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LA STRATIFICAZIONE FISCALE DEL PATRIMONIO NETTO E DEL CAPITALE SOCIALE: ESISTE NELL’ORDINAMENTO ATTUALE?

Si parla di stratificazione fiscale del patrimonio netto196 per indicare il mantenimento del regime tributario delle riserve anche quando queste subiscono mutamenti di regime giuridico per effetto delle operazioni sul patrimonio netto (ad esempio, se una riserva di utili si trasforma in capitale essa, benché risulti assoggettata al regime giuridico del capitale, continuerà a subire il trattamento tributario previsto per le riserve di utile in caso di utilizzo). Oppure l’espressione può indicare il mutamento del regime tributario della posta conseguente al mutamento del regime giuridico della stessa (ad esempio, la parte di capitale esuberante imputato a riserva subisce sia una modifica del proprio regime giuridico, diventando riserva disponibile - benché di capitale -, sia del regime tributario, risultando suscettibile di generare tassazione in capo ai soci in caso di distribuzione)197.

Preme subito dire che nell’attuale ordinamento non esistono diposizioni che obblighino il contribuente a tenere “memoria” delle variazioni del patrimonio netto ai fini fiscali. Storicamente la stratificazione fiscale delle riserve è da attribuirsi alla disposizione istitutiva della maggiorazione di conguaglio Irpeg (art. 2 della legge 25 novembre 1983, n. 649), successivamente trasfusa nell’art. 105 del (vecchio) TUIR.

Questa disposizione imponeva di riclassificare le riserve e i fondi di bilancio a seconda del loro assoggettamento ad imposta in caso di distribuzione. Si formavano così cinque gruppi di riserve e fondi: 1. quelli formati con utili o proventi già assoggettati a Irpeg e non soggetti ad alcun conguaglio; 2. quelli formati con utili o proventi non assoggettati ad Irpeg e perciò imponibili ai fini Irpeg in caso di distribuzione; 3. quelli formati con utili soggetti ad imposta di conguaglio nella misura del 15% in caso di distribuzione (misura limitata, giustificata in ragione delle differenti aliquote Irpeg applicabili nei periodi di imposta precedenti a quello in corso alla data del 1° dicembre 1983); 4. quelli non concorrenti a formare né il reddito della società né quello dei soci in caso di

196 Garbarino C., La tassazione delle operazioni sul capitale e sulle poste di patrimonio netto, Milano, 1993.

distribuzione (sovrapprezzo azioni, interessi di conguaglio, saldi di rivalutazione monetaria esenti da imposta ex legge n. 74 del 1952, avanzo di fusione); 5. quelli in sospensione di imposta e perciò concorrenti a formare il reddito imponibile della società in caso di utilizzo (fondi di accantonamento delle sopravvenienze attive di cui all’art. 55 del dpr n. 597 del 1973; riserve di rivalutazione monetaria in sospensione di imposta; riserve a fronte di conferimenti agevolati, riserve da condono ex art. 15, comma 10, d.l. 429 del 1982 – per iscrizione di attività in precedenza omesse).

Per quanto riguarda il capitale sociale l’art. 2 della legge n. 649 del 1983 stabiliva che l’imputazione di riserve a capitale avrebbe provocato il trasferimento sul capitale sociale del regime fiscale delle riserve medesime. Dunque occorreva individuare e memorizzare la stratificazione del capitale sociale distinguendo tra: conferimenti, riserve di utili (assoggettati o non assoggettati a Irpeg o soggetti alla maggiorazione di conguaglio), riserve o fondi in sospensione di imposta, riserve o fondi non concorrenti a formare il reddito né della società né dei soci in caso di distribuzione (come la riserva sovrapprezzo azioni o quote).

In sintesi quindi, in base alle disposizioni in parola, occorreva operare una distinzione tra riserve di utili già assoggettate ad IRPEG, riserve soggette a maggiorazione di conguaglio in misura ridotta, riserve soggette a maggiorazione di conguaglio in misura piena, riserve ed altri fondi in sospensione d’imposta, riserve derivanti da apporti dei soci.

Questa disposizione, prima che intervenisse la riforma dell’imposta sul reddito delle società, era già sta abrogata nel 1997 per effetto del d.lgs. n. 467 che, abolita la maggiorazione di conguaglio, aveva introdotto il credito d’imposta pieno e limitato. Ancora attuale è invece la previsione contenuta nell'art. 47, comma 6, (corrispondete al precedente art. 44, comma 2, del vecchio TUIR), secondo cui la riduzione del capitale esuberante è equiparata alla distribuzione di dividendi fino a concorrenza degli utili che, in precedenza, siano stati imputati in aumento del capitale sociale. In termini più chiari, l'aumento del capitale sociale con utilizzo di riserve di utili fa scattare la presunzione assoluta che la successiva riduzione abbia ad oggetto dapprima quei medesimi utili e, per il residuo, capitale.

La dottrina ha ritenuto che questa norma identifichi la consacrazione del principio di invarianza della stratificazione fiscale del patrimonio netto. E cioè a dire: le somme

distribuite hanno natura di utili in quanto la semplice riclassificazione contabile, non accompagnata da corrispondenti modifiche quantitative, non è idonea a farne variare la natura agli effetti tributari198.

In effetti alcune variazioni del patrimonio netto, come, ad esempio, l’aumento gratuito e la successiva riduzione effettiva del capitale sociale, dovrebbero comportare, ai fini della corretta tassazione, la necessità di conoscere il regime fiscale delle riserve utilizzate nell’operazione; e, in generale, tutte le operazioni che comportano un mutamento dello statuto giuridico delle riserve (ad es. da riserve di utili a riserve di capitale) richiederebbero una “memorizzazione”, ai fini fiscali, di questo passaggio. La stratificazione fiscale non dovrebbe risultare mai alterata, nel senso che, nonostante le variazioni del regime civilistico delle poste del patrimonio, il loro regime fiscale non dovrebbe modificarsi.

Invero, se in linea di principio quanto appena indicato appare assolutamente ragionevole alla luce dei principi del diritto tributario, non si possono tacere le opinioni espresse da altra dottrina circa la ratio della disposizione in parola, che sarebbe rinvenibile in un obiettivo antielusivo del legislatore, il quale avrebbe inteso precludere il conseguimento di vantaggi tributari ritenuti non meritevoli di tutela.

Tali vantaggi, in origine, potevano consistere nell'aggiramento della tassazione personale sui redditi. In particolare, stante la completa intassabilità delle restituzioni dei conferimenti, tramite la preventiva "capitalizzazione" degli utili e la successiva riduzione del capitale sociale era possibile restituire somme ai soci senza scontare né la maggiorazione di conguaglio, né le ritenute alla fonte, e/o l'Irpef.

Nello stesso senso si è posta però la norma contenuta nell’art. 37 bis199, comma 3, lett. a) del d.P.R. n. 600 del 1973, il quale specifica che l’Amministrazione finanziaria può disconoscere i vantaggi tributari indebiti realizzati anche per il tramite di "distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili".

Tale disposizione tende evidentemente a contrastare manovre elusive che trovano attuazione mediante la ripartizione ai soci di riserve di capitale. Essa, tuttavia, non

198 In tal senso Garbarino C., La tassazione delle operazioni sul capitale e sulle poste del patrimonio netto, Milano, 1993, p. 301, secondo il quale l'art. 47, comma 6 del TUIR, sarebbe riconducibile al "principio del mantenimento del regime originario di una certa posta" del netto "prescrivendo che tale regime permanga nonostante precedenti forme di utilizzo".

spiega in quali ipotesi la distribuzione di riserve di capitale è idonea a dar luogo ad un vantaggio indebito, cosicché i criteri di identificazione delle manovre elusive e la loro distinzione rispetto alle operazioni legittime devono ricavarsi altrove, ed in particolare, dalle regole sistematiche desumibili dal coordinamento delle varie norme in materia. Ebbene, è stato ritenuto che, ai fini dell’applicazione di tale disposizione antielusiva, rileva proprio il principio-limite del rispetto della stratificazione fiscale del patrimonio netto rinvenibile nell’art. 47, comma 6, TUIR200.

Seconda altra dottrina, invece, la norma antielusiva, nella parte de qua, è stata concepita per prevenire operazioni dirette a trasformare il prezzo di cessione di una partecipazione in restituzione del sovrapprezzo201.

Occorre rilevare che le opinioni sopra riportate si calano in contesto normativo affatto diverso da quello attuale, dal momento che non solo la maggiorazione di conguaglio non esiste più e che, ai sensi dell'art. 47 del TUIR, anche la distribuzione di riserve di capitale, fin dal 30 dicembre 1993 - per effetto delle modifiche introdotte dal D.L. 30 dicembre 1993 n. 557, convertito nella L. 26 febbraio 1994 n. 133 - va a ridurre il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione ed è comunque considerata utile (e assoggettata a tassazione) per la parte eccedente le somme versate dal socio in sede di acquisto o sottoscrizione della partecipazione, ma va anche considerata la riforma fiscale del 2003 che ha profondamente modificato il sistema impositivo.

Più in particolare, per la fattispecie in esame, l’attuale normativa sembra aver messo in crisi le interpretazioni suddette, se si considera che il comma 1 dell’art. 47 del TUIR recita: “indipendentemente dalla delibera assembleare, si presumono prioritariamente

distribuiti l'utile dell'esercizio e le riserve diverse da quelle del comma 5 per la quota di

esse non accantonata in sospensione di imposta”202.

11. LA PRESUNZIONE LEGALE DI DISTRIBUZIONE DEGLI UTILI: PROFILI GENERALI, COORDINAMENTO CON L’ART. 47, COMMI 5, 6 E 7 DEL TUIR E CON L’ART. 37 BIS, COMMA 3, LETT. A), DPR 600 DEL 1973.

200 In tal senso Garcea A., L'autonomia dei soci nella distribuzione delle poste del patrimonio netto, in "Rassegna tributaria" n. 1 di gennaio-febbraio 2000, pag. 73.

201 Si veda il paragrafo 6.1

202

Formula entrata in vigore dal 1° gennaio 2004 a seguito della riforma dell’imposta sul reddito delle società ex d.lgs 12 dicembre 2003, n. 344

Come appena riferito, dal 1° gennaio 2004 è in vigore la presunzione legale di distribuzione degli utili ex art. 47, comma 1, TUIR.

Questa disposizione è applicabile sia alle persone fisiche non imprenditori, che alle imprese individuali e alle società di persone, giusta il rinvio alla citata disposizione di cui al comma 1 dell’art. 59; essa è applicabile, inoltre, alle società di capitali ed enti commerciali soggetti ad IRES, in virtù del rinvio, contenuto nel comma 4 dell’art. 89, alle disposizioni di cui all'art. 47 "ove compatibili".

La ratio della presunzione (assoluta, ossia non suscettibile di prova contraria), come emerge dalla relazione governativa al d.lgs. 344/2003, è quella di evitare arbitraggi fiscali sulle somme distribuite dalla società ai propri soci in funzione del minor carico fiscale che la distribuzione di riserve di capitale potrebbe comportare, in linea di principio, rispetto alla distribuzione di riserve di utili (sebbene anche su queste ultime, per effetto della riforma, il carico fiscale risulta notevolmente attenuato). Ed invero, com'è noto, se la società distribuisce riserve di capitale formate con sovrapprezzi azionari, interessi di conguaglio, versamenti dei soci a fondo perduto o saldi di rivalutazione monetaria esenti, tale distribuzione non genera (immediatamente) materia imponibile in capo al socio, ma comporta una riduzione del costo fiscale della partecipazione da questi detenuta (art. 47, comma 5). Se però la distribuzione delle riserve di capitale avviene in presenza di utili o riserve di utili, verrà ora a determinarsi subito materia imponibile in capo al socio dovendosi ritenere distribuiti, sul piano fiscale, riserve di utili, anziché riserve asservite alla disciplina del capitale sociale. In tal modo viene a determinarsi una differenza tre patrimonio civilistico e patrimonio fiscale, di modo che, nel caso di successiva distribuzione di riserve di utili (non presenti nel patrimonio netto fiscale), viene ad operare una sorta di presunzione inversa a quella di cui al comma 1 dell’art. 47. In altri termini, è inevitabile che le effettive riserve di utili restanti in bilancio assumano a loro volta, ai fini fiscali, natura di riserve di capitali; altrimenti si determinerebbe, in sede di successiva distribuzione anche di queste riserve, una doppia imposizione che non troverebbe giustificazione.

La presunzione non dovrebbe colpire le riserve di utili che non siano liberamente disponibili dal punto di vista civilistico, come la riserva legale o quella per acquisto azioni proprie, e le riserve in sospensione di imposta, tassabili solo in caso di effettiva distribuzione ai soci (cosiddetta sospensione moderata) o tassabili per ogni tipo di

utilizzo (cosiddetta sospensione radicale). La ratio di tale ultima limitazione è facilmente rinvenibile nell’intento di non penalizzare anche la società con la perdite del beneficio della sospensione di imposta203.

La norma parla degli effetti della “distribuzione” di riserve e non menziona gli effetti di altri possibili utilizzi, come la copertura di perdite. Pertanto, è stato ritenuto che la società sia libera, nei limiti civilistici, di impiegare a copertura di perdite le riserve di utili con rilevanza anche fiscale, nel senso che non deve ritenersi che per la copertura di perdite scompaiono, con un ordine inverso alla distribuzione ai soci, prima le riserve di capitali e poi quelle di utili204.

L’Assonime ha, al riguardo, affermato che, nel silenzio della norma, non si può ritenere che dalla stessa possa inferirsi anche quest’ulteriore e vessatoria conseguenza, e tale parere è stato condiviso dagli studiosi205 in considerazione del fatto che laddove il legislatore ha voluto introdurre presunzioni tese a penalizzare i comportamenti dei contribuenti, lo ha fatto espressamente, come nel caso del regime di trasparenza di cui all’art. 115 del T.U.I.R., dove si prevede che in ipotesi di copertura di perdite, si considerano prioritariamente utilizzati gli utili imputati ai soci per trasparenza.

La presunzione, anche se non vi è espressa previsione, non dovrebbe operare per le riserve formate con utili generati in regime di tassazione per trasparenza. Ciò perché si tratta di utili che hanno già subito l’imposizione direttamente pro-quota in capo ai soci e, pertanto, la distribuzione di riserve non può generare nuovamente imposizione nei confronti del socio206.

203

Per quanto riguarda i saldi attivi di rivalutazione sottratti, per effetto dell’affrancamento, al regime di sospensione d’imposta, è stato osservato che potrebbe porsi un problema nell’applicazione della disciplina di distribuzione degli utili di cui all’art. 47 del TUIR, con riguardo, in particolare, alla previsione contenuta nel comma 1. La permanenza del saldo tra le riserve di utili che, sebbene non più in sospensione d’imposta sono, tuttavia, ancora sottoposte al regime civilistico proprio del capitale, potrebbe, infatti, far scattare la presunzione di cui alla richiamata norma fiscale ove siano distribuite altre riserve non formate con utili. Cfr circolare Assonime n. 23 del 2006. Tuttavia, sulla base anche delle indicazioni fornite dall’Agenzia delle entrate con circolare n. 26 del 2004, l’Assonime ha concluso che “la presunzione in parola non opera rispetto alle riserve di utili che non siano civilisticamente disponibili per la distribuzione”. Quindi, anche per la riserva di rivalutazione, la quale, nonostante l’affrancamento dal regime di sospensione d’imposta, sul piano del bilancio civile conserva gli stessi vincoli che assistono il capitale, valgono le analoghe considerazioni fatte a proposito della riserva legale e della riserva per acquisto azioni proprie.

204 Sul punto la circolare Assonime del 14 luglio 2004, n. 32.

205 Miele L., Composizione del patrimonio netto e presunzione legale di distribuzione, in Corriere tributario 2005, n. 22, p. 1723

206 In questo contesto la distribuzione degli utili è assimilata, dal punto di vista fiscale, alla restituzione di un conferimento: per conseguenza, le somme ricevute dal socio non danno luogo ad un dividendo (parzialmente) imponibile. Il reddito imputato al socio per trasparenza è insomma "patrimonializzato": lo

Una conferma la si trova per gli utili e riserve di utili formatisi in regime di trasparenza fiscale di cui agli artt. 115 e 116 del T.U.I.R. per i quali, ai sensi dell’art. 8, comma 5, del D.M. 23 aprile 2004, non trova applicazione la presunzione di cui all’art. 47, comma 1.

Analogamente, è apparso ragionevole ritenere che la presunzione in parola non trovi applicazione laddove le riserve di utili esistenti nel patrimonio netto derivino da una precedente trasformazione omogenea progressiva e siano già state tassate per trasparenza in capo ad una società di persone. Tali riserve, infatti, se distribuite, non subirebbero, comunque, alcuna imposizione al fine di evitare una doppia imposizione. In sostanza, la fattispecie è assimilabile agli utili e riserve di utili formatisi in regime di trasparenza fiscale di cui agli artt. 115 e 116 del TUIR, per i quali, come detto sopra, non trova applicazione la presunzione di cui all’art. 47, comma 1207.

Ciò che però la legge non dice è quale sia la sorte delle distribuzioni di utili e riserve di capitale, rispettivamente conseguiti e formatesi durante il regime di trasparenza, per la parte eccedente i redditi "imputati" ai soci.

La società "trasparente" potrebbe infatti aver conseguito redditi esenti o esclusi, o comunque trovarsi, per altre cause, con un reddito imponibile (imputato ai soci) inferiore all'utile distribuibile208. Tuttavia, in tema di società di capitali trasparenti l'art. 8 del decreto attuativo prevede che "gli utili e le riserve di utili formatesi nei periodi in cui è efficace l'opzione, ove distribuiti, non concorrono a formare il reddito dei soci". Come si può notare, la norma, nel sancire l'irrilevanza reddituale dei dividendi percepiti dai soci, non opera alcuna distinzione, e pertanto anche gli utili formatisi presso la società trasparente con redditi parzialmente esclusi da imposizione (ad esempio

stesso concorre cioè a formare il costo della partecipazione e la sua distribuzione è fiscalmente assimilata alla restituzione di una riserva di capitale. Questo assetto è stato anche confermato dal decreto del ministro dell'Economia e delle Finanze 23 aprile 2004 recante "disposizioni applicative del regime di tassazione per trasparenza nell'ambito delle società di capitali": l'art. 8 del decreto, infatti, stabilisce che "gli utili e le riserve di utili formatesi nei periodi in cui è efficace l'opzione, ove distribuiti, non concorrono a formare il reddito dei soci". Sul punto Stevenato D., Il regime dei dividendi "eccedenti" di società di capitali "trasparenti", in Corriere tributario n. 22 /2004, pag. 1707.

207 In tal senso Miele L., Composizione del patrimonio netto e presunzione legale di distribuzione, in Corriere tributario 2005, n. 22, p. 1723

208 Sul punto è stato osservato che “tassare in capo ai soci persone fisiche i dividendi eccedenti i redditi imputati per trasparenza sarebbe una soluzione coerente con l'obiettivo di non confondere la fiscalità dell'impresa societaria con quella dei soci, nella specie evitando che un'agevolazione o una norma di esenzione/esclusione concessa alla società venga trasmessa ai soci mercé l'attribuzione di un dividendo non imponibile”. Stevenato D., Il regime dei dividendi "eccedenti" di società di capitali "trasparenti", in Corriere tributario n. 22 /2004, pag. 1707.

dividendi) potranno essere distribuiti ai soci senza alcuna ulteriore imposizione. Pertanto, come arguito da Stevanato, visto che l'irrilevanza reddituale è sancita dal decreto citato, indistintamente, per (tutte) le riserve di utili distribuite ai soci (qualora ovviamente formatesi nei periodi in cui opera la trasparenza), non sembra più residuare alcuno spazio interpretativo per affermare la tassabilità degli utili distribuiti in "eccedenza" ai redditi già imputati per trasparenza, foss'anche per la presenza nel reddito societario di proventi esclusi o parzialmente esclusi (dividendi).

11.1 Segue: COME SI COORDINA LA PRESUNZIONE DI DISTRIBUZIONE EX ART. 47, COMMA 1, CON I COMMI 5, 6 E 7 DELLA STESSA DISPOSIZIONE?

Come noto l’art. 47, comma 5 del TUIR, dispone che “non costituiscono utili le somme e i beni ricevuti dai soci delle società soggette all'imposta sul reddito delle persone giuridiche a titolo di ripartizione di riserve o altri fondi costituiti con sopraprezzi di emissione delle azioni o quote, con interessi di conguaglio versati dai sottoscrittori di nuove azioni o quote, e con versamenti fatti dai soci a fondo perduto o in conto capitale e con saldi di rivalutazione monetaria esenti da imposta. Tuttavia le somme o il valore normale dei beni ricevuti riducono il costo fiscalmente riconosciuto delle azioni o quote possedute”.

La presenza nel bilancio di utili dell’esercizio e di riserve di utili impedisce che la distribuzione di riserve di capitale esplichi i sui effetti sul valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione. Infatti, se operasse contemporaneamente il disposto del comma 5, si avrebbe che in caso di dismissione della partecipazione la plusvalenza ingloberebbe anche una parte già sottoposta a tassazione a titolo di utile. Va da sé che, laddove non scatti la presunzione del comma 1 - quando cioè la distribuzione di riverse di capitale non deve essere riqualificata, non risultando nel patrimonio netto utili di esercizio o riserve di utili -, il comma 5 esplica tutti i suoi effetti.

Un altro problema riguarda la questione se la presunzione di cui si discute trovi applicazione anche in ipotesi di riduzione effettiva del capitale sociale mediante rimborso ai soci, ossia se, in presenza di riserve di utili, anche la distribuzione del capitale ai soci comporti una riqualificazione in utili da partecipazione.

Sul punto, è stato affermato che tanto motivi di ordine letterale, quanto la riflessione sugli obiettivi del legislatore depongono a favore di una risposta negativa209. Dal punto