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Perché Ulisse si trova all'Inferno

3 L'ULISSE DANTESCO

3.1 Perché Ulisse si trova all'Inferno

Nel punto precedente della ricerca, abbiamo visto come Dante in un certo senso simpatizzi per l'eroe omerico, tanto da utilizzare il personaggio per esprimere temi fondamentali quali: l'ardore di conoscenza, l'intelligenza umana, la curiosità nei confronti del mondo. Tuttavia, il Poeta non può non condannare Ulisse. L'eroe greco, infatti, ha compiuto una serie di malefatte che lo hanno trasformato in peccatore. Egli deve dunque subire all'Inferno la giusta punizione divina per le azioni sbagliate compiute in vita.

L'inganno del cavallo, l'aver convinto Achille a partecipare alla guerra di Troia e il furto del Palladio non potevano di certo passare in sordina, e simili atti esigevano una giusta punizione che Ulisse sconta all'Inferno, assieme al suo compagno e complice Diomede.

La giusta punizione che i dannati devono subire all'Inferno è regolata dalla legge del “contrappasso”: i dannati risultano puniti proprio là dove il loro vizio insisteva, così che il castigo esteriore va a corrispondere al peccato interiore. Dante cerca di rendere in termini poetici quella che egli stesso chiama: «di giustizia orribil arte»336, ovvero l'applicazione della pena del “contrappasso” ai peccatori che si sono irrimediabilmente allontanati da Dio a causa dei vizi. Traducendo in poesia qualcosa di tanto “orribile”, Dante riesce, in qualche modo, a umanizzare la tragedia dell'Inferno (il luogo dell'impossibile)337.

333 Ivi, p. 764.

334 Ibidem.

335 Ibidem.

336 DANTE ALIGHIERI, Inferno, a cura di S. Bellomo, XIV, 6.

337 Ricordiamo infatti, come già osservato nella prima parte della ricerca, che il peccato si configura come l'impossibile pratico che non può propriamente essere voluto. Il peccato è una sorta di “parassita” della Creazione. Il peccato non crea nuove forme, ma “deforma” e distrugge quelle già esistenti. L' Inferno, in quanto

Per quanto riguarda la collocazione dei dannati nelle diverse regioni infernali338 (distribuzione non sempre facilmente comprensibile), Giovanni Busnelli afferma che Dante sembra seguire, anzitutto, un criterio indicato da Aristotele nel V Libro dell'Etica Nicomachea, ed esplicitato in Summa Theologiae I IIae, q. 18 da Tommaso D'Aquino.

Se un certo contenuto d'azione – ad esempio, “sto rubando”- è posto dall'agente in funzione di un fine esplicito (ad esempio, “mi servono dei soldi per spenderli in una casa da gioco”), allora quel fine qualifica moralmente l'azione più di quanto non lo faccia il contenuto; l'agente, quindi, apparirà più uno scialacquatore che un ladro. Così come chi si trova ad uccidere per rubare, sarà più ladro che omicida.

Sebbene il Poeta non condanni la compassione per i dannati, ci esorta a ricordare che tale compassione deve conformarsi alla giustizia divina. Sarebbe infatti scellerato contrapporre la propria “passione” al giudizio divino339: al giudizio di Colui che è amore per essenza. Dante piange di fronte ad alcuni dannati, poiché in essi vede l'immagine dell'uomo (per natura simile a Dio), completamente abbruttita e sfigurata: «quando la nostra immagine di presso vidi sì torta»340. Per questo motivo Dante non può che condannare Ulisse, personaggio della letteratura greca che egli ammira. Nonostante le sue grandi virtù, l'eroe omerico rimane sempre un peccatore; egli ha corrotto la sua natura usando male l'ingegno.

Dante cerca in qualche modo di distinguere Ulisse dai peccatori comuni. Questa diversità emerge innanzitutto nella differenza tra il Canto XXV e i Canti XXVI-XXVII dell'Inferno. Nel Canto XXV «fanno spettacolo personaggi privi di proprio rilievo senza altro attributo se non quello del loro spregevole peccato, portati dal castigo al livello della più bassa animalità: quella delle serpi, al punto da assumerne la forma attraverso un mostruoso travaglio della materia»341. Mentre, nei Canti XXVI-XXVII «l'uomo riappare nella sua esclusiva connotazione spirituale e i due personaggi che ne sono protagonisti, Ulisse [Canto XXVI] e “dimora del peccato”, è il luogo dell'impossibile. L'Inferno è un dramma impossibile: un dramma che non può essere dramma, perché si è trasformato in tragedia (la tragedia dell'umanità che ha corrotto se stessa). E la tragedia è la non-storia (nel caso dell'Inferno, la non-più-storia).

338 Ricordiamo rapidamente i tratti essenziali della geografia dell'Inferno dantesco. L'Inferno ha la forma di un

imbuto, poiché quando Satana è precipitato dal Cielo, dopo essere stato sconfitto dalla potenza divina, nella caduta ha scavato una voragine fino al centro della terra, dove il Diavolo è andato a conficcarsi. La terra rimossa da Lucifero origina la montagna del Purgatorio, posto nell'Emisfero Australe della Terra. All'inizio dell'Inferno si configura un Vestibolo, dove scontano la pena gli ignavi, mentre lungo le pareti dell'abisso, si situano in ordine discendente nove Cerchi, dove scontano la pena i dannati secondo la gravità del loro peccato. All'interno del settimo Cerchio, si configurano tre Gironi. Il Cerchio VIII, chiamato “Malebolge” si struttura in dieci Bolge. Il Cerchio IX, chiamato Cocito, si divide in quattro zone. Tre sono i fiumi infernali: l'Acheronte, lo Stige e il Flegetonte. Fra il V e il VI Cerchio, si ergono le mura della città di Dite.

339 DANTE ALIGHIERI, Inferno, XX, 27ss. 340 Ivi, XX, 22-23.

Guido da Montefeltro [Canto XXVII], oltre che la funzione propriamente escatologica di esemplificazione del peccato, ne assolvono una dialettica nel quadro della concezione etico- teologica che è alla base dell'escatologia»342.

La fiamma, dentro cui Ulisse sconta la pena assieme a Diomede, è elemento fondamentale per comprendere il significato etico-religioso del castigo.

Ė da rammentare che nella lessicografia medievale la calliditas (astuzia) viene apparentata a caliditas (calore); sul fondamento di simile parentela, nell'astuzia era raffigurato l'ardore di una fiamma che brucia internamente. Il poeta, rovesciando nel contrappasso la credenza del tempo, ha trasformato iconograficamente il rapporto fiamma/frode, condannando i consiglieri ad essere posseduti e fasciati dal fuoco dei loro inganni, che procura dolore, angoscia, fatica fisica343.

La fiamma, dentro cui il peccatore sconta la pena, rende invisibile l'immagine corporea del peccatore che arde al suo interno; la presenza di Ulisse viene avvertita da Dante solamente dalla difficoltà che l'anima incontra nel manifestarsi all'esterno344. La pena è simile, dunque, a quella dei suicidi (Canto XIII), sebbene la situazione sia molto diversa.

Nella pianta in cui è insediata l'anima del suicida, permangono caratteri umani: il sangue esce insieme con le parole dalla scheggia rotta; il tronco soffia come se respirasse e il soffio si converte in voce. La fiamma, che fascia il politico fraudolento quasi ne fosse il corpo insieme con il tormento del fuoco gli impone quello di una limitazione tutta fisica, una resistenza che la mobilità e la flessibilità possono solo di poco attenuare345.

Mentre la prigione delle anime dei suicidi è il tronco di una pianta, la gabbia di Ulisse è una fiamma che gli impedisce i movimenti. Solamente la sommità della fiamma si muove per articolare la parola; vi è un'analogia tra la potenza distruttiva della parola e quella del fuoco. Pietro di Dante sostiene la presenza di un collegamento tra la parola e il movimento della fiamma in cui si trova Ulisse. Nel suo Comentum super poema Comedie Dantis, afferma che la parola ha il potere di distruggere al pari di una fiamma: «sicut ex una favilla potest destrui civitas incendio, ita uno verbo et uno consilio»346. Il commentatore prosegue considerando la fiamma infernale in un duplice aspetto, quello reale, cioè letterale, e quello allegorico da identificare appunto con il consigliare astuzie: «dictus ignis infernalis spiritualiter et allegorice pro ipso colore et astutia consulendi sumi possit, tamen pro corporali igne infernali tolli et intelligi potest»347.

Benvenuto da Imola, nel suo Comentum super Dantis Aldigherij, enumera ben cinque

342 Ibidem.

343 DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, Inferno, a cura di di E. Pasquini e A. Quaglio, p. 318.

344 A. PAGLIARO, Ricerche semantiche sulla Divina Commedia, p. 371.

345 Ibidem.

346 PIETRO di DANTE, Comentum super poema Comedie Dantis, in A. PAGLIARO, Ricerche semantiche

sulla Divina Commedia, p. 373.

motivi del contrappasso, ma tre di essi si riferiscono all'analogia tra il fervore dell'ingegno e la fiamma. Il primo motivo è il calore, in quanto l'ingegno deriva dal temperamento caldo, per cui la caliditas è la stessa cosa dell'astutia348; il secondo consiste nella capacità di

penetrazione e distruzione della fiamma, caratteristiche tipiche anche dell'ardore dell'ingegno349; il terzo motivo portato dal commentatore è che sia la fiamma sia la mente tendono verso l'alto: «ignis naturaliter est acutus et continuo tendit ad altum; ita altum ingenium semper tendit ad altum et attentat magnalia»350. Il quarto motivo del contrappasso è che i peccatori sono nascosti dalla fiamma, poiché in vita agirono in modo nascosto351. Infine Benvenuto osserva che, come la fiamma che al suo interno distrugge, ma che esternamente è bella da osservare, così l'agire dei consiglieri di frode appare ammirevole dall'esterno, ma in realtà, se ci si avvicina e si considera meglio, si nota che le loro parole non portano altro che sofferenza352.

Fra quelli addotti da Benvenuto, i motivi più plausibili ai fini del contrappasso si riducono in sostanza a due: primo, il fervore della mente, poiché nei politici fraudolenti è stato rivolto a un fine che non è di essa, ora è tramutato come pena nella fiamma, che è al tempo stesso sofferenza e impedimento; secondo, le astuzie si sottraggono alla vista altrui, e, analogamente, i dannati sono resi invisibili dalla fiamma353.

Francesco da Buti nel suo commento al XXVI canto dell'Inferno, assume come analogia quella fra la mobilità della fiamma e i turbamenti e i moti che l'astuzia provoca ad altri. Considera, inoltre, che l'ardore è comune sia alla fiamma, sia all'ingegno volto all'inganno e inoltre valuta il fatto rilevante che chi ha operato di nascosto in vita, debba essere condannato a stare nascosto, all'Inferno, all'interno di una fiamma.

Le pene che si convengono a sí fatto peccato, sono discorrimento, fiamme di fuoco, appiattamento nelle fiamme; e queste pene convenientemente, secondo la lettera, finge l'autore essere all'infernali: imperò che degna cosa è che chi è stato turbatore della pace e riposo altrui, non abbia riposo e che sempre discorra; e chi è stato privato della carità del prossimo et à avuto lo ingegno ardente a nuocere, sostenga incendio ed arsione; e chi à operato tale inganno in occulto, sia occulto nel fuoco et allegoricamente si truovano queste cose in quelli del mondo, che sempre lo ingegno sta occupato nelli inganni e rei pensieri, e sempre ardono i loro animi di mal desiderio, che lo inganno vegna fatto, e mai non si posano perché sempre pensano tale inganno354.

348 BENVENUTO DA IMOLA, Comentum super Dantis Aldigherij, in A. Pagliaro, Ricerche semantiche

sulla Divina Commedia, Tomo primo, G. D'Anna, Firenze 1967, p. 373.

349 Ibidem.

350 Ibidem.

351 Ibidem.

352 Ibidem.

353 PIETRO DI DANTE, Comentum super poema Comedie Dantis, in A. Pagliaro, Ricerche semantiche sulla

Divina Commedia, G. D'Anna, Firenze 1967, p. 374.

354 FRANCESCO DA BUTI, Commento di Francesco da Buti, sopra la Divina Comedia di Dante Allighieri, in

Simile è la posizione del Landino che nel suo Comento sopra la Comedia, scrive: «finge il Poeta, non senza somma prudentia, che i fraudolenti siano puniti nel fuoco, et se intendiamo del fuoco, che è nell'Inferno essentiale, sarà conveniente pena, che chi ha con fraude acceso altri, egli similmente arda, ma allegoricamente diremo, che tal fraude sia fuoco, perché a forza d'accendere dissensioni, discordie, et guerre»355. Il commentatore vuole dire che, chi ha

portato altri alla sofferenza attraverso la frode, allo stesso modo deve bruciare all'Inferno. Landino paragona il fuoco all'ingegno poiché nasce dal calore del sangue (all'opposto il sangue freddo produce tardità d'ingegno); infine si vede la fiamma e non il peccatore, poiché il parlare del fraudolento è manifesto, ma la sua frode è nascosta, celata agli altri356.

Landino osserva anche che le fiamme dove ardono i peccatori nell'ottava bolgia infernale, sono l'una separata dall'altra, perché chi vuole ingannare, in genere, non comunica il suo pensiero agli altri. Differenti sono Ulisse e Diomede che ardono insieme, poiché nelle malefatte erano sempre d'accordo357.

Riflettendo sulle considerazioni degli antichi commentatori di Dante si può osservare quanto segue: «il politico fraudolento, si trova dentro la fiamma così come il barattiere è 'impegolato', come l'ipocrita è oppresso dalla cappa di piombo dorata all'esterno, e il suicida è incorporato nella pianta. Si tratta di una modalità del peccato che, trasferita ed esasperata in termini fisici, ripropone come pena al dannato la propria colpa»358.

Ciò che colpisce nel canto, oltre alla fiamma danzante, è la limitazione e la sofferenza che sono imposte come pena a Ulisse e Diomede. Nonostante la prigionia eterna, Ulisse riesce a comunicare la sua storia e innalzarsi al di sopra delle sue colpe che lo condannano all'Inferno. L'Ulisse dantesco, nel suo significato profondo ed esistenziale, non va visto come il consigliere di frode, ma come il disperato eroe che tenta di fare l'impossibile.