SECONDA PARTE IL TEMA DELLA VELLEITAS IN RIFERIMENTO ALLA FIGURA DI ULISSE
2. L'ULISSE LATINO E L'EVOLUZIONE STORICA DEL PERSONAGGIO
2.4 Diverse interpretazioni della figura di Ulisse nel mondo latino
Nell'età ellenistico-romana, critici che avevano avanzato riserve sulla filosofia, la teologia, la morale omerica, cominciano a ritenere poco nobili i costumi degli eroi omerici, difesi invece dagli Alessandrini, iniziatori dello studio filologico di Omero, e dagli stoici che consideravano Ulisse come un esempio da imitare. Essi vedevano in lui l'uomo della pazienza, della prudenza, della fortezza242.
I filosofi stoici come Zenone, Seneca, Epitteto, vedevano in Odisseo l'ideale dell'homo viator ossia pellegrino della vita243. Secondo Epitteto (50 d.C-120 circa d.C), il coraggio, l'ingegno e la patientia sono le doti di Ulisse primo cittadino del mondo244. Orazio (65-8 a. C) condivide la concezione di Epitteto riguardo al fatto che Ulisse sia un modello da seguire. Egli è l'autore di versi fondamentali che influenzeranno notevolmente Dante al momento della presentazione del suo Ulisse. Ecco come Orazio descrive l'eroe omerico, differenziandolo da tutti gli altri uomini che hanno preso parte alla distruzione di Troia:
«Seditione, dolis, scelere atque libidine et ira Iliacos intra muros peccatur et extra. Rursus, quid virtus et quid sapientia possit, utile proposuit nobis exemplar Ulixen, qui domitor Troiae multorum providus urbes, et mores hominum inspexit, latumque per aequor, dum sibi, dum sociis reditum parat, aspera multa pertulit, adversis rerum inmersabilis undis»245.
Ulisse viene presentato come un uomo curioso di conoscere e per nulla incline ai peccati e alle seduzioni dei piaceri terreni. Egli sa resistere alle tentazioni e rimanere fermo nei propri propositi. I due aggettivi che contraddistinguono l'Ulisse oraziano sono sapientia e virtus, a cui si aggiunge la curiositas, ossia il desiderio di sapere. Cicerone (106-43 a.C), rappresenta l'altra voce, nell'Occidente latino, favorevole al personaggio Ulisse. Per Cicerone l'eroe
242 M. ZAMBARBIERI, L' Odissea com'è, pp. 817-818.
243 Ivi, p. 818.
244 EPITTETO, Tutte le opere. Diatribe – Frammenti – Manuale gnomologio, a cura di G. Reale e C.
Cassammagnago, Bompiani, Milano 2009, diatriba III, XXIV.
245«Sedizioni, frodi, delitti, dissolutezze e ira, le ignominie che si commettono e dentro e fuori le mura troiane.
Di contro si propone Ulisse, che dopo a ver vinto Troia, si preoccupò di conoscere le città e i costumi di molte genti, e che sull'ampia distesa del mare, in cerca del ritorno per sé e per i suoi, subì travagli d'ogni genere, senza
lasciarsi mai sommergere dai marosi dell'avversa fortuna». (ORAZIO, Epistole e Ars Poetica, trad. it. di U.
omerico è il «sapientissimus Graeciae»246. Egli è esempio di virtù, prudenza, fortezza247. In un passo del De finibus, Cicerone, traducendo i versi omerici della sirena che nessuno dei compagni dell'eroe aveva ascoltato, così li commenta: «scientiam pollicentur: quam non erat mirum sapientiae cupido patria esse cariorem. Atque omnia quidem scire, cuiuscumque modi sint, cupere curiosorum; duci vero maiorum rerum contemplatione ad cupiditatem scientiae summorum virorum est putandum»248.
Anche questi versi saranno importanti per Dante, poiché in essi si rispecchia l'ideale dell'uomo che considera la conoscenza superiore ai beni terreni. L'atteggiamento di Virgilio nei confronti di Ulisse è estremamente negativo. Nonostante egli sia stato un grandissimo ammiratore di Omero, non può che esprimere parole dure nei riguardi dell'eroe greco così differente dal suo modello di eroe latino: Enea249.
Virgilio racconta del misfatto compiuto da Odisseo che, intrufolatosi all'interno delle mura di Troia, era riuscito a penetrare nel sacro recinto del tempio di Atena e a rubare il Palladio. Questo atto portò grande sfortuna ai Greci250. Parlando di questa malefatta di Ulisse, Virgilio lo qualifica come impius (empio)251. Dirus ed impius sono aggettivi che definiscono in modo estremamente negativo Odisseo, mettendolo in contrapposizione al pius Enea.
La differenza fra i due eroi sta nel fatto che Ulisse è semplicemente un ingannatore senza onore, che risulta addirittura blasfemo in quanto ruba un oggetto sacro a una dea. Enea, al contrario, è ubbidiente agli déi e segue sempre il loro volere. (Approfondiremo in seguito questo aspetto estremamente importante per comprendere la diversità fra l'atteggiamento di Ulisse, Enea e Dante nei confronti della divinità).
Ulisse viene anche denominato con l'aggettivo pellax252, cioè subdolo. Ulisse viene inteso come un uomo ingannatore, falso accusatore, pronto a godere dell'altrui rovina.
Seneca considera in modo positivo Ulisse, considerandolo come l'unico eroe, assieme ad Ercole, che possa essere paragonato per sapienza e fortezza a Catone Uticense253. Nonostante tali considerazioni, Seneca esprime la sua insofferenza nei riguardi di Ulisse, a causa della sua
246 CICERONE, De finibus, trad. it. di A. Stefanuto, Sui fini, Collana Sormani, Milano 1993, II, 29, 48.
247 CICERONE, De officiis, trad. it. G. Picone e R. R. Marchese, Einaudi, Torino 2012, I, 31, 131.
248«[Le Sirene] promettono la scienza, che non era sorprendente che fosse più cara della patria ad un [uomo]
desideroso di sapienza. E desiderare di conoscere tutte le cose, quali che siano, deve essere ritenuto proprio dei curiosi, invece essere condotti tramite la contemplazione delle cose più grandi al desiderio della scienza deve essere ritenuto proprio degli uomini sommi». (CICERONE, De finibus, V, XVIII, 49).
249 M. ZAMBARBIERI, L'Odissea com'è, p. 818.
250 VIRGILIO, Eneide, II, 163-170.
251 Ivi, II, 163.
252 VIRGILIO, Eneide, II, 90.
253 SENECA, De Constantia Sapientis, trad. it. di R. Crescitelli, La fermezza del saggio, Avia Pervia, Modena
doppiezza. Questo atteggiamento di Seneca nei confronti di Ulisse, è ben evidente nelle Troades ed esattamente nell'apostrofe che Andromaca rivolge contro l'eroe greco, mentre egli si accinge a sacrificare Astianatte, con la scusa del volere divino:
O machinator fraudis et scelerum artifex, virtute cuius bellica nemo occidit, dolis et astu maleficae mentis iacent etiam Pelasgi, vatem et insontes deos praetendis? Hoc est pectoris facinus tui. Nocturne miles, fortis in pueri necem, iam solus audes aliquid et claro die 254.
Questi versi di Seneca fanno ricordare i sentimenti anti-odisseici sparsi nell'Ecuba, nelle Troiane e nell'Efigenia in Aulide, di Euripide.
Un altro autore che prende in considerazione il personaggio Ulisse è Ovidio (43 a. C- 18 d.C). Il XIII e il XIV Libro delle Metamorfosi sono fondamentali per l'evoluzione della figura dell'eroe greco. In particolare, l'immagine di Ulisse come consigliere fraudolento - aiutato nelle sue malefatte da Diomede - è propria delle Metamorfosi. Nel Libro XIII, Ovidio racconta della disputa tra Ulisse e Aiace per il possesso delle armi di Achille255. Viene presentato un agone oratorio fra il re di Itaca e il figlio di Telamone. Il secondo, di fronte ad Agamennone a agli altri comandanti degli Achei, prende la parola per primo e ricorda le gesta che ha compiuto sotto le mura di Troia. Loda se stesso, il suo coraggio e le sue imprese. Cerca di diffamare Ulisse dicendo che le imprese di quest'ultimo avvengono sempre di notte, che agisce senza rispetto degli dèi e inganna gli uomini. Racconta inoltre che è stato proprio Ulisse ad aver causato la morte di Palamede, inventando una subdola menzogna ai danni di quest'ultimo.
I re achei erano stati indotti dall'inganno di Ulisse a condannare a morte Palamede. Aiace afferma di essere il figlio del potente Telamone e di appartenere ad una stirpe onorata, mentre accusa Ulisse di essere della stirpe di Sisìfo (figlio di Eolo, famoso per le sue azioni fraudolente). Ricorda di essere il cugino di Achille e per questo di meritare le sue armi dorate. Infine ricorda le malefatte di Ulisse e Diomede (suo inseparabile compagno di misfatti), come il furto del Palladio.
Ulisse rimane un poco in silenzio e poi comincia la sua orazione ricordando di quanto sia 254«Ideatore di intrighi e artefice di delitti, per il cui valore bellico mai perì nessun nemico, ma i cui inganni e l'astuzia della mente malefica portarono alla rovina anche dei Greci, adduci a pretesto il vate Calcante e gli dèi immuni da c olpa? No, questo misfatto è un'idea della tua mente. Soldato di notte, coraggioso a tramare l'assassinio di un fanciullo, finalmente osi fare da solo qualcosa anche alla luce del giorno» (SENECA, Le
Troiane, trad. it. di F. Stok, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1999, 751- 757).
triste quella contesa, in quanto essa avviene a causa della morte del più grande eroe greco: Achille, che Ulisse stesso aveva convinto a combattere a Troia (svelando il suo travestimento). Il re di Itaca afferma di poter vantare al pari di Aiace una stirpe onoratissima che da parte del padre Laerte giunge fino a Giove. Egli racconta di come il suo ingegno sia sempre stato al servizio dell'esercito greco e di come i suoi misfatti siano stati dettati da necessità. Il furto del Palladio, per esempio, era una necessità decisa dal fato, poiché senza il furto della statua, Troia non sarebbe mai potuta cadere. Nei gesti e nelle parole, Ulisse si dimostra superiore ad Aiace, che viene sconfitto nell'agone retorico. Le armi di Achille vengono affidate ad Ulisse, e Aiace, non potendo sopportare il disonore, si toglie la vita con la sua spada256.
Decisivo per la creazione dell'Ulisse dantesco è anche il Libro XIV delle Metamorfosi, dove Ovidio descrive la partenza di Ulisse dall'isola di Circe con destinazione ignota: episodio da cui Dante prenderà le mosse per la creazione del suo “nuovo Ulisse”. Nel XIV Libro delle Metamorfosi, si narra dell'arrivo di Enea al promontorio del Circeo, dove incontra un compagno di Ulisse: Macareo, il quale gli narra come l'eroe greco, trattenuto assieme ai compagni da Circe, sia riuscito infine a liberarsi dell'insidioso potere della maga257.
Macareo spiega che Circe aveva preannunziato ai Greci, divenuti “pigri e tardi” per l'attesa (Ulisse e compagni erano prigionieri da un anno), una lunga e insidiosa navigazione258. Macareo, spaventato dalla profezia, aveva preferito fermarsi a terra. Ovidio in questi due Libri delle sue Metamorfosi, ci presenta un Ulisse dotato sia di caratteristiche positive: l'abilità nel parlare, la capacità di resistere alle tentazioni, il disprezzo del pericolo (parte dall'isola di Circe, nonostante i pericoli che dovrà affrontare), sia di caratteristiche negative: l'ingegno usato ad arte a danno del prossimo.
Anche Stazio (40-96 d.C) non è completamente avverso alla figura di Ulisse. Nell'Achilleide, Ulisse viene presentato (40-96 d.C) nelle vesti di uomo astuto. Stazio lo definisce dirum Ulixem259 (il crudele Ulisse); sottolineandone la crudeltà e doppiezza. Allo
stesso tempo lascia trasparire una certa ammirazione nei riguardi dell'eroe greco quando lo definisce providus heros260, ovvero l'eroe che prevede e provvede. Il poeta latino a questo proposito, descrive l'episodio in cui Ulisse riesce a smascherare Achille vestito da donna per 256 Ivi, XIII, 386-398.
257 Ivi, XIV, 271 ss. 258 Ivi, XIII, 435-440.
259 STAZIO, Achilleides, trad. it. di G. Rosati, Achilleide, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1994, I, 94.
sfuggire alla guerra di Troia che sarebbe stata fatale per lui, come gli aveva predetto la ninfa Tetide sua madre. Ulisse grazie alla sua scaltrezza, riesce a smascherare l'inganno e a scoprire Achille.
Stazio è l'esempio di come Ulisse nel mondo antico sia stato soggetto ad aspre critiche, ma anche ad ammirazione; questo a causa della sua multiforme e variopinta personalità.
2.5 Autori latini fondamentali per Dante