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Capitolo 4. Ipotesi e strumenti di rilevazione per la ricerca empirica

4.2 Oggetto e Ipotesi della ricerca

Le reti agro-alimentari cosiddette alternative sono diventate, in tempi recenti, secondo alcuni studiosi (Ploeg et al., 2000; Renting et al., 2003) una dimensione fondamentale dello sviluppo rurale.

La letteratura scientifica sull’argomento è andata sempre più nella direzione di un’analisi che investe la creazione, caratterizzazione nel tempo e nello spazio delle reti di produzione e consumo (Marsden, Banks, Bristow, 2000:424).

Le reti alternative si possono basare sull’ accorciamento delle filiere industriali, sullo sviluppo di una definizione di qualità diversa da quella della produzione standardizzata e connessa alla “rilocalizzazione” del cibo nel territorio di provenienza, nonchè sul modo di produzione.Le reti alternative racchiudono, poi, una dimensione etica che concerne l’equità dei rapporti con i produttori, quando non sono essi stessi a trasformare i prodotti agricoli.

Gli sviluppi più recenti sulle reti agro-alimentari hanno evidenziato come l’utilizzo dell’ aggettivo “alternative” sia divenuto problematico e quasi privo di senso. In generale esso è stato utilizzato per riferirsi: all’accorciamento della distanza tra produttore e consumatore, al modo di produzione, che deve essere ecologico e salubre, alla riterritorializzazione dei prodotti agro-alimentari, attraverso l’utilizzo di materie prime locali e tecniche di trasformazione autoctone, alle condizioni di lavoro attraverso il riconoscimento del lavoro dei produttori.

L’aspetto della riterritorializzazione del cibo spesso sottende ad una visione dello sviluppo che include il valore economico delle pratiche alternative. Tuttavia focalizzarsi sull’idea della qualità per porre in essere un modello di sviluppo locale può essere fuorviante, infatti l’attenzione sul prodotto, anziché sul network attraverso il quale esso circola, lo rende passibile di essere incorporato all’interno dei sistemi agro-alimentari convenzionali (Watts, Ilbery e Maye, 2005). Come abbiamo visto, la gran parte delle grandi imprese della distribuzione e della produzione, ha messo in atto strategie di diversificazione nella produzione e commercializzazione dei prodotti anche a causa della saturazione del mercato dei beni di consumo di massa.

La classificazione di Watts (Watt et al., 2005) sulle dimensioni della diversità dei sistemi agroalimentari è utile per un’analisi critica dell’impatto che possono avere sullo sviluppo inteso in termini più ampi di quelli strettamente economici.

Watts si riferisce ad una dimensione spaziale, intendendo un accorciamento delle distanza tra il luogo di produzione e quello di vendita. I mercati contadini, i punti vendita nelle fattorie ne sono degli esempi. Un altro modo per riavvicinare produzione e consumo è la riduzione del numero degli intermediari tra il momento della produzione e quello del consumo: è il caso del commercio equo, della vendita telefonica o su internet. Questa seconda modalità ha un punto debole nel fatto che spesso si basa su canali di comunicazione convenzionali ossia favorisce le grandi multinazionali del trasporto.

La seconda dimensione della diversità dei sistemi agro-alimentari “alternativi” rispetto ai canali concezionali di cui parla Watts è quella sociale. Acquistare il cibo nell’area di provenienza, se non direttamente dal produttore, favorisce la conoscenza delle informazioni sull’origine dei prodotti, le modalità di produzione, i produttori, eliminando “il feticismo” legato alla merce. Questo aumenta la fiducia tra produttore e consumatore e produce senso di appartenenza ad una comunità che non è solo spaziale, quanto mentale.

La terza dimensione cui si riferisce Watts è quella economica. Molti studi hanno dimostrato che difficilmente le filiere corte trascendono la dimensione economica, ma questo non basta a classificarne i produttori come tradizionali, perché

“it is possibile to identify space of production within the market but outside the norm of capitalist evaluation” (Lee, 2000: 138).

Allo stesso tempo, però, non è detto che i sistemi agro-alimentari alternativi economicamente validi costituiscano dal punto di vista sociale ed ecologico delle opzioni migliori.

Alcune ricerche hanno evidenziato che molti produttori, i quali mettono in pratica la vente directe si basano su un modo di fare agricoltura convenzionale (Gilg e Battershill,1998), oppure che molti farmers’ market sono conservatori e socialmente discriminatori (Hinrichs, 2003; Winter, 2003b).

Uno degli obbiettivi della ricerca è quello di individuare delle pratiche che includano tutte le dimensioni della diversità e verificare se possano costituire degli esempi per seguire una traiettoria di sviluppo autenticamente endogeno e sostenibile.

La prima ipotesi della ricerca è che le pratiche tese alla rilocalizzazione del cibo, pur essendo connesse alle modalità della governance, nel senso che vedremo di seguito, non sono ascrivibili al concetto della governamentalità teorizzato ad alcuni studiosi che si rifanno al lavoro di Foucault.

La seconda ipotesi della ricerca intende confutare l’idea che le Alternative Food Networks non possano rappresentare delle pratiche di “valorizzazione territoriale” economicamente sostenibili e socialmente inclusive, e sostenere l’idea che, in quanto tali, possano costituire un modello di sviluppo rurale fondato sulla agro-ecologia, sulle forme collettive di azione sociale e sulle innovazioni da esse apportate, sui sistemi di conoscenza locali e più in generale su un maggiore benessere della società urbana e rurale.

Per i critici (Goodman,2004) della idea che le AFNs costituiscano le basi di un modello di “altra economia”, le catene corte e le forme di vendita diretta, in quanto indirizzate ai soggetti privilegiati, porterebbero alla frammentazione del mercato secondo criteri di reddito e di classe.

Le pratiche di Alternative Food Networks esaminate in questo lavoro (Community Supported Agriculture e Rete dei Gruppi di Acquisto solidale) costituiscono, invece, delle forme di “innovazione sociale” (Cavazzani,2008) capaci, a certe condizioni, di generare un reddito sufficiente per gli agricoltori e di consentire ai soggetti, anche non agiati, di approvigionarsi di cibo salutare. Inoltre, la maggior parte, delle aziende basate sulla CSA ha pianificato dei sistemi per includere i soggetti svantaggiati (disabili e famiglie a basso reddito) attraverso fondi specifici o lavoro volontario. Ma l’aspetto, forse più significativo, della sostenibilità sociale delle CSAs e delle aziende cui si rifornisce la Rete dei Gas è dato dai metodi di produzione ecologici che sottendono a queste pratiche, i quali si riverberano oltre che sull’ambiente sulla salute umana.

In molta letteratura europea le AFN sono descritte come una sintesi tra un nuovo modello di consumo ed una strategia di produzione agricola alternativa a quella dominante in grado di rappresentare e concretizzare il nuovo paradigma di sviluppo rurale (Cavazzani, 2008). La pratica agricola alternativa va qui intesa come “retro-innovation” (Marsden, 2006), ossia come riutilizzo del modello di produzione contadino soprattutto nella riproduzione delle risorse che si configura in autonomia rispetto ai circuiti di mercato, ma in collaborazione con gli altri produttori locali.

4.1.2 Obbiettivo, ipotesi e domande di ricerca.

Il principale obbiettivo della ricerca è quello di verificare che le pratiche di rilocalizzazione prese in considerazione in questo lavoro non rispondano ad una razionalità governativa ma siano un’innovazione

emersa nella società. Un secondo obbiettivo della ricerca è quello di dimostrare che le AFNs in quanto modelli di sviluppo alternativi al sistema dell’agro-industria non costituiscano una nicchia elitaria, alla portata di pochi, ma siano praticabili dalla gran parte dei soggetti capaci di modificare il proprio stile di vita. In questo senso le AFNs (Community Supported Agriculture e Rete Gas) prese in esame non contribuiscono a segmentare ulteriormente il sistema alimentare, come è stato sostenuto, ma piuttosto se ne rendono autonome attraverso modalità che escludono gli intermediari del mercato e consentono di riappropriarsi di un valore da ridistribuire tra i produttori e consumatori.

La prima ipotesi della ricerca vuole dimostrare che le modalità della governance siano tali che i soggetti governativi del network perdano, involontariamente, la loro capacità di controllo sul network stesso, favorendo un’azione autonoma dei soggetti non governativi.

La seconda ipotesi della ricerca è che le pratiche oggetto dello studio, Community Supported Agriculture e Rete dei GAS concretizzino un modello di sviluppo sostenibile dal punto di vista sociale, in quanto si distacca dal modello agroindustriale per molti versi associato ai problemi ambientali ed alla perdita delle risorse naturali, ai rischi sulla salute umana, alla scarsa qualità alimentare, ma anche dal punto di vista economico. Sotto questo ultimo profilo si tenta di dimostrare che le forme di azione collettiva esaminate, attraverso l’innovazione organizzativa, diano la possibilità agli agricoltori di ottenere un reddito equo ed ai consumatori di acquistare ad un prezzo, spesso inferiore a quello di mercato, alimenti salubri e nutrienti.

I casi di studio della Community Supported Agriculture in Stroud, e della Rete dei Gas in connessione con Officinae Bio servono per verificare la validità di questa ipotesi.

Dalle ipotesi formulate derivano delle domande di ricerca cui si cerca di dare una risposta attraverso l’analisi dei casi studio. Le risposte serviranno a completare la verifica dell’ipotesi di ricerca.

Quale è l’”originating entity” da cui promana la fase di “problematisation” del riavvicinamento tra luoghi di produzione e luoghi di consumo?

La risposta a questa domanda vuole fare chiarezza sulla natura “bottom-up”, piuttosto che top-down, delle pratiche sull’accorciamento della filiera. Le alleanze etiche tra produttori e consumatori sono sorte in seguito alla “problematization” dei soggetti connessi al settore volontario, ma in un caso si sono sviluppate attraverso l’utilizzo di fondi governativi.

Quale è la visione governativa nel settore del cibo? Tale visione si concretizza in politiche formali?

Questo interrogativo ha come obbiettivo quello di verificare se vi siano degli obbiettivi specifici che che il governo intende portare avanti attraverso il settore volontario e, se di fatto, riesca a proiettarli su di esso.

Quale è la visione degli attori sociali, che compongono le reti di produzione e consumo alternative, rispetto alle politiche governative e rispetto alla grande distribuzione organizzata?

Il senso di tale interrogativo è molto simile al precedente, infatti mira verificare il grado di autonomia dei soggetti e delle pratiche da questi messe in atto rispetto alle politiche formali, laddove è possibile.

Il comportamento, i valori e le attitudini dei soggetti produttori e consumatori che fanno parte delle AFNs può essere definito post- produttivista?

Questa domanda intende rispondere alla critica di chi (Goodman,2004) ritiene che non si possa parlare di un nuovo paradigma di sviluppo rurale perché l’atteggiamento di molti agricoltori sarebbe “produttivista”.

Dall’analisi dei nostri studi di caso è emerso che il comportamento di agricoltori e consumatori contiene un profilo pubblico importante, nel

senso che il cambiamento delle pratiche di esistenza dei soggetti contiene anche un atteggiamento “etico”.

In altri termini accanto a motivazioni di carattere personale vi sono forti motivazioni di impegno sociale negli agricoltori e nei consumatori che hanno posto in essere modelli innovativi di produzione e consumo. Tuttavia, nel caso dei Gruppi di Acquisto Solidali il comportamento dei consumatori talvolta segue logiche vicine a quelle del mercato.

Gli agricoltori riescono a trarre un reddito equo dalla Community Supported Agriculture o approviggionando i GAS?

Come vedremo in seguito l’aspetto della sostenibilità economica delle filiere corte è forse quello più problematico. Gli studi di caso hanno messo in evidenza che gli agricoltori sono i soggetti più deboli del network, ma che a certe condizioni (ad es con un certo numero di membri nella Community Supported Agriculture) possono fare a meno del lavoro extra-agricolo. Per quanto riguarda il rapporto degli agricoltori con i GAS, considerata la variabilità dei comportamenti di questi consumatori bisognerebbe potere attuare dei patti più stringenti così da non avere la necessità di trovare altre modalità di vendita.

I consumatori che supportano la comunità o che fanno parte dei GAS appartengono ad un livello di reddito elevato?

Mentre è stato rilevato che il livello di istruzione dei consumatori di questo tipo di networks è per lo più medio-alto, abbiamo visto che il prezzo dei prodotti coltivati nelle aziende supportate dalla comunità o dai produttori che approviggionano i GAS è pari o inferiore a quello di mercato.

Nella Community Supported Agriculture esistono una serie di possibilità per integrare i soggetti svantaggiati che vanno dal lavoro volontario in sostituzione dei pagamenti alla distribuzione gratuita.