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L'intelligenza umana contro la forza bruta (Odisseo e Polifemo canto IX dell'Odissea), le peregrinazioni di Odisseo

SECONDA PARTE IL TEMA DELLA VELLEITAS IN RIFERIMENTO ALLA FIGURA DI ULISSE

1.2 L'intelligenza umana contro la forza bruta (Odisseo e Polifemo canto IX dell'Odissea), le peregrinazioni di Odisseo

Uno dei tratti essenziali che rendono Odisseo figura eccezionale e universalmente apprezzata è l'uso accorto dell'intelligenza. L'eroe greco dimostra come l'intelligenza umana possa vincere la forza bruta. L'episodio più significativo per mostrare come l'intelligenza sia in grado di sconfiggere la forza animalesca, è quello dell'incontro tra Odisseo e Polifemo (Canto IX). Vediamo come il protagonista del poema omerico giunge ad incontrare il terribile ciclope.

Nel canto IX dell'Odissea, l'eroe alla corte di re Alcinoo, re dei Feaci, narra le sue peripezie a seguito della caduta di Troia. Nel suo viaggio di ritorno verso Itaca, la terra natia, il vento lo spinge verso la città di Ismaro, vicino a Ciconi; qui egli devasta la città e uccide gli uomini portando via le ricchezze (Canto IX). I cittadini in fuga, chiedono aiuto ai loro vicini e questi ultimi, all'alba, danno battaglia agli Achei. Odisseo, assieme ad altri compagni, riesce a salvarsi rimettendosi in mare. Il vento di tempesta spinge Odisseo e i suoi compagni nella terra dei Lotofagi, i mangiatori di loto. Curioso di scoprire chi siano gli abitanti di quella terra, Odisseo manda alcuni uomini in esplorazione. Questi ultimi gustano il dolce frutto del loto e non vogliono più andarsene, dimentichi della patria e del ritorno.

Odisseo li trascina a forza verso le navi e piangenti li lega sotto coperta. I viaggiatori giungono infine nella terra dei Ciclopi «superbi e senza legge»143. Questi vivono in spelonche

142 Ivi, pp. XVII-XVIII.

sulle cime più alte dei monti e non si curano gli uni degli altri. Essi sono figli del potente dio Poseidone. Odisseo e i compagni, ormeggiata la nave, si mettono a dormire, aspettando l'aurora. La mattina seguente, vanno a cercare cibo e uccidono numerose capre che vivono sull'isola. Così essi possono sfamarsi e raccogliere provviste in quantità.

In lontananza, si erge la città dei Ciclopi e Odisseo e i compagni riescono ad udire le loro voci. Il giorno seguente, Odisseo inizia una “piccola orazione”, affermando che è sua intenzione andare insieme ad altri uomini, a vedere chi è la gente che vive su quella terra e scoprire se sono violenti, ingiusti e selvaggi, oppure ospitali e timorosi di Dio. Gli esploratori giungono in una grotta enorme ricoperta di alloro. Lì dormono molte greggi di pecore e capre. In questa spelonca vive un essere enorme che pascola le greggi da solo, lontano da tutti e non frequenta nessuno, ma sta in disparte e non conosce giustizia.

Con dodici dei suoi uomini migliori, Odisseo si avvia verso la caverna portando con sé un otre di pelle di capra piena di vino nero e dolcissimo che gli aveva donato Marone, figlio di Evante, sacerdote di Apollo. Per riuscire a bere questo vino, era necessario diluirlo notevolmente con acqua, poiché era molto forte. Odisseo lo porta con sé perché in cuor suo sa che in quella dimora, avrebbe trovato «un uomo dotato di forza immensa, selvaggio, che non conosceva né giustizia né legge»144.

Essendo al pascolo con le sue greggi, colui che dimora nella caverna non è presente. Odisseo e i suoi uomini rimangono meravigliati della grandezza del luogo: i graticci carichi di formaggi, i recinti pieni di agnelli e capretti, le brocche lavorate e piene di latte, i vasi e i secchi che servivano per la mungitura. I compagni pregano Odisseo di afferrare i formaggi e spingere gli agnelli e i capretti verso le navi per salpare, ma l'eroe non li ascolta perché vuole vedere se il mostro gli offrirà doni ospitali.

Odisseo e i compagni accendono il fuoco, prendendo e mangiando i formaggi, aspettando seduti il gigante che, alla fine, ritorna con le greggi. Il mostro getta un pesante fascio di legna secca che gli serviva per la cena e, a causa del fracasso, fa fuggire atterriti gli uomini di Odisseo. Infine il gigante chiude la porta con un enorme masso.

Dopo aver svolto il suo lavoro di mungitura, accende il fuoco e vede Odisseo e i suoi compagni. «Stranieri chi siete? Da dove venite navigando sulle vie d'acqua? Avete qualche commercio o senza meta vagate sul mare come i predoni che vanno, rischiando la vita e a tutti portando rovina?»145.

144 Ivi, 213-215. 145 Ivi, IX, 252-255.

Sebbene Odisseo e i suoi compagni siano terrorizzati dal gigante, l'eroe osa parlargli, raccontandogli chi sono e invocando in nome di Zeus, l'ospitalità del ciclope. Ma quest'ultimo non conosce l'autorità di Zeus, credendosi più forte degli stessi dèi e afferma di non voler risparmiare a nessuno la vita; chiede inoltre ad Odisseo dove ha ormeggiato la nave.

L'eroe, intuendo il tranello ideato dal ciclope, dice che la sua nave è distrutta e che solo lui e i suoi uomini sono vivi. Il ciclope per tutta risposta, afferra due compagni di Odisseo e, davanti agli occhi piangenti e pieni di terrore di Odisseo e dei suoi uomini, dopo averli sbattuti al suolo, li fa a pezzi divorandoli spietatamente; infine si corica in mezzo alle pecore per dormire.

Odisseo medita di andargli vicino e trafiggergli il petto con la spada, ma poi si rende conto che così facendo, sarebbero tutti morti, poiché non si poteva muovere il masso all'entrata della caverna. Piangendo l'eroe e i suoi uomini aspettano l'aurora. All'alba il ciclope, dopo aver munto le pecore, afferra altri due uomini ripetendo l'orribile scempio; infine sposta la grossa pietra, per portare a pascolare le pecore e richiudendo subito dopo, l'entrata della caverna. L'eroe rimane a meditare vendetta e finalmente, gli appare la soluzione; si trova, accanto al recinto, un grande tronco verde di olivo che il ciclope aveva tagliato per farne un bastone una volta si fosse seccato. Odisseo ne taglia un pezzo lungo due braccia e lo dà ai compagni dicendo loro di assottigliarlo. Odisseo poi, ne aguzza la punta mettendola ad indurire sul fuoco ardente, nascondendo infine l'arma così costruita. Egli fa tirare a sorte per vedere a chi sarebbe toccato sollevare assieme a lui quel legno per conficcarlo nell'occhio del mostro, una volta che questi si fosse addormentato.

A sera il ciclope torna dal pascolo richiudendo subito l'ingresso della caverna. Dopo aver sbrigato il suo lavoro, afferra altri due uomini preparandosi alla cena. Odisseo si avvicina al ciclope offrendogli una coppa di vino nero e, per invogliarlo a bere, pronuncia queste parole: «Bevi questo vino Ciclope, ora che hai mangiato carne umana, così vedrai quale bevanda c'era nella mia nave; la portavo a te come offerta se tu avessi avuto pietà di me e mi avessi fatto tornare»146.

Il gigante prende la coppa e beve e, visto che lo trova squisito, ne vuole ancora. Chiede inoltre all'eroe come si chiami. Odisseo gli offre ancora vino, per ben tre volte, rivolgendosi infine al gigante. In modo molto astuto, l'eroe non rivela il suo vero nome, ma dice di chiamarsi Nessuno. Il ciclope come risposta gli dice che per ricompensa mangerà lui per ultimo, poi cade all'indietro, vinto dal sonno. Il vino ha arrecato il suo effetto.

Odisseo, allora, spinge il palo sotto la brace finché diviene incandescente, facendo coraggio ai compagni. Insieme alzano il tronco d'olivo e lo conficcano nell'occhio del ciclope. Il ciclope con un grido pauroso che fa risuonare tutta la grotta, si sveglia e chiama a gran voce gli altri ciclopi. Essi udendo il suo grido, accorrono alla grotta, chiedendo il motivo di un simile grido nel cuore della notte e domandandogli se qualcuno lo stava derubando o volesse ucciderlo. Polifemo risponde che Nessuno lo uccide con l'inganno. Essi rispondono che, visto che nessuno gli sta facendo del male, il dolore gli è stato inflitto da Zeus e quindi il ciclope non può evitarlo; gli consigliano quindi di pregare Poseidone e, detto questo, se ne vanno. Accecato il ciclope, rimane il problema di uscire dalla grotta. Odisseo idea il piano di legare i suoi uomini al ventre dei montoni dal vello folto per farli uscire indisturbati dalla dimora del ciclope, quando Polifemo avesse portato il suo gregge al pascolo. L'eroe si aggrappa al ventre di un grosso ariete. All'alba il ciclope rimuove il masso e fa uscire le pecore, non intuendo l'inganno. Odisseo e i suoi compagni riescono a fuggire e, accorsi alle navi, si allontanano velocemente.

Quando sono ad una certa distanza, Odisseo ha l'ardire di gridare al ciclope parole di scherno. Quest'ultimo infuriato, divelta la cima di una montagna, scaglia il masso nell'acqua minacciando la nave di Odisseo il quale, incita ancora di più i compagni a fare forza sui remi. Non soddisfatto e sordo alle parole dei compagni che cercano di persuaderlo a non sfidare ancora il mostro, egli grida: «Ciclope, se tra i mortali ti chiede qualcuno di questo occhio orrendamente accecato, rispondi che te l'ha tolto Odisseo, distruttore di città, figlio di Laerte che in Itaca ha la dimora»147.

Polifemo, allora, invoca suo padre Poseidone e gli chiede di non far tornare in patria Odisseo o, se ciò dovesse accadere, di farvelo giungere tardi e male, dopo aver perduto i compagni, sopra una nave non sua, e di trovare sventura nella propria casa. Queste parole saranno profetiche poiché, solo dopo anni e solamente dopo aver perso tutti i suoi uomini, l'eroe greco potrà tornare a rivedere la sua amata Itaca e in patria troverà altre sventure.

Dopo l'avventura del ciclope, Odisseo si troverà infatti a dover vagare per acque incerte sfidando Poseidone e il destino. L'avversa fortuna lo condurrà a Eolia (Canto X), l'isola in cui vive il dio Eolo che gli fa dono di un otre in cui sono racchiusi tutti i venti. A causa della negligenza dei compagni, le navi di Odisseo, dolcemente sospinte dall'unico vento rimasto libero, zefiro, veleggiano verso Itaca. Ma i compagni aprono l'otre, liberando in un sol colpo tutti i venti, e così le navi vengono risospinte nuovamente ad Eolia.

Sempre per la negligenza dei compagni, Odisseo perderà navi e uomini a causa dell'ira del popolo dei Lestrigoni (Canto X). L'eroe sventurato giungerà all'isola di Ea, dove incontrerà Circe, che trasformerà i compagni in maiali, e infine terrà con sé Odisseo per un anno, prigioniero come in un sogno (Canto X). Il fato condurrà Odisseo nella città dei Cimmeri (Canto XI), avvolta sempre da nuvole e nebbie. In questo luogo, l'eroe incontrerà le anime del suo compagno d'armi Elpenore, di sua madre Anticlea e dell'indovino Tiresia, che gli rivelerà il futuro. Appaiono anche le anime di Agamennone, che racconta la tragica storia della sua morte in patria ad opera di sua moglie Clitennestra. Infine egli parla con l'anima di Achille che rimpiange la vita perduta.

Odisseo torna da Circe che gli rivelerà le sue disavventure future (Canto XII). L'eroe dovrà superare la prova delle sirene, di Scilla e Cariddi e alla fine perderà tutti i compagni che avranno osato uccidere le vacche del dio Sole (Canto XII). Odisseo, ormai solo, vaga per mare fino ad arrivare all'isola di Ogigia, dove vive Calipso (Canti V, XII). Per sette anni la ninfa lo tiene con sé finché, costruita una nave, Odisseo salpa nuovamente facendo naufragio nell'isola dei Feaci (Canto XIII ).

Trovato dalla fanciulla Nausicaa (Canto VI), egli viene esaminato dai sospettosi abitanti del luogo e costretto poi a rivelare chi è e a raccontare la sua storia (Canto VIII). Grazie alla nave offerta all'eroe dal re Alcinoo, Odisseo torna ad Itaca (Canto XIII) e la dea Atena, apparsa in un primo tempo sotto le sembianze di un giovinetto che porta le pecore al pascolo, trasforma il protagonista in un mendicante, in modo tale che non venga riconosciuto da nessuno. A Itaca, Odisseo ritrova il servo fedele (Canto XIV), il figlio Telemaco (Canto XVI) e si rende conto della malvagità dei pretendenti al trono, i Proci che stanno insidiando la sua sposa Penelope (Canto XVII).

Attraverso la prova dell'arco, riuscirà a vincere questi ultimi (Canto XXI) e, una volta rivelata la sua vera identità, farà strage dei Pretendenti (Canto XXII). Solo dopo aver superato tutte queste prove e aver restaurato il suo potere ad Itaca (Canto XXIV), egli potrà trovare pace. Una pace apparente, poiché l'indovino Tiresia, nell'Ade, gli aveva predetto che avrebbe dovuto nuovamente salpare da Itaca, per intraprendere un altro viaggio verso una meta non precisata (Canto XI).