo, ritornava, infatti, ad intravedersi l’ombra della malavita nella vita amministrativa e, negli anni ’30, questa non poteva che esplicarsi tutta all’interno delle organizzazioni fasciste. La lettera con la quale, nel settembre 1935, il prefetto motivava la rimozione del podestà Stanislao Cobelli, nominato l’anno precedente, descriveva, infatti, un quadro di fazioni in lotta, dietro le quali si stagliava minacciosa la criminalità organizzata:

Da qualche tempo una situazione politico-amministrativa assai difficile s’era creata in San Roberto, ambiente in cui la delinquenza associata ha avuto larghe radici. Le fazioni in lotta in questo Comune si affiancavano ai pregiudicati che, venendo in contrasto fra loro, minacciavano di turbare seriamente l’ordine pubblico. Il podestà Avv. Stanislao Cobelli, (…) non rifuggì neanche lui dal coltivare legami con pregiudicati e si circondò, in particolar modo, di quegli elementi di mala vita che egli aveva difeso davanti l’Autorità Giudiziaria nello esercizio della sua professione di avvocato. Forti della considerazione nella quale erano tenuti dal Capo dell’amministrazione, costoro ingaggiano ben presto una lotta con i loro avversari, lotta che sotto l’aspetto politico, in sostanza celava i vecchi rancori da cui erano divisi per le loro delittuose malefatte350.

Occorre rilevare, ancora una volta, come la repressione fascista non sia riuscita a sradicare il potere criminale, complice l’esiguità degli anni di pena (l’Oliveri fu condannato a sette anni, ma molti altri a pene inferiori ai tre anni), il fatto che il carcere fosse un luogo di malavita, in quanto la criminalità vi esercitava il proprio potere in piena continuità con le attività esercitate all’esterno, ed, infine, complice l’incapacità dello Stato, al di là dei momenti repressivi, di penetrare realmente la società locale e le consolidate relazioni politico-mafiose.