SECONDA PARTE IL TEMA DELLA VELLEITAS IN RIFERIMENTO ALLA FIGURA DI ULISSE
1.5 La capacità persuasiva di Odisseo
Odisseo è maestro, oltre che nell'arte dell'inganno e dei travestimenti, anche della persuasione. Questa sua innata abilità, emerge sia nell'Iliade sia nel poema epico a lui dedicato: l'Odissea.
Esaminiamo un famoso episodio dell'Iliade in cui si manifesta tutta l'abilità retorica di Odisseo: egli deve evitare all'esercito greco di abbandonare la spiaggia di Troia. Nel secondo canto dell'Iliade, Agamennone vuole saggiare lo stato d'animo delle truppe prima di lanciarle all'attacco contro le mura di Ilio. Per riuscire nell'intento, escogita un discorso fittizio:
...Ma pria
giovi con fiuto favellar tentarne, fin dove lice, i sentimenti. Io dunque
comanderò che sulle navi ognuno si disponga alla fuga, e sparsi ad arte
voi [i capi achei] l'impedite con opposti accenti188.
I soldati vengono fatti uscire dalle navi e si radunano in assemblea, Agamennone stringendo lo scettro del potere, dice ai soldati di essere costretto a ritornare in patria per volontà di Zeus; comanda dunque di dar vento alle vele e di fuggire verso la terra natia. Il re dei re, Agamennone, si sarebbe aspettato una reazione di indignazione da parte degli uomini, indignazione che li avrebbe resi più determinati e più disposti a combattere189. Ma le parole di Agamennone vengono prese alla lettera e i soldati si precipitano alle navi190.
Gli Achei sarebbero tornati in patria prima del dovuto se Era non avesse spinto Atena ad intervenire. La dea va da Odisseo e lo convince ad agire per impedire che i soldati abbandonino Troia. Odisseo riconosce la voce della dea, getta il mantello e va incontro ad Agamennone e prende lo scettro regale correndo velocemente con questo tra le navi greche. Quando trova dei comandanti o dei re, li convince a non lasciarsi vincere dalla paura, e li incita a trattenere i soldati dalla fuga. Odisseo spiega loro che tutti hanno frainteso le parole di Agamennone e che quest'ultimo, irato, avrebbe punito tutti gli Achei se i re e i capi non avessero fatto nulla per impedire loro la fuga.
Con i re e i capi che trova, Odisseo utilizza un “parlar lusinghiero”191; con i soldati egli non si trattiene dal colpirli con lo scettro gridando loro con fare severo di tacere, chiamandoli: codardi, incapaci, deboli nei propositi e nulli in battaglia192. Inoltre egli dice che non tutti possono fare i re e che un regno governato da tanti è sempre stato in preda al disordine. Solo uno doveva essere il capo193. Odisseo, attraverso l'esercizio del comando, placa gli animi e i soldati, nuovamente, dalle navi si raccolgono in assemblea194.
Interessante è notare il modo in cui Odisseo riesca a riordinare le truppe e frenare un intero esercito in fuga; egli è veloce nel comprendere la situazione e con un gesto ardito, strappa lo scettro di mano al re dei re. In quella situazione di pericolo egli fa ciò che nessun uomo, comandante o re greco avrebbe fatto: togliere ad Agamennone il simbolo del potere.
Odisseo è abile nell'usare con i capi e i re achei parole gentili, ferme, ma cortesi. Odisseo è l'uomo giusto al posto giusto nel momento giusto; senza di lui l'esercito sarebbe fuggito in
188OMERO, Iliade, a cura di V. Monti, Mondadori, Milano 1995. 97-98.
189G. LENTINI, Il padre di Telemaco, Odisseo tra Iliade e Odissea, Giardini, Pisa 2006. p. 20.
190Ibidem.
191OMERO, Iliade, 247.
192G. LENTINI, Il padre di Telemaco, Odisseo tra Iliade e Odissea, 3, p. 20.
193OMERO, Iliade, II, 258-267.
rotta. La sua azione persuasiva, ma anche repressiva, è efficace perché tutti riprendono il loro posto in assemblea195. Odisseo riesce nell'impresa difficilissima di placare gli animi di un intero esercito, eccetto quello di un uomo, Tersite:
...il sol Tersite
di gracchiar non si resta, e fa tumulto parlator petulante196.
Nella descrizione del personaggio, alla deformità fisica, di cui siamo informati attraverso una descrizione eccezionalmente dettagliata197, si associa quella che sembra una qualità del carattere: la tendenza a insultare. Un personaggio negativo dunque, volgare, scurrile che osa insultare tutti i re. Costui era il nemico giurato di Achille, ma era solito insultare anche Odisseo e Agamennone. Tersite consiglia di lasciare Troia perché quella non sarebbe stata altro che una guerra voluta per le brame e il diletto di Agamennone198. Tersite, inoltre, insulta anche Achille. Odisseo però, gli va subito incontro e, con lo sguardo torvo, gli grida di smetterla con le sue grida, lui che è il peggiore fra gli Achei venuti a Troia, e che osa arringare contro i re.
Odisseo accusa Tersite di blaterare offese solo perché è invidioso di Agamennone e per il semplice fatto che gli eroi achei lo onorano. Odisseo chiude il discorso con un monito verso Tersite: se egli dovesse ritrovare il millantatore in quello stato di pazzia, lo spoglierà, lo percuoterà e lo manderà via dall'assemblea in lacrime. Se ciò non dovesse accadere, che la sua testa non gli stia più sulle spalle, né sia chiamato padre di Telemaco199. Terminata l'orazione, Odisseo percuote Tersite con lo scettro, ed egli si contorce e si mette a piagnucolare.
Di fronte a questa scena, i tristi Achei si rallegrano e scoppiano a ridere200. Alcuni parlando fra loro, si dicono che fra tutte le grandi imprese di Odisseo questa è la più eccellente: l'essere riuscito a frenare la lingua di Tersite. Odisseo è bravissimo nel creare la situazione per cui gli Achei, afflitti e impauriti, si riscuotano ridendo di un uomo inviso da tutti. Tersite appare come il capro espiatorio, al quale vanno le attenzioni e lo scherno di tutto l'esercito.
Ora che l'atmosfera si è rasserenata, Odisseo si erge con lo scettro in mano e sostenuto dalla dea Atena, che fa in modo che su tutti cali il silenzio, comincia una saggia orazione. Per prima cosa, si rivolge ad Agamennone supplicandolo di perdonare gli Achei che sospirano al
195 G. LENTINI, Il Padre di Telemaco nell'Iliade, p. 21.
196 OMERO, Iliade, II, 274-276.
197 Ivi, II, 282-286. 198 Ivi, II 293-310. 199 Ivi, II 335-342. 200 Ivi, II, 351-360.
modo dei fanciulli e che hanno dimenticato la solenne promessa di ritornare a casa, solo dopo aver abbattuto le mura di Troia201.
Odisseo che parla ad Agamennone, ma che in realtà si sta rivolgendo a tutto l'esercito, continua dicendo che egli compiange gli Achei, lontani da casa, non da un mese (e sarebbe molto tempo), ma da ben nove anni. Egli, però, aggiunge che dopo tanto tempo, tornare senza gloria è azione turpe, per cui (e qui Odisseo si rivolge direttamente ai soldati), gli uomini devono pazientare ancora un po', almeno fino a sapere se l'indovino Calcante avesse profetizzato il vero202.
Odisseo racconta dello strano episodio in cui avvenne che Calcante profetizzò che la guerra di Troia sarebbe durata per ben nove anni e, solo al decimo, la città sarebbe caduta. Per cui Odisseo esorta i soldati a perseverare e a restare a Troia fino al giorno in cui si sarebbe compiuta la profezia.
A queste parole, dall'esercito si leva un alto grido, cui fa eco un immenso e molteplice clamore dalle navi. Odisseo attraverso l'arte oratoria, riesce nel difficilissimo intento di riportare in riga i soldati e motivarli in vista della vittoria profetizzata. Odisseo è dunque un maestro in quest'arte che prende il nome di retorica (téchne rethoriké).
Aristotele definisce in questo modo quest'arte: «la retorica può essere definita la facoltà di scoprire il possibile mezzo di persuasione riguardo a ciascun soggetto»203. Secondo il filosofo di Stagira, l'elemento caratteristico della retorica sono le argomentazioni logiche204. Gli altri elementi quali: il pregiudizio, la compassione, l'ira e simili emozioni dell'anima, sono da considerarsi estrinseci205.
Abbiamo visto come Odisseo non si attiene ai discorsi per persuadere gli uomini; egli utilizza anche uno strumento, lo scettro, per percuoterli e ricondurli all'ordine. Anche nell'Odissea, il protagonista utilizza sapientemente le parole per ottenere il fine che desidera. Il discorso rivolto a Penelope per celare la sua identità, è emblematico (Canto IX). Egli travestito da vagabondo, viene interrogato da Penelope riguardo il marito, «trovandosi nell'urgenza di comunicarle qualcosa di vero, non può abbandonarsi a raccontare storie completamente false, come finora con altri aveva fatto; deve allora, ricorrere a un terzo genere di racconti, quelli che diremmo verosimili206.
201 Ivi, II, 369-376. 202 Ivi, II, 388-392.
203 ARISTOTELE, Retorica, I, 2, 1355 b.
204 Ivi, I, 1, 1354 a.
205 Ibidem.
Odisseo deve essere molto scaltro in una simile situazione poiché «invitato dalla regina a parlare del marito, egli non deve svelare la propria identità: deve riuscire a parlare di sé come vedendosi da fuori, come un qualsiasi araldo che riporti le altrui notizie o i fatti di altri che ha visto. Si tratta di non essere se stesso per parlare in modo veritiero di sé; un modo di dire il falso per comunicare il vero, un modo che ha le sue regole retoriche207. Grazie alla sua capacità di grande persuasione, Odisseo riesce a realizzare i suoi obiettivi e, celandosi dietro le parole o utilizzandole ad arte, riesce a risolvere, in ogni situazione, difficoltà altrimenti insormontabili.