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Capitale sociale come risorsa individuale o collettiva?

Capitolo 2. Gli approcci sociologici e le teorie dei networks

2.2 Capitale sociale come risorsa individuale o collettiva?

Con il termine capitale sociale sono tornati alle ribalta nella letteratura sociologica una serie di temi che offrono un’interessate chiave di lettura per esaminare la dimensione micro della struttura sociale. Per Coleman (1988) il capitale sociale concerne la struttura delle relazioni sociali le quali veicolano delle risorse di tipo materiale ed immateriale assimilabili a forme di capitale fisico. Le relazioni di cui parla Coleman, ma questo è un punto fermo della letteratura sul capitale sociale, non sono basate sulla coercizione. Sono frutto della fiducia e della consuetudine alla reciprocità che si forma o preesiste in alcuni gruppi di individui e che deriva dalla specificità di taluni legami (parentela) o dalla ripetitività dei contatti propri dei luoghi di lavoro, dell’adesione a circoli culturali o ricreativi, dell’associazionismo in generale, ecc.

Il capitale sociale può essere una fonte di benefici sia come risorsa individuale - utile negli studi sulla stratificazione sociale, la mobilità occupazionale e lo studio delle categorie svantaggiate – che come risorsa collettiva, nell’ambito della ricerca sullo sviluppo sociale ed economico (Piselli, 2001). L’applicazione del concetto di capitale sociale nella nostra analisi riguarda l’ultima prospettiva anche se bisogna inquadrarne la composizione e sottolinearne gli aspetti critici, poiché fa riferimento ad una letteratura scientifica discordante.

Curiosamente alcuni approcci, che potremmo definire neo- funzionalisti (Putnam,1993; Fukuyama,1996), cominciano dalla stessa analisi dell’individualismo metodologico per sfociare in un determinismo assoluto. Il punto di vista da cui partono è che la cooperazione tra attori sociali sia del tutto irrazionale per cui, nel dilemma dell’azione collettiva, il tradimento è il comportamento più razionale per tutti i protagonisti. Il ragionamento non cambia se ci si affida ad un terzo che,

coercitivamente, faccia in modo che la cooperazione abbia luogo. Williamson ha parlato ai “costi di transazione” riferendosi a quei costi che derivano dal rispetto degli accordi e individuando nelle istituzioni una soluzione per contenerli. Tuttavia il nodo teorico sul senso del cooperare rimane anche nel caso di attori super partes atti a controllare il rispetto degli accordi: perché questi ultimi dovrebbero essere più degni di fiducia? Date queste premesse non ci si riesce a spiegare, allora, i casi di cooperazione spontanea, presenti in alcune comunità. Nella visione di Putnam si tratta di quelle comunità ricche di “capitale sociale” intendendo, con questo termine, le relazioni sociali basate sulla fiducia, sul rispetto delle consuetudini di reciprocità e sulle pratiche di associazione.

Putnam, proseguendo nell suo ragionamento e, rifacendosi all’analisi di Sugden ritiene che, sia la “costante defezione”, che “il reciproco aiuto” nei rapporti sociali si cristallizza in determinate comunità condizionandone il futuro. In altri termini l’assetto, di una società deriverebbe dal suo percorso storico (path dependency) perché, sia le relazioni basate sulla cooperazione, che quelle basate sulla defezione raggiungono un equilibrio stabile, autoriforzandosi. In primo luogo, perché sarebbe più facile adattarsi ad una situazione esistente anzicchè cambiarla, ed, in secondo luogo, perché alcuni gruppi trarrebbero vantaggi specifici da una situazione di inefficienza sociale ed istituzionale. Il corollario di questo ragionamento è che lo sviluppo economico e politico delle comunità dipenderebbe dall’attitudine alla collaborazione e dunque dal senso civico che ciascuna comunità eredita dal passato. Ed infatti, Putnam, sulla scia di Toqueville, ritiene che “il governo democratico è rafforzato non indebolito, quando deve confrontarsi con una vigorosa comunità civica” (1993: 215) poiché nelle “regioni civiche” i cittadini domandano un governo migliore e si adoperano per ottenerlo attraverso una logica collettiva. Civicness è dunque sinonimo di collaborazione, fiducia, presenza di reti orrizzontali

e di un vivace associazionismo, ma soprattutto la civicness si eredita dal passato.

Tale visione determinista è presente anche in Fukuyama (1996) quando sostiene che il capitale sociale si sviluppa laddove la fiducia è più diffusa, e tuttavia, in un risalire a ritroso alla ricerca delle cause incorre, in una spiegazione tautologica- per cui la fiducia deriva dai sistemi culturali e dai valori religiosi i quali sarebbero ereditati dal passato.

Le teorie sul capitale sociale di Putnam e Fukuyama restituiscono un’idea durkeimiama di società e cioè di “un’entità coerente”, priva di conflitti. Questa visione è in stridente contrasto con l’impostazione di Bourdieu (1980), tutta basata sulla costruzione del capitale sociale come risorsa individuale e, perciò, distribuita in modo difforme e tale da costituire uno strumento di potere per i privilegiati. Il ricorso a Bourdieu occorre per mitigare la visione edulcolorata sul capitale sociale di Putnam, ma è bene ribadire che la nostra attenzione privilegia l’utilizzo del capitale sociale come risorsa collettiva.

Il concetto di capitale sociale è stato anche criticato per il fatto di ridurre qualsiasi cosa, indipendentemente dalla sua misurabilità quantitativa, a forme di capitale (Tovey, 2002) e per il fatto che il ricorso ad esso diviene una “strategia d’intervento” sulla relazionalità (Vitale, 2007).

Per una spiegazione alternativa dei meccanismi che regolano la reciprocità si può fare riferimento al “capitale sociale di solidarietà” ed al “capitale sociale di reciprocità” (Pizzorno, 2001). Il primo fa derivare la solidarietà dalla forza dei legami (così come intesi da Granovetter) e dalle sanzioni materiali e simboliche che scaturirebbero dal venir meno ai doveri di gruppo, caratterizza i gruppi estremamente coesi, ma esplica i suoi effetti anche all’esterno del gruppo poiché la riconoscibilità dell’appartenenza costituisce una garanzia per chi vi si relaziona. Il “capitale sociale di reciprocità” occorre nel caso di legami deboli ed include tre tipi di meccanismi: relazioni basate sul do ut des e

dunque fondate su un interesse immediato; rapporti basati sullo scambio unilaterale in cui si verificherebbe una modificazione dell’identità degli attori che fanno parte della relazione e si instaurerebbe un rapporto di controllo/dipendenza fino al momento della restituzione; rapporti di aiuto disinteressato in cui molto spesso non si conosce il beneficiario dell’aiuto. Questo tipo di comportamento è dovuto ai principi di azione che in ciascuno si sono formati attraverso il processo di socializzazione e cioè il rapporto attraverso il quale l’individuo, nel confronto con la propria cerchia di riconoscimento, ha formato la propria identità. Una volta adottati tali principi, il soggetto, tenderà a considerarli validi in altre circostanze per riaffermare la propria identità (meccanismo d’interiorizzazione del riconoscimento).

Queste argomentazioni restituiscono una spiegazione dei rapporti di cooperazione e solidarietà che non è predeterminata come quella fornita da Putnam, tuttavia non danno, ancora una spiegazione adeguata delle reti di produzione e consumo che analizzeremo più avanti.

Il concetto di capitale sociale emerge anche nella teoria di Foucault e, nelle elaborazioni che da essa traggono inspirazione ,come manipolazione della relazionalità

Foucault – né La nascita della biopolitica- faceva riferimento alle dinamiche di potere attraverso le quali il controllo sul territorio veniva sostituito da un controllo sulla popolazione. Essa si trasformava da un insieme vago di individui in un gruppo catalogato sulla base del tasso di natalità, di longevità, della razza, dei problemi di salute; in sostanza questo meccanismo faceva della popolazione un oggetto calcolabile e rappresentabile.

L’ultima delle “tecnologie di potere” è rappresentata dall’etica e dal capitale sociale. Con la Third way “il personale” ed “il politico” sono intimamente connessi. Gli esseri umani non sono considerati sociali nel senso in cui lo erano nel XX secolo, non sono considerati razionali così come li dipinge l’economia neoclassica: sono esseri etici (Rose, 2000).

“People are more than separate economic actors competine in the market-place of life. They are citizens of a community. We are social beings nurtured in families and communities and human only because we develop the moral power of personal responsibility for ourselves and each other…Our relations with and commitments to others are not add-ons to our personalities: They make us who we are (Blair, 1996).”

E’ evidente come la visione del governo labourista sia quella di ricreare la società civile facendo leva sul concetto di capitale sociale, di comunità, di responsabilità individuale.

Questa prospettiva, come vedremo più diffusamente: “tende a modellare le relazioni sociali per produrre identità e valori condivisi” (Vitale, 2007:80), avendo di mira la costruzione di “comunità artificiali”.

Se di questo approccio è possibile trovare un riscontro nei documenti ufficiali del governo inglese, le Alternative Food Networks non possono essere lette come relazioni basate solo sull’interesse personale o sulla reciprocità dello scambio, quanto come rapporti di aiuto disinteressato cui fa riferimento l’ultima forma di “capitale sociale di reciprocità”. Addirittura, alcune forme di Community Supported Agriculture, sono più vicine allo stato di agape, descritto da Boltanskì, nel quale non si mette in relazione ciò che si è donato con ciò che si è ricevuto. Ciò che è in discussione è il meccanismo stesso della reciprocità sociale, presente nella teoria del dono di Marcel Mauss, e, riproposta in forme diverse da alcune delle teorie che abbiamo descritto sopra.

Le motivazioni dei consumatori che compongono le reti analizzate dimostrano, tante volte, una rinuncia all’equivalenza nello scambio con gli agricoltori, basata su principi ecologici e sociali oltre che sull’interesse individuale che può essere quello di ottenere cibi biologici appena raccolti.

2.3 Le teorie dei networks: l’ Actor oriented approach e la