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IL CAPITALE SOCIALE E I CONFERIMENTI

Nell’uso normativo il termine capitale è utilizzato in modo promiscuo e polivalente: si parla di capitale nominale, capitale sottoscritto, capitale versato, capitale esistente, capitale autorizzato; con significati specifici ma comunque distinti dal concetto empirico di patrimonio. Talvolta il termine viene usato promiscuamente per indicare sia il capitale nominale (nei casi di aumento e riduzione o quando viene elencato tra le poste del passivo) sia il capitale (patrimonio) netto (nei casi di perdita del capitale, di capitale esistente come limite all’emissione di obbligazioni e con riferimento all’acquisto di azioni di società controllate).

Si è più sopra evidenziata la differenza tra il concetto di patrimonio e il concetto di capitale sociale: tra i vari significati che può assumere particolarmente rilevante è quello di cifra che esprime il valore in denaro dei conferimenti dei soci quale risulta dalla

valutazione compiuta nell’atto costitutivo della società44. Il capitale sociale rimane immutato nel corso della vita della società finchè, mediante modifica dell’atto costitutivo, se ne decide l’aumento o la riduzione.

Esistono tre diverse teorie45 circa la funzione del capitale sociale, tutte elaborate con riferimento alle società di capitali e dirette a risolvere specifiche funzioni applicative della relativa disciplina.

L'evoluzione delle riflessioni sulla funzione del capitale sociale appare contrassegnata da una profonda disomogeneità, e da una discontinuità a tal punto marcata che se, all'origine, si discuteva di quale fosse la funzione del capitale, si è finito addirittura per dubitare se esso sia ancora in grado di svolgere una qualche funzione46.

Una prima teoria, fondandosi sui principi generali dell’ordinamento inerenti alla responsabilità patrimoniale, ne evidenzia la funzione di garanzia nei confronti dei creditori sociali e lo definisce come l’insieme dei beni conferibili idonei a realizzare quella garanzia (ossia espropriabili). Ne deriva che i conferimenti possono essere costituiti solo da denaro, crediti in denaro e beni assoggettabili ad esecuzione forzata (c.d. capitale reale). Il patrimonio, invece, accoglie tutti i beni e rapporti, non solo quelli con funzione di garanzia. Quindi, secondo questa teoria, il capitale sociale esprime il valore dei suddetti beni espropriabili.

Essa finisce per riferire, e dunque per circoscrivere, al capitale una funzione in realtà svolta dal patrimonio, riconducibile, cioè, per un verso, all'intero patrimonio della società, e non soltanto a quella sua parte sottoposta alla disciplina del capitale nominale (e cioè appunto al capitale reale), e, per altro verso, a tutti i patrimoni, anche cioè a quelli non destinati a una attività di impresa organizzata in forma societaria.

Una seconda teoria, richiamandosi alla concezione della società come modalità di esercizio collettivo dell’impresa, mette in risalto che i conferimenti non possono essere rappresentati solo da beni espropriabili, richiedendo la funzione produttiva dell’impresa l’apporto di beni materiali e immateriali utili allo svolgimento dell’attività produttiva per la quale è stata costituita la società (c.d. funzione produttivistica del capitale). Il capitale viene quindi a rappresentare l’insieme dei beni di impresa produttivi di reddito

44 Campobasso G.F., Diritto commerciale – Diritto delle società, Torino, 2010.

45 Le teorie sono riportate in Garbarino C., La tassazione delle operazioni sul capitale e sulle poste del patrimonio netto, Milano 1993

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Lo rileva Ferri G. Jr, Struttura finanziaria dell'impresa e funzioni del capitale sociale, in Riv. notariato 2008, 04, 741.

e solo in via indiretta assume una funzione di garanzia dei terzi. Sarebbe il patrimonio netto eccedente i conferimenti iniziali la vera fonte di garanzia diretta per i creditori sociali. Infatti, i beni conferiti misurano la futura redditività dell’impresa, che verrà poi rilevata come eccedenza del patrimonio netto sul capitale sociale (utili)47.

Dunque il capitale indicherebbe la porzione del patrimonio netto vincolata all’attività sociale, di cui i soci non possono disporre per tutta la durata della società.

Muovendo da queste premesse, la dottrina non soltanto ha avuto modo di contestare l'esiguità dei limiti minimi legali di capitale, e più in generale di ricercare ulteriori vincoli alla autonomia dei soci, in ragione dell'esigenza di assicurare la congruenza tra l'ammontare del relativo valore e l'oggetto sociale, vale a dire il tipo di impresa alla quale esso risulta destinato, ma si è mostrata incline ad applicare, beninteso in ipotesi specifiche (in presenza cioè di squilibri finanziari o patrimoniali), la disciplina del capitale nominale a valori che, per quanto anch'essi destinati all'impresa da parte degli stessi soci, e dunque per quanto anch'essi mezzi «propri», siano tuttavia stati apportati a titolo diverso da quelli di conferimento (e si pensi ai c.d. versamenti «spontanei»), se non anche a ricostruire la disciplina della postergazione legale dei finanziamenti dei soci dettata dall'art. 2467 cod. civ. in termini di loro riqualificazione in conferimenti48. Tale prospettiva è, comunque, importante dal punto di vista tributario perché comporta che i beni conferiti vengano automaticamente acquisiti al regime giuridico-fiscale dei beni d’impresa e il capitale assolva anche la funzione di determinazione del reddito tassabile.

Tuttavia, entrambe le teorie tendono a sovrapporre il concetto giuridico-contabile di capitale nominale a quello empirico-dinamico di capitale reale.

In realtà, definire il capitale sociale reale come l'insieme dei mezzi che i soci hanno destinato (stabilmente) all'esercizio dell'impresa, e, rispettivamente, quello nominale come la disciplina cui essi risultano sottoposti, risulta incoerente, sia perchè il capitale sociale non regola tutti i mezzi che i soci hanno destinato all'impresa, ma soltanto i

47 Si tratta di un’impostazione che coglie nel segno allorchè individua nel capitale sociale, purchè adeguato, il veicolo per una profittevole attività. Tuttavia, in base al diritto positivo, la possibilità di costituire società per azioni e a responsabilità limitata con un capitale piuttosto ridotto non permette di riconoscere l’esistenza di capitale proprio in grado di realizzare un corretto rapporto tra mezzi propri e mezzi di terzi; sicchè non sembra potersi attribuire al capitale sociale una funzione produttivistica. Cft. Bertolotti A., in Il nuovo diritto societario nella dottrina e nella giurisprudenza: 2003-2009

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Ancora Ferri G. Jr, Struttura finanziaria dell'impresa e funzioni del capitale sociale, in Riv. notariato 2008, 04, 741..

valori da costoro investiti nella società a titolo di conferimento, quelli, cioè, che gli stessi soci hanno volontariamente assoggettato alla disciplina in parola; sia perchè la competenza a destinare all'esercizio dell'impresa le entità conferite non spetta ai soci, ma agli amministratori, non diversamente, del resto, da quanto accade in ordine a tutti gli altri elementi del patrimonio sociale (a prescindere dal titolo al quale essi sono pervenuti alla società).

Una terza concezione, che si può dire assume il punto di vista del socio, esalta, invece, la funzione rappresentativa del capitale, intendendolo come l’insieme delle entità, attribuite dai soci alla società per l’esercizio dell’attività in comune, che ne quantificano diritti ed obblighi. In tal modo il capitale assume anche una funzione organizzativa, proprio perché funge da base di misurazione di alcune fondamentali posizioni soggettive dei soci, sia di carattere amministrativo (diritto di voto), sia di carattere patrimoniale (diritto agli utili e alla quota di liquidazione).

Partendo dalla concezione contrattualistica della società49, questa teoria pone il capitale e il patrimonio su piani logici diversi, rappresentando il primo l’indicatore giuridico-contabile del valore monetario dei beni conferiti, il secondo l’insieme reale dei beni d’impresa. In tal modo il capitale, oltre ad assumere funzione di garanzia e di produttività, misura anche la partecipazione del socio e ne quantifica i diritti e gli obblighi sulla corrispondente porzione di patrimonio netto sociale. Si spiegano così le norme volte a garantire la veritiera determinazione iniziale del capitale sociale iniziale e la sua integrità nel corso della vita sociale.

Secondo Ferri Jr, questa concezione porta a ritenere che il capitale nominale rappresenti il «denominatore» comune (del valore nominale) delle diverse partecipazioni: ciascuna delle quali costituirebbe, parallelamente, l'esito della divisione del capitale sociale. Se tuttavia si considera che una ricostruzione siffatta presuppone, logicamente, che le singole partecipazioni presentino un valore nominale tra loro necessariamente identico, dal momento che altrimenti nessuna divisione risulterebbe possibile, appare evidente

49 Riguardo alle parti del contratto, la dottrina prevalente considera come rapporto giuridico contrattuale la relazione esistente tra soci e società. Infatti, il diritto ai conferimenti nei confronti dei singoli soci compete sempre alla società, e non ai singoli consoci; esso forma oggetto di azioni sociali e non individuali. Questo principio è accolto anche per le società di persone in quanto, pur negando ad esse l’ordinamento la personalità giuridica, pur sempre la titolarità dei rapporti sociali va riferita non ai singoli soci ma alla collettività organizzata. Dunque, come sostengono i fautori della teoria contrattualistica della società, nel contratto di società ogni singolo socio assume obblighi e diritti nei confronti della collettività, la quale ne diviene la naturale titolare quando è organizzata dal legislatore in persona giuridica.

non solo che il capitale sociale svolge tale funzione solo in ordine alle società per azioni, le uniche nelle quali l'identità del valore nominale delle partecipazioni costituisce un profilo tipologicamente essenziale, ma che, in realtà, parlando di funzione organizzativa del capitale sociale, si finisce per descrivere non già la funzione del capitale, ma il rapporto tra capitale e singola partecipazione che caratterizza il meccanismo azionario, e dunque, a ben vedere, per descrivere il funzionamento di tale meccanismo.

Esiste, però, una quarta teoria50 (approfondita nel III capitolo) che individua nel capitale semplicemente la somma investita nella società, o, meglio, la spesa iniziale sostenuta dal socio in una operazione di investimento che si traduce giuridicamente nell’acquisizione di una partecipazione sociale.

Dal punto di vista normativo, secondo questa teoria, la disciplina del capitale sarebbe una disciplina del valore. Più precisamente bisognerebbe distinguere tra disciplina del patrimonio netto, che riguarda tutti i tipi sociali, e disciplina del capitale minimo, che riguarda solo le società di capitali.

La disciplina del patrimonio netto si articolerebbe in disciplina oggettiva del valore - quello del capitale sociale e degli utili - ed in disciplina soggettiva di quello stesso valore, tesa ad individuarne i destinatari (i soci) e a distinguerli dagli altri finanziatori. Sotto il profilo oggettivo la disciplina individuerebbe la parte di patrimonio netto che i soci sono liberi di ripartirsi (gli utili di bilancio), ossia la parte che eccede il capitale sociale, di cui invece si può disporre solo subordinatamente alla mancata opposizione dei creditori sociali. Il che vorrebbe dire che tale ricchezza non è disciplinata come ricchezza della società ma come valore appartenente ai soci.

Sotto il profilo soggettivo la disciplina del patrimonio netto sarebbe diretta a distinguere i finanziatori tra coloro che sono destinatari del patrimonio netto da coloro che non lo sono. Così solo il socio, ossia il titolare di una partecipazione al capitale sociale, si potrebbe considerare come colui che ha diritto a pretendere tutto il valore del patrimonio che eccede l’ammontare dei debiti. Diritto che sarebbe, invece, da escludere in capo ai titolari di strumenti finanziari rappresentativi, sotto il profilo sostanziale, di capitale di rischio, perché non attribuiscono la qualità formale di socio.

A questo fine sarebbe sufficiente la partecipazione al capitale (nominale) in quanto tale, non anche quella che potrebbe chiamarsi impropriamente partecipazione alla sua formazione effettiva, alla formazione cioè del capitale reale, attraverso appunto i conferimenti: una precisazione, questa, che viene fatta esclusivamente in ordine alle società di capitali, e solo a seguito dell'introduzione, in occasione della riforma organica, della possibilità di assegnare ai soci le relative partecipazioni in misura non proporzionale rispetto al valore dei corrispondenti conferimenti (artt. 2346, comma 4, e 2468, comma 2, c.c.). Al contrario, rispetto alle società di persone, la distinzione tra partecipazione al capitale sociale e, rispettivamente, alla sua formazione, non solo non è prevista dal diritto positivo, ma risulterebbe contraddittoria con la circostanza che il capitale sociale non assume il valore di oggetto di autonome vicende, che hanno in realtà esclusivo riguardo ai conferimenti e al loro valore.

Infine, sempre sotto il profilo soggettivo, se si considera che il patrimonio netto indica la parte del valore dell'attivo che eccede il passivo reale, e dunque l'importo globale dei debiti della società, e cioè dei diritti di credito di cui risultano titolari coloro che, non partecipando al capitale nominale, non assumono la veste di soci, ma quella di creditori sociali, sembrerebbe chiaro che è sempre al capitale nominale che deve farsi riferimento, sebbene in termini logicamente negativi (avendo cioè riguardo alla mancata partecipazione allo stesso), al fine di determinare il passivo reale, e dunque, per sottrazione, lo stesso valore del patrimonio netto: al fine cioè di delimitare la fattispecie, vale a dire l'ambito di operatività, di tutte le regole che compongono il relativo sistema.51

Invero, tutte queste teorie altro non sono che diverse prospettive dello stesso fenomeno, ed, in definitiva, il capitale può essere considerato come espressione sia dei beni di primo grado (il patrimonio), sia dei beni di secondo grado (le azioni o quote)52, oppure, semplicemente, un valore.

51 Ferri G. Jr, Struttura finanziaria dell'impresa e funzioni del capitale sociale, in Riv. notariato 2008, 04, 741.

52 E’ stato osservato che il dibattito sulla funzione del capitale sociale non è il punto centrale della dialettica che lo investe. Sullo sfondo vi è la discussione sull’opportunità della sua stessa persistenza, considerando sia l’irrisorietà degli importi minimi, sia la concorrenza, in ambito europeo, tra gli ordinamenti per offrire un prodotto società di capitali competitivo, sia l’esistenza di ordinamenti dove l’istituto è estraneo. Cfr Bertolotti A., in Il nuovo diritto societario, op. cit. Una breccia normativa nella tutela dell’effettività del capitale sociale sembra essersi aperta col dlgs 4 agosto 2008, n. 142, di

I conferimenti dei soci sono strettamente legati alla formazione del patrimonio iniziale e del capitale sociale. Essi presentano, pertanto, le stesse problematiche interpretative viste a proposito del capitale sociale e che verranno approfondite nel cap. III.

In prima approssimazione si rileva che il conferimento può essere considerato o come il “corrispettivo” della partecipazione sociale, oppure come atto di destinazione di beni all’attività di impresa, o, infine, come forma di investimento del valore.

Sotto il secondo profilo (che si potrebbe definire organizzativo), i conferimenti costituiscono i contributi alla creazione del capitale di rischio iniziale per lo svolgimento dell’attività di impresa ed il loro valore esprime la cifra del capitale sociale nominale, che, si è visto, misura sia il capitale reale (ossia la frazione del netto indisponibile per i soci) sia i diritti fondamentali del socio.

Sebbene, ai sensi dell’art. 2247 c.c., oggetto di conferimento possano essere tutti i beni e i servizi, trasferiti in proprietà o concessi in semplice godimento, e, in generale, qualunque entità suscettibile di valutazione economica utile all’esercizio in comune dell’attività d’impresa, la disciplina specifica dei tipi sociali detta poi regole speciali che limitano di fatto le entità conferibili. In effetti, solo nelle società di persone, e, dopo la riforma del 2003, nelle società a responsabilità limitata, trova piena applicazione l’art. 2247 sopra richiamato. Nelle società per azioni (e nelle cooperative per azioni) incontra invece significative limitazioni in quanto espressamente è vietato il conferimento di prestazioni d’opera o di servizi (art. 2342, comma 5). Ciò perché la difficoltà di fornire una valutazione oggettiva ed attendibile di tali prestazioni mal si concilia con l’esigenza

recepimento della direttiva 2006/68/CE: infatti, fino al 2008 la disciplina è comunque sempre ruotata intorno alla necessaria presenza di una relazione di stima redatta da un esperto di nomina giudiziale, attestante il valore del bene o del credito conferito; col il decreto legislativo anzidetto è stato introdotto l’art. 2343 ter, nel quale viene esclusa, al 1° comma, la necessità della relazione di stima in presenza di conferimenti di valori mobiliari ovvero strumenti del mercato monetario quando la loro valorizzazione ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale sovrapprezzo sia pari o inferiore al prezzo medio ponderato al quale sono stati negoziati su uno più mercati regolamentati nei sei mesi precedenti il conferimento. Al 2° comma è consentita l’omissione della relazione di stima per i conferimenti di beni in natura o crediti diversi di quelli di cui al comma 1, purchè il valore loro attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale sovrapprezzo corrisponda, alternativamente:

a) al fair value iscritto nel bilancio dell'esercizio precedente quello nel quale e' effettuato il conferimento a condizione che il bilancio sia sottoposto a revisione legale e la relazione del revisore non esprima rilievi in ordine alla valutazione dei beni oggetto del conferimento, ovvero; b) al valore risultante da una valutazione riferita ad una data precedente di non oltre sei mesi il conferimento e conforme ai principi e criteri generalmente riconosciuti per la valutazione dei beni oggetto del conferimento, a condizione che essa provenga da un esperto indipendente da chi effettua il conferimento, dalla società e dai soci che esercitano individualmente o congiuntamente il controllo sul soggetto conferente o sulla società medesima, dotato di adeguata e comprovata professionalità. (La disposizione è stata modificata dal Dlgs del 29 novembre 2010 n. 224, Art. 1)

di garantire che i conferimenti promessi dai soci vengano effettivamente acquisiti dalla società e che il valore ad essi assegnato sia veritiero, ossia non inferiore all’ammontare del capitale sociale.

Si tratta quindi di una limitazione che viene spiegata nell’ottica dell’esigenza di assicurare l’effettività del capitale sociale a tutela sia dei soci, sia dei terzi. In questo tipo sociale, in effetti, il capitale della società è l’unica garanzia per i creditori e i diritti e gli obblighi degli azionisti sono strettamente connessi all’ammontare di capitale sottoscritto.

Nelle società di persone, invece, anche i soci rispondono dei debiti sociali, con tutto il loro patrimonio. I diritti amministrativi non dipendono dall’ammontare conferito ma sono proporzionali alla parte attribuita a ciascuno nella partecipazione agli utili, quando non è prevista la maggioranza per teste o l’unanimità. Tutti i soci hanno il diritto di partecipare agli utili ma non esiste un vincolo di determinazione dell’ammontare spettante: ove i conferimenti siano stai effettuati e valutati, la partecipazione agli utili (e alle perdite) si presume proporzionale ai conferimenti; ma se il valore dei conferimenti non è stato determinato, la parti spettanti si presumono uguali. Anche per il socio d’opera la parte spettante è svincolata dal conferimento, essendo determinabile dal giudice secondo equità ove il contratto sociale nulla abbia stabilito in merito. Infine la determinazione della partecipazione agli utili e alle perdite può essere anche demandata ad un terzo arbitratore.

Tuttavia, come visto nel paragrafo precedente, gli utili, anche in questo tipo sociale, continuano ad indicare l'eccedenza del patrimonio netto sul capitale nominale; potendo però quest’ultimo risultare pari a zero finiranno, ma solo in concreto, per coincidere con lo stesso patrimonio netto, il quale risulterà integralmente distribuibile in forma appunto di utile.

Un capitale nominale pari a zero non impedisce, d’altra parte, comunque di (continuare ad) individuare in quest'ultimo il referente della partecipazione dei soci, dal momento che, sul piano formale e funzionale della disciplina, la partecipazione sociale risulta di per sé diretta ad indicare la misura dei rapporti reciproci tra i soci: proprio per tale ragione, essa si presta ad essere compiutamente espressa in termini proporzionali e frazionari, risultando in vero del tutto indifferente, e per ciò solo irrilevante, non

soltanto l'entità «assoluta» dell'«intero» al quale la frazione si riferisce, ma anche, a ben vedere, la stessa individuazione di un intero siffatto53.

Per quanto riguarda le società di capitali, non formano, invece, il capitale sociale gli apporti diversi dai conferimenti, che comportano per l’apportante l’acquisto non di una partecipazione ma di uno strumento finanziario partecipativo ex art. 2346 c.c. e per la società risorse finanziarie la cui rappresentazione contabile muta in ragione del contenuto economico e giuridico dello strumento da essa emesso.

Lo stesso è a dirsi dei versamenti in conto capitale e di quelli a fondo perduto54.

Secondo i principi contabili internazionali55, in applicazione del principio di prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica, uno strumento finanziario è classificato in bilancio in ragione del suo contenuto sostanziale. Per cui, sebbene alcuni strumenti assumano la forma legale di capitale, in ragione della sostanza di passività non possono classificarsi come patrimonio netto56. Ad esempio, un elemento come un’azione non